CAPITOLO 6

Dopo aver raggiunto i confini con la Polonia, non c'era molta azione in corso dall'imboscata della resistenza polacca di qualche giorno prima. La 6° divisione Panzer aveva raggiunto Varsavia senza problemi.

Varsavia era stata occupata dalla Germania nazista dopo l'invasione della Polonia il 1° settembre 1939; una delle ragioni per cui era iniziata quella maledetta guerra. Ben presto divenne un centro per la Germania per influenzare la sua amministrazione in Europa. Era anche una prigione per ebrei, poiché venivano radunati come se fossero bestiame in una zona conosciuta come il ghetto di Varsavia.

La zona era stata costruita quasi un anno prima e il suo scopo era quello di imprigionare gli ebrei. Sopra il muro era stato posto del filo spinato per scoraggiare potenziali arrampicamenti e la fuga. Friedrich posò la mano sul freddo muro e provò un'estrema pietà per la prigionia di gente innocente.

Urla, spari e grida di agonia si sentivano dall'altra parte del muro. Si guardò dietro le spalle e sospirò quando notò quanto fosse tranquillo il lato libero. I civili andavano avanti con la giornata senza pensare a tutti quelli che risiedevano nel ghetto.

Continuando con i suoi compiti di pattuglia alla fine incontrò Waldemar e il resto della squadra ad uno degli ingressi del ghetto. La sua unità era stata assegnata al servizio di pattuglia. Dovevano perlustrare il perimetro delle sezioni del muro e stare attenti ad attività sospette. Se aveva visto un ebreo in fuga, era stato detto di sparare senza pietà.

Si ritrovò accanto all'ingresso del ghetto. Gustav, Christof e Oskar erano ancora via mentre Friedrich e Waldemar aspettavano. La copertura di pattuglia era di 3000 metri, quasi due miglia.

C'era una piccola porta scorrevole metallica recintata che sbarrava l'ingresso ed era alta circa la metà di un uomo medio. I militari avevano accesso al ghetto e nessun ebreo aveva la possibilità di uscire dalla loro prigione. Tutti gli ebrei indossavano una ricamatura sui loro vestiti che raffigurava la stella di David; avevano un coprifuoco a cui dovevano scrupolosamente obbedire, se avrebbero dovuto uscire grazie ad un permesso speciale, se fossero stati visti senza permesso o stella di David, che sarebbero stati selvaggiamente torturati o uccisi sul posto.

I cancelli erano occupati da molte guardie delle Schutzstaffel (SS), armate con MP40 e Walther P38. I soldati delle SS erano riconoscibili dal loro simbolo bianco inciso sui loro elmetti o sul colletto dell'uniforme. Erano pronti a eliminare tutti gli ebrei che tentavano di fuggire.

Una guardia delle SS stava fumando una sigaretta. Sbuffava del fumo molto potente. La guardia si chinò oltre il cancelletto di metallo mentre stuzzicava la folla di ebrei che stavano dall'altra parte.

La guardia tirò fuori un pezzo di pane dalla tasca dell'uniforme e lo agitò davanti alla folla. Rideva istericamente mentre si divertiva a guardare i poveri ebrei soffrire. Le loro mani si alzarono, convinti che il soldato gli avrebbe dato quel tozzo di pane, invece l'SS si alzò il cibo sempre più in alto con il braccio. Fece un cenno a un ebreo con un dito, sogghignando.

Un uomo anziano allungò la mano per prendere il pane. La guardia posizionò il cibo vicino alla mano dell'uomo. Mentre l'anziano stava per afferrarlo con la mano raggrinzita, la guardia tolse via il pane e scoppiò in una risata. Il soldato delle SS si tolse la sigaretta dalla bocca e iniziò a carbonizzare l'occhio dell'anziano. L'uomo strillò di dolore, infine la guardia gli diede un pugno sul naso.

Friedrich rabbrividì.

L'uomo cadde all'indietro a terra, trattenendosi sul naso sanguinante. I suoi occhi si riempiono di lacrime mentre guardava il suo aguzzino divorare il pane. Altre guardie si unirono al terribile divertimento.

Friedrich si guardava attorno per assicurarsi che nessuno fosse vicino da poter origliare e si chinò verso Waldemar seduto su un muretto di pietra intento a leggere un libro.

"Non riesco a credere a tutto questo, non capisco il trattamento riservato a queste persone" disse piano. Waldemar sospirò.

"Non credo che dovremmo parlarne in questo momento, guarda chi c'è dietro" disse. Friedrich si voltò e vide l'SS che derideva la folla di ebrei.

La guardia rideva e fumava la sigaretta. Friedrich strinse il pugno e tornò in posizione. Si sentirono degli insulti che le guardie mandavano agli ebrei.

I rumori di alcune paia di stivali risuonarono contro il pavimento lastricato. Waldemar si avvicinò a Gustav, Oskar e Christof per assegnare loro nuovi compiti.

