Capitolo 18: Un nuovo nome


Artigern

Erano passate due settimane, da quando Oberon aveva detto a Elwyn di aver fatto di me il suo servo.

Da allora, le mie attività principali erano state lucidare armature a grandi placche che dovevano essere state usate dai draghi per andare in guerra, spade e spadini a misura di Athi e pavimenti incrostati di bava di drago o escrementi fino a farmi venire le mani rosse e gonfie.

L'unico fatto positivo era che avevo un sacco di tempo per guardarmi attorno senza che nessuno facesse caso a me, pianificando il modo migliore per fuggire.

Era come se fossi invisibile.

Gli altri Athi mi passavano accanto senza un sorriso, senza un saluto; i draghi, invece, mi consideravano quanto un moscerino e mi riservavano spesso e volentieri delle occhiate di disprezzo.

L'unico momento di tregua era quando tornavo alle stanze di Oberon per la notte. C'era una stanzina minuscola attigua a quella del Re delle Querce, con un lettino altrettanto minuscolo. Per me era più che sufficiente e mi ci rannicchiavo, addormentandomi all'istante, dopo una giornata di fatiche.

Vedevo di rado Oberon e, quando capitava, a volte non mi sembrava nemmeno lui.

A tratti, l'identità fasulla che gli aveva attribuito Elwyn rinchiudendolo in quel corpo aveva la meglio, e si trasformava nel Grande Mago, pronto ad eseguire qualsiasi ordine gli venisse impartito dal drago senza fare una piega.

Quando accadeva, mi trattava in modo abominevole, come se fossi il suo schiavo. Era capitato che se la prendesse con me per alcuni suoi insuccessi. Non sapevo quasi nulla di ciò che Elwyn gli stava facendo progettare, ma non doveva essere qualcosa di buono. A volte Oberon, o meglio, il Grande Mago, farneticava riguardo ad un modo per farla pagare agli umani per via della schiavitù dei draghi.

Quei discorsi mi spaventavano, e avevo finito per concludere di non potermi più fidare di Oberon.

Per questo non gli avevo detto nulla del mio piano di fuga.

Avevo cercato qualche Athi disposto a seguirmi, ma, ogni volta in cui accennavo all'argomento "fuga", loro mi guardavano con aria spaesata, dicendo "perché dovremmo fuggire?".

Mi si stringeva il cuore a vedere i loro occhi spenti, e ancor di più a pensare che non potevo fare nulla per loro.

Anzi, avrebbero potuto trasformarsi in miei nemici, se avessi osato insinuare che i draghi li avevano trasformati in schiavi.

Loro erano più che felici di servirli, e non si limitavano a questo. Adoravano i loro padroni, come degli dei in terra.

Sembrava che gli avessero fatto una grazia ad accettare i loro servigi.

Alla fine, compresi che ero l'unico Athi ad avere ancora un cervello, in mezzo a quella folla senza opinione o raziocinio.

Non potevo restare lì.

A lungo andare, avrebbero capito che non ero stupido come Oberon mi aveva dipinto o, peggio, il Re delle Querce avrebbe potuto fare la spia nel momento in cui il Grande Mago avesse preso il sopravvento.

***

Dopo l'ennesima giornata di lavoro, passata a raccogliere cacche secche e lucidare le ampolle nella stanza di Oberon, mentre lui si affaccendava con diversi liquidi colorati di cui ignoravo l'origine, borbottando cattiverie contro gli umani, mi infilai in camera da letto.

Attesi che il Grande Mago andasse a dormire.

Avevo messo una polverina gialla nella sua tisana serale, che, da come glie l'avevo vista usare, sapevo essere un sonnifero molto potente.

Una volta che ebbe cominciato a russare, uscii dalla mia stanza.

Presi una delle borse che lui usava per andare a raccogliere erbe e radici nella foresta, e me la misi al collo.

Raccolsi tutte le provviste che potei, soprattutto frutta secca - era uno dei pochi cibi che Oberon accettasse, e c'erano sempre diversi sacchetti di ribes e noci accanto al suo letto -, alcuni libri sulle erbe e tutte le sue pergamene.

Il mio piano era di andare da Nonna Nube e mostrarle le ricette su cui stava lavorando il Re delle Querce. Io non ci capivo niente, ma forse lei avrebbe potuto trovare un antidoto alle sue misture: il mio timore, infatti, era che Elwyn volesse replicare ciò che aveva fatto subire agli Athi.

