CAPITOLO 21
CAPITOLO 21
REGIONE DI SMOLENSK, UNIONE SOVIETICA
22 LUGLIO 1941
I soldati si riunirono attorno a una radio posizionata sopra una cassa. Le notizie che stavano ascoltando arrivavano da Mosca.
"Ieri sera, lunedì 21 luglio 1941, Mosca ha ricevuto il suo primo raid aereo da parte dell'aviazione tedesca che è durato all'incirca sei ore. Una stima di 200 bombardieri tedeschi ha preso il volo verso la capitale dell'Unione Sovietica che per fortuna ha incontrato la forte resistenza dei nostri uomini, 170 caccia sono stati inviati per intercettare questo attacco. Sfortunatamente, i bombardieri hanno sganciato 104 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale e 46.000 bombe incendiarie. Ciò ha provocato pesanti perdite tra i civili; tuttavia, l'obiettivo dell'aereonautica tedesca di ridurre in cenere il Cremlino è completamente fallito"
Dmitry si alzò e un'ondata di intorpidimento percorse i suoi nervi.
"Che succede?" gli domandò Alexandr.
Prima che egli rispondesse, il giovane uscì di corsa dalla tenda.
Mosca ... Mosca. Raid aerei ... aeronautica tedesca ... pesanti perdite ...
La trasmissione radiofonica riecheggiava ancora nella sua mente, perseguitandolo con spaventose preoccupazioni. Camminò su e giù per il campo, in preda al panico. Le mani gli tremavano. Pensò ai suoi genitori, al fratello, al signor Zolov e sua moglie. A tutti quelli che conosceva e che vivevano a Mosca chiedendosi se fossero ancora vivi.
"Dmitry?" sobbalzò e ansimò in riposta. Alexandr si fermò di fronte a lui.
"Le nostre case sono state distrutte. Le nostre famiglie, le nostre cose non esistono più!"
"Dmitry, calmati! Va tutto bene. Non viviamo vicino al Cremlino poiché quello era l'obiettivo dei crucchi. Sta tranquillo"
Alexandr lo ricondusse alla tenda e lo fece sedere. Sospirando, obbedì e si concentrò su ciò che si stava evolvendo; la guerra. La luce del sole di metà mattina si era fatta strada attraverso le spesse pareti di alberi che circondavano la base.
Tutto sembrava tranquillo. Gli uomini si svegliavano e si salutavano tra di loro, come se non vi fosse nessunissima guerra. Avevano costantemente combattuto contro i tedeschi nelle ultime settimane. Dmitry aveva rinunciato a scrivere, perché l'opportunità di redigere una frase non si era presentata. Non aveva giornali, macchine o riviste letterarie alla sua portata. Aveva con sé soltanto la penna del fratello che aveva scelto di tenere nel caso un giorno fosse arrivato un foglio.
Mentre prendeva un sorso d'acqua, i mitraglieri aprirono il fuoco. La tazza gli cadde, rovesciando l'acqua sugli stivali.
"Prendete le vostre armi!" abbaiò il comandante "andate alle vostre posizioni e abbattete tutte le forze nemiche!"
La base esplose nel caos più totale. Gli uomini iniziarono a rovesciare casse, gettarono in giro attrezzi e alcuni inciamparono su se stessi mentre frugavano alla ricerca di qualcosa. I tedeschi si riversavano verso di loro. Alexander lo trascinò alle e prese due Mosin - Nagant.
"Andiamo!"
Le grida inquietanti e le baionette di metallo si scontravano tra di loro. Esplodevano le granate. Il mattino li accolse alla morte.
Il comandante sbraitò di uscire tutti dalla base. Il vento sfiorava il viso di Dmitry mentre i soldati in corsa lo sfioravano. Le voci risuonavano nelle sue orecchie. Chiuse gli occhi, pregando che tutto quell'inferno sarebbe finito al più presto. Un proiettile sibilò nelle vicinanze. Deliberatamente puntò il fucile verso il nemico.
Perché devo farlo?