Era in piedi, da solo, appoggiato al muro. Fissò il suolo finché non vide un paio di stivali scuri e un'ombra proiettata sul marciapiede. La vista si arrampicò sulla figura, ma prima che Friedrich poté vedere la faccia, una nuvola di fumo gli riempirono le narici.

"Guardali, erano così disperati.Che bastardi!" disse l'SS.

"N- non avresti dovuto ..." borbottò in risposta Friedrich "sono umani anche loro"

L'SS si tolse la sigaretta dalla bocca e guardò Friedrich con uno sguardo serio.

"Cosa hai detto?" chiese avvicinandosi al giovane e gli afferrò il bavero, stringendolo più forte che poteva. Il suo alito da sigaretta sfiorò il viso e tossì disgustato.

"Sei ebreo?" chiese. Friedrich non rispose, dietro di loro sentirono qualcuno camminare.

"Lascialo andare" disse la voce esigente di Waldemar. La guardia dell'SS lasciò Friedrich e gli diede una forte spinta.

"Quel pezzo di merda non dovrebbe essere nell'esercito se simpatizza per i nostri nemici" si lamentò la guardia con Waldemar.

Friedrich guardava verso il cancello di metallo e vedeva il vecchio seduto per terra. Sembrava stanco, affamato ei suoi vestiti erano sporchi. L'uomo lo guardava e quando Friedrich se ne accorse, distolse lo sguardo.

"Friedrich, sei in servizio" sussultò per l'improvvisa irruzione e si sistemò l'uniforme. Si avviò verso la sua posizione.

I civili di Varsavia si facevano gli affari propri mentre compravano generi alimentari, fiori, vestiti o semplicemente passavano. Un gruppo di poche giovani donne stava dall'altra parte della strada e si sussurravano qualcosa all'orecchio mentre indicavano Friedrich.

Appena arrivato alla sua postazione, iniziò a marciare avanti e indietro per i 3000 metri pattugliando le strade esterne del ghetto.

Si udivano benissimo le urla. Improvvisamente si sentì un fischio e successivamente dopo una squadra delle SS attraversò la strada di corsa rischiando di essere investita da qualche automobile o autobus.

Si udì il crepitio degli spari e arrivò qualcuno. I curiosi fuggirono dalla scena per fare spazio.

"Alt! Siete in arresto!" ordina un ufficiale SS.

Il gruppetto di persone scattò cercando di fuggire alla morsa del diavolo.

"Fermatevi!"

Le SS aprirono il fuoco contro le persone in fuga mentre li inseguivano. I loro MP-40 disseminarono il terreno di cartucce mentre sporcavano le strade di sangue.

Friedrich tremò e la pistola gli scivolò dalle mani.

Corpi sanguinanti e pozze di sangue sparsero le strade. Friedrich si chinò per raccogliere l'arma e si avviò lungo il percorso.

"Vedi queste persone? Stavano cercando di rubare il pane!" gridò l'ufficiale delle SS indicando i morti. C'erano una donna, due uomini e due bambini tra le vittime. L'ufficiale si allontanò.

I corpi rimasero lì, fermi, circondati dal loro stesso sangue.

Fissò i corpi congelati e rigidi. I loro volti erano cupi in un mondo senza tempo che non apparteneva più a loro, pochi secondi dopo aver visto la morte.

La donna si teneva il figlio che portava una pagnotta. Una pozza di sangue sgorgava dai loro torsi e gradualmente si allargava. Anche gli altri due uomini e il bambino avevano una pagnotta in mano.

Friedrich si coprì la bocca con disgusto e se ne andò sull'orlo delle lacrime.

Mentre si avvicinava ad un altro cancello, si asciugò le lacrime. C'era una guardia delle SS che stava armata davanti al cancello. Non si preoccupò di guardarlo. Manteneva un'espressione rigida e non scherzava con gli ebrei come le altre guardie.

Mentre camminava per strada, un paio di bambini correvano e giocavano. Sorrise a quanto sembravano felici. Poi si fermarono e si sussurrarono qualcosa, chiudendosi in un cerchio. Poi si staccarono e si chinarono per raccogliere dei piccoli sassolini e iniziarono a lanciarli addosso a Friedrich. Poi corsero via ridendo.

Friedrich li inseguì. Con gli stivali trascinò alcuni sassolini. Stava per raggiungere i bambini finché non perse l'equilibrio.

La pistola scivolò via ei sassolini si sparsero dappertutto.

Degli scomodi dolori lo colpirono per tutto il corpo.

I civili stavano osservando senza fiato. Si tirò su e riprese la pistola. La gente indietreggiò credendo che stesse per sparare, ma ritornò alla sua postazione.

Svoltò l'angolo e lungo le pareti incontrò Gustav. Agitò le mani e urlò il nome dell'amico dal marciapiede.

