Capitolo 24. Chiarimenti
«Dovrei lasciare che litighino, e che magari si facciano del male, per cosa? Per farvi solleticare l'uccello con una scena softporn?»
«Detto così sembra una cosa brutta!» Sincero risponde a Sicuro ridacchiando e mi accorgo di sorridere sotto i baffi anche io, nonostante stia scuotendo la testa, negando tutto.
«Davvero? Non hai pensato che quando una cosa sembra brutta magari lo è?» moralizza l'altro.
«Ah, come quando si dice non è come sembra, ma in realtà è esattamente come sembra?»
Se esistesse una frase in grado di disinnescare il battibecco appena iniziato tra le ragazze, se in tutto il mondo ci fosse una formula magica per fermare il tempo, congelare le azioni dei presenti e reindirizzare la loro attenzione altrove, sarebbe sicuramente questa. Infatti, Sonia e Caterina smettono all'istante di essere nemiche, il bambino gigante immaginario che sta giocando con i nostri corpi di plastica come se fossimo i suoi soldatini le fa ruotare verso Sclero in simultanea, con una torsione del busto quasi innaturale, a cui solo dopo seguono le gambe e i piedi. Sclero non sembra comprendere al volo i motivi per cui il corso degli eventi abbia di colpo cambiato verso e io credo alla sua espressione smarrita e confusa. Tra tutti noi è quello più istintivo, rabbioso e incline agli errori di valutazione. Però, alla fine, ci arriva. «Oh,» dice soltanto, dopo qualche istante di silenzio, «quello.»
Già, quello. La frase più banale e schifosamente scorretta che si possa dire nel momento in cui si è stati scoperti a fare qualcosa di brutto. In momenti del genere si hanno due strade percorribili: la prima, la più intelligente e moralmente corretta (anche se è un po' tardi per la morale), è confessare. Esiste una vaga possibilità che a seguito dell'ammissione di colpa il peccato venga persino perdonato, che ci si metta sopra una pietra, si volti pagina, o qualsiasi altra metafora possa servire per descrivere il farla franca ricorrendo a uno slancio di sincerità tardiva. La seconda strada, la più vigliacca, è "negare, negare sempre, anche davanti all'evidenza". Questo è il mantra dei traditori, a cui credevo non avrei mai dovuto ricorrere, perché convinto, fino a un certo punto della mia vita, che non sarei mai stato uno di loro. Finché non è successo, e ho scelto la strada del "non è come pensi tu", il vile tentativo di traferire il mio errore, commesso davvero, sulla persona tradita, che sbaglia a pensarla così.
«Già, proprio "quello"» ribadisce Sonia, come se avesse letto nel mio pensiero la mia piccola digressione mentale. Il suo sguardo si vela di nuovo di amarezza e delusione, nessuno di noi riesce a sostenerlo, lei lo fa così vagare da uno all'altro, in attesa che qualcuno dica qualcosa. Insomma, c'è almeno una parte di noi che si farebbe avanti per dire qualcosa? Le fa ancora male, si vede. E questo fa ancora male a tutti noi. Si ferma infine su Sincero e accigliandosi gli sorride in modo furbo. «Ne sei certo, vero?»
«Di cosa?» lui ribatte istintivamente: non ha tutta la prontezza mentale che Serio ci ha restituito da poco, e non riesce a evitare la trappola tesa da Sonia. Non solo lei ha metabolizzato tutta la questione con una rapidità invidiabile, ha anche trovato l'occasione per ottenere risposte più convincenti di quelle che le ho fornito io mesi fa. E le cerca da Sincero, com'è ovvio che sia.
«Di come sono andate le cose l'anno scorso ad Halloween.»
Mi sembra di deglutire sabbia, ma ho paura di parlare e dire la cosa sbagliata, palesemente falsa e mendace. Invece Sincero come risponderà? Dirà tutto?
