Capitolo 29. Limite

Il giovane Manuel ci guarda a lungo senza dire nulla. Dal modo in cui ci studia sembra confrontare l'idea che ha di ognuno di noi con le informazioni in suo possesso. Privilegio non reciproco. I conati hanno annebbiato la mia messa a fuoco, ma in qualche modo riesco a ricambiare almeno il suo sguardo indagatore e così l'idea approssimativa che possiamo farci l'uno dell'altro. Fino a questo momento i dati sul suo conto mi mancavano quasi del tutto, se non per le notizie frammentarie trovate online sugli avvenimenti di due anni fa. Ricordo di aver letto di un ragazzo sparito all'improvviso, forse rapito o forse fuggito, ritrovato poi in stato confusionale, giorni dopo. Non una di quelle storie che la gente segue morbosamente sin dalle prime ore dall'accaduto, niente special pomeridiani in collegamento con l'inviato davanti alla casa dei genitori del ragazzo. La vicenda e i relativi aggiornamenti sembravano una cosa misurata, quasi un'informazione che non avrebbe dovuto trasformarsi in notizia, ma sfuggita a qualcuno, resa nota e poi ridimensionata altrettanto in fretta.

"Ricerche sui vecchi proprietari da cui ho comprato la casa, articoli di giornale inquietanti, allego." Ho scritto così sulla mia agenda, il quarto o quinto giorno da quando tutto è iniziato. Mi sembra passata una vita, ma anche un solo quarto d'ora, visto che da allora non ho mai davvero staccato da tutto questo, se non per dormire o svenire. O dormire dopo essere svenuto. O dormire dopo un'anestesia. Ma non mangiare.

«Non dovresti essere così patetico, se lui è ancora qui» è ciò che sceglie di dire per rompere il ghiaccio con il sottoscritto, mentre indica Strazio.

«Te la sei preparata, ragazzino? Dai, ti prego, fai altre battute di spirito come questa, ne ho davvero voglia in questo momento.»

«Con tutto il tempo che ci avete messo avrei potuto scrivere un libro intero, non solo una battuta.»

«Ma sei riuscito a sillabare solo il titolo?»

La Caterina appena incontrata accompagna lo spostamento dell'attenzione da lui a me e viceversa con un ampio movimento della testa, come se seguisse una pallina da una parte all'altra del campo durante una partita di tennis. I movimenti della sua testa hanno un non so che di canino, e mi ricordano di aver spesso pensato di lei che alcuni cani la superassero in intelligenza. Ora mi sento un po' in colpa per questo paragone. No, non è vero, mi viene da ridere a ripensarci.

«È necessario?» No, Strazio, non è necessario, ma devo sfogarmi in qualche modo. Preferiresti che me la prendessi con te?

Al momento sto concentrando tutte le mie energie nel fare tre cose: uno, contenere la furia di Sclero, placando sul nascere ogni pessima reazione istintiva, violenta e fuori luogo; due, mettere a tacere la logorante analisi di ogni situazione, in ogni suo dettaglio e ogni suo scenario possibile, come farebbe, e come con ogni probabilità ha fatto nella sua breve esistenza fuori dal mio corpo, Serio. E tre, non impazzire, non vomitare, non perdere i sensi, allontanare da me il pensiero di ciò che mi aspetta, nella consapevolezza che la mia natura bugiarda al momento mi farà sempre scegliere di dire e fare le cose sbagliate.

«Tutto bene?» Strazio si indica la faccia, poi indica la mia. Istintivamente mi porto la mano al viso e sento la punta delle dita umide. Fantastico, sto anche piangendo!

Mi si avvicina di un paio di passi e io indietreggio di uno. Si ferma.

«Non voglio farti male.» Vorrei fosse vero, ma so di volergliene fare.