"Federico!"

"Gustav! Sei arrivato finalmente. Waldemar stava aspettando voi tre"

"Stavamo visitando il mercato. Dovresti andarci. Hanno del cibo delizioso. C'era un uomo che suonava il violino e una donna che cantava. C'erano pure dei ballerini"

Dopo aver pattugliato per un altro paio d'ore, Friedrich poté andare in pausa. Consegnò l'arma alla pattuglia successiva e incontrò Waldemar. Lo informò di ciò che Gustav gli aveva detto e gli chiese se l'avessero visitato.

"Hai intenzione di divertirti?" chiese "andiamo. Ma non essere avventato, non voglio creare scompiglio tra civili" disse mentre si avviavano.

Alcune persone li fissavano con sospetto e incertezza quando notarono che indossavano l'uniforme dell'invasore. La musica riempì le orecchie e Waldemar si avvicinò al violinista e al cantante per ascoltare le loro dolci melodie. Friedrich si incamminò per il mercato.

Si fermò quando vide una signora in piedi a una bancarella del mercato che guardava dei pomodori freschi. Vicino a lei c'era un uomo abbastanza alto.

Friedrich la riconobbe: era la guardia SS che aveva deriso l'anziano ebreo al ghetto.

La donna si girò in direzione di Friedrich. Lui si voltò sperando che non se ne accorgesse. La donna si guardava dietro le spalle a intervalli casuali; stava mettendo a disagio Friedrich.

"Waldemar?" chiamò toccandole la spalla e lanciando un'occhiata alla donna. Si volò e sospirò.

"Cosa?" si girò e guardò verso la bancarella di pomodori che Friedrich gli stava indicando. Guardò la signora.

"La conosci?" chiese.

Waldemar non rispose per alcuni secondi.

"La conoscevo" rispose freddamente "Gretl"

Poi balbettò, si mosse verso la donna e fece girare Gretl afferrandola per una spalla.

"Tu! Mi hai ferito! Non solo la mia anima ma anche il mio cuore!"  sbraitò la donna in modo accusatorio appena lo vide.

La guardia delle SS che si trovava assieme a Gretl si voltò e diede una forte spinta a Waldemar, quasi facendolo cadere a terra.

"Stai lontano dalla mia fidanzata, porco!" urlò.

"Sì, stai lontano da me!" urlò Gretl. Waldemar aveva uno sguardo sgomento.

La guardia delle SS distolse lo sguardo da Waldemar e guardò Friedrich torvo.

"Ehi, tu eri quella persona che mi aveva detto di finirla di dare fastidio a quel lurido ebreo" sbraitò la guardia.

"Waldemar, andiamo!" lo prese per le braccia e provò a tirarlo indietro. Resistette e scosse il braccio dalla presa di Friedrich.

"Ascolta quel bastardo della tua squadra e allontanati da qui. Non ti amo più!" disse lei indignata.

"Come mi hai chiamato?" chiese con rabbia Friedrich a Gretl "mi hai appena dato del bastardo? Sai cosa ha fatto quel gran figlio di puttana del tuo fidanzato agli ebrei del ghetto? Sposerai un uomo malvagio!"

"Ulrich non è un simpatizzante come te. Bastardo!"

Urlich, così si chiamava la guardia SS, si precipitò verso Waldemar e lo spinse a terra nel cemento. Si riprese subito. La folla attorno sussultò e si precipitò fuori dall'area in cui si stava per combattere.

"Mi picchierai davanti a tutti?" interrogò Waldemar a Ulrich mentre faceva schioccare le nocche.

"Perché me lo chiedi? Hai paura" Ulrich lanciò un jab dritto alla guancia destra di Waldermar. Il pugno di Ulrich ricordò a Friedrich quando prima l'SS aveva schernito l'ebreo.

"Basta! Basta!" Friedrich afferrò Ulrich per le braccia e provò a tirarlo fuori dalla morsa dell'SS, senza successo.

Ulrich diede un duro colpo alla faccia di Friedrich che cadde all'indietro. Si sdraiò sul freddo marmo tenendosi la faccia mentre il sangue sgorgava.

Il ginocchio di Waldemar colpì Ulrich all'addome.

Gretl urlò per poi coprirsi la bocca e sgranare gli occhi.

Waldemar, libero, si lanciò verso Ulrich spingendolo sul banco dei pomodori che venero schiacciati, il tavolo si ruppe a metà. Il proprietario della bancarella si appoggiò ad un muro e rimase scioccato per l'improvvisa distruzione.
Waldemar diede uno sguardo soddisfatto mentre sorrideva tra sé e sé. Affondò la mano in una fondina che aveva alla cintura.

"N - no. Mi avevi detto di non fare casini. Ma è quello che stai facendo" mormorò Friedrich mentre si sollevava da terra.

