Capitolo 20. Penultimo

Per esserci c'è, e ho la certezza che uccidere Serio abbia in qualche modo rimesso delle cose al loro posto nella mia testa, malgrado io non abbia bene capito come. Davanti a me c'è una ragazza con lunghi capelli neri, un'espressione confusa, spalle piccole e grandi occhi verdi. E io so chi è. Ricordo di averla vista di spalle la prima volta, in mezzo alle sue amiche, di aver desiderato che si voltasse prima ancora di sapere che aspetto avesse il suo viso e di aver sorriso alla conferma che fosse davvero carina. Ricordo la nostra prima conversazione: io devo aver detto qualcosa di molto stupido che deve esserle piaciuto, perché ha riso in quel suo modo naturale e leggero, con quella risata che si dissolve subito, ma che lascia una dolciastra melodia nell'aria. Ricordo il primo appuntamento e il primo bacio, la nostra prima volta e il nostro primo litigio, le nostre prime vacanze, il nostro primo matrimonio e il nostro primo funerale, la nostra prima festa di laurea, la nostra prima cena in famiglia, il primo Natale. Ricordo tutte queste cose e le successive. Serio me le ha restituite, sono di nuovo mie. E ora sento di doverle proteggere e custodire, di non volerle più perdere. Devo esserne il guardiano; nello stesso modo in cui Manuel lo è della sua piccola dimensione, tra una fetta e l'altra del nostro mondo, io lo devo essere della mia piccola dimensione personale in cui esisto.

«Sonia...» la chiamo, ma mi sembra troppo scioccata per darmi retta; il suo sguardo è fisso alla mia destra, nel seguirlo incontro le figure di Strazio e Sclero.

Mi accorgo solo ora che stanno litigando, anche se mi sembra una lotta impari, come sempre tra quei due.

Io e Sicuro interveniamo per separarli e per pochi secondi mi sembra tutto assolutamente normale: Sclero che picchia e insulta Strazio, lui che si difende come può e piagnucola, poi mi guarda con aria supplichevole in attesa che vada in suo soccorso per prendere sue difese. Peccato che niente di questa scena sia normale per chiunque altro, per tutti tranne noi. Lei non è noi e non può capire, non così in fretta almeno, anche se è sempre stata la più intelligente tra i due, quindi tra tutti i presenti.

Ci guarda impietrita, senza quasi sbattere le palpebre: è il suo turno da statua immobile. Se io ho avuto un po' di tempo per abituarmi alla cosa, per razionalizzare, dare più o meno un senso all'accaduto, a lei è arrivato tutto addosso come una doccia fredda; sono preoccupato per il suo stato emotivo, è sempre stata una dal "sto bene" troppo facile, mentre dentro potrebbe andare in pezzi.

«Fatemi mettere le mani su quella stronza!» Sclero mi riporta alla mia bizzarra e difficilmente spiegabile realtà.

È come riemergere da un fondale marino e sentire solo dopo un po' le voci altrui, i suoni nella stanza, intorno a me; fino a qualche secondo fa era tutto ancora ovattato e appannato dal ricordo quel fischio.

«Non puoi! Lasciala stare!» Strazio frigna, leggermente ferito dalla colluttazione con il nostro Io più incazzato.

«Buttiamola di là, così ne verrà fuori un'altra: lasciatemene una! Fatemelo fare, vi prego, poi potrete uccidere anche me come quell'altro, va bene? Lo so che ora è il mio turno!»

Non guarda me mentre lo dice, ma Sonia: prova per lei più odio e risentimento di quello che riserva alla persona che dovrebbe togliergli la vita. Ignoro i motivi e l'origine di questi sentimenti, ma non voglio che me li restituisca, non voglio odiarla, anzi, non vorrei odiare nessuno, se possibile, non vorrei nemmeno arrabbiarmi e agitarmi come fa lui. Sto bene senza di lui.

«Era ancora vivo e voi l'avete ucciso. vero?» mi chiede sottovoce Strazio, che intanto si è avvicinato a me. Un'occhiata alla mia maglietta gli lascia ben pochi dubbi a riguardo.

