Capitolo 16. Oracolo
Una bugia Strazio la preferirebbe, lo so, lo conosco bene. So perfettamente chi è, quale parte di me. Quello che ha detto Sclero poco fa, ovvero che una volta divisi ognuno sarà libero di fare la propria vita, è un paradosso irrealizzabile sotto tutti i punti di vista. Ho già considerato (e sono più che certo di averne scritto sulla mia agenda degli esperimenti) le possibili implicazioni che la scoperta di una tecnologia del genere, se di tecnologia e non di qualcosa di paranormale si può parlare, potrebbe avere. Il possibile utilizzo sconfina in campi diversi, ma le implicazioni etiche sono così enormemente inedite e straordinarie che non riesco a risolvermi nel giudicare un bene o un male ogni potenziale tipo di utilizzo.
- Campo medico. È il primo a cui ho pensato, e non per via di Grey's Anatomy, né per la mia ipocondria, che sospetto ora sia tutta di Strazio. Donazione di organi perfettamente compatibili, non fa una piega. Già ma a che prezzo? Vivere senza un lato della propria personalità è sempre meglio che morire in attesa di un trapianto, ma che farne del donatore dopo l'espianto? E sarebbe poi un sistema egualitario e democratico? No. Pericoloso.
- Campo militare: un esercito di pupazzi di carne. Pericoloso.
- Campo politico: sosia del presidente. E di chi altro? Pericoloso.
Questi sono solo quelli su cui ho fantasticato di più, ma sono certo di avere ipotizzato molti più impieghi e tutti, alla fine, hanno portato, come minimo comune denominatore, a un'unica parola: pericoloso. Ho valutato diversi scenari in cui Corpi Speciali di qualche Ente Governativo irrompono in casa mia, sigillano il portale, ne prendono possesso, e io finisco sotto copertura in una casa nuova di zecca fornita direttamente da loro. Nella mia testa va tutto in scena come se fosse un film americano. Gli agenti indossano berretti militari e casacche blu con grosse sigle in lettere bianche, tipo FBI. Nella realtà, la mia realtà tutta italiana, ci sarebbe con più probabilità un nastro giallo/nero a metà della stanza, dei segni a terra fatti con il gessetto. Fine.
Già, la realtà. Se c'erano dei dubbi sull'effettiva manifestazione nel regale di ciò che sto vivendo, sono spariti quando ho iniziato a sanguinare; anzi, quando ho ricevuto il primo pugno da Sclero. Secondo questa logica è il dolore la discriminante per stabilire se una cosa sia reale o meno: se fa male, esiste. Ma sarà valida anche per i sentimenti? Ho sofferto per questa Sonia? Provavo ancora dolore per lei quando è arrivato Serio? Se si è preso anche la sofferenza insieme a quello che restava del mio amore per lei, pacchetto completo, una parte di me non esiste più?
«Sei con noi?» Mi distrae dalla mia solita catena di pensieri una voce che ne spezza l'ultimo anello. La voce appartenente a un tale che ora so chiamarsi Manuel, di cui ho letto degli articoli di cronaca.
«Sì, scusa. Sai quanto è passato intanto, dalle nostre parti?»
«Sì,» mi risponde lui, se così si può dire, visto che mi dice solo questo, senza indicazioni su ciò che ho chiesto, ovvero quanto tempo sia trascorso. Nel silenzio e nella semioscurità la sua voce sembra quasi avere un peso: le parole restano come sospese nell'aria per qualche secondo, prima di lasciarsi cadere a terra. Con le voci di noi altri, uguali seppur diverse, non succede.
«Perché non sei tornato?» Fa spallucce. Lo vedo appena, ma ne sono sicuro. E credo stia facendo uno di quei sorrisi un po' amari e un po' malinconici che amano tanto le donne, un certo tipo di donne almeno. Sorrido anche io adesso, pensando a lei, a lei che ho perso e che non ricordo lucidamente, ma per cui sembra io conservi ancora dei sentimenti dentro di me, mescolati a una punta di dolore residua. Per fortuna, penso.
