Quanto misura l'area del cerchio?

Fa un caldo atroce, pensa George. Le pareti della piccola, maleodorante classe si stanno stringendo attorno a lui, che fatica a respirare, l'aria gli ostruisce le vie aeree, e la sua faccia diventa paonazza – per il calore o per la vergogna, non si saprebbe dire. Entrambi, molto probabilmente.
Gli sudano i palmi delle mani, gli suda la schiena, gli suda la fronte, gli sudano le ascelle, sente un fastidioso prurito in mezzo alle gambe, ma non può di certo tirare fuori l'uccello davanti a tutti i suoi compagni e mettersi a grattarsi le palle come un povero cane randagio, pulcioso e pieno di infide zecche che gli succhiano il sangue da sotto la pelle; no, non può proprio farlo, e gli tocca tenersi il pizzicore. Gli dà fastidio il sole in faccia e la voce spazientita del professore mentre gli domanda quanto misura l'area del cerchio e il gesso bianco che gli sporca i polpastrelli e il ciuffo di capelli che sente appiccicato fra le rughe d'espressione formate sulla sua fronte madida.
George non ne può più: quando finirà? Quando?, si chiede, e si risponde pure da solo: mai, probabilmente.
Oppure in cinque maledetti minuti, ma che gli sembrano davvero una vita intera; sente che potrebbe diventare vecchio, lì in piedi, a spostare il peso da una gamba all'altra nel vano tentativo di far girare il cervello nel verso giusto, inclinando la testa leggera prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, e poi nuovamente a sinistra, ma ah, fanculo!, lui la matematica non l'ha mai capita, è troppo oltre per potersi limitare ad essa. Il cervello gira, ma non segue i numeri, nossignore, e percepisce addosso gli sguardi derisori dei suoi amici peggio del sudore e dell'olio che liberano i pori aperti della sua pelle unta.
Che poi, chiamarli amici è già troppo – George li odia tutti, dal primo all'ultimo: odia quella troia di Cassidy, che dopo avergli preso l'uccello in bocca è andata in giro a dire che c'aveva le verruche sulla cappella, odia lo psicopatico sessuale di Malcom, odia William che fa il leccaculo a tutti gli insegnanti (ma lui lo detestano tutti), odia Bella, odia Jake, odia Lara, di cui è stato innamorato ma che poi l'ha deriso quando si è sparsa la voce delle verruche, odia Ben, che si diverte a chiamarlo ciccione malformato, odia la bionda ossigenata di Allison, odia Clarke (il migliore amico di Ben), odia Brandon, quel pazzo suicida che scherza sulla morte e che crede di essere il Re di New York, e così via, fino alla fine della lista.
Li ode ridacchiare, bisbigliare, parlottare, sussurrare, i più spavaldi alzano la voce e il sarcasmo trabocca dalle loro parole crudeli, e George ha caldo, sta sudando, il cervello gli è completamente morto, ed è rimasto solo e nudo difronte ad una platea di spettatori divertiti e cattivi.
Il professor Smith non gli dà tregua, rimandarlo al posto con una F è fuori discussione: pare contento del risultato che sta ottenendo con il trastullo evidente dei suoi alunni rimasti seduti al sicuro dietro i loro banchi, e c'è da dire che deridere quell'ignorante di George è uno dei suoi passatempi preferiti. No, troppo facile rimandarlo al posto con una F.
Dal canto suo, a George viene da piangere. E non uno di quei pianti che si fanno per via della tristezza, o per via di un dispiacere, o per via della paura... a George viene da piangere dalla rabbia che sente salirgli per i tubi del corpo, dallo stomaco all'esofago, assieme al sapore acido e rivoltante della bile verdastra che vorrebbe tanto sputare in faccia a quei bastardi dei suoi compagni e al professor Smith.
Ma no, quale sputo! Lui vorrebbe vederli soffrire dal primo all'ultimo, quei bastardi.
Vorrebbe cucire le labbra a Cassidy così da impedirle di sparare altre stronzate sul suo conto, annodare il pene a Malcom, chiudere William in uno sgabuzzino buio e lasciarlo lì per giorni a marcire nel suo stesso piscio, e poi vorrebbe che Bella e Jake fossero bocciati, che Lara s'innamorasse di lui per poi riderle in faccia, che Ben ingrassasse di cinquanta chili, vorrebbe strappare i capelli biondi di Allison e rasare le sopracciglia a Clarke, e vorrebbe infine che Brandon morisse schiacciato da un taxi giallo guidato da un ciccione ubriaco alle tre di mattina.
La bile fa il suo corso, ma non la sputa in faccia al professor Smith, nonostante se lo meriterebbe: quando la sente arrivargli in bocca, amara e disgustosa proprio come quel vecchio porco che ha davanti, George chiude gli occhi e la rimanda giù, da dove è venuta, deglutendo con fatica e rabbrividendo al bruciore che sente poi in gola, allo scendere del liquido.
Guarda il professor Smith dritto in faccia, penetrando i suoi occhi neri; neanche si ricorda la domanda che gli aveva posto all'inizio dell'interrogazione (qualcosa tipo quanto misura l'area del cerchio), e, nel frattempo, i numeri dell'equazione scritti con la sua grafia alla lavagna continuano a girare, senza il minimo senso o coerenza.
