IL NEMICO

Non ce l'ho fatta.

...

18 giorni...

Non esistono parole per esprimere la mia rabbia, la mia frustrazione! Così come non ho più energie per farlo.

Sono stanco.

...

18 giorni... e non le ho rivolto una singola parola.

L'ho persa.

Me l'ha portata via...

...

Sono stanco.

Stanco di tutto.

Stanco di tutte queste delusioni.

Chi sono io per meritarmi questo?

Cos'hanno gli altri più di me?

Perché loro vincono e io perdo?!

...

Credevo d'essermi imposto... non ce l'ho fatta.

Neanche barando.

...

18 giorni... dovrei vendicarmi.

...

Tsk! Io... vendicarmi?

...

Piccolo, incapace...

Ho passato anni della mia misera vita a pormi la stessa solita stupida domanda:

"Quando?

Quando?

...

Quando?".

E le poche volte che ho ritenuto possibile rispondere, ho fallito.

Mi rialzavo sempre meno.

Adesso è diverso: scavando sempre più giù, ho infine toccato il fondo, un lugubre abisso da cui non traspare nemmeno un bagliore di luce; e non posso far altro che rimpiangere la mia triste sorte.

...

Sono stanco... mi sento prossimo alla morte.

LUI si nutre di tutta la mia linfa vitale ed ho permesso che succedesse.

IO l'ho creato!

Non mi lascia tregua.

...

Il dolore è insopportabile.

E non posso tornare indietro! Ormai fa parte di me! Ho fatto la mia scelta...

...

18 giorni... dovrei vendicarmi... con le ultime forze.

...

Tanto ormai... sono solo.

Gliela dovrei far pagare.

In poco più di tre ore ha distrutto la mia ancora di salvezza.

...

Solo...

Lo sono sempre stato in effetti, persino quando ho avuto l'occasione di circondarmi di effimeri involucri di carne: prima i miei genitori ossessionati dal lavoro e pochi amici con interessi diametralmente opposti ai miei (che per forza di cose, ho frequentato sporadicamente); poi quelli conosciuti dopo il "fattaccio"... insomma, un'ecatombe.

Solo... e ora che lei non c'è più...

...

Non che francamente avessi mai avvertito la solitudine come un problema (benché molti, i miei in primis, avessero tentato quelle poche volte che li ho intravisti tra le mura domestiche): stavo bene con me stesso e non mi lamentavo: leggevo, mi acculturavo, una profonda passione per la birra, forse un abbigliamento un po' "sfigatino", ma pazienza; sebbene sentissi mancasse qualcosa, ignoravo volontariamente questa mia necessità ed andavo avanti senza dare noia a nessuno; non la definirei una sensazione "scomoda", dacché raramente ci pensavo: avevo la mia tranquillità e la priorità assoluta era godermela.

Non ero l'uomo più felice del mondo, ma tiravo avanti e mi davo da fare.

Fino a quella fatidica notte.

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