Capitolo 34. Saluti

«Dove cazzo sei stato?» Accoglienza da migliorare. Sicuro non ha perso il suo tono autoritario in questo tempo, anche se parla a bassa voce.

«Quanto sono stato via?»

«Davvero non lo sai?» bisbiglia.

«Lo chiederei altrimenti?»

«Siete stati via quasi tutto il giorno, è quasi sera.»

Guardo fuori dalla finestra della sala: le luci del tramonto illuminano gli alberi poco familiari le cui ombre mi spaventavano, la prima notte qui. Ora vorrei arrampicarmici sopra e costruirci una casetta, vorrei che conoscessero la mia felicità nel saperli parte della mia vista dalla finestra e della mia vita. Nella stanza mancano sia Sonia che Caterina, mentre Sincero sta dormendo sul divano. Mi sembra tutto pulito, non vedo schizzi di sangue o peggio.

«Sono venuto a cercarti di là, sono entrato e uscito da lì almeno tre volte e ho sempre trovato solo lui seduto nel nulla. Sono anche passato di là e ho visto il ragazzo e la terza Caterina.» sapeva dove sarei andato. Lo sapevano tutti a quanto pare: sono davvero prevedibile, altro che genio della fuga!

«Non me l'hanno detto, che sei passato a cercarci lì. Ma devi averci mancato di poco. Loro sono andate via?»

Fa un cenno di no con la testa e mi indica la camera da letto. Caterina e Sonia stanno dormendo nel mio letto in attesa del mio ritorno; o più probabilmente in attesa del ritorno di Calma e Carina.

«Prima Sonia ha litigato con il suo ragazzo perché non voleva andare via da qui né farlo salire o dargli spiegazioni. Caterina ha dato di matto per tutto il tempo, è stato difficile tenerla a bada. In più sono sveglie praticamente all'alba e tutto il casino le ha scombussolate un bel po', abbiamo preso una camomilla e poi sono crollate. Anche lui è crollato.» conclude indicando Sincero.

«E Sclero? Ha preso anche lui una camomilla?»

«No. Lui è andato via un po' prima di quello. Diciamo che la sua scomparsa ci ha aiutato a rilassarci.»

«Ha sofferto?» chiedo senza reale interesse. Non che lo odiassi, ma mi è piuttosto indifferente il fatto che abbia sofferto o meno nel suo andare via. È Serio che lo sta pensando, o io?

«No. Abbiamo continuato dove avevamo lasciato. È stata la meditazione.»

«Capisco.» È la mia risposta diplomatica di quando non ho più voglia di continuare una conversazione, ma ne sono in qualche modo obbligato. Ma è necessario che ci aggiorniamo su cosa è successo ai due poli opposti del portale.

«Prima di vederlo con i tuoi occhi, che le Caterina erano tre, te l'ha detto lei?» chiedo, sempre sottovoce.

«No. Non è una gran chiacchierona. Perlopiù inveisce e impreca.»

«Quando si sveglierà sarà un po' diverso. Una delle tre, quella che era qui, è andata: è sparita davanti ai miei occhi. L'altra l'ha aggredita, ma si è difesa. A morte.»

«Penso che se ne sia accorta, sì.» Si guarda intorno. «Tocca a me, vero? A breve sparirò anche io.»

«Hai bisogno di me per farlo?»

Fa di nuovo segno di no con la testa. «No, so come fare, grazie. Mentre non c'eri ho aggiornato la tua agenda, l'ho lasciata sul tavolo della cucina. Ho scritto quello che è successo fino al momento in cui sono uscito. Ero te, sono sicuro di non aver sbagliato o tralasciato nulla.»

«Anche Manuel ha scritto tutto, sai? Su un quaderno. Dai topolini in poi.»

Ancora una volta sorride, ma non sembra più interessato nemmeno lui a questa chiacchierata. Ha già in mente quello che deve fare, aspettava solo il mio ritorno. Si volta distrattamente verso il bagno.

«Devi andare?»

«Sì.»

