Capitolo 19. Pomodori

La Campagna dei pomodori sembra un lavoro stagionale fatto apposta per i giovani studenti, anche se in realtà il contratto dura da luglio a settembre per seguire il ciclo di maturazione di raccolta del pomodoro. Questo non lo rende comunque meno comodo o appetibile per quei giovani studenti che ogni anno inviano Curricula nella speranza di essere assunti in uno degli stabilimenti in cui si producono salse, sughi e pelati. Nell'estate tra l'ultimo anno di liceo e il primo di università, sono stato uno dei tanti che, su turni di sei ore, ha lavorato per tre mesi in una di quelle aziende. In dotazione avevamo tutti vestiti completamente bianchi: ciabatte di gomma, cuffietta monouso, t-shirt, felpa e giacca di cotone per i turni di notte o le giornate piovose di fine agosto. Per le prime tre settimane, assegnato al reparto imballaggio brick, ho visto ben poche salse e nessun pomodoro. Una bella mattina mentre mi avvio alla mia postazione, un superiore mi guarda come se non dovessi essere lì.

«Non dovresti essere qui.» Così, per togliere ogni dubbio. «Non ti hanno chiamato ieri sera? Oggi la linea è ferma, non dovresti essere qui.» Okay amico, questo lo hai già detto.

«Quindi che faccio, me ne torno a casa?» Sei ore in meno di paga, penso, ma anche un giorno di riposo, magari vado in piscina.

«Ma no dai, ormai sei qui. Aspetta un attimo che ti trovo un posto.»

"Un attimo" è quasi un'ora, che passo nel cortile interno della fabbrica; un'ora pagata comunque, quindi non mi lamento. Alla fine, il tizio torna da me con dei guanti e uno spesso grembiule, entrambi di gomma, e degli occhiali di protezione in plastica. Indosso i panni del macellaio e lo seguo attraverso delle tende anch'esse di gomma, fino ad una sala rumorosa quanto una stazione, maleodorante e fumosa: la cernita. Il lavoro che mi spiega è semplice, nonostante i decibel del rumore di fondo capisco al volo: sui nastri di cernita a rullo passano i pomodori bollenti, bisogna prendere velocemente quelli che a prima vista non sembrano buoni, insieme a eventuali rametti, foglie o tutto ciò che è diverso da pomodoro, e farlo sparire nella feritoia sotto il rullo. L'ho già detto che i pomodori sono bollenti? E che mi sono gommato di tutto punto? Anche. Nonostante la mia bardatura afferrarne uno rovente con troppa decisione lo fa esplodere sotto la pressione delle dita e crea un proiettile liquido che schizza, per la legge di Murphy, in un punto di pelle scoperto, come la guancia, la fronte, il collo. Alla fine di quelle sei ore, le più lunghe ore della mia carriera lavorativa in quello stabilimento e ovunque io abbia mai lavorato, di spazio bianco sulla divisa ne rimane, malgrado le varie coperture, davvero poco.

Schizza così, il sangue di Serio: come un pomodoro preso con troppa decisione sul nastro di cernita nella Campagna del pomodoro di dieci anni fa. Piccole gocce rosse mi puntinano il viso, mentre getti più forti vanno anche più alto.

Io davvero non vorrei perdere di nuovo i sensi, non mi piace spegnermi e poi riaccendermi quando le riprese si sono spostate altrove; ma questa scena è davvero splatter e l'alternativa allo svenimento è dare di stomaco.

Il nuovo arrivato invece sembra completamente a suo agio mentre il cuore di Serio erutta sangue sulle nostre mani: guarda, lui. Non in modo morboso e da maniaco, come farebbe Serio a parti inverse, ma di certo attento.

Provo a indietreggiare, lasciare la presa sull'arma e scivolare via da questo incubo alla Carrie - Lo sguardo di satana, ma appena percepisce le mie intenzioni Sicuro stringe la presa sul mio pugno chiuso e mi impedisce la fuga. Sono troppo debole e mentalmente provato ora per lottare. La sola cosa che posso fare è chiudere gli occhi, non guardare.

