Capitolo 32: Di nuovo insieme


Sparviero

L'odore si faceva sempre più vicino, sempre più intenso. Ero talmente assorto da quella ricerca da perdermi completamente nel miscuglio di profumi e puzze che componevano l'odore di Artigern. Tutte le creature avevano un proprio odore e, più complesse erano, più sofisticato si faceva il loro bouquet. Artigern aveva un odore giovane, fresco, quello di un Athi al limite della propria adolescenza, ormai quasi adulto.

Avevo attraversato il Grande Fiume qualche giorno addietro, in parte volando e in parte nuotando per mimetizzare la mia scia. La potenza dell'acqua che mi scorreva sotto il ventre e nella pelle tenera che separava gli artigli era piacevole e rinvigorente, e mi aveva aiutato a liberarmi di tutta la fatica accumulata in quei giorni.

Seguendo la traccia lasciata dall'uomo incappucciato, mi ero diretto verso nord ovest, nei pressi di alcune vecchie città Athi, ora trasformatesi in insediamenti umani abbandonati. L'odore qui era tanto concentrato che la ricerca si fece più complessa. Sembrava che Arty si fosse messo a scorrazzare nella foresta senza una meta precisa di proposito, per confondermi. Ma sentivo che era vicino. Molto, molto vicino.

*

Passai l'intera giornata a cercare di sbrogliare quella matassa di odori, finché, all'improvviso, non udii delle voci.

Ero stato talmente preso dal mio indagare da non averle sentite prima. Erano molto, troppo vicine.

Dovevo nascondermi, ma dove?

Mi guardai attorno e vidi solo alberi, erba alta e incolta, arbusti e sassi. Forse, il tronco di un gigante della foresta sarebbe stato sufficientemente ampio da offrirmi un rifugio. Cercando di fare meno rumore possibile, mi nascosi fra le radici, rannicchiandomi su me stesso. Visto il colore perlaceo delle mie squame, c'era la labile possibilità che mi avrebbero scambiato per un masso errante.

Chiusi gli occhi e tesi le orecchie, trattenendo il respiro per cogliere il minimo rumore.

Le voci cessarono, mentre dei passi leggeri e calmi si avvicinavano, fermandosi di tanto in tanto, seguiti da un rumore di erba strappata. Forse si trattava di qualcuno che stava raccogliendo delle piante, in cerca di qualcosa di commestibile.

Lentamente, osai aprire un occhio di mezzo centimetro, e misi a fuoco l'area circostante.

Inspirai con cautela, e di nuovo una cascata di odori saturò il mio naso. Tuttavia, in mezzo a quella bufera, riuscii a riconoscerne uno, e sgranai gli occhi.

Non riuscivo a crederci.

Sollevai il capo, allungando il collo verso la piccola sagoma che, all'incirca a cinquanta metri di distanza, si aggirava fra gli alberi con un cesto sotto braccio.

Non superava il metro e trentacinque di altezza e, sulla sua schiena, ampia e solida nonostante l'altezza ridotta, ondeggiava una lunga treccia di un rosso ramato, tenuta al suo posto da una serie di lembi di stoffa grezza. Il suo fisico era asciutto e tutto d'un pezzo, e della pancia infantile era rimasto solo un leggero rigonfiamento, proporzionato rispetto all'insieme della figura. Visto così, si sarebbe potuto scambiare per un nano, ma io sapevo che non lo era.

Ad un certo punto, volse lo sguardo in mia direzione, e i suoi occhi argentei si fissarono nei miei. Restò immobile, e il cesto gli cadde di mano, rovesciando il raccolto sul terreno ricoperto di aghi di pino e foglie giallastre.

I suoi lineamenti erano diventati più marcati e spigolosi, più adulti, ma si vedeva chiaramente il bambino, sotto la maschera d'uomo. Il suo sguardo non era cambiato quasi per niente. Era ancora ingenuo, un po' trasognato, come se non fosse del tutto lì. L'unica differenza era una sottile malinconia, che emanava da ogni singolo lineamento, e per qualcuno che lo conosceva bene quanto me era più che evidente.

Gli andai incontro, muovendomi senza fare un rumore. Temevo che, se mi fossi precipitato da lui, sarebbe scappato, senza darmi il tempo di dire qualcosa.

Dire qualcosa.

Già, cos'avrei potuto dirgli?

Più mi avvicinavo, più cercavo di pensare a qualcosa di confortevole e intelligente, che gli facesse capire quanto mi dispiaceva per tutto ciò che avevo fatto, che potesse supplire almeno in minima parte al dolore che aveva dovuto affrontare, da solo, senza un amico.

- Artigern! - gridò una voce, rompendo quel momento di silente, attonita sospensione che si era creato fra noi due.