«Lo so» sembra rispondere ai miei pensieri, al mio Io profondo che non lo toccherebbe con un dito, ma che ha perso la voce e la forza per venire fuori, schiacciato da due personalità più forti e privato di ciò che gli serve per avere un minimo di equilibrio. Lo lascio avvicinare senza conoscere le sue intenzioni. Una volta al mio fianco prende timidamente la mia mano e la stringe appena. Ha paura di me, più di quanta ne abbia io stesso. Però mi sta comunque vicino. Ecco una sua grande lezione: ha paura praticamente di tutto, ciononostante fronteggia ogni cosa. «Dobbiamo sbrigarci.» Con queste semplici parole mi comunica di essere pronto, di non preoccuparmi per lui: sa che non può restare fuori o finirei per impazzire, un altro colloquio con Manuel non ci darà in tempo la risposta, la soluzione magica che permetta a me di ricomporre la matriosca senza dover passare su di lui.

«Mi dispiace», mi sforzo di essere sincero, e ci riesco.

«Lo so. E so che dopo avrai paura e forse non vorrai più andare avanti. Questa volta non farti condizionare da me.»

«Ma...» cosa diavolo obietto? Serro la mascella per non imprecare contro di lui, gli stringo più forte la mano.

«Non è per questo che siamo venuti fino a qui?» Carina si è avvicinata a noi e mi prende l'altra mano. Ora mi sento come un bambino accompagnato a scuola dai genitori, ma nel mio caso sono uno strano nevrotico papà e una mamma in bianco e nero uscita dal film Pleasantville.

È ironico che abbiamo fatto tutta questa strada, quando con due saltelli dal soggiorno di casa saremmo stati qui in pochi minuti. A volte bisogna allungare un po' il proprio percorso per arrivare davvero a destinazione; chissà se rientriamo in questa casistica. Volevo scappare dalla mia vita, dal terremoto che l'ha scossa e le sue macerie, e le ho semplicemente girato intorno.

«Non so perché siamo qui.» E se lo dico significa che in realtà lo so? Vorrei portarmi le mani alla testa e tirarmi forte i capelli, ma la presa che hanno i due al mio fianco me lo impedisce.

«Va bene, facciamolo.»

Il giovane Manuel annuisce e ci fa segno di seguirlo fino al portale.

Mi sento guidato da una forza superiore e per un attimo non mi dispiace lasciami andare, farmi trascinare dalla corrente degli eventi, come se fossi una foglia secca sul filo dell'acqua di fiume. Sì, dai, facciamo così d'ora in poi, seguiamo il flusso delle cose e vediamo come va, lasciamo decidere gli altri per noi. Non è quello che ho sempre voluto? Quando ho scelto a che Università iscrivermi, dove comprare casa, che macchina prendere. Diesel o benzina, papà? Come dici, zio? GPL? Ho sentito dire che le case in quel condominio vanno via a poco. Ma non fare tasso variabile, e mi raccomando il garage e la cantina. Ma qual è la mia cantina alla fine? Che ci devo mettere in cantina? Le vacanze le facciamo in Romagna, va bene? Fa tot a testa, okay? Certo, va bene. No, non mi disturba questa musica oscena in macchina, sono io che ho gusti difficili, le mie cose le ascolto poi a casa da solo, va bene. In questo locale mettono musica oscena ma va bene, se vuoi divertirti è in posti così che devi venire. E ballare, anche se non credo di essere capace, ma prova, almeno conosci qualche tipa, va bene. Bevi ancora qualcosa, che più sei brillo più sei brillante, non devi guidare, va bene. Ma cosa fai, voti di là? No, vota di qua. Questo tizio è di quel partito, ma è una brava persona, te lo dico io che lo conosco. Devi votare la persona non le idee, ah sì? Va bene. Devi andare da uno psicologo, va bene ci vado, mi siedo e inizio a parlargli del vuoto che ho dentro, della voglia di morire e del sollievo che pregusto quando ci penso. Credevo di dover parlare ancora, ma parla lui, racconta cose. Va bene, ascoltiamo. Va sempre bene. Una di quelle storie parla di una rana. Entra in acqua, la rana, poi la temperatura sale piano piano e alla fine muore così, senza essersi accorta di essere bollita. Sempre meglio della fine dell'aragosta, penso. Ricordo di averlo pensato.

Accompagnatemi verso l'ignoto Strazio e Carina, va bene. Facciamo parte di un certo piano A, c'è anche un piano B, su cui noi scivoliamo come foglioline secche, okay?

Okay niente, no che non va bene! Un momento!

«Un momento!» mi blocco, e con me i miei due accompagnatori, ignari di cosa mi stia passando per la testa, ma solidali a prescindere, Strazio perché è me, Carina perché è fatta così.