«Ne parliamo dopo» rispondo con aria colpevole, ma lanciando uno sguardo al vero artefice di quanto successo, a quello che ha guidato la mia mano sul cuore di Serio.

«Stava morendo, abbiamo solo accelerato le cose per il bene di tutti, il suo e il nostro» risponde lui con sicurezza. Prende quindi Sclero per un braccio e lo trascina verso il balcone. È strano come riesca a farsi ubbidire e allontanare la sua furia da questa stanza senza sforzo.

Approfittando del momento, Strazio può finalmente darsi alla fuga: corre in bagno e si chiude dentro. So che ha paura di tutti noi, di quello che va fatto per tornare ad essere uno, degli attacchi di Sclero, del nuovo arrivato, che per quel che ne sappiamo potrebbe essere persino peggiore degli altri (e in effetti è l'unico che sia riuscito a ucciderne uno, con una forza nell'affondare quel maledetto coltello che io, Serio e persino Sclero non avremmo mai avuto), paura della nostra ex.

Eppure, non si può dire che abbia tutti i nostri timori, perché sono abbastanza in ansia ora, in silenzio, in piedi davanti a lei.

Vorrei che Sicuro non fosse mai venuto fuor e avere ancora un po' di coraggio per parlarle, darle le risposte alle domande che sicuramente si sta ponendo, ma che non osa pronunciare.

È tutto troppo assurdo per esprimerlo a voce alta, lo so. È anche per questo che analizzo mentalmente ogni piccolo sviluppo, per convincermi che sia vero. Un po' come proprio quel nostro primo bacio con lei, che rivivevo nella mia mente nei giorni successivi continuando a pensarci.

Ora invece riesco solo a mormorare, senza guardarla in faccia: «Ti avevo dimenticata».

Sta guardando un punto imprecisato a mezz'aria tra me e lei, ma alle mie parole alza improvvisamente lo sguardo sul mio viso. La sua espressione cambia, eppure non riesco a interpretarla: questa particolare codifica dev'essere una delle informazioni perse.

Questa volta non ride come la nostra prima conversazione, resta seria, in attesa forse che io dica qualcosa di più sensato, come se fosse possibile.

«Io, un altro me... vedi, Sonia il topo...» borbotto, patetico. Comunque, meglio che la mia parlantina da imbarazzo, quella che fa dire sempre troppe cose, spesso quelle sbagliate, altrettanto spesso dette nel peggior modo possibile.

«Dunque... poi c'è Sclero, che è il secondo, abbiamo ucciso Serio che era il primo, ma dopo che mi ha accoltellato», e come se potesse avere un senso e fosse facile seguire questa sottospecie di sfilacciata sequenza degli eventi mi alzo la maglietta e mostro la cicatrice sul fianco, unica prova effettiva a supporto di ciò che sto cercando di riassumere.

«E poi c'è anche Strazio, quello in bagno, e l'ultimo, che sarebbe Sicuro, anche se forse gli starebbe un nome tipo Spaventoso, visto che mi ha preso la mano e... niente, lascia stare. Ma se ci pensi anche su Serio ci eravamo sbagliati e sarebbe stato meglio Stronzo come nome, ma diciamo che se ci dobbiamo basare solo sulla prima impressione e non su come si rivelano alla fine, allora è giusto così. Ah, e io sono Stanco, perché ovviamente questa cosa mi ha provato parecchio.»

Eccola, la parlantina da ansia. Puntuale come sempre. E poi che cosa sto dicendo? Davvero il modo in cui abbiamo deciso di chiamarci è la primissima cosa di cui parlarle?

Continua a guardarmi e ho l'impressione che sia in attesa e che se dipendesse da lei mi lascerebbe dire tutto ciò che mi viene in mente sulla stramba situazione in cui ci troviamo; l'attimo dopo, con la stessa certezza ferrea, sono in realtà persuaso che non mi stia prestando la minima attenzione e che non abbia sentito nessuna delle mie parole. E forse quest'ultima ipotesi non sarebbe del tutto un male.