Un tedesco stava risalendo la trincea seguito da altri soldati. Senza pensarci due volte, Dmitry sentì l'eco del suo fucile fare fuori il nemico. Prese di mira i successivi, poi altri ancora. I soldati rimasti nelle retrovie si unirono. Le loro linee ruggirono mentre si precipitavano attraverso il campo per rinforzare quelli che stavano ancora combattendo nelle trincee. Non appena le raggiunsero, videro i soldati morti. Infine gli spari si spensero e tutti respirarono l'aria con i crepitii sullo sfondo delle chiazze d'erba incendiate. Ciò che rimaneva erano solo uomini senza vita, tedeschi e russi. Macchie di sangue si raccoglievano dovunque. Dmitry espirò, scrutando il campo. Le casse erano disseminate dappertutto, come se fosse passato un tornando. Alcune tende erano state ribaltate, le sedie e i tavoli distrutti. Ciò che seguiva la fine erano i corpi dei morti. Alcuni fissavano il cielo con occhi inquietanti, altri erano chiusi come se dormissero.
"Usciremo da questo campo, a quanto pare i tedeschi hanno individuato la nostra base. Dobbiamo tenerci lontani da loro avanzando più vicino alla linee del fronte principale. Facciamo le valigie e iniziamo a dirigerci a ovest" ordinò il comandante
Alexandr!
Dmitry scavalcò i sacchi di sabbia cercando il compagno. Improvvisamente sentì una voce soffocata da sotto un soldato tedesco morto. Spinse via il tedesco e lì sotto c'era Alexandr. Macchie di sangue e sporcizia gli coprivano il viso e l'uniforme. Mise in spalla il fucile e aiutò il caposquadra ad alzarsi. Lungo il campo c'erano delle tende, casse e rifornimenti sopra i camion. Dmitry portò Alexandr alla stazione medica.
"Vediamo qui. Finora c'è solo questo graffio sull'orecchio sinistro. Non è tremendo" constatò il medico che procedette a controllare il soldato.
Nelle gambe c'erano ferite da arma da fuoco che sanguinava un poco.
"Con questa ferita dovrai restare a riposo per un bel po' " affermò il medico.
"Quindi, non può uscire con me?"
Il medico scosse la testa. Alexandr guardò il soldato con occhi solenni.
"Dmitry, puoi andare avanti anche senza di me. Ho visto come maneggi il fucile, sei un buon tiratore. Con quel tipo di abilità sopravviverai alla guerra"
"Davvero sono stato così preciso?" chiese il giovane, sgranando gli occhi.
"Sì"
Il medico, frattanto, aveva preso una barella.
"Mi aiuti a metterlo qui sopra" il medico posò la barella sul terreno erboso ed entrambi sistemarono Alexandr lì.
Gli stivali strisciavano contro il sottobosco. Le foglie e i ramoscelli si spezzavano mentre li calpestavano. Era una mattina umida e il sole arrostiva dal caldo. I raggi sfondavano le fessure del bosco, brillavano nei loro occhi e si riflettevano su qualsiasi oggetto metallico. Dmitry teneva in mano il fucile, caso mai i tedeschi avessero attuato un altro attacco a sorpresa. I camion e gli autocarri trasportavano rifornimenti, i feriti restavano dietro il limitare del bosco, e quelli che erano in grado di combattere arrancavano al fronte.
"Compagno, fa troppo caldo! La mia borraccia è vuota!" si lamentò un soldato.
"Però sei vivo" replicò l' interpellato
"Oh, ma zitto Gektor" ribatté l'altro.
"Hai ragione Gektor" rispose Dmitry. Il soldato si girò.
"Hai bisogno di qualcosa?" sorrise l'uomo. Aveva un dente scheggiato e Dmitry ridacchiò.
"Che c'è?" aggrottò le sopracciglia.
"Non è importante. Ero con te quando abbiamo pattugliato la foresta, qualche giorno fa"
"Come ti chiami, giovanotto?" chiese Gektor.
"Dmitry Kretzsky"
"Dmitry Kretzsky!" urlò Gektor. L'altro soldato avvampò e lo riprese.
"Hai ucciso qualche crucco ultimamente?" domandò.
Annuì e il ricordo dei tedeschi uccisi si insinuò nella sua mente.
Sono un uomo, non un assassino.
Continuarono a marciare in silenzio. In sottofondo si udiva solo la musica della foresta. Gli uccellini cinguettavano.
State bene? Ora vado al fronte, spero voi siate orgogliosi. Daniil ho ancora la penna che mi hai regalato. Per favore, abbi cura di te e dei nostri genitori.
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