«È passato troppo tempo, e sono uscito troppe volte. Sono sicuro che ci hai pensato anche tu, sai cosa voglio dire.»
«Sì,» rispondo di getto, «mi sono chiesto anche io quante "copie" possano essere fatte prima di...» cosa stavo cercando di dire? Ah, sì, «prima di rompere lo stampo.»
«Già, il problema è che lo stampo, come lo chiami tu, non copia, non moltiplica, semmai l'inverso: divide, sottrae, sbiadisce.»
Anche questo l'avevo già capito, non sta aggiungendo molto alle conclusioni che avevo più o meno già raggiunto. Eppure, nell'accompagnarmi qui Sclero aveva un'aria grave e preoccupata, come se fosse certo che la sua sopravvivenza dipendesse da questa conversazione. Ah, no, un attimo: mi pare che questo me l'abbia proprio detto chiaramente, se non erro.
Il tizio davanti a me però continua a girare intorno alla questione, per nulla intenzionato a raccontarmi cosa sia questo luogo-non luogo, come ci sia finito e perché; sembra piuttosto in attesa che gli venga posta la domanda giusta, esattamente come ogni oracolo che si rispetti. Ecco, forse ce l'ho: «È reversibile?» Sì, eccola, è lei. È la frase giusta, lo sento chiaramente rilasciare un sospiro che evidentemente tratteneva da un po'.
«Sì, lo è. Ma c'è un modo giusto e uno sbagliato. Entrambi hanno delle conseguenze, ma quello sbagliato non funziona.»
«Ma non mi dire! Se è sbagliato ci sarà un motivo!» Con questo intervento Sclero frantuma la sacralità del momento, ma dà voce a un pensiero che a grandi linee ho avuto io stesso. È come dire che una cosa rotta non funziona, è un... sono certo che esita un termine, una figura retorica con un nome preciso; forse lo sanno gli altri.
L'intervento di Sclero mi fa anche capire che i due alle mie spalle sono in ascolto dall'inizio, in religioso silenzio, almeno fino a questo punto. Realizzo così che hanno paura, molta più di quanta ne dovrei avere io, molta più di quanta naturalmente ne dovrebbe provare Strazio, data la sua indole.
Il mio interlocutore sembra offeso, ma solo per qualche istante. «Sì,» ribadisce con il tono di chi ignora una battuta stupida che proviene da qualcuno considerato intellettivamente inferiore, «ma ciò che non deve sfuggirti è che anche quello che funziona ha delle conseguenze.» Lo guardo, sempre per quanto mi sia possibile metterlo a fuoco nell'ombra, in attesa che chiarisca meglio il concetto: «Effetti collaterali, come un farmaco» e lui fa l'esempio perfetto per uno come me.
«Ok, ora ti seguo. Spiega.»
«Non è difficile. Hai presente come funziona una matriosca?»
Credo sia una domanda retorica per la quale non sia necessaria una vera risposta, ma mi sbaglio, visto che non continua finché non rispondo: «Certo».
«C'è una bambola più grande che contiene una più piccola, che a sua volta ne contiene un'altra e un'altra ancora.» Rispondendo "certo" credevo mi sarei risparmiato la spiegazione sul funzionamento della bambola russa, ma a quanto pare non è così, gli piace davvero glissare completamente sugli argomenti rilevanti e rafforzare, di contro, i concetti più ovvi. Continua ad essere l'uomo ideale per quel certo tipo di donne. «Se procedi all'inverso, capirai che all'ultima bambolina, la più piccola, manca ciò che ha quella appena più grande, e così via. Quando è arrivato lui,» continua indicando Strazio, «già ti mancava quello che aveva preso il tizio che è rimasto a casa», spiega riferendosi a Serio, ora. Sonia, la concentrazione, la capacità di pensare con lucidità.
«E lui», indica Strazio, «è privo di alcuni aspetti degli altri due, perché è arrivato quando le loro peculiarità non c'erano più.»
«Okay...» Sto davvero seguendo la sua spiegazione, non come quando fingevo di capire cosa mi stesse spiegando Serio.