«Capisco» ripeto. E lui che conosce le mie espressioni di disagio sa che è il mio modo per congedarmi e congedarlo.

«Non guardare, ok?»

«Ok» mento. E lui sa anche questo. Fa piano, non vuole che nessuno lo senta. Si avvia verso il bagno. La cintura è già fissata a una delle travi a vista del soffitto. È un pensiero carino non farlo per emorragia: il sangue di Serio mi è rimasto addosso anche dopo la sua sparizione e Sicuro lo sa, si è preso la sua dose di schizzi. Vorrei fermarlo e chiedergli se non ci sia un altro modo. Vorrei capire perché è proprio questo il suo, ma sarebbe inutile: lui non vacillerebbe, non prenderebbe in considerazione altri metodi, non sarebbe in grado di porsi domande sul senso di ciò che stiamo facendo o di mettere in dubbio il suo ruolo. È questa la sua qualità: la sicurezza fino all'eccesso, e con lei l'assoluta certezza di avere sempre ragione. Mi manca il conforto del lasciarsi cullare dalle proprie convinzioni, il riposo mentale di determinare che qualcosa è in un certo modo e basta: non pensarci più. Per quello non lo fermo.

Lo guardo prepararsi in pratica a un gesto per cui nella teoria mi sono preparato a lungo. E quando ho messo piede in questa casa, a distanza di mesi da quei pensieri, ho subito pensato che forse avrei dovuto fare un controsoffitto al bagno: quelle travi hanno avuto subito uno strano richiamo in me, come quello che provo in stazione all'arrivo del treno. Lo chiamano urge to jump, gli strizzacervelli. Sapevo che in caso di una ricaduta avrei puntato a farlo così. Lo sapeva anche Sicuro, l'ha saputo per tutto il tempo: il suo modo è avere coraggio di arrivare fino in fondo. Coraggio che a me ora manca anche solo di guardare; lo saluto con un cenno della testa e vado in cucina a farmi un panino. Aspetterò lì il suo rientro.

Il rumore del frigo deve aver svegliato Sincero, che sciabattando mi raggiunge al tavolo. Anche lui si è fatto una doccia e ha attinto dall'armadio per i vestiti puliti. Metto la mano in tasca. La lettera di Strazio è ancora lì, ma allora perché i vestiti si smaterializzano insieme a chi li indossa? Non che mi fregasse della tuta da palestra, ma le scarpe erano quasi nuove, non sarebbe stato male averle indietro.

Sto aprendo la confezione di pane in cassetta fingendo noncuranza per ciò che sta succedendo in bagno, quando il fischio mi inonda la testa e la luce rossastra del tramonto lascia il posto in cucina alla solita luce accecante. Ancora una volta non so calcolare il tempo in cui resto stordito, ma reggo bene, non perdo i sensi e controllo la nausea: ero pronto e mi sto abituando.

Quando riapro gli occhi Sincero mi sta ancora guardando. Ora tocca a lui, ma non è triste. Forse è qui da troppo poco per desiderare una vita tutta sua, oppure lo è da abbastanza per volersene andare il prima possibile. Cerco di attenuare sin da subito la sicurezza che mi scorre di nuovo tra i pensieri, così da raggiungere prima un equilibrio; ma Sicuro è più forte degli altri che l'hanno preceduto, dei quali ho anche perso pezzi in quello che ho nominato Scarto e che ancora non è venuto fuori dal muro. Spalmo il formaggio, metto il prosciutto, chiudo il panino.

«Da quanto quel prosciutto è in frigo?» chiede Sincero. «Sicuro che sia buono?»

Non ho un secondo di dubbio e questo mi fa sorridere, senza però rispondere: non voglio rovinare tutto con una bugia. Addento il panino, non ricordo l'ultima volta in cui mi sia seduto a mangiare al tavolo della cucina.

«Sei piuttosto tranquillo, considerato che c'è ancora una Caterina da far rientrare oltre a me, e che hai un buco nel muro che tu-sai-cosa-fa.» Decido di ignorarlo, finisco con calma di mangiare il mio panino e inizio a prepararne un altro. Guardo l'orologio sopra la porta, per capire quanto ci metteranno gli altri ad arrivare. Se arriveranno.

