Capitolo 22: Traditore

Sparviero

Quella notte ci accampammo all'interno della foresta, al limitare con la serie di grotte fra le quali Firtorn aveva scelto la propria tana. Eravamo abbastanza vicini da accorrere immediatamente qualora fosse accaduto qualcosa, ma sufficientemente lontani perché lui non ci vedesse.

Elwyn disse che da quel momento in poi non avremmo più avuto bisogno di lui per gestire Firtorn e Albio. Lui sarebbe tornato al nido, dove la sua presenza era assolutamente necessaria, ora che lui e il Grande Mago stavano giungendo a un accordo sul da farsi.

A quanto pareva, Oberon aveva abbracciato la causa di Elwyn, in un modo che ancora mi sfuggiva. Immaginavo che il drago avesse trovato gli antichi rituali secondo i quali si poteva piegare il volere degli spiriti della natura, per ottenerne il favore. Tuttavia, stare vicino al Re delle Querce mi turbava, sebbene fosse una sensazione del tutto immotivata, dato che, dopo il traumatico impatto iniziale, si era mostrato gentile e affabile come sempre, per quanto bizzarro.

*

Presto si fece notte.

Le ombre si allungarono, arrivando a sfiorare con le loro punte aguzze la sagoma di Albio, che riposava sotto il pino cui Elwyn l'aveva legato con delle robuste corde costruite con tralicci di piante. Le aveva intrecciate mentre parlava con Reod. Non sarebbero riuscite a trattenere il drago nella sua piena forma fisica, ma ora Albio era stanco e ferito, e non avrebbe offerto una particolare resistenza.

Io ero andato a caccia - Reod me ne aveva insegnato i rudimenti meglio di come qualunque Athi avrebbe potuto fare - e avevo catturato un cervo.

Ne stavo ancora rosicchiando una coscia, assaporando il gusto liquido e caldo della carne fresca, quando Elwyn se ne andò, lasciandoci soli.

Terminai il pasto, quindi mi avvicinai a Reod.

-Cosa facciamo, adesso? - gli chiesi, perplesso.

-Aspettiamo.

-E cosa aspettiamo?

-Che Firtorn si tradisca - sogghignò il drago blu, sottovoce, in modo da non farsi sentire da Albio. Il drago viola, mezzo rimbambito, ci osservava con gli occhi a mezz'asta, e grugniva di tanto in tanto, leccandosi la ferita alla spalla. Ormai non sanguinava più e stava cominciando a cicatrizzarsi, ma doveva fargli abbastanza male da distrarlo. - Forse tu non l'hai notato, ma c'era odore di Athi in quella grotta. Un odore piuttosto familiare, in effetti.

Sgranai gli occhi.

-Pensi che Artigern sia stato lì? - balbettai.

Reod sbuffò.

-Parli dell'Athi che ho arrostito? - disse, grattando il terreno con la zampa destra. - Fosse anche sopravvissuto, non ne avrà per molto. Ciò che noi stiamo aspettando è che il drago rosso vada verso il luogo dove ha nascosto l'Athi, in modo da poterlo cogliere sul fatto. Non importa che ci sia davvero l'Athi. Ciò che conta è scoprirlo mentre sta fuggendo. Allora, avremo modo di attaccarlo, perché avrà dichiarato la sua complicità con Albio.

-Attaccarlo? - sussurrai, a disagio. - Ha solo cercato di aiutare. Albio ha detto di non sapere niente su perché Arty fosse ferito. L'ha curato e basta. Probabilmente vale lo stesso per Firtorn, se gli è capitato di offrirgli asilo.

-Oh, Zharr, sei talmente ingenuo - sospirò Reod, scuotendo la testa. Mi rivolse un sorriso bonario, toccando il mio collo con la punta del muso. - Credi a tutto quello che ti dicono? Quei draghi stavano chiaramente mentendo. Non sono nemmeno del tutto certo che ci fosse solo Artigern in quella grotta.

-Che intendi?

-C'era un odore diverso. Un odore che non sono riuscito a identificare. Forse, lui non è il primo Athi cui Firtorn ha offerto rifugio. Non capisci, Zharr? Loro ormai sono stati resi molli dal contatto prolungato con gli Athi. Hanno perso il contatto con la loro parte più consapevole, la parte che li rende draghi. Ormai, non sono null'altro che nemici. Dobbiamo cercare di mostrar loro la via, un'altra volta, oppure saranno perduti per sempre. E se per farlo devo giocare la parte del cattivo, sarò lieto di interpretarla, per il loro bene.

Le parole di Reod mi diedero molto da pensare. Mi rannicchiai in un angolo, in silenzio, e fissai i raggi di luna che colpivano gli aghi di pino radunati a terra.