Quando finirà? Quando?, si domanda, ancora, eppure ora non sa darsi una risposta. Il prurito alle palle sta diventando pressoché insopportabile, cosa che prima non reputava umanamente possibile, e adesso pensa solo a come potrebbe evolversi quel prurito fra cinque, dieci minuti, se non si gratta subito.
Oh Dio.
E poi li sente, quei bastardi seduti al loro posto, li sente che lo stanno guardando, li sente passare allo scanner i suoi chili di troppo che risaltano dalla sua maglietta verde da sfigato, li sente e vorrebbe solo proteggere il suo corpo dai loro sguardi nocivi, vorrebbe cavare gli occhi a tutti quanti, quei bastardi...
La bile risale, ma stavolta George non riesce a fermarla. Non ne ha la forza.
La bile risale; stomaco, esofago, faringe, tocca l'epiglottide, la gola, infine la bocca, e George lascia uscire tutto senza opporre il benché minimo segno di resistenza. Perché mai dovrebbe, poi? Si sente di vomitare, e quindi? Tanto, peggio di così non può andare.
La classe scoppia in un fragoroso clamore: i maschi ridono, gridano e insultano, le femmine si voltano dall'altra parte e si tappano il naso. Il professor Smith sbianca di colpo, e con un cenno congedante dice: «Vatti a pulire, Anderson, per l'amor di Dio!»
George non se lo fa ripetere due volte, e sfreccia fuori dalla classe soffocante senza proferire parola.
Nei corridoi non c'è anima viva, così come non c'è nessuno nel bagno dei maschi, e il ragazzo si sente subito più sollevato. Si avvicina al lavandino senza osare guardarsi allo specchio, apre l'acqua fresca e si sciacqua le mani e la bocca. Poi si dà una bella grattatina alle palle, accarezzando la peluria morbida che gli cresce laggiù, piscia, si lava nuovamente le mani (stavolta col sapone) e cerca di togliere al meglio delle sue capacità il sudore che gli impregna ancora la fronte, imbevendo delle salviette di carta e passandosele poi sulla pelle.
Infine, alza gli occhi sullo specchio. Pressa le labbra assieme mentre si scruta il viso rotondo, cercando lì da qualche parte, fra gli occhi marroni e le labbra rosee, un qualcosa che potrebbe spiegare le risa dei bastardi rimasti in classe. Insomma, ha davvero un aspetto così brutto? Lui non si vede brutto. E neanche grasso, se è per quello. Non ha gli addominali, non ha i bicipiti scolpiti, non ha neanche una mascella ben definita come quella di Ben o di Clarke, ma andiamo, non è mica un mostro. Ciccione malformato gli sembra davvero un'esagerazione, una stronzata di quelle potenti. Se pesare due chili in più del dovuto porta a conseguenze simili, beh, come diamine devono sentirsi le persone obese?
Una sola è la spiegazione: il problema non è essere grassi o magri o belli o brutti o intelligenti o ignoranti o tante altre cose che adesso non gli vengono in mente. Il problema non sta lì, proprio no.
Il problema, pensa George, è che io mi piaccio.
E di per sé questo non sarebbe un problema, se non si considerasse anche l'esistenza di individui come Ben e Clarke (e ce ne sono molti come loro, sparsi in giro per il mondo) che di assurdità simili non possono neanche sentirne il lontano eco: io mi piaccio.
Io mi piaccio? Che cazzo vuol dire?, tu non puoi piacerti, affermano loro.
E teoricamente hanno ragione: George non ha gli addominali, non ha i bicipiti scolpiti, non si capisce dove inizia il suo collo e dove finisce la mascella, c'ha gli occhi piccoli e il naso enorme, le guance sempre rosse, i capelli lasciamo stare, il pene con le verruche... come può piacersi? Ed è pure stupido come una merda, senza amici e senza talento: non sa giocare né a football, né a baseball, né a basket (e si vede), colleziona più F di tutti quelli dell'ultimo anno messi assieme, non ha interessi, se ne sta tutto il giorno ad ascoltare musica da frocio con quelle cuffiette da femmina infilate nelle orecchie piene di cerume... non gli si caricano neanche i porno da quanto è sfigato.
George, però, nonostante quelle verità crude e dure che sa bene essere parte di sé, si piace. Eccome se si piace! Si piace molto più di quanto non gli piacessero Cassidy o Lara, se è per quello, molto più di quanto non gli piaccia il gelato al pistacchio o la scuola (che, secondo lui, è una merda), quindi che si fa? Beh, ovviamente lo si deve prendere un po' per il culo. È ridicolo, suvvia. Piacersi? Figuriamoci.
A quella consapevolezza, George scuote la testa e ridacchia sommessamente, e pensando a quanto i suoi compagni siano arretrati mentalmente rispetto a lui (già abbastanza ignorante di suo), quasi prova compassione per loro, e quasi vorrebbe non aver desiderato il loro male. Insomma, davvero si meritano tutte quelle brutte cose che ha immaginato poco prima? Probabilmente no. Sarà stata l'aura di negatività del professor Smith, peggio di un campo magnetico, a conficcargli quelle visioni violente in testa.
Mantiene lo sguardo fisso sulla sua immagine ancora qualche attimo, poi sorride e dice: «L'area del cerchio è il raggio alla seconda moltiplicato per P greco».
È soddisfatto. È bello. È sveglio. Sa la risposta.
E torna in classe.

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