Capitolo 36. Appendice
Cosa crede, la gente, che basti innamorarsi per sentirsi completi? La platonica unione delle anime? Io la penso diversamente. Io credo che tu sia completo prima di cominciare. E l'amore ti spezza. Tu sei intero, e poi ti apri in due.
L'animale morente, Philip Roth
La parete ha iniziato a scaldarsi poco dopo. Il fuoco appiccato da Scarto ha bruciato sette volte più in fretta lì dentro. Io Sonia e Caterina ci siamo dati il cambio tra il balcone e il soggiorno, cercando di cogliere il suono delle sirene dei vigili dall'altra parte della città e allo stesso tempo scongiurando che non scoppiasse un incendio in casa mia. L'arrivo della sera ha portato con sé un triste silenzio sulla città, e dopo un paio d'ore la parete ha iniziato a intiepidirsi. Scarto aveva ragione: lo squarcio si è liquefatto, si è sciolto fino a svanire sulla parete, lasciando solo un leggero alone. Non ho avuto occasione di parlare con lui, capire come abbia raggiunto questa conclusione, o se sia stato solo un colpo di fortuna.
Abbiamo provato a tirare contro il muro degli oggetti e dell'acqua, dove prima c'era il passaggio: è rimasto tutto in casa, non è passato nulla. Perché un di là forse non esiste più. Vorrei poter dire a Manuel che si sbagliava, che l'abbiamo chiuso, non solo ridotto al minimo. Ma lui sorriderebbe e basta e mi farebbe dubitare delle mie conclusioni.
Caterina è stata una spina nel fianco tutto il tempo, ha continuato a lamentarsi e imprecare, avanzare teorie assurde su quello che era successo e su cosa stava ancora succedendo dall'altra parte. Solo poco prima di cena si è finalmente calmata, zittita dal suo personale fischio nelle orecchie e dalla luce abbagliante che deve aver visto.
In quasi contemporanea anche io e Sonia abbiamo sentito un rumore assordante, poco distante da casa e la conferma è arrivata con una telefonata. Calma ha perso la sua peculiarità. Accumulava adrenalina già da quando ha disarmato la sua controparte per ferirla a morte, poi i cadaveri dei Manuel, l'incendio... qualcosa deve avere dato il colpo di grazia alla sua stabilità mentre guidava la mia macchina. Forse il solo fatto di girare nel traffico, oppure lo spavento per un tamponamento: i dettagli e la ricostruzione in ordine dei fatti non li sapremo mai, i Vigili mi hanno solo informato che la mia auto era stata rubata e che i ladri, dopo aver provocato un lieve incidente, sono scappati prima che arrivassero i soccorsi.
Caterina ha giurato di non raccontare a nessuno ciò che ha visto e vissuto oggi, forte del fatto che nessuno le crederebbe. Abbiamo giurato tutti e tre di parlarne il meno possibile anche tra di noi, di cercare di dimenticare tutto o fingere che sia possibile.
Io e Sonia siamo rimasti soli ancora un po', abbiamo mangiato qualcosa, chiacchierato di tutto il possibile tranne le vicende appena vissute e la nostra storia. Finalmente mi ha parlato di lui, io le ho parlato di Monica, pur consapevole che stavo parlando al presente di una storia per cui avrei dovuto usare il passato. Prima di andare via ho messo la mano in tasca e ho tirato fuori il foglietto scritto da Strazio, ancora piegato su sé stesso. Proprio com'era lui la prima volta in cui l'ho visto.
«Prima credevo che fosse un indizio su come fare, sul famoso "modo giusto"» ho spiegato mostrandoglielo.
«Niente di come sono andate le cose mi sembra il modo giusto.»
Le ho fatto notare che il mancato rientro di Scarto, il mix tra Serio, Sclero e Strazio, non mi faceva stare tranquillo e confessato di avere paura di impazzire senza una parte di me. Nonostante questo, senza dirlo a voce, so che ha pensato di avere davanti a sé una persona migliore, senza un po' di freddezza, rabbia e paure.
«Non potrei sentirmi meglio di così!» ho provato a sponsorizzarmi.