Dopo che ebbi preso tutto, raccolsi le due borracce di pelle che tenevo sotto il cuscino e uscii dalla stanza.

Ero piccolo e insignificante, nessuno fece caso a me.

Solo alcuni Athi mi fermarono e dissi loro che stavo sbrigando delle commissioni per il Grande Mago.

Per il resto, andò tutto liscio.

L'unica cosa che ancora dovevo fare era recuperare Sparviero, poi sarei finalmente potuto andare via.

***

Da quanto avevo sentito, i draghi più giovani vivevano nelle scuderie, dove alcune madri surrogate si prendevano cura di loro.

Quello era il primo luogo in cui pensai di controllare.

Guardai ovunque, stando ben attento a non farmi notare, nascondendomi dietro balle di fieno o persino draghi addormentati.

Un paio di volte, finsi di dormire al fianco di altri Athi, e i draghi di ronda non mi guardarono nemmeno.

Non appena si facevano abbastanza lontani, mi alzavo e passavo ad un altro cubicolo.

Tuttavia, non trovai Sparviero da nessuna parte.

Cominciavo a preoccuparmi. Dove poteva essere finito?

Uscii dalle scuderie e mi avvicinai al vero e proprio nido dei draghi, dove si trovavano gli esemplari adulti e le femmine che covavano le uova.

Erano tutti talmente enormi che i loro passi facevano tremare il pavimento, e temevo che uno di loro mi avrebbe schiacciato sotto le zampe, se non fossi stato abbastanza lesto nello scansarmi o cambiare nascondiglio.

Il nido si trovava poco lontano dalle scuderie, al centro di un piatto roccioso dal quale emergevano degli sbuffi di vapore e ribollivano pozze di acqua acida. Un territorio inospitale, letale per chiunque, tranne che per i draghi adulti e le loro uova, che avevano bisogno di essere tenute costantemente al caldo per maturare a dovere e poi schiudersi.

Faceva davvero caldo, per me, e mi tolsi la divisa verde, ficcandola nella borsa. Restai a petto nudo, con indosso solo i pantaloni.

Mi ero nascosto all'interno di una roccia calcarea con dei pori talmente grandi che potevo infilarmici senza problemi e, nel frattempo, mi guardavo attorno alla ricerca di Sparviero.

Non c'erano molti draghi albini, quindi non ebbi troppa difficoltà nel localizzarlo.

Trotterellava nella scia di un drago dalle squame blu. Strinsi gli occhi per mettere a fuoco e lo riconobbi: era lo stesso che aveva cercato di divorarmi, nella foresta. Lo stesso che ci aveva portati qui.

Cosa diavolo ci faceva Sparviero con quel mostro?

Attesi il momento più propizio e uscii dal nascondiglio.

Favorito dall'oscurità, attraversai il piatto di roccia, attento a non scottarmi coi vapori, e raggiunsi un altro agglomerato di rocce porose.

Mi arrampicai nei reticoli al loro interno e osservai dall'alto Sparviero e il drago blu.

Ero abbastanza vicino da poter udire le loro conversazioni.

- ... sei sicuro di volerlo fare? - chiese il drago blu.

- Ma certo, Reod - rispose Sparviero, con un tono entusiasta che mi lasciò basito. Doveva star recitando.

- Bene. Le nostre uova sono in buone mani - rispose l'altro, con un sorriso tutto zanne.

Gli diede un buffetto col muso per elogiarlo e Sparviero si allontanò trotterellando, arrivando al confine con la foresta.

Attesi che Reod si fosse allontanato e andai dietro al mio amico, cercando di essere il più silenzioso possibile.

- Psst! - lo chiamai, bisbigliando dal cespuglio in cui mi ero rannicchiato.

Sparviero drizzò il capo, guardandosi attorno con aria spaventata.

- Chi c'è? Chi è? - esclamò, mettendosi in guardia.

- Sono io - sussurrai, sperando che mi riconoscesse.

- Io chi?

Feci capolino dal cespuglio, e gli rivolsi un grande sorriso.

- Artigern! - esclamai, andandogli incontro.

Sparviero mi guardò come se fossi stato un fantasma e indietreggiò.

- Artigern? - balbettò, incredulo e - era una mia impressione? - seccato, come se non fosse felice di vedermi.

Quella reazione mi confuse, ma non demorsi.

- Certo! - dissi, tornando a sorridere. - Sono venuto a prenderti. Credevi che ti avrei abbandonato?

- Abbandonato? - ripeté lui.