«Ti ho già detto com'è andata, cosa vuoi adesso? Ti sembra il momento di tirare fuori questi discorsi? Ma quanto puoi essere egocentrica?» Dimenticavo che Sclero non solo è il più impulsivo, ma anche il più incline alle scenate. Si è letteralmente trascinato davanti Sonia e la fronteggia con un coraggio che mi mette in allarme: ha già dimostrato di essere in grado di alzare le mani su una donna, potrebbe farlo anche con lei? In fondo la voleva uccidere sin dall'inizio, è stato il primo a provare a chiamarla per farla venire qui e farle del male. Siamo di nuovo in allarme e facciamo tutti un passo verso di loro. Tranne me. La mia testa mi dice che devo farmi avanti, prendermi le mie responsabilità, proteggere la mia ex da una versione più instabile e schizzata di me stesso: ma rispetto al resto del gruppo, io faccio due passi indietro.
Mi danno tutti le spalle, quindi non se ne accorgono subito.
«Questa non me la voglio perdere.» L'amara Caterina.
«Forse non sono fatti nostri, dovremmo lasciarli soli?» Quella dolce.
«Non dovremmo pensare ad altro adesso? Tipo a non creare qualche strano paradosso quantistico e a non morire male?» Bravo Strazio, un po' di fumo negli occhi, cambia discorso.
«Se chiariamo questa cosa una volta per tutte poi ti metti l'anima in pace e non torniamo sull'argomento?»
«Sì» Sonia risponde a Sicuro, scatenando l'ilarità di Sclero.
«E tu le credi?»
«Ti dico che è così.»
Sclero fa un altro passo verso di lei e io un altro verso la porta.
«Beh, te l'ho detto come sono andate le cose, ma tu non ci hai creduto, ora che vuoi?» Quando sono ormai pochi i centimetri che separano il naso di Sclero e quello di Sonia, vedo Sicuro intrufolarsi tra i due. Ma è più alto di noi? Così pare. E mentre lui ha a tutti gli effetti il coraggio di difendere ciò che una volta ha amato e andare letteralmente contro sé stesso per essere dalla parte del giusto, io indietreggio ancora. Sono a un passo da dove dovrebbe esserci la mia scarpiera, o meglio ne sostituisco la spazio: il mobile insanguinato è stato appoggiato da qualche altra parte, mi guardo intorno e non lo vedo. Forse in balcone? Tipico mio (nostro) nascondere le cose che non vogliamo affrontare.
«Io non ti credo.» Sonia incalza e Sclero non si è sbagliato: difficilmente lascerà perdere una volta ottenuto le risposte desiderate.
«Non credo a nessuno di voi, tranne che a lui» indica Sincero «e come controparte, a lui!» cerca quindi me. Ci mette un po' a capire che mi sto defilando, quando succede tutti i presenti si voltano in massa verso di me.
«Non me ne sto andando» mi esce dalle labbra. «Anzi, vorrei tanto avere questa conversazione per l'ennesima volta.»
«Davvero?» Adoro il tono sarcastico che assume Sonia in momenti come questo. «E avresti qualcosa da aggiungere quindi?»
«No, niente da aggiungere, sai già tutto.»
«Ma stai zitto, cazzo!» Non capisco perché ora Sclero sembra interessato a mantenere certi dettagli segreti con Sonia: non la odia?
«Quindi è vero o no che non te lo ricordi? Che non ti ricordi nemmeno com'è successo?»
Non faccio in tempo a dire che non è vero che le mie orecchie si riempiono del pianto di Strazio e con il rumore di un oggetto che si frantuma. Un vaso si è appena infranto contro la porta di casa e cocci di ceramica bianca stanno danzando ai miei piedi, sul pavimento.
«Ma sei scemo? Potevi prendermi!»
«Dai, sul serio? E io che te l'ho tirato per sgranchirmi il braccio!» Sclero se la ride, come se di nuovo non gli importasse più della mia incolumità.
Era vero anche il pianto di Strazio: sta singhiozzando. La dolce Caterina gli mette una mano sulla schiena, l'amara Caterina commenta con uno schifato: «Tsè!»
«Era un vaso di merda, comunque, non so nemmeno cosa ci facesse qui, sei stato tu, vero?» chiede a Sicuro, «È proprio una cosa da frocio in effetti.»
«Quella parola è offensiva, lo sai?»
«Ovvio, sennò perché la userei per chiamarti, ge-nio.»
Un altro passo indietro, lontano da tutto questo, e con un lento gesto, il più silenzioso possibile, prendo le chiavi della macchina nello svuota tasche all'ingresso.
«Dove vai?» Strazio fa uno scatto verso di me e mi si para davanti.