Lei ha tentennato un po', poi mi ha detto che posso chiamarla se credo di aver dimenticato qualcosa di importante del mio passato e mi dovesse sembrare di impazzire, che è più che certa di conoscere quasi tutto di me e potermi aiutare a ricostruire ciò che ho perso, o comunque aiutarmi. Ha aggiunto che era felice per Monica, del mio miglioramento come persona. Non sono riuscito a dirle che è per lei che vorrei essere migliore.
Ho spiegato il foglietto e gliel'ho passato:
«Scusati.»
«Non era un indizio. È l'unica cosa che ancora non avevo fatto.»
Ha pianto, ha detto di avermi perdonato, ci siamo abbracciati e promessi di restare amici, che ci saremmo sentiti spesso ora, ci saremmo persino frequentati, avevamo voltato pagina. Ho finto di crederle. Quando è uscita ho chiuso la porta di casa, nuovamente solo come non lo ero da giorni. Ho scritto il finale della storia sulla mia agenda e mi sono messo a letto.
Qualche giorno dopo le ho viste entrambe al funerale di un ragazzo che non avremmo dovuto nemmeno conoscere, morto carbonizzato nella casa un tempo di suo padre. Incendio doloso, presunto suicidio. Si sarebbe diplomato di lì a un paio di mesi. Alla funzione erano presenti i compagni di classe, per formalità, e qualche parente non particolarmente stretto o addolorato. A soli diciannove anni viveva da solo in un appartamento vicino all'ospedale, comprato con una consistente eredità di cui le persone che lo conoscevano non sapevano nulla. Era un tipo solitario, poco socievole, ma molto dotato. Secondo i suoi insegnanti avrebbe potuto avere un futuro brillante e ricco di soddisfazioni.
Lo dicono sempre dello studente che muore; ma mentre la tua vita c'è ancora, è un disastro e tu ne porti i segni addosso e scritti su tutta la faccia, non si accorgono nemmeno che esisti. Non avrebbero comunque potuto fare niente, in questo caso. Nessuno poteva evitarlo, se non Manuel stesso. O io, se mi fossi impegnato di più, se mi fossi preoccupato di trovare una soluzione per entrambi, invece che solo per me stesso.
Il tempo passa, giorni settimane. Scarto non rientra, vivo nell'attesa del fischio, della luce abbagliante, della comparsa dei sintomi dovuti alla sua assenza. Non succede niente per mesi. Non ho scompensi di nessun tipo, non mi sembra di impazzire, anzi, sto davvero bene. Va tutto bene.
Poi un giorno, mentre esco da lavoro, ho un mancamento. Perdo i sensi e mi risveglio in una stanza di ospedale. Ho avuto un piccolo collasso, dicono. Inizio così a pensare che sia stato tutto un trip della mia testa, che sia impazzito prima di questa storia assurda, che mi sia inventato tutto per giustificare i miei sbagli, i miei sbalzi di umore, i lati peggiori della mia personalità. Ci sono diverse cose che non tornano, per esempio tutti i miei vuoti, i momenti in cui perdevo i sensi, in cui non sapevo per quanto tempo non fossi presente a me stesso. È capitato spesso, me ne sono accorto solo rileggendo l'agenda della Banca.
Mi sono inventato tutto, compreso Manuel, il funerale, ogni cosa. In realtà non mi sono mai mosso da qui, forse sono stato in coma e quelli erano i miei sogni. Penso di aver voluto creare una favola in cui io e Sonia restiamo amici, la più fantascientifica possibile, perché solo nella fantasia potremmo voltare pagina in questo modo. A Sonia e Caterina non potrei mai chiedere di confermare o smentire questa storia, mi imbarazza troppo far loro sapere che sono da TSO. Ho nello storico degli ordini di Amazon una gabbietta per criceti, ma potrei benissimo averla comprata durante un episodio allucinatorio. Forse ho prima inalato un mix di vernici usate per imbiancare, e poi sono caduto dalle scale. Allucinazioni e trauma cranico, si spiega.
È ciò che penso per un bel po' di tempo ogni volta che mi sveglio. Ma ho imparato che mi basta sfiorarmi sul fianco, sentire sotto le dita la mia cicatrice di un'appendicectomia di cui non ci sono documenti, di cui nessuno tra amici e parenti si ricorda, per tornare alla realtà.
Che mi piaccia o no.
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