Waldermar uscì fuori la sua Walther P38 puntandola verso Ulrich. Gretl strillò, la folla si mormorava qualcosa.

"No!" urlò Gretl avvicinandosi a Waldemar. Sospirò e si mise davanti alla pistola.

"Ne ho abbastanza di te. Sei nella mia mente da quando eravamo insieme" dichiarò. Ulrich si alzò dal banco dei pomodori in frantumi e tirò fuori Gretl dalla mira di Waldermar. Le macchie di pomodoro frantumati macchiavano la sua uniforme e la sua faccia era arrossata.

"Waldemar" Friedrich prese il braccio del caposquadra e lo abbassò. I suoi occhi cominciavano a riempirsi di lacrime e le sue labbra tremavano. Rimise a posto la pistola e si tolse l'elmetto.

Ulrich afferrò la mano di Gretl e la tirò via, scomparendo nel bel mezzo della folla.

"Waldemar, torniamo indietro" disse.

Mentre i due tornavano al ghetto per tornare in servizio, c'era un Capitano in piedi con le braccia incrociate e Ulrich vicino a lui.

"Devo parlarti, Waldemar Ehrlichmann" ordinò il Capitano.

Waldemar guardò Friedrich con stupore e si avvicinò al Capitano che condusse il caposquadra e l'SS in un edificio contornato da due fredde bandiere con le svastiche naziste.

 Friedrich tornò al ghetto e incontrò Christof, Gustav e Oskar.

"Dov'è Waldemar?" chiese Oscar.

"Con il Capitano"

"Perché?"

"Ve lo dirò più tardi. Ora cosa devo fare?"

"Devi andare al ghetto e ispezionare" rispose Oskar.

Si bloccò incredulo.

"Io? Andare lì e ispezionare da solo?"

Oskar annuì lentamente con la testa.

"Se ci sono sospetti o minacce, riferisci tutto al Capitano" disse Oskar mentre lo guidava al cancello. Informò la guardia delle SS che aprì il cancello. Oskar gli consegnò una kark 98k.

La guardia SS chiuse il cancello. Friedrich rimase dentro al ghetto completamente perplesso.

Il fetore tornò di nuovo alle sue narici, il fetore della morte.

Deglutì e si incamminò lungo la strada. Alcuni corpi erano adagiati lungo le mura e gli odori di putrefazioni erano fortissimi. Feci e immondizie contornavano le strade. Gli edifici contenevano gli ebrei, a Friedrich venne detto di entrare e ispezionarli tutti.

Aprì lentamente la porta di un edificio che era già partito in uno stato di abbandono. Una madre e sua figlia si rannicchiarono in un angolo e guardarono Friedrich spaventati. Salì le scale. Alcune persone erano sedute lì e guardavano il soldato con lo sguardo spavenatato.

All'improvviso venne fermato da un gruppo di uomini ebrei che iniziarono a sussurrarsi nell'orecchio. Friedrich non capiva cosa si stessero dicendo, ma sicuramente era proprio lui l'argomento della conversazione. Uno degli uomini sputò vicino agli stivali del soldato della Werhmacht.

"Ausweichen, destino largo" disse. Gli uomini non si degnarono di muoversi e divennero nervosi. Improvvisamente arrivò una giovane donna che disse agli uomini di togliersi dai piedi. Si mossero deridendolo. Ringraziò la giovane donna che annuì leggermente con il capo.

I corridoi odoravano di odori putridi e la gente stava morendo di fama. Una volta arrivato all'ultimo piano, esaminò la stanza. C'erano molte porte che conducevano a delle stanze. Quella casa era un condominio.

Si fermò quando vide una donna anziana sdraiata a terra. Si inginocchiò. Lei lo guardava con paura. Il viso era pallido e le labbra erano terribilmente screpolate. Friedrich strappò una tenda da una finestra e l'avvolse intorno alla donna accompagnandola a un divanetto dove l'adagiò delicatamente.

Gli altri osservavano mentre Friedrich sistemava quella specie di coperta improvvisata sull'anziana donna. Erano perplessi mentre mormoravano tra di loro.

Poi si alzava in piedi e gli ebrei si spostavano un poco indietro mentre lo fissavano con sgomento. Mentre passava davanti a loro, si giravano e si sussurravano qualcosa.

Un uomo aprì la porta di un appartamento che venne attraversato da Friedrich, fino al fondo del corridoio. Controllò, non c'era nulla. Allora deciso di uscire ed entrare in un secondo edificio.

Da una porta si sentì della musica, aperta con forza. C'era un piccolo pubblico che ascoltava una piccola orchestra. La musica si fermò e tutti si voltarono concentrandosi ansiosamente verso Friedrich. Rimase in subbuglio e permise loro di continuare a fare ciò che desideravano. Quando uscì dalla stanza, la musica ripartì.

Se fosse stato Waldemar al posto di qualcun altro, si sarebbe seduto con loro, fregandosene di tutto.