- Non ti avrei mai lasciato con questi qui - sospirai, dandogli una pacca su una zampa per confortarlo. - Su, dai, andiamo.

- Dove?

- Da Nonna, no?

- E perché?

Non riuscivo a capire.

- In che senso, perché? - feci, aggrottando le sopracciglia.

- Io sto bene qui - mormorò lui, abbassando lo sguardo. Sembrava che si vergognasse e fosse risentito nei miei confronti allo stesso tempo. Solo che io non avevo la benché minima idea del perché mi stesse trattando in quel modo.

- Come: stai bene qui?! - esclamai, incredulo. - Questi draghi schiavizzano gli Athi! Non puoi star bene qui!

Sparviero emise un ringhio basso e minaccioso e, all'improvviso, mi parve di trovarmi di fronte ad un estraneo.

- Siete voi ad averci trattati come schiavi - sibilò, sbuffando due sottili fili di fumo dalle narici. La sua ghiandola del fuoco doveva essere matura, ormai.

- Noi? Ma ti sei guardato attorno da quando siamo arrivati? Non è un bel posto, dobbiamo...

- Non c'è nessun "dobbiamo"! - ruggì Sparviero.

Per poco non mi venne un infarto per lo spavento, ma riuscii a restare dov'ero.

Non potevo... semplicemente, non potevo lasciarlo lì e andarmene come se nulla fosse.

Per qualche motivo era furioso con me, ma non mi importava.

- Senti, non so cosa ti abbiano detto gli altri draghi, ma non possiamo restare ancora. Si accorgeranno di noi. Smettila di gridare, o...

- NO! Smettila tu di cercare di portarmi via! Non capisci? Finalmente sto con i miei simili, com'è giusto che sia. E tu, invece, dovresti essergli grato per averti offerto un posto in mezzo a loro. Elwyn è stato fin troppo magnanimo. Se avessi visto la metà delle cose che lui ha visto, di tutto il male che voi avete fatto a noi draghi, non so se avrei avuto pietà di te.

- Sparviero... - gorgogliai, con voce mozza.

Ero sul punto di scoppiare in lacrime.

Non poteva venire con me e basta?

- E non chiamarmi Sparviero! - sibilò lui, fulminandomi con lo sguardo. - Non sono il tuo cucciolo, che puoi chiamare come ti pare.

- E... e come ti devo chiamare? - farfugliai, con un groppo in gola.

- Zharr - fece lui, gonfiando orgogliosamente il petto. - E' il nome che mi sono scelto.

- V-va bene, come vuoi, Zharr - rantolai. - Ma, adesso... ti prego... vieni via con me.

Sparviero esitò, fissandomi negli occhi.

Per un attimo sembrò sul punto di cedere, ma, proprio in quel momento, una voce furibonda si avvicinò a noi.

- Zharr! - la sentii ululare. - Abbassati!

Un istante dopo, una vampata di fiamme lunga sei metri investì gli alberi alle nostre spalle.

Non fui abbastanza veloce e avvertii un sordo bruciore al braccio destro e alla schiena.

Fu come se avessero schiacciato delle braci ardenti contro la mia pelle, e queste la stessero consumando, mentre la carne sfrigolava.

Gridai di dolore e mi rotolai a terra nel disperato tentativo di spegnere le fiamme. Ruzzolai nel sottobosco, inciampando in cespugli di rovi e radici nodose, spesse quanto il mio braccio.

Fiammate sempre più ravvicinate si susseguivano. Ne avvertivo il rombo, seguito da un calore intenso alle mie spalle. Mi sembrava fossero costantemente sul punto di incenerirmi, e la paura di morire mi mise le ali ai piedi. Mi tenevo il braccio tumefatto nel tentativo di arginare il dolore. La stessa aria fresca della notte mi faceva digrignare i denti. La sua carezza leggera era come una verga, sulla carne viva. Avvertivo un orribile odore di bruciato, che mi mandava nel panico. Mi impiastricciava la bocca, gli occhi, che pungevano dolorosamente. Le lacrime aiutavano a eliminare fumo e fuliggine, ma mi offuscavano la visuale.

Non avevo idea di dove stessi andando. Proseguivo a zig-zag, come un ubriaco.

A un certo punto il drago smise di seguirmi, ma ero talmente terrorizzato che non osai fermarmi per controllare.

Continuai a correre e correre, finché non arrivai nei pressi di una serie di caverne.

Era buio, buio pesto.

Riuscii a stento a trascinarmi all'interno di una di queste, prima di crollare.

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