«Sonia mi stai ascoltando? So che sembra tutto pazzesco, e lo è davvero. Però ho bisogno che resti lucida e concentrata.»

La mia Unità Anticrisi. Lei non perde mai la calma, lei ha sempre una soluzione pronta, lei trova il modo di uscirne.

«Sonia» ripeto, vicino alla disperazione. Serio non avrebbe dovuto chiamarla, lei non può affrontare questo disastro, non è nemmeno più tenuta a farlo. L'ha fatto convinto che noi saremmo morti oltre il portale, che non avremmo mai fatto ritorno. Il suo piano era provare a riconquistarla? Ci sarebbe riuscito? Mi sembra improbabile, ma in questo stato sono davvero in grado di stabilire cosa possa esserlo davvero, probabile?

Poi mi spiazza. Sono pronto a rispondere a diverse questioni, a dirle tutto ciò che so e ci ho capito finora, finché lei mi interroga su qualcosa che non ha a che fare con ciò che ho scoperto e che mi è stato spiegato, ma che con tutta questa serie di vicende ne condivide l'essere al di fuori del mio controllo: «Perché sono qui?»

È qui perché uno di noi ci voleva riprovare con lei, mentre un altro di noi vorrebbe farle del male, l'altro ancora la teme e io l'avevo dimenticata.

«Non lo so», mento con una naturalezza che mi turba qualche istante. A grandi linee credo di essere in grado di spiegare perché lei è qui, allora per quale motivo rispondo di getto con una simile bugia?

«Non mentire!» Sembra si sia ripresa dal suo torpore, ora. Quando si tratta di darmi il tormento per uno sbaglio commesso, non c'è trauma che tenga o fenomeno paranormale quasi inspiegabile che la possa distrarre.

«Non sto mentendo» mento ancora.

Scuote la testa. Brutto segno, questo lo riconosco. Se Strazio non si fosse chiuso in bagno adesso inizierebbe a tremare, sono certo che la Sonia arrabbiata lo terrorizzi più di quella che gli ha spezzato il cuore.

Sto iniziando a considerare faticoso, per un essere umano, contenere tutti questi sé, farli venire fuori all'occorrenza, come leggere di volta in volta il valore di una sola faccia di un dado, quella che si vede dall'alto, mentre gli altri lati restano in ombra in attesa del lancio successivo. In quest'ottica il mio incubo vivente di questi giorni è quasi una liberazione. Ma dura solo per qualche istante alla volta, poi torna il solito orribile sogno da cui non riesco a svegliarmi.

«Sì, stai davvero mentendo.»

Me lo aspettavo, solo non subito. Gli altri prima di lui se la sono presa più comoda a venire fuori; forse gli ultimi sono stati spinti da Manuel a fare in fretta. Devo ancora sapere di cosa ha parlato con Serio e Sclero prima di lasciarli passare di qua. Se il tempo è passato sette volte più velocemente avrà avuto diversi giorni con uno e almeno mezza giornata con l'altro.

Mi mancava la mia logica, l'essere presente a me stesso. Posso godermi questa piccola vittoria solo qualche secondo, perché ora che è sparita la mia tendenza a distrarmi non mi sfugge che Sicuro non è più l'ultimo arrivato a tutti gli effetti: ce n'è un altro subito dopo e ha appena detto qualcosa.

Mi volto per osservarlo meglio, sperando di interpretarne correttamente la personalità al primo colpo dal suo modo di fare. Ci si potrà fidare di questo?

Sembra leggermi nel pensiero e sorride a sua volta, di un sorriso più puro e genuino di tutti quelli che ho sforzato fino a questo momento: «Ci si può fidare di me» asserisce con un'ostentata fierezza che mi infastidisce all'istante. «Io non mento, sento di non esserne capace» aggiunge, Sincero.

Ed ecco che, dopo essere diventato un codardo, ora sono anche un bugiardo. Fantastico, non potrebbe andare meglio di così, e non fa per niente paura. Ovviamente sono sarcastico. Ovviamente non è vero. 

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