Salì le scale del condominio. Come al solito, c'erano delle persone sedute lungo le pareti e le scale. Lo tenevano d'occhio come probabilmente avevano già fatto con i precedenti ispettori.

Finì di esaminare le stanze e tornò nel ghetto.

Entrò in un terzo edificio che era insolitamente silenzioso. Non c'erano persone sedute sulle scale o appoggiate ai muri. Salì silenziosamente le rampe di scale fermandosi al secondo corridoio. Da dietro una porta si sentivano delle voci. La porta era socchiusa e Friedrich sbirciò attraverso la fessura. Con la sua Kar98k urtò accidentalmente contro la porta, facendola scricchiolare. La gente dentro tacque rapidamente e Friedrich rimase sulla soglia. Uno dei loro uomini si alzò e si avvicinò a lui.

"Sei solo qui?" chiese l'uomo incrociando le braccia. C'erano cinque uomini in totale.

"Parli tedesco? E comunque sì, sono solo qui"

"Sì, mia madre era tedesca" rispose con un sorrisetto "di solito ce n'è più di uno in ispezione" aggiunse.

Improvvisamente i cinque uomini si lanciarono contro di lui per cercare di prendere la pistola. Si contorse mentre cercavano di immobilizzarlo, ma lo inchiodarono a terra. Puntò la pistola in aria e premette il grilletto e tutti si alzarono di scatto.

Riuscì a scappare giù per le scale.

Quando entrò nell'edificio accanto, appena lo videro, gli ebrei scapparono verso le scale immersi in un urlo disperato.

Evidentemente avevano sentito lo sparo nella casa accanto pensando che fosse scappato il morto.

Salì le scale mentre gli ebrei lo guardavano impauriti.

Presto finì di esplorare gran parte del ghetto e ritornò al cancello da cui era entrato.

Stava per informare la guardia SS che aveva finito, ma qualcuno picchiettò dietro di lui le sue spalle. Si voltò e riconobbe che era la giovane donna che aveva detto agli ebrei di togliersi di mezzo.

" Dziękuję " disse arrossendo leggermente e fissando il manto stradale in cemento. All'inizio Friedrich non fu sicuro di ciò che disse, ma poi ricordò alcune parole polacche che aveva sentito e ricordò che significano la parola più bella del mondo, grazie . Sorrise leggermente e se ne andò.

Perché mi ha ringraziato?

Bussò al cancello e la guardia delle SS sbirciò dentro. Aprì il cancello e Friedrich uscì dal ghetto. Il sole stava iniziando a tramontare e alzò lo sguardo vedendo i punti deboli delle stelle nel cielo.

"Friedrich! Sei stato tu a ispezionare, vero?" chiese il Capitano camminando verso di lui.

"Si, Capitano" rispose.

"C'era qualcosa di sospetto?"

"No, per niente"

Cercò di rimanere calmo come meglio poteva, così non avrebbe pensato che stava mentendo. Lui annuì e si allontanò per chiacchierare con la guardia SS. Vide una sagoma uscire dal quartier generale che si avvicinò verso di lui al crepuscolo. Sotto a un lampione si rivelò essere Waldemar.

"Waldermar!" disse avvicinandosi a lui. sembrava cupo e gli chiese cosa c'era che non andava.

"Devo fare tre turni di pattuglia notturna" sospirò " con Ulrich!" concluse gemendo insoddisfatto e avviandosi al suo posto. Svanì nell'oscurità.

Friedrich si avviò per la strada verso l'hotel in cui pernottavano. Aprì la grande porta a vetri con una cornice di legno lucidato. Il lampadario era appeso a un soffitto riccamente decorato con un dipinto di una belva che azzannava un animale. Il tappeto di velluto color rosso ricoprivano una porzione di parquet. Salì le scale, anch'esse tappezzate di un piccolo tappeto rosso. Si fermò davanti la stanza assegnata. Aprì la porta e fu sorpreso di vedere le luci spente.

Dove sono gli altri?

Chiuse la porta e premette l'interruttore.

Improvvisamente i tre saltarono da dietro i letti.

Gridò e inciampò per terra, cadendo indietro. Gustav scoppiò in una risata isterica mentre si sedeva sul divano. Oskar lo aiutò ad alzarsi, e Christof si avvicinò per prenderlo in giro.

"La tua faccia è stata esilarante" Christof rise e si sdraiò sul letto "questo è il ringraziamento per averci spaventato nella foresta"

"Dov'è Waldemar?" chiese Oskar "avremmo voluto spaventare pure lui"

"Di pattuglia di turno durante la notte"

"Perché?" chiesero tutti e tre all'unisono.

"Aveva iniziato una rissa con un SS durante la nostra pausa"

"Ha fatto una rissa? Lui?" chiese sconcertato Christof alzandosi dal letto.