Forse il drago blu aveva ragione, anche se non riuscivo a vedere fino in fondo dove avrebbero condotto le sue azioni. Ma se diceva di farlo per il bene dei nostri fratelli, io l'avrei aiutato. Dopotutto, nulla era più importante della famiglia.

Nel pensare quest'ultima parola, mi si strinse la bocca dello stomaco, e appoggiai il muso fra le zampe, chiudendo gli occhi.

Non riuscivo più a comprendere cosa significasse.

Famiglia erano Reod e gli altri draghi, che condividevano con me lo stesso sangue e la stessa storia, oppure Artigern, che era stato il mio compagno, sebbene per poco tempo?

Ma l'aveva fatto solo perché era nella sua natura, non perché io fossi speciale per lui. Non perché mi volesse davvero bene.

Per lui ero stato solo una fonte del calore da cui attingere, come per tutti gli altri Athi.

Dovevo restare concentrato.

Questo genere di pensieri non mi faceva bene.

I draghi erano la mia vera famiglia, mentre gli Athi... potevano anche starmi accanto, ma non mi avrebbero mai considerato come un essere del tutto libero e indomabile. Avrebbero sempre cercato di incatenarmi, fosse anche con l'affetto.

*

Caddi in un sonno agitato, raggomitolato su me stesso. Non sentivo molto il freddo, ma avrei preferito poter dormire al nido. La terra calda di quel luogo mi aiutava a prendere sonno più facilmente. Era come trovarsi in un ventre materno, una sensazione che mi faceva provare sia malinconia che conforto.

Quando mi svegliai, fu perché Reod mi aveva dato un colpo col muso.

Aprii gli occhi di scatto e mi misi a sedere, gli artigli sguainati e la coda tesa.

Mi resi conto che era stato il drago blu a chiamarmi e mi rilassai, scoccando un'occhiata nervosa ad Albio. Per un istante mi era sembrato che... no, era stata solo una mia impressione. Un residuo di un brutto sogno, che già stava scomparendo dalla mia memoria. Non mi aveva davvero guardato male. I suoi occhi erano chiusi, sembrava stesse dormendo. Eppure, percepivo ancora il suo sguardo su di me. Era una sensazione indefinibile, mi faceva sentire giudicato. Chissà a cosa stava pensando in questo momento. Forse, a come liberarsi di noi e fuggire?

-Rilassati, cucciolo - sogghignò Reod, inarcando le sopracciglia coriacee. - E' tutto apposto. Volevo solo chiederti di fare a cambio per il turno di guardia. Sono stato sveglio finora e sono stanco. Svegliami immediatamente qualora notassi qualcosa di sospetto.

Io annuii, inorgoglito dal fatto che mi avesse affidato un compito tanto importante, e mi raggomitolai ai piedi di un albero, da una zona in cui potessi facilmente tenere d'occhio Albio. La sua presenza mi rendeva nervoso. Non mi sarei perso un solo sospiro, da parte sua.

Un rumore di foglie calpestate e lo scricchiolio di un albero mi dissero che Reod era salito su uno degli spessi pini secolari per riposare. Erano tra i pochi alberi che riuscissero a reggere il suo considerevole peso e, per qualche motivo, il drago blu amava dormire in posti sopraelevati. Lo facevano sentire più al sicuro, mi aveva detto.

Io puntai lo sguardo verso dove, oltre gli alberi, ci sarebbe dovuta essere la grotta di Firtorn. Era tutto buio, non c'era la luce di nessun fuoco - noi non l'avevamo acceso per non segnalare la nostra presenza -, e l'unico bagliore era quello della luna, che riversava i suoi raggi violacei, quasi sinistri, sul terreno.

I miei sensi si erano ormai abituati a quel silenzio completo, interrotto solo dal sibilo del vento che correva fra le ultime foglie rimaste attaccate ai rami, quando mi sovvenne il primo sussurro. Per un attimo lo confusi con una vocina della coscienza, ma poi mi resi conto che si trattava di Albio.

Stava parlando pianissimo, con un tono simile a un sibilo, e, nel mentre, mi osservava con quegli occhi gialli e penetranti, come due pietre di quarzo citrino.

-Vattene finché sei in tempo - sussurrò. - Le cose potranno solo peggiorare, d'ora in poi.

Feci finta di non sentirlo.

Reod mi aveva detto che, qualora mi avesse parlato, avrei dovuto ignorarlo. Non bisognava dare corda a uno come lui.

-Ragazzo, credimi, Reod ed Elwyn ti stanno solo usando. Più Elwyn che Reod, in realtà. Lui è talmente cieco che non vedrebbe la verità sul suo salvatore nemmeno se gliela sbattessero in faccia - continuò, più insistente. - Solo perché lui l'ha raccolto dall'allevamento in cui l'avevano rinchiuso, ora crede Elwyn sia una specie di profeta, un dio sceso sulla terra... quando Elwyn sta piegando i veri dei al suo volere, attraverso rituali innominabili. Sai cosa serve per imprigionare un dio della foresta come Oberon?

