Le persone tristi di solito comprano un mucchio di cose inutili

Non so bene il perché, ma non sono mai riuscita a capire fino in fondo la gente che conosco, o la gente di cui ho sentito parlare, o la gente in generale. Non ho mai capito quale sia esattamente il motivo che spinge le persone a seguire una determinata moda (giuro che non è una critica, sul serio), o per esempio, non ho mai capito che problema abbiano con i sandali abbinati a calzini spaiati che personalmente trovo geniali, o ancora non ho mai capito perché i broccoli non piacciono quasi a nessuno, ma non è su questo che voglio soffermarmi. Una cosa che ho recentemente capito, invece, a riguardo della gente, è la difficoltà nel metabolizzare i lutti. Arriva un momento, e uno soltanto, in cui ci si rende conto che stop, non si può tornare indietro. Ad alcuni capita dopo un giorno, ad altri dopo una settimana, ad altri non è ancora successo, e li guardo mentre vanno avanti senza averlo ancora totalmente realizzato (ma va bene, prima o poi lo faranno).
Una volta un certo poeta disse che scrivere sulle cose gli permetteva di sopportarle, e per certi versi è vero: mi piaceva pensarla così e mi piace tutt'ora. Se il poeta in questione fosse ancora vivo, e ti posso assicurare che non lo è, vorrei tanto dirglielo. Credo sia per questo che mi sento in dovere di racimolare le parole che non ho mai detto, che non ho mai sentito il bisogno di dire, e scrivere di un lutto che francamente non so bene se l'ho metabolizzato o meno. Come si fa a capirlo? Non ho capito proprio.
Diciamo che la nonna (la madre di mia madre) era forse la persona più straordinaria che io avessi mai conosciuto, e non lo dico tanto per dire. Era ai livelli di gente come Van Gogh e  Maupassant, e forse aveva pure un pizzico di Michael Jackson in lei – era piena di pazzia e solitudine e una mania strana di comprare sempre un mucchio di roba inutile.
Mi scriveva regolarmente, una o due paginette alla volta. A volte mi piaceva ricevere le sue lettere e rispondevo subito, altre volte mi piaceva un po' meno perché non avevo nulla di interessante da raccontarle, e dovevo aspettare accadesse qualcosa prima di scriverle a mia volta. Le ho conservate quasi tutte. Alcune le ho perse (sono molto disordinata), altre non so che fine abbiano fatto. Di certo se avessi saputo che sarebbe morta, avrei fatto più attenzione. Non lo credevo possibile, ecco, perché certe persone proprio non ce le vedi, da morte. Ma comunque. Una lettera in particolare, datata 15 novembre, diceva più o meno così:

Cara Charlotte,
sei arrivata ad un'età in cui trovo difficile ricordarmi quanti anni hai, ma fortunatamente per me ricordo che sei nata nell'anno 2000, quindi non è molto difficile calcolarlo. Spero che i tuoi anni adolescenziali ti portino tanta felicità e che ti godrai ogni minuto di essi. Voleranno così in fretta. Sembrano passati solo giorni da quando eravate qua, in estate. Qui stanno tutti bene, al momento, e oggi è il compleanno di Tom. E' molto più difficile calcolare quanti anni ha lui, ma penso che quest'anno ne compia quindici. Presto dovrai decidere che scuola fare l'anno prossimo; credo che Ellie dovrà aspettare fino a marzo prima di trovare un posto a Gainsborough. La nostra mostra d'arte è andata benissimo, e l'anno prossimo dovrebbe essere a fine agosto, quindi forse sarete qua per vederla. Sono stata contenta di sentire che siete stati a Londra, e ancora ripenso a quel gelato e a Isabel che si è persa. Sicuramente è stata una giornata emozionante. Dovrai pensare al prossimo posto in cui vorresti andare. York è piuttosto interessante, potreste prenotare una notte in hotel. A Teresa piace fare shopping a York. Ora che hai letto questa piccola lettera, puoi tonare al tuo cellulare come una vera adolescente.
Tanti baci, ti auguro di passare un compleanno fantastico.
Granny Barbara xxx