"Sì, è una lunga storia. Ragazzi, sono davvero stanco e ho bisogno di dormire un pò" quindi si tolse il casco, la pistola e la tunica.

Si sedette sul bordo del letto. Prima che si poté coricare, la stanza iniziò a tremare. Urla e spari seguirono la rauca detonazione.

"Che cazzo è successo?" urlò

I fischi stridevano e il fruscio degli stivali riempì i corridoi da dietro la porta. Comandi e ordini furono impartiti agli uomini dai loro ufficiali, e la sera si trasformò in un terrore puro.

Si infilò rapidamente la tunica, mise il casco e l'attrezzatura. Presto, tutti e quattro si trovarono fuori dall'hotel

Le luci di ricerca brillavano sulle nuvole di fumo emanando un'immagine inquietante. Il sangue era sparso sul selciato e le macerie delle case si sparsero ovunque a prendere nella loro morsa il ghetto.

"Voi tre aspettare qui!" disse.

"No, Friedrich!" Gustav afferrò il suo braccio e cercò di tirarlo indietro. Resistette e scrollò il braccio dalla sua presa ed entrò nella foschia nebulosa. Il fumo scivolava nel naso e nella bocca, rendendo difficile la respirazione. La polvere strinse i suoi polmoni, si spostò dovunque per trovare un piccolo spiraglio d'aria.

La vista si fece più chiara mentre si avvicinava al muro che circondava il ghetto. Sulla struttura era stato praticato un foro abbastanza grande da far passare un uomo. Vi strisciò attraverso, e l'orrore confinato dietro quelle mura si insinuò ancora una volta dentro di sé.

Si sentiva una voce polacca. Una donna anziana avvolta in un lenzuolo di stoffa sedeva accanto a una giovane donna che sembrava essere sua figlia. Sul suo viso apparivano i lineamenti del terrore e di un cuore spezzato da mille atrocità. Riconobbe il tessuto, era la donna a cui aveva avvolto la tenda.

Con il fucile in spalla, si inginocchiò per sollevare la donna più giovane tra le sue braccia; era colei che lo aveva ringraziato. La donna anziana portò lentamente il suo sguardo su quello del soldato, i suoi occhi scuri si spalancarono. La donna più giovane aprì gli occhi fissando quelli di Friedrich. Il suo vestito bianco era macchiato di chiazze di sangue sul petto.

"F –Felcia" pronunciò "Friedrich. Ich heibe Friedrich" un piccolo sorrise si dipinse sul suo viso e poi tossì. Il volto cadde in uno stato di indebolimento. A poco a poco alzò la mano macchiatadi sangue e la posò sulla guancia sinistra di Friedrich. Il palmo freddo della mano gelò la sua pelle. Sorrise.

"Kocham cie, Friedrich ..." la sua mano scivolò dalla guancia. La donna più anziana, la madre di Felcia, si avvicinò a Friedrich che mise la giovane donna tra le braccia della madre. Pianse. Le grida delle SS e della Wermacht si mescolarono al suono delle urla e degli spari.

Si alzò, ma la donna più anziana lo fermò e gli prese dolcemente la mano. Si frugò nelle tasche e porse a Friedrich un fazzoletto macchiato. Poi fece cenno a Friedrich di andarsene.

Una volta attraversato il buco del muro, davanti a lui si palesò un ambiente diverso. L'atmosfera di morte era dovunque. Le persone sospettate di aver organizzato l'attentato non vennero interrogate. Vennero spinte contro i pali della luce e fucilati con un proiettile alla schiena. Crepiti di spari continui echeggiavano da ogni angolo. Erano proiettili che colpivano le persone che volevano vivere.

All'improvviso sentì sulla schiena un forte colpo del calcio del fucile. Facendo perno sulla sua posizione, vide la faccia esausta di Waldemar. Le mani gli tremavano leggermente e si guardava intorno in modo nervoso.

"Che stai facendo qui?" chiese aspramente, i suoi occhi si assottigliarono verso il giovane "vattene, cazzo! Dì agli altri di tornare indietro. Tornate in hotel"

"Ma siamo qui per aiutare ..."

"Ci sono già abbastanza uomini qui fuori, torna dentro prima che ti facciano del male! Non andare da nessuna parte a meno che non te lo dica io" gridò mentre lo spingeva fuori dall'area. Poi entrò nuovamente nel fumo, seguito da una SS.

Scoppiarono due colpi di pistola. E tutto tacque.

"Waldemar ci ha detto di restare nella camera d'albergo e non di non fare nulla a meno che non lo dica lui" informò la squadra con tono esausto.

"Cosa?" chiese Oskar, aggrottando le sopracciglia per la confusione.

Tornarono in albergo. Non c'era nessun soldato. Risuonava solo un debole canto del grammofono dalla tintoria.