«Se ci fosse un modo per rimettere le cose a posto, si dovrebbe fare tutto nel giusto ordine: la bambolina più piccola non può contenerne una più grande, finirebbe per spezzarsi nel tentativo. Devi recuperare le bambole più piccole nell'ordine in cui sono saltate fuori, capisci?»
Capisco, in linea generale. «Ma come?»
«Devi partire dal primo, ovviamente. Portalo qui.» Con il primo intende il tizio che mi ha accoltellato, ha colpito Sclero e ha deciso probabilmente di sostituirsi a me nella mia vita. Lucido, calcolatore, freddo, ossessionato da Sonia e dalla possibilità di riconquistarla?
«Se è come dici tu, se funzioniamo come quelle cavolo di bamboline russe, perché oltre a Serio anche Sclero si ricorda di Sonia, mentre io no? In teoria se una cosa l'ha presa il primo, gli altri dopo di lui non dovrebbero averla.»
Lo sento sorridere di fronte ai nomi che ci siamo assegnati e indovinare a chi si riferiscono, rispettivamente.
«Serio, come lo chiamate voi, ne ha preso solo una parte. Da quello che ne è rimasto ha attinto prima Sclero, poi Strazio. Non è detto che non ne sia rimasto nulla, semplicemente è più difficile per te da mettere a fuoco, ti sono rimasti dei frammenti, le briciole.»
Mi volto verso il me stesso terrorizzato e lo vedo annuire e poi ammettere a bassa voce: «Io non voglio vederla, non portatela da me vi prego, non voglio parlarle». Era scontato che un confronto con lei lo terrorizzasse.
Ho ancora tante domande, sulla natura di questo luogo, sul rapporto tra tempo passato qui e fuori, su Manuel stesso, sul perché non mi abbia parlato la prima volta, su che fine abbiano fatto gli altri Manuel, sull'uscita sul retro, sul procedimento preciso per rimettere le cose a posto, per quanto possibile, sul tempo che lui ha passato con Serio. A lui ha spiegato tutte queste cose? Non so quanto tempo abbiamo, ma inizio a sottoporgli i miei dubbi come mi vengono in mente, nell'ordine di priorità sbagliato. «Hai detto tu al primo di accoltellarmi?»
«No,» risponde subito, «è stata una sua iniziativa, ha travisato le mie parole o ha voluto fare di testa sua. Non gli avrei mai lasciato intendere che ucciderti potesse essere una buona idea.»
«Allora forse non avresti dovuto dirgli che sarebbe morto per primo, magari! Qualcosa mi dice che potrebbe essere stato un buon movente, una scusa legittima per travisare, non credi?» So di averlo indispettito e temi che sarà meno disponibile a darmi altre risposte, ma temo di non poterlo scoprire ora: un rumore ci distrae e ci fa voltare tutti e quattro contemporaneamente in un'unica direzione. È il portale, la breccia. Qualcuno di là sta facendo qualcosa contro la superficie che ci separa da casa mia, sta cercando di chiudere il passaggio.
«Andate,» ci sentiamo dire a voce più alta.
«Ho ancora altro da chiederti, ne ho bisogno, davvero! Se ora vado, posso tornare? Quante volte prima di...»
«Almeno una, per portare qui il primo.» Ci sta letteralmente spingendo verso l'uscita che dà su casa mia.
«Ora ne verrà fuori un altro. Cosa mi devo aspettare?»
«Questo non lo so, penso che sia diverso per ognuno, ma gli darò delle informazioni per te, se capirò di potermi fidare di lui.»
«Puoi fidarti di lui, voglio dire, sono un tipo di cui ci si può fidare.»
Ma Serio, a pochi metri da noi, sta spostando davanti alla breccia qualcosa che, dai rumori che produce, ha tutta l'aria di essere un mobile, dando dimostrazione dell'esatto opposto: non sono poi così affidabile, considerato quanto poco ci si possa fidare di almeno una parte di me. E mi sento come un bambino che, con la bocca e le mani ancora sporche di cioccolato, nega di aver mangiato la Nutella.
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