Capitolo 19: Melina e Firtorn


Artigern

Quando mi risvegliai, avevo la bocca completamente asciutta. Ci misi un po' a capire dove mi trovassi e a ricordare cos'era successo.

Dovevo bere. Subito.

Strisciai fuori dalla caverna e vagai finché non riuscii a trovare un torrente.

Senza nemmeno pensarci, mi immersi nell'acqua fredda di montagna. Il gelo anestetizzò il dolore e il bruciare, strappandomi un lungo gemito di sollievo.

Poggiai la testa contro una roccia e schiacciai un lieve pisolino, vinto dal torpore. Dovetti impiegare tutta la mia forza di volontà per emergere dal torrente.

Mi sedetti a terra e contemplai le mie ferite.

Dal gomito in su la parte posteriore del mio braccio era ridotta a carne rossa, ricoperta di spesse bolle colme di denso liquido trasparente. La parte destra della mia schiena non doveva essere in condizioni migliori, sebbene non riuscissi a vederla.

Mi portai una mano alla fronte: la mia pelle scottava, avevo la febbre. Normale, con una scottatura di tale entità.

Per fortuna la fiammata mi aveva preso solo di striscio, o avrei perso del tutto la sensibilità nei punti lesi.

Tutto ciò che sapevo riguardo le scottature me l'aveva insegnato Bonnie. Era capitato che degli adulti perversi se la prendessero coi bambini straccioni di Kurna e, una volta, più di uno di noi era tornato con una marchiatura a fuoco sul braccio, che lo contrassegnava come ladro.

Bonnie faceva sempre bere molta acqua al ferito e gli teneva la ferita pulita, per poi recuperare un cataplasma dallo speziale.

Purtroppo, io non avevo delle medicine a disposizione, ma sapevo qual era la pianta che avrebbe potuto alleviare il bruciore e tenere lontane le infezioni.

Assomigliava vagamente alla menta per la dimensione e la forma delle foglie, fatta eccezione per il puzzo terribile che emanava.

Con le ultime forze, mi misi a caccia del composto medicamentoso.

La piantina cresceva in posti umidi e isolati, e ne trovai un agglomerato nei pressi di una roccia errante. Lavai le foglie nel torrente e le masticai per ridurle a poltiglia, per poi applicarle alla ferita.

Un po' alla volta, il dolore passò e mi addormentai.

***

Quando mi ripresi era l'imbrunire e mi sembrava che la febbre fosse scesa. Le foglie avevano formato un colloso strato protettivo sulla mia pelle, mentre la loro linfa aveva limitato l'infiammazione e il dolore.

Dovevo recuperare la borsa. L'avevo persa durante la fuga, ma sapevo che non doveva essere molto lontana.

Mi era caduta poco prima di arrivare alla caverna.

Come previsto, la trovai nella foresta, vicino ad un pino dal tronco colmo di resina biancastra.

Tornai alla caverna e bevvi il contenuto di una delle due borracce.

Dovevo mantenermi idratato.

Tuttavia, nonostante i miei accorgimenti, quando si fece notte la febbre salì vertiginosamente.

Mi sembrava di sentire delle voci, e nel mio campo visivo entrò un drago rosso come il tramonto, dalle squame di un colore tanto intenso che non riuscivo a guardarle. Al suo fianco, una Athi dal viso lentigginoso.

Poi, persi conoscenza.

***

Ho ricordi confusi e accavallati riguardo ciò che accadde in seguito.

Davanti a me c'era una parete bitorzoluta, resa lucida dall'umidità. Anzi, non era semplicemente lucida, ma trasparente. La fissai a lungo, nel tentativo di comprendere il perché di quel misterioso fenomeno, finché una mano piccola e fresca si posò sulla mia spalla sinistra.

- Che cos'è? - rantolai, con voce rauca. Mi sembrava una questione di fondamentale importanza, al momento.

- Oh... quella è la pietra del drago. Si chiama Ossidiana - spiegò chiunque si stesse prendendo cura di me, mentre le stesse manine gentili di prima mi spingevano delicatamente su un fianco, in modo da poter esaminare le mie ferite. - E' una roccia trasparente, simile al vetro, che si forma quando la pietra viene sottoposta a temperature elevatissime e raffreddata rapidamente subito dopo. Questa ossidiana è stata creata dal fuoco di Firtorn, e raffreddata dall'acqua del torrente, che lui ha spruzzato sulle pareti della caverna.

Io ascoltai solo metà di quel discorso, perché mi riaddormentai quasi subito, cullato dalle sue parole.

La seconda volta in cui mi svegliai, mi resi conto di essere disteso in un giaciglio di paglia. Ero a petto nudo e indossavo solo un paio di mutandoni vecchi e logori, resi ruvidi dai continui lavaggi in acqua ricca di minerali.

Provavo un certo intorpidimento al braccio, assicurato al mio petto con delle bende, e alla schiena.

Non sapevo come fossi arrivato in quella caverna, e avevo una sete tremenda.