"Dovresti farti lavare la tunica, c'è del sangue sopra" suggerì Oskar. Fece come gli fu detto e consegnò a Oskar l'attrezzatura e il casco. Togliendosi la tunica, il ricordo di Felcia riaffiorò nella mente mentre il sangue macchiava la manica dell'uniforme. Tirò fuori il fazzoletto della madre e lo strinse forte nella mano.

Dopo aver portato la tunica nella tintoria dell'albergo, tornò in camera. La maggior parte delle porte era aperta. In corridoio era appeso uno specchio, ci passò davanti.

Il riflesso apparteneva a lui. Un'espressione spezzata era impressa sul viso, gli occhi azzurri addolciti lo fissavano cupamente.

La porta d'ingresso dell'hotel si aprì cigolando.

Passi stanchi e pesanti risuonarono su per le scale. Un capello biondo arruffato si alzò, poi il volto, infine la figura intera. Zoppicava lungo il corridoio.

Era Waldemar. Rimase fermo per un secondo con l'elmo che gli penzolava in mano, all'improvviso perse la presa della cinghia dell'elmo. Non voleva parlare, Friedrich stava per aprire bocca. Improvvisamente, le sue ginocchia cedettero e cadde a terra.

"Waldemar!" si precipitò verso il caposquadra e si inginocchiò. Lo scosse ma il corpo era pesante e rigido, e i suoi occhi erano sbarrati.

"Gustav! Christof! Oskar!" sbraitò. I tre si precipitarono in corridoio.

"Gustav, portalo nella stanza" ordinò.

Gustav posò Waldemar sul letto. Friedrich controllò la respirazione.

"È solo svenuto" informò dopo qualche minuto "facciamolo riposare, si sveglierà"

Dispose due cuscini e una coperta sul divano per riposarsi.

Finalmente, dopo tanto, chiuse gli occhi. Quando li stava per chiudere, si udì un borbottio e i fruscii di una coperta.

Waldemar era agitato e continuava a muoversi nel sonno. Ansimò in cerca d'aria e fece lievi lamenti. Il sudore gli colava dalla fronte. Poi tacque di nuovo e i tre continuarono a sistemare le brandine sul pavimento.

Tornando al divano, Friedrich si accasciò, alleviando alcune tensioni muscolari. Desiderava ardentemente riposarsi.

                                  ♠

"Ehi, sei sveglio?" domandò Gustav scuotendo un poco Friedrch" dovresti alzarti. Waldemar si è comportato da matto per tutta la notte"

"Che ha fatto?" chiese Friedrich stropicciandosi gli occhi.

"Si è dimenato tutto il tempo, farfugliava cose ..." disse per poi andare in bagno.

Waldemar era ancora mezzo addormentato sul letto. Si alzò e andò verso lui. giaceva immobile ma le labbra si muovevano leggermente.

"Sembra si sia calmato" disse Oskar mentre beveva una tazza di caffè.

Oskar era seduto davanti un tavolino rotondo di fronte a Waldemar in modo da tenerlo d'occhio. Il vapore salì dalla tazza per poi svanire verso il soffitto. Aveva un'altra tazza di caffè.

"Per chi è?" chiese.

" Oh, suppongo per te" si alzò e gli diede la tazzina.

Respirò il vapore che lentamente si alzava come un fantasma. L'odore lo riportò a casa. Era del semplice caffè nero; amaro e non zuccherato, ma già il calore lo rese più sveglio e vigile. Assaporò un sorso facendo attenzione a non bruciarsi. Regredì al sapore aspro, ma fu comunque calmante. Si sentì completamente rivitalizzato mentre beveva.

"Delizioso. Danke!" disse.

Inclinò la tazza e continuò a sorseggiare il caffè. I raggi del sole brillavano sul suo viso mandando un tocco caldo. Si dimenticò di ciò che lo circondava quando sentì un forte rantolo.

"Waldemar" disse sottovoce Oskar precipitandosi verso di lui. Sebbene Oskar era uno incline alla rabbia e alla testardaggine, in quel momento mostrava molta dolcezza.

"Waldemar, stai bene?" chiese Oskar.

"S – sì, ma che è successo?" chiese Waldemar balbettando mentre Oskar lo aiutava a sedersi sul letto.

"Sei svenuto la scorsa notte ..."

"Davvero?" interruppe Friedrich.

"Sì, e borbottavi parole e ti agitavi nel sonno" aggiunse. In quel momento Gustav spalancò la porta del bagno.

"Ehi, guarda un po' chi è alzato? Disse.

"Si è appena svegliato, lascia che si riprenda" consigliò Christof a Gustav che sospirò e annuì. Improvvisamente qualcuno bussò alla porta e Gustav andò ad aprire.

"Waldemar e i suoi quattro figli" disse ridendo Joachim entrando nella stanza "cosa c'è che non va? Non hai un bell'aspetto" disse mentre, avvicinatosi al letto di Waldemar, posava la sua mano coperta da un guanto nero e con questa la usava per sollevare il mento a Waldemar.