Fra i tanti talenti che aveva (nuoto, pittura, equitazione, e ovviamente i classici hobby da nonna tipo cucinare e cucire), era bravissima nel farmi credere che nel giardino di casa sua vivevano le fate. La magia si sentiva proprio, la percepivi come il vento sulla pelle. Era logico credere in quelle cose quando si entrava nella casa dei nonni. Se aguzzavi la vista o ti mettevi a cercare fra gli arbusti nelle aiuole, trovavi sempre delle statuine di folletti in ferro battuto, che di notte prendevano vita. E se tendevi le orecchie, sentivi il dolce tintinnio delle campanelle e dei sonagli, appesi ai rami di piante rampicanti (le quali fungevano da tetto ad un sentiero lastricato che portava al giardino sul retro). Tutto quello che diceva era vero. Per vedere le fate dovevi mangiare il rabarbaro che cresceva nell'angolo più distante del prato, ma a me il rabarbaro proprio faceva schifo e piuttosto di mangiarlo facevo a meno di vedere le fate, tanto a nonna io credevo ciecamente. L'erba era verde e soffice, ma in alcuni punti c'erano cerchi formati da funghi velenosi che spuntavano dal terreno: la nonna diceva che erano opera delle fate, e che se li avessi rovinati (per qualunque motivo), la loro regina mi avrebbe punita.
Quando pioveva, stava nel suo studio e dipingeva. A me piaceva pitturare con lei, mi piaceva che mi insegnasse come fare, o semplicemente restare a guardarla. Era il suo mondo, quello studio. Entravi lì e ti dimenticavi di tutto, ma proprio tutto. Magari ti lasciava sola per una mezz'ora, facevi del tuo meglio per dipingere come lei, non ci riuscivi (chiaramente), e lei poi tornava con dei muffin ai mirtilli appena sfornati. Penso fossero la cosa più buona di questo mondo. Quando nuotava in piscina, invece, teneva sempre la testa fuori dall'acqua per non bagnarsi i capelli, per paura che diventassero verdi. C'era una donna di nome Sylvia che nuotava con lei, ma in una delle sue lettere la nonna mi disse che credeva le fosse amica solo perché le regalava alcune uova delle sue galline (la nonna aveva un pollaio enorme).
L'ultima volta in cui l'ho vista aveva una maglietta a maniche corte color rosa salmone, un po' sbiadita, e ci stava salutando da sotto un albero, sul ciglio della strada. Poi io me ne sono tonata in Italia, e qualche mese dopo lei è morta. Io mica sapevo aveva il cancro, ma ormai penso che il cancro ce l'abbiamo un po' tutti.
La cosa che ha fatto più male, comunque, non è stato proprio perdere lei. La cosa che ha fatto più male (e l'ho capito solo ora, dopo quasi cinque anni), è stato mettere piede nel suo giardino, dove prima sentivi i tintinnii dei campanelli e il fruscio delle fate, e capire che non era il posto ad essere magico, non lo era mai stato. La cosa che ha fatto più male è stata mettere piede nel suo giardino, metabolizzare il lutto, e capire che non era il posto ad essere magico, ma era la nonna a renderlo tale.
Non ci sono più le statuine di ferro battuto, non ci sono più i sonagli e gli scaccia spiriti, la pianta di rabarbaro è tutta rinsecchita e morta, l'erba del prato si è ingiallita e i cerchi di funghi sono scomparsi. Il giardino è tale e quale al giardino di una qualsiasi altra nonna. Non c'è proprio nulla di speciale. E ti giri intorno, frughi dappertutto, sotto i ciottoli del selciato, fra le foglie della siepe, negli arbusti delle aiuole, ma la magia non la trovi più, neanche se ci credi con tutta te stessa. Provi a ricordare com'era prima, ma l'unica cosa che vedi è la nonna, ed è qui che capisci tutto quanto.
Corri in casa, vai nello studio. Dove sono i pennelli? Le matite, le tele, i libri, i diari, i colori, gli acquerelli, i manichini, i vasetti pieni di acqua, i fogli di carta, le scatolette che decoravi con la colla e i brillantini, le foto attaccate al muro, i pastelli, dove sono? Al loro posto trovi solo la roba del nonno, tipo le sue cose di ciclismo. Ah, e l'urna con la cenere in un angolino.
Robaccia che non ti interessa.
Alcune delle cose della nonna me le sono portate a casa, altre le hanno date in beneficienza. Aveva così tante cose, sul serio, come Michael Jackson. Anche lui aveva un sacco di cose che non gli servivano, entrava in un negozio e comprava svariate copie di qualsiasi oggetto vedesse. Si dice che le persone un po' tristi di solito comprano un mucchio cose inutili: non so se Michael Jackson fosse davvero triste perché ovviamente non lo conoscevo, ma conoscevo la nonna e sapevo che lei era triste. Era ora per lei di andare via per un po'.
Non so se sia vero che scrivere sulle cose permette di sopportarle. Magari è solo un modo per lasciarle andare, per mettere un punto e dire dire okay, sto bene: se si scrive qualcosa, rimane sempre lì, anche se la si dimentica, e se si lascia andare qualcosa è più facile poi stare bene. No, non esattamente lasciare andare, quello sarebbe ipocrita. Diciamo, archiviare e basta, così quando vuoi ripensarci ti basta aprire un cassetto e trovi tutti i tuoi ricordi lì. Presumo sia questo quello che voleva dire quel poeta. E a volte è inevitabile pure versare qualche lacrima, quando si metabolizza un lutto, anche a distanza di anni, ma è bello e credo faccia bene, quindi non mi dovrei preoccupare.
Comunque, alla fine a York ci sono andata, e il mio compleanno è stato davvero fantastico. Ora ho praticamente 18 anni, ma sono sicura tu lo sappia già perché, come hai detto, non è difficile calcolarlo.
Mi manchi tanto, ti mando un bacio.
Charlotte xxx

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top