- Oh, finalmente ti sei svegliato - trillò allegra la voce di una bambina.

Mi voltai e vidi una creaturina avvolta in un abitino marrone venirmi incontro. Una creaturina come me.

Ero stato cresciuto da Bonnie e i bambini straccioni, molti dei quali erano femmine, dunque avrei dovuto essere abituato alla loro presenza. Tuttavia, quando vidi lei, provai una strana sensazione di leggerezza allo stomaco, e mi venne spontaneo sorridere.

Forse era per il modo buffo in cui camminava, ciondolando a causa dei gonfi rimbocchi della veste, o per gli sbarazzini capelli corti e rossi che le spuntavano dalla testa come dei ciuffi d'erba secca, ma la trovai subito simpatica.

Reggeva una brocca d'acqua e uno straccio, dove riposavano un pezzo di pane nero e del formaggio di capra tagliato a fette.

La osservai mentre si sedeva al mio fianco, sul letto, incrociando le gambette paffute.

Mi avventai sull'acqua e la bevvi a lunghe sorsate, dei rivoli freddi che mi colavano lungo le guance. Avvertivo il suo sguardo su di me, mentre mangiavo avidamente il cibo che mi aveva offerto.

Alla fine ero talmente sazio che mi appoggiai contro il muro della caverna con uno sbuffo.

- Grazie - mormorai. Non sapevo bene cosa dirle. Per qualche motivo, avevo paura di sembrarle stupido. - Sei stata tu a curarmi?

- Sì - rispose lei, con la sua vocetta allegra. Mi stava sorridendo insistentemente. Abbassai lo sguardo, imbarazzato, e mi ricordai di avere indosso solo un paio di mutandoni, il che mi rese ancor più imbarazzato. - Quando io e Firtorn ti abbiamo trovato in una delle caverne, stavi delirando per la febbre. Chiamavi un certo Sparviero e ti lamentavi per il dolore alle bruciature. Firtorn non voleva portarti qui, all'inizio. Temeva fossi uno di quegli Athi al servizio di Elwyn, ma ho controllato: i tuoi due cuori sono apposto. Non mi capita spesso di vedere altri Athi scampati al disastro.

Cominciò ad esaminarmi, pizzicandomi le guance e la pancia come se fossi stato un bambolotto.

- Sei diverso dagli altri Athi che ho incontrato, però - osservò, mentre mi costringeva a ridistendermi a pancia in giù.

Parlava così velocemente che non sapevo come inserirmi nella conversazione.

Senza tante cerimonie, mi rifece la medicazione, spalmando un cataplasma puzzolente sulle mie ferite. Mi abbassò i mutandoni per distribuirne una generosa dose sulla mia chiappa destra, e mi bendò dalla testa ai piedi.

- Ecco fatto. Le scottature sono molto migliorate. Presto potrai di nuovo fare tutto da solo - mi rassicurò la Athi. - E' stato un drago a infliggerti questa ferita?

- Sì - sospirai, ripensando a Reod.

Mi si strinse il cuore, quando rividi nella mia mente il modo in cui Sparviero non aveva fatto nulla per difendermi.

Non sapevo cosa gli avessero messo in testa gli altri draghi, ma Nonna aveva ragione riguardo loro: erano creature volubili e orgogliose.

Per la prima volta, provai la netta sensazione di essere stato abbandonato. E non a causa di ragioni di forza maggiore, come nel caso di Bonnie, Delia e Nonna, ma perché Sparviero aveva deciso di abbandonarmi.

Un peso enorme mi crollò sul petto e scoppiai in singhiozzi.

- Cosa succede adesso? - chiese la Athi, preoccupata.

Fra le lacrime, le spiegai cosa mi era accaduto in modo contorto e confusionario, ma lei capì comunque.

- Mi dispiace tanto per il tuo amico drago - mormorò, prendendomi per mano. - Elwyn riesce sempre a convincere tutti. Solo Firtorn e Albio, fra i draghi più anziani, si sono rifiutati di seguirlo.

Firtorn e Albio. Erano gli stessi nomi che Nonna mi aveva detto di cercare. Forse, loro mi avrebbero aiutato. Forse, avremmo ripreso Sparviero assieme.

Restammo in silenzio per un po', e la Athi fece per alzarsi. Io la trattenni per un lembo della gonna.

- Dove vai? - chiesi. Mi sentivo fragile e triste, non volevo restare solo.

- A prendere dell'acqua al torrente - mi rassicurò lei, sciogliendo dolcemente la mia stretta. - Non preoccuparti, tornerò presto. Tu riposa, nel frattempo.

- Non mi hai detto il tuo nome.

La Athi sorrise, e i suoi piccoli e lucenti occhi si riempirono di rughette ridenti.

- Melina. E il tuo?

- Artigern. Ma tutti mi chiamano Arty - mormorai.

- E' un bel nome - disse, dopo averci riflettuto un po'.

Raccolse diverse borracce e una vaschetta di metallo, per poi uscire dalla caverna.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top