Ecco, ora ho cambiato idea, voglio fare quello che sviene di nuovo. Perché non sto svenendo? Allora se devo restare sveglio voglio essere la statua di Condillac, faccio appello a Phoenix che combatte con Shaka della Vergine. Perché devo sentire il rumore che fa un cuore che perde da un buco, un uomo che muore, un fischio... un fischio di cosa? Che cos'è questo fischio?

Quando riapro gli occhi non vedo nulla: il buio ha risucchiato la debole luce che illuminava questa zona, siamo tornati al vuoto dimensionale che ho percepito le prime volte, ancora ignaro che qui dentro ci fosse tutto questo spazio tra il mio portale e l'uscita sul retro (altra cosa che ignoravo). Stabiliamo che il portale che dà su casa mia sia un arbitrario Nord, la porta sul retro Sud, quello che ancora non so è quanto sia vasta la fascia di questo mondo intermedio da Est a Ovest. E il tempo scorre in modo diverso? Quali sono le regole della fisica applicabili da qui dentro? Sono tutte domande che mi sono già posto, devo aver scritto qualcosa a riguardo su quella agenda... devo aver letto qualcosa... ma cosa?

Credevo che uccidere Serio mi avrebbe ridato la mia lucidità mentale, i ricordi che si è preso, Sonia. Invece ho gli stessi buchi di prima.

«Non ha funzionato. Qualsiasi cosa fosse non ha funzionato.» Sospiro. Non credo mi riprenderò mai dalla scena di poco fa, e se qui ci fossero Sclero e Strazio, come da copione, uno sclererebbe e la compagnia dell'altro sarebbe straziante. Com'è possibile che io senta la loro mancanza? Mi sono abituato alla loro fastidiosa presenza? C'è da dire che in effetti sono con me da sempre, in qualche modo.

«Invece sì» la voce di Manuel, avvolta nell'oscurità, mi contraddice.

«In che modo? Lui è morto e io non ho riavuto indietro ciò che mi ha preso!» protesto debolmente. Sono stanco. Stanco di nome e di fatto.

«Devi solo riavviarti, come un PC» scherza. Lo sento che scherza, ma io non credo ci sia molto da ridere.

«Mi devi delle risposte. Basta parlare a enigmi, non ho ancora molti viaggi da queste parti a disposizione ma so che è da questa parte del passaggio che trovano risposta tutte le domande nate dall'altra. Sembri volermi aiutare, allora perché non rispondi e basta? Perché non mi lasci capire come funzionano le cose e mi permetti di provare a risolverle? Di fare a modo mio?»

Rimane in silenzio per qualche secondo, lo sento solo sospirare, rovistare nella sua mente in cerca di parole più gentili di quelle che alla fine gli scivolano dalle labbra: «Non hai la capacità di capire, e non perché con il primo viaggio hai perso lucidità mentale, ma perché non ne sei in grado. Non c'è nemmeno il tempo per farlo. Tu non hai tutto il tempo del mondo, lo sai vero?»

Sì, lo so. Mi sembra di stare su un piano inclinato, rincorso da gigantesche sfere metalliche che in realtà mi ignorano del tutto e rotolano per i fatti loro, solo che per mia sfortuna lo fanno nella mia direzione.

«Ma qui dentro il tempo passa in modo diverso!» Credevo che alzandomi per fronteggiarlo mi avrebbe dato più sicurezza, ma non è così.

«E con questo?» Manuel inizia a camminare e invece di fermarlo gli vado dietro, ripercorrendo i suoi passi in modo incerto. L'ultimo me, presumo, ci segue.

«Voglio sapere perché. Anche se pensi che io non possa capirlo, spiegamelo lo stesso. E dimmi per favore quanto tempo passa qui dentro per ogni minuto trascorso là fuori.»

«Sette», risponde secco, «il rapporto è di uno a sette.»

«Chi lo ha calcolato?»

«Hai sentito cos'ha detto il tuo amico prima di morire, no? Ha parlato di mio padre. E hai anche trovato gli articoli riguardo la mia scomparsa di un paio di anni fa... quand'ero adolescente.»

Sembra sottolineare quest'ultima parte, come se davvero non fossi in grado di moltiplicare per sette gli anni che aveva quando è stato dichiarato ufficialmente scomparso per un paio di unità. Li ha passati tutti così?