-No - sibilai, seccato. Non volevo sentire. Non volevo sapere cos'aveva da dire! Perché non mi lasciava in pace? - Sta zitto, o sveglio Reod.

-Devi compiere un sacrificio. Nulla per nulla, giusto? La natura funziona in questo modo, e, a volte, persino quando concedi qualcosa, non ricevi niente in cambio. La vita è crudele. La verità è che non c'è nessuno disposto ad aiutarti, nemmeno gli dei. Se non fosse per gente come Elwyn, si farebbero gli affari propri, rinchiusi nel loro mondo dorato. Oberon è uno dei pochi, se non l'unico, ancora legato alla natura. Tutti gli altri sono volati via chissà dove da molto tempo, e non si sono più fatti vedere. Spiriti dei laghi, dei fiumi, creature impalpabili che danzano nei raggi del sole e della luna... tutti via, spariti. Però lui è rimasto. L'unico a cui importasse qualcosa delle nostre terre, che ritenesse ci fosse qualcosa di buono qui, qualcosa per cui valesse la pena combattere. E ora, guarda come l'ha ridotto Elwyn. A un orrendo burattino, un simulacro di ciò che dovrebbe essere. Per trasformarlo in questo, Elwyn ha dovuto concedergli qualcosa cui teneva oltremodo. Ma, in fondo, sappiamo entrambi che lui non tiene davvero a niente. Sarebbe disposto a qualunque cosa per rendere i draghi liberi, ma la vera prigione ce l'ha lui, nella sua testa, e di quella non si libererà mai. Certo, il suo ideale è nobile. Ma, come tutti gli ideali, è irreale, un'utopia. Fin dove sarà disposto a spingersi per ottenere la libertà della nostra specie? Quanti di noi sacrificherà? Finora ha già offerto alle formule che tutto divorano il suo compagno, Polonius, e tutto ciò che di buono c'era in se stesso, per non parlare di tutti gli Athi ancora in vita. Cos'altro si prenderà?

-STA ZITTO, NON VOGLIO ASCOLTARTI! - esplosi, troncando di netto quel discorso.

Il mio grido improvviso svegliò Reod, che rischiò di precipitare dal pino sul quale si era appollaiato.

-Ehi, voi, laggiù! - sibilò, planando a terra con un tonfo. - Si può sapere cos'è tutto questo baccano, ah?

Io non dissi nulla, ancora scosso, ma la mia espressione fu sufficiente per far intuire al drago blu cosa fosse accaduto.

Reod puntò su Albio, che si fece piccolo piccolo, mentre l'altro lo prendeva a zampate.

Alcune squame, simili a piccoli sassi, schizzarono qua e là. Una atterrò vicino al mio muso, e potei rispecchiarmici. Non sembravo nemmeno io quello nel riflesso. Ero spaventato, e la paura deformava i miei lineamenti.

Non avevo idea se il drago viola mi avesse detto la verità o meno, ma una cosa era certa: mi aveva messo la pulce nell'orecchio.

Però non potevo fuggire.

E poi, dove sarei potuto andare?

Non sapevo dov'era Artigern. Non sapevo nemmeno se era ancora vivo. E, se anche lo fosse stato, non mi avrebbe mai accolto a braccia aperte, dopo le cose che gli avevo detto. Mi sarei dovuto mostrare debole a lui, tornando come un cane con la coda fra le gambe.

Quest'ultimo pensiero mi fece tornare in me.

No, non mi sarei mai umiliato in quel modo.

Non avrei permesso ad Artigern di credermi un essere vile, pronto a tornare subito sui propri passi, alla ricerca di protezione.

Se mai fossi fuggito, me ne sarei andato per conto mio, e nessuno avrebbe più sentito parlare di me, né mi avrebbe visto.

-Oh, ma guarda chi c'è - sussurrò Reod, cessando di picchiare Albio.

Seguii il suo sguardo e mi parve di scorgere una scintilla rossa nel cielo, accompagnata da un leggero e lontano "flap flap" di ali che si piegavano e abbassavano nel vento.

Reod scoccò un'occhiata significativa ad Albio, per poi correre oltre gli alberi e spiccare il volo con un poderoso colpo di ali.

-NO! LASCIALO STARE, TI PREGO! - gridò il drago viola, in tono lamentoso, tirando invano i legacci che lo trattenevano.

Troppo tardi.

Anche da questa distanza, riuscii a vedere le due comete che si scontravano, e quella blu trascinare dieci metri più sotto quella rossa.

Ci fu una lotta intensa, di cui ci pervennero ruggiti furibondi e lamenti di dolore.

Poi, la stella più chiara precipitò a terra, come una goccia di sangue.

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