Il giovane Manuel alza gli occhi al cielo e gli vedo morire una bestemmia sulle labbra. Se la sua mimica potesse parlare direbbe: «Cazzo, ce l'avevo quasi fatta.»

«Non così in fretta, ragazzino.» Mi sono ripreso di colpo dallo strano tepore confortante in cui stavo per essere bollito. All'improvviso qualcuno mi ha acceso un interruttore da dentro. Forse Serio? «Ci sono delle cose che non mi tornano e credo di essere venuto qui per capirle.»

«Credi?»

«Beh, sì. Non sono sicuro di nulla da un po'. Da due passaggi fa per l'esattezza.»

«E l'ultimo passaggio cos'hai perso?»

«La verità.»

«Quindi ora stai mentendo?»

«Stranamente no.» Credo che Sclero abbia alzato di poco la quota sincerità, riportandone un po' con sé.

«Forza!» Si appoggia al cancello che dà alla rimessa con la porta scardinata e mi guarda mentre di essere annoiato, ma tradisce un certo nervosismo: «Dai, chiedi. Ma in fretta».

«Prima di tutto come fa lui a sapere che il numero massimo di passaggi che posso fare avanti e indietro è sette? Se l'avesse provato sulla sua pelle non sarebbe sopravvissuto per raccontarcelo», Strazio prende la parola e pone la prima delle nostre domande. Da quanto se lo stava chiedendo? Ne ha altre così?

Il ragazzo però guarda me, come se si aspettasse il permesso di rispondere a Strazio. Dovrei sentirmi a disagio, ma stranamente il mio corpo si muove da solo, gli fa segno di sì con la testa, invitandolo a procedere.

«L'ho visto accadere. C'era un'altra persona prima di lui imprigionata lì dentro.»

«Imprigionata?» chiedo conferma. Imprigionato non è il termine che avrei usato io per descrivere la posizione di Manuel, ma ora non riesco a immaginare una parola più idonea di quella.

«Sì, beh, ti sembra un luogo in cui vorresti vivere?»

«Ho visto di peggio.»

«Simpatico!» Lo sono?

«Simpatico ancora non è uscito, forse sarà il prossimo, chi lo sa.» Sì, dai, un po' lo sono.

Calma, che di senso dell'umorismo non ne ha mai avuto nemmeno quando era una Caterina tutta intera, si intromette con un commento che nemmeno registro. Qualcosa del tipo: «non mi sembra il caso di fare battute». A dire il vero non credo possa esserci un momento migliore di questo per fare dello spirito. È l'unica cosa che sin dall'inizio mi tiene ancora leggermente sano di mente. Se uno degli altri avesse preso questa parte io sarei finito male da un pezzo. Veramente male.

«Okay, chi era la persona imprigionata prima di Manuel?» Strazio riprende il filo del discorso, anche se tiene lo sguardo basso, ben lontano dal viso del suo interlocutore: fa sempre così quando parla con qualcuno di cui ha timore, ovvero quasi tutti.

«Il collega di mio padre» risponde il ragazzo, secco. Io non posso fare affermazioni, perché nel mentire porterei la conversazione fuori dai binari su cui viaggia ora: posso intervallare le mie domande a quelle urgenti in egual misura di Strazio e registrare le risposte che il ragazzo, volente o dolente, può fornirmi.

«Anche lui si è diviso?»

«Sì, e non per sua scelta.»

«È stato usato come cavia?»

Sorride amaramente, di un sorriso così tagliente che sembra ferirgli la faccia e le guance. «No, lui no.»

Eccoci. Ecco la verità diventare un'enorme bandiera e sventolarci davanti alla faccia. Sento Sclero scalciare dentro, urlante. Trattengo i suoi sghignazzi, così come il sorrisetto beffardo di Serio.

«E tu, invece?» Due sole lettere, faticose.

Mi basta che annuisca e io capisco. Non devo dirlo ad alta voce, o ne stravolgerò il senso, ma nella mia testa ho ricostruito tutto, ho contato i passaggi che ha fatto l'uomo, portandosi dietro la vera cavia di questo strambo e macabro esperimento, un ragazzino, figlio del suo ideatore.