«Non te ne puoi andare.»
«Vorrei restare, davvero...» mento. Non provo più niente nel farlo, né fastidio né rabbia per la mancanza di controllo sulle mie parole.
Potrei conviverci? Potrei davvero essere la versione opposta di Jim Carrey in Bugiardo bugiardo? Se lasciassi tutti loro fuori e lontano da me potrei vivere comunque bene, anzi sicuramente meglio. Con Serio di nuovo al suo posto non mi manca nulla per trovare un lavoro, fuggire e lasciare tutto com'è, qui. Che si scannino tra loro, non è una mia responsabilità.
«È una tua responsabilità.» Non so se ho borbottato il mio ragionamento o se Strazio mi legge nel pensiero. «Non puoi andare via. E non puoi lasciarmi qui. Sei l'unico di noi a cui importa di me.» Lo guardo, il mio Io più spaventato, più ingenuo, più debole e remissivo. Quello che ha gli attacchi di panico alla Fiera del Fumetto, che non riesce a parlare in pubblico, che mi obbliga ad andare a correre alle cinque del mattino perché dopo c'è troppa gente e lui è troppo timido per incontrarla mentre è tutto sudato e affaticato, scoordinato.
«Devi stare con Sicuro.» C'è ancora qualche traccia della mia sincerità in me. «Con lui non avrai nulla da temere.»
Strazio mi guarda accigliato e tira su col naso, come un bambino. «Lui sa come farci fuori. È qui per questo, Manuel l'ha istruito per questo, mentre a noi non ha detto nulla della storia della matriosca, né di cosa fare per rimettere le cose a posto. Ma Sicuro lo sa, sa quello che fa, sapeva come annullare Serio e ci stava riuscendo con Strazio, dopodiché tocca a me. Beh, se tu rinunci a tornare Uno io non voglio stare qui a farmi eliminare da lui, non voglio sapere come succederà. Ho male, ho paura tutto il tempo e sono triste. Ma la non-vita è peggio di questo. Se tu te ne vai io vengo con te.»
Tende una mano verso lo svuota tasche e prende le chiavi di casa. Il suo gesto purtroppo non è silenzioso come il mio: l'attenzione di tutti gli altri torna su di noi e la porta di casa che sono già in procinto di aprire. Non abbiamo fatto in tempo a sentire l'inizio della risata di Sclero, né le imprecazioni di Sicuro che provava a raggiungerci, le urla di Sonia e Caterina che ci intimavano di fermarci. Strazio ha chiamato l'ascensore, già al piano dall'arrivo di Caterina. Entriamo e una volta che si saranno chiuse le porte andremo direttamente in garage. Sicuro sembra più atletico di noi, di certo è più agile, non avrà problemi a fare i gradini delle scale a due a due, persino a gruppi da quattro, per fare più in fretta; ma dovrebbe fare un giro troppo lungo per raggiungerci, ci troverà già in auto, se non addirittura fuori dal cancello del condominio. Premo il tasto T, ho il cuore in gola: stiamo scappando da noi stessi e dalla fine di questa storia assurda. Se prima avevo il sospetto che avrei potuto dire o fare la cosa sbagliata ora ci sono dentro.
Un attimo prima della chiusura delle porte si infila in ascensore un braccio, seguito dal resto del corpo a cui appartiene, poi le porte si chiudono e inizia la discesa, mentre qualcuno batte alle porte del piano.
«State facendo una cazzata!» sentiamo. Lo so, lo sappiamo. Guardo Strazio, che si mordicchia le pellicine delle dita nervosamente: ah già, lui è ancora claustrofobico. Do poi un'occhiata alla persona che si è quasi lanciata dentro l'ascensore: Caterina. Quella dolce, credo.
«Sapevo che da qualche parte c'era dell'affetto e della simpatia per me» commento.
«Non è vero», mi corregge Strazio.
«Già.»
«Comunque non è per te che sono qui.» Prende la mano di Strazio e gli sorride, lui fa lunghi respiri profondi a occhi chiusi, la paura degli spazi, ora tutta sua, è accentuata, rispetto a prima. «Mancano solo due piani.» Lo conforta e io penso di essere davvero felice di non essere riuscito a filarmela da solo, davvero felice di portarmi dietro questi due casi umani. Davvero per niente.
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