Era vero che non aveva un bell'aspetto. I suoi occhi erano spenti e gli angoli della bocca incurvati verso il basso. I capelli erano tutti in disordine e sporchi. Il suo viso sembrava aver perso la vitalità che gli era stata infusa nella gioventù hitleriana.

"Dovresti lavarti" disse Joachim"e farti pulire l'uniforme, poi ci vedremo nell'atrio per un raduno"

Uscì dalla porta. Quando non era ubriaco Joachimera una persona molto premurosa. Trattava i capisquadra con grande rispetto. Per loro era come una figura paterna.

Quando Joachim uscì, Waldemar si gettò nuovamente sul letto e gemette mentre si copriva il viso.

"Devo proprio andare?" chiese coprendo il viso con le mani e sospirando.

"Si, devi" Rispose deciso Friedrich.

Waldemar si alzò dal letto per dirigersi in bagno.

"Non dimenticare di portare l'uniforme in lavanderia di sotto" gli ricordò Oskar. Waldemar rispose con un cenno e chiuse la porta del bagno a chiave.

Quella frase risvegliò completamente Friedrich. La mia uniforme, cazzo! Quando Waldemar sarà pronto la prendo con lui.

"Avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto quando gli abbiamo detto che era svenuto" esclamò Christof piegando le coperte.

"Almeno non sviene come ha fatto Friedrich" mormorò Oskar lanciando un sorrisetto verso l'interessato. Gli arruffò i capelli e rise. Si alzò per dargli uno schiaffo che venne schivato da Friedrich. Christof indossò l'uniforme e si avviò verso la porta.

"Vado a fare un giro al mercato, chi di voi viene?" chiese ottenendo un cenno d'assenso da parte di Gustav che si infilò rapidamente l'uniforme.

"Non abbiamo bisogno degli elmetti, Gustav!" lo ammonì Christof vedendo che il compagno si stava allacciando l'elmetto. Allora lo lasciò sul divano.

"Venite con noi?" chiese Christof rivolgendosi a Friedrich e Oskar.

"No, sto aspettando Waldemar" rispose Friedrich.

"Resterò con lui. Voi due andate avanti. Ci vediamo più tardi" disse Oskar.

I due uscirono.

"Cosa hai fatto ieri sera?" chiese Oskar al compagno per rompere il silenzio. Gli balenò in mente il ricordo di Felcia e di sua madre.

Devo parlargli di loro?

"C'erano alcune guardie ed ebrei vicino all'esplosione. E tanti feriti"

Lui annuì e si sedette sul divano spostando la conversazione dal mercato a delle battute sconce.

Presto la porta del bagno si aprì e Waldemar uscì. Aveva un pio di pantaloni neri e una camicia bianca senza maniche con sopra il simbolo Wehrmachtsadler. I suoi capelli erano puliti e sistemati in maniera impeccabile all'indietro.

"Io scendo in lavanderia" annunciò mentre si dirigeva verso la porta.

"Vengo con te" disse Friedrich mentre lo raggiungeva.

"Perché?"

"La mia divisa è lì. L'ho portata ieri sera e oggi vado a prenderla" rispose.

"Tu, Oskar?" chiese aprendo la porta.

"Vado da Gustav e Christof al mercato" disse Oskar uscendo in corridoio.

Scesero le scale. Nell'atrio c'era Joachim assieme a un paio di sottoufficiali che chiacchieravano e ridevano insieme. Poi Oskar uscì dall'albergo e Friedrich e Waldemar si diressero in lavanderia.

Dopo aver ricevuto la tunica e Waldemar aver consegnato la sua, si sedettero su una panca in legno nell'atrio. Rimasero in silenzio per qualche minuto.

"Ho dovuto uccidere delle persone la scorsa notte" sbottò all'improvviso Waldemar.

Friedrich si voltò verso di lui.

"Cosa hai fatto?"

"L'ho fatto. Sono stato costretto a farlo quando ti ho detto di ritornare in hotel. Sapevo che sarebbe successo e non volevo che tu vedessi così tanto orrore"

Alzandosi in piedi si infilò la tunica. Waldemar fissava il muro giallo davanti con sguardo assente. Era come se stava cercando la risposta per quello che aveva fatto.

"Perché gli ebrei vengono trattati in modo così disumano? Anche loro sono umani come noi" alla domanda di Friedrich, Waldemar spostò lo sguardo su di lui.

"Non lo so davvero, voglio solo che tutto ciò finisca al più presto"

Friedrich annuì in segno d'accordo, ma pure lui sapeva che non c'era nulla che si potesse fare.

Erano solo un granello di polvere tra milioni di altri uomini che combattevano per un paese con un dittatore, che fossero d'accordo o meno con Hitler.

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