«E poi, per puro caso, l'anno scorso tuo padre crepa in circostanze misteriose.»

«Già.»

«Perché non avete imprigionato lui? Perché aspettare me?»

«Aspettare? Noi non stavamo aspettando nessuno, stavamo scongiurando che ciò che è successo a causa tua non succedesse mai. Avevamo trovato il modo, tenevamo tutto sotto controllo. La casa che hai comprato non doveva essere messa in vendita, c'è stato un errore con l'eredità. Era casa mia, sai? Mentre qui...» indica la casa abbandonata alle sue spalle, inclusa la rimessa degli attrezzi da cui siamo passati la prima volta, «questa casa è stata comprata per gli esperimenti. E per portarci le donne con cui mio padre faceva le corna a mia madre. Ma quella è un'altra storia.» Chiaro, una volta testata la tecnologia per il teletrasporto, o viaggio nel tempo e nello spazio, i due punti di riferimento dovevano essere fissati in proprietà dello stesso padre di Manuel, per controllarli.

«Ma lo spazio buio? Quello dove Manuel vive da due anni... anche se per lui sono di più?»

«Sembrano di più anche per me, non credere. Lui non può uscire, quindi devo provvedere io a portargli viveri, beni di prima necessità, prodotti per l'igiene, farmaci, qualcosa per illuminarsi e passare il tempo, secchi d'acqua per lavarsi e altri dove fare i bisogni... ho diciannove anni, ma è come se ne avessi sessanta e accudissi un vecchio invalido!»

«Perché non lo lasci morire, allora?» Mi guardano tutti come se avessi detto qualcosa di abominevole, ma sono convinto che ognuno di loro l'abbia pensato, intimamente. «Che cazzo volete? Voi forse non ci avete pensato? E poi dicevo per dire, ovvio che non lo farei! Anzi sì, lo farei, cazzo!» Ottimo, ora mi contraddico a voce alta.

«Non si può. E comunque non adesso che ci siete voi, non ora che tutte queste persone sanno. Grazie tante.»

«Ci volete uccidere tutti?» Strazio pensa sempre alla stessa cosa, anche se non ha tutti i torti, ora. Non è quello che avrei chiesto io. Io mi sarei soffermato su quel "non adesso", sottolineando l'impressione che questo Manuel stesse progettando di liberarsi dell'altro, prima del nostro arrivo.

«Di sicuro la carogna qui presente fa non potrà più chiamare nessuno per vendere la mia scoperta, come tanto le premeva di fare prima, ora che è scissa anche lei», me la rido, ma nessun altro ride con me. «Comunque lei è diventata il piano B, rispetto a me che sarei il piano A? Quindi cosa dovrei fare, restare imprigionato al posto di Manuel? Se è tutto un piano allora la storia della matriosca è una scemenza?»

«No. È tutto vero. Lui vuole davvero aiutarti, ma è anche vero che voi potete aiutare noi a farlo finire.»

Sono confuso. Serio mi dà un certo grado di sicurezza, ma con il nervoso non riesco a ragionare bene e senza Sicuro mi convinco di una cosa, e subito dopo del suo contrario. Mi devo fidare di questo Manuel? E dell'altro? Mi sembra di aver fatto una valanga di domande, ma non so come gli interrogativi sembrano ancora molti, sempre di più. E poi c'è Caterina, il piano B. Questo cosa diavolo vorrebbe dire? E Strazio che le ha chiaramente passato un foglietto. Cosa c'era scritto? E in tutto questo c'è il nuovo ragazzo di Sonia, quello che se la sbatte, in macchina ad aspettarla sotto casa mia, proprio per riportarsela a casa come se tutto questo non la riguardasse. In realtà non la riguarda davvero, a pensarci. Ma anche sì, merda! Sono stanco, non solo di nome. Credo di essere davvero al limite.

«Va bene.» Va sempre bene quando mi lascio andare, quando smetto di fare attrito. «Cosa dovremmo fare?»

«Lui ha scritto tutto qui.» Si fa avanti con un logoro quaderno con la copertina in finta pelle e me lo porge. «Le ultime pagine. Dovete farlo finire, perché io non ce la faccio più» mi implora e capisco di non essere l'unico a essere al limite.

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