«C'era anche la notizia del tuo ritrovamento, un paio di settimane dopo la tua presunta scomparsa. Nessuno sapeva spiegarsi dove fossi stato, eri in stato confusionale, non sembravi nemmeno tu.»

Gli sto dicendo tutte cose che già sa; ma le prime notti nella nuova casa, in preda all'agitazione e alla frenesia per la scoperta sui tre topolini, i dettagli della sua vicenda avevano assunto connotazioni macabre e misteriose. Adesso mi sembra tutto estremamente più chiaro.

«È tornata solo una parte di te, perché?»

Nel buio completo il silenzio sembra più lungo del normale, ma poco dopo viene interrotto da quello che credo sia un abbozzo di sorriso, seguito dalla sua voce ora più triste: «Perché gliel'ho permesso. Non avevo idea di come funzionasse questo posto, ero troppo giovane e spaventato, all'oscuro di tutto; ma una parte di me sembrava avere tutto chiaro sin da subito: ecco, era un po' come il tuo Serio, se vogliamo fare un paragone. C'è voluto del tempo per capire e altro tempo per rimettere le cose a posto, come potevo. E poi ancora tempo ulteriore per sorvegliare il passaggio. Fino a un certo punto ho osservato il lavoro di mio padre, le sue pubblicazioni. Dove lui costruiva io distruggevo, dove lui posizionava io spostavo. Non da solo, certo, non avrei potuto, da qui. Sembra che, per quanti sforzi io possa aver fatto, certe cose, come questa dimensione, non possono essere distrutte del tutto, solo rimpicciolite, tappate, nascoste. Ho fatto del mio meglio, sono riuscito a rendere il passaggio così piccolo da lasciar passare a malapena un topolino, eppure eccoti qui.»

Ora mi fa sentire in colpa. La mia curiosità ha mandato all'aria tutto il suo lavoro di questi anni?

«Mi dispiace.» Non sono mai stato bravo a scusarmi, lo faccio sempre per formalità, senza crederci fino in fondo, e ora non sto facendo eccezione. Sembra che se accorga, ma anche che non gli importi della mia sincerità, né delle mie scuse in generale.

«Many Interacting Worlds, questa la teoria su cui mio padre lavorava: la probabilità che si crei una nuova dimensione ad ogni tentativo di viaggio temporale, e che tra questi mondi agisca una forza repulsiva. Beh, noi siamo la prova che aveva torto, ma anche che aveva ragione.»

«Come il fatto che tu sei ciò che noi siamo adesso, ma che non sei più? Ho detto bene?»

Mentre sorride alle mie parole, che citano testualmente il modo in cui lui stesso si è presentato, i miei occhi iniziano a definire le nostre sagome all'interno di quello spazio vuoto.

«Questa è una dimensione creata da un esperimento?»

«Non creata, io ci sono finito dentro per errore, più o meno...»

Mi lascia ancora dubbioso. Ho bisogno di sapere altro, su me e gli altri me, su suo padre, gli esperimenti, il suo metodo di rimettere tutto a posto... ma la luce che si fa strada tra le nostre figure sembra spingermi verso la porta che dà al mio appartamento, dove ho lasciato in sospeso molto più di una chiacchierata pseudofilosofico-scientifica. L'oscurità è complice della calma, la luce della fretta, dell'agire.

Faccio un passo verso il portale. Non ho il coraggio di guardarmi addosso perché so di essere ricoperto di sangue, mi volto quindi verso Sicuro e gli riservo un sorriso amaro cercando un altro argomento, uno qualsiasi, che non riguardi nulla di cruento, che non ricordi la Campagna dei pomodori.

«Lei sarà lì. Cerca di non metterti a fare il figo per fare colpo», ironizzo.

Lui ricambia, ma senza amarezza, piuttosto con un'espressione quasi derisoria, beffarda.

«Lei? Non mi interessa, io sono gay.»

Lo sto ancora guardando incapace di replicare, quando mi spinge verso il portale e poi letteralmente attraverso esso.

Sto ancora cercando di dare un senso al fatto che la parte più coraggiosa di me sia gay, quando mi ritrovo di nuovo nel mio appartamento. La scena è molto diversa dall'ultima volta in cui sono saltato di là. E per esserci, Sonia c'è.

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