Ci voltammo entrambi verso la fonte di quel rumore: era una Athi, come lui. Aveva corti capelli rosso fuoco e un corpo da guerriera, avvolto da abiti larghi e laschi, fatta eccezione per un corsetto di cuoio attorno alla vita, dalla quale pendeva uno stiletto acuminato e sottile come un ago. Le sue braccia erano tese per lo sforzo di tendere una freccia, i suoi occhi argentei sbarrati per la paura. Ansimava e aveva un'aria folle, come se non fosse del tutto in sé.

Io restai immobile, temendo che il minimo cenno le avrebbe fatto perdere il controllo.

Artigern, con le mani alzate per placarla, si avvicinò a me.

Il fruscio delle foglie fu sufficiente a farla sobbalzare.

La freccia sibilò nell'aria e, allo stesso tempo, Artigern gridò, cercando di spostarmi. Sia lui che la ragazza si erano completamente dimenticati che una freccia non mi avrebbe fatto assolutamente niente, a meno che non mi colpisse in un occhio o nella tenera, sottile fascia di carne alla base del collo.

Seguirono un gemito di dolore e un tonfo.

Artigern cadde in ginocchio, reggendosi il braccio destro. La freccia l'aveva trapassato da parte a parte, conficcandosi nel terreno, ricoperta di sangue. Il caldo, rugginoso liquido rosso cominciò subito a sgorgare dalla ferita. L'aveva colpito sotto un'ascella, vicino a un'arteria.

La Athi, pallida come un cencio, si rese conto di ciò che aveva fatto e si precipitò giù dalla collinetta sulla quale si era posizionata per tirare. Si chinò accanto ad Artigern e lo sorresse, balbettando parole prive di senso.

Mi scoccò un'occhiata colma di terrore.

- Vattene via! - disse, con voce stridula.

Io non mi mossi di un centimetro.

- Non voglio farvi del male - mormorai.

- Io ti riconosco - sibilò lei. - Eri con Elwyn e Reod, quel giorno. E' colpa tua se Firtorn è morto!

Le sue parole mi colpirono come schegge di vetro. Sapevo quanto fossero veritiere, ma questo non era il momento per discuterne.

- So quello che ho fatto - ammisi, continuando a guardarla in volto. - Però, ora, fatti da parte. Posso fare qualcosa per quella ferita, ma devo fare in fretta.

Melina mi guardò con astio, ma, allo stesso tempo, era troppo preoccupata per opporsi.

- Melina - rantolò Artigern, battendo rapidamente le palpebre, annebbiato dalla perdita di sangue. - Lascialo fare.

Sotto lo sguardo guardingo e ansioso della Athi, mi chinai su Artigern e leccai la ferita. Il sapore del sangue mi fece rizzare la coda, ma cercai di contenere la mia ingordigia. Mi limitai a pulire la piaga finché l'emorragia non si fu arginata, quindi mi scostai.

- Grazie - farfugliò Artigern, rivolgendomi un sorriso da ubriaco. Cercò di alzarsi in piedi e traballò pericolosamente.

Melina lo sostenne, passandogli un braccio attorno alle spalle.

- Mi dispiace - balbettò, quasi singhiozzando. - Ho visto il drago... lui è quello che ha tradito Firtorn e Albio... ho perso la testa, io...

- E' tutto apposto - la interruppe Artigern, deglutendo a fatica. - Andiamo da Nonna. Lei mi curerà. Poi...

Mi guardò e scorsi un lampo di lucidità nei suoi occhi, nei quali vidi una serie di sentimenti contrastanti. Incredulità, rabbia, ma anche una colpevole, tanto quanto intensa, gioia di rivedermi.

Le discussioni erano solo rimandate, ne ero perfettamente consapevole, ma ora sapevo di avere una piccola possibilità di essere perdonato. Non sarebbe mai stato come prima, tuttavia Artigern era qui con me, e non mi aveva ancora ricoperto di insulti, il che, per me, era il regalo più prezioso del mondo.

- ... poi, si vedrà - completò l'Athi, con un profondo sospiro, abbandonandosi al sostegno di Melina, mentre zoppicavamo verso la destinazione.


Mi piace com'è venuto questo capitolo. L'ho scritto molto lentamente, ieri sera, fermandomi dopo qualche frase per rivedere il tutto.

Il riavvicinamento fra Sparviero e Artigern mi ha dato parecchio da pensare, non volevo sembrasse forzato. Spero di essere riuscita nell'intento. In ogni caso, sto già scrivendo il seguito... fantasticare un po' mi fa passare con più leggerezza questi giorni di super studio :)

La mia anima horror-grottesca sta tornando a farsi sentire, ho voglia di fantasmi, follia e allucinazioni, ma devo prima finire questo. Assolutamente!

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