«Aspettiamo qualcuno?»

«Lo sai» rispondo senza rispondergli davvero.

Si siede, spazientito, sulla sedia di fronte alla mia.

«Credo che tu sappia come risolvere tutto, ma ho paura che dopo il rientro di Sicuro tu abbia troppa fiducia in te stesso e nelle tue idee. Sono l'ultimo arrivato quindi so che fino a poco fa brancolavamo nel buio. Poi di punto in bianco sei scappato, e dubito che tu avessi un piano in mente.» Su questo ha ragione. Lo ascolto in silenzio, continuando a mangiare.

«Lui ha detto che di là c'è un Manuel più giovane e un'altra Caterina e che il Manuel che conosciamo noi aveva intenzione di rinchiuderci lì dentro al suo posto. Come fai ad essere così calmo, considerato che Strazio è rientrato?» È senza filtri e sento di detestarlo per questo. Ho conosciuto persone che si definivano così e in tutti casi era solo una scusa per la loro pigrizia emotiva. Non preoccuparsi dei sentimenti altrui in nome della verità a tutti i costi, non saper mantenere una confidenza o un segreto, parlare a sproposito perché, ops, è così che siamo fatti. Beh, siete fatti male, sapete? Siete fatti egosintonici e privi di empatia. Dire sempre tutto ciò che vi passa dalla testa senza nessun filtro, senza porre la minima attenzione ai modi con cui lo si dice è tipico dei bambini, non può essere una scelta di vita; quindi, valutate quanto sia figo farne un marchio di fabbrica, qualcosa di cui vantarsi in giro dicendo che "siete fatti così".

«Mi piaci» niente di più lontano dalla verità, «ma ora dovresti rientrare anche tu. Penso di avere un'idea, forse è un pensiero che si è portato dietro Sicuro, qualcosa che lui sapeva. Le hai parlato mentre eravamo via?»

«No,» risponde secco, «avevo paura di incasinare l'ordine delle cose. Ho cercato di evitarla tutto il tempo, perché se messo alle strette sarei crollato. Intanto lei ha avuto i suo da fare. Prima ha dato una mano a Sicuro con Sclero, poi si è messa a litigare prima con Caterina e con il suo ragazzo. Si è quasi dimenticata di me, per fortuna.» Che si sia dimenticata di parlare con Sincero mi fa un po' male, che abbia litigato con quel tipo mi fa piacere.

«Lo faccio adesso.»

«Grazie.» Gli sono riconoscente sul serio, pur non dandolo a vedere quanto vorrei.

Gli ultimi due sono stati estremamente collaborativi, forse perché più sfumati e meno densi di colore e carattere, per proseguire sulla metafora dei gas colorati, rispetto ai primi. Mi pulisco la bocca con un tovagliolo e guardo di nuovo l'orologio. Se tutto va bene tra un paio d'ore potrebbero già essere di ritorno, facendo la strada esterna; e se almeno uno dei due Manuel è morto lei potrebbe lasciare le cose in sospeso e arrivare qui ancora prima. In quel caso finirò io quello che spero abbiano iniziato. Ma domani, non oggi.

Prendo l'agenda per dare un'occhiata veloce alle parole di Sicuro. Ha una calligrafia perfetta, nessuna correzione, nessuna parola pasticciata, cancellata e sostituita con un'altra più puntuale calzante. Lettere tutte uguali, dritte, leggere. Le pagine sono lisce in modo perfetto, non ha calcato nemmeno una lettera. Perché non si è fatto vivo quando c'era da scrivere le lettere d'amore durante la nostra adolescenza?

Ha raccontato tutto senza tralasciare nulla di ciò che è successo fino a poco prima del mio ritorno dalla fuga con Strazio e Caterina. Sono meno stanco del solito, quindi decido che, nell'attesa degli altri, aggiungerò ciò è successo dall'altra parte. Ironia della sorte, per senso di completezza. 

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