6. Il figlio

La prima volta che aveva ucciso un uomo, c'era il Sole in cielo.

Hino lo teneva stretto con il suo petto al muro, con le mutande calate e il membro che gli si strusciava tra le natiche. L'olezzo della sua pelle sapeva di fango e letame, lo stesso che avevano spallato dalle stalle fino a poco prima. Izuku aveva represso i conati quando lo aveva colpito in testa con la pala.

Erano nel fienile.

Si era tirato su i pantaloni, singhiozzando. Aveva le mani sporche di sangue e la testa di Hino era divisa in due. Un cranio spaccato contro i fili di grano che si erano tinti di vermiglio. Gli tremavano le mani mentre disperato annaspava e cercava di riprendere fiato.

Si era dovuto stendere a terra, con le spalle che sussultavano e la bocca schiusa in gemiti silenti e morti, come il suo cuore che non faceva che tintinnare contro la sua cassa toracica, rischiando di spaccarla in mille pezzi come un vetro.

Era stato Matthew a trovarlo.

Lo aveva pregato di non dire nulla a Kai, e poi aveva iniziato a piangere, spiegandogli tra i singhiozzi cosa aveva fatto e perché. Quasi non si era lasciato il tempo di respirare mentre i singulti gli rompevano le parole e le frasi parevano fatte di brodo colato.

Matthew non lo aveva rimproverato.
Matthew Shigaraki, era buono con lui; era poco più grande, ma molto saggio. Gli aveva pulito le mani con l'acqua del pozzo, e poi aveva trascinato il cadavere di Hino fino al confine della radura.

Izuku tremava mentre l'altro scavava quella fossa. A mani serrate, con i pugni lungo i fianchi e gli occhi rossi e gonfi, lividi. Quasi non respirava mentre Matthew, con i bicipiti tesi e la pala in mano, spingeva la terra contro i bordi.

Quella stessa notte, aveva asciugato il suo vomito dal pavimento, sussurrandogli che andava tutto bene, che lo avrebbe aiutato lui. Le sue braccia forti lo avevano sorretto per tutto il tempo mentre il suo corpo si rannicchiava e piegava su sé stesso come una coperta.

🥀


«Deku.»

Qualcuno lo stava chiamando.
Era ancora in ginocchio, la mano sul ventre, come a volerlo proteggere, il fiato corto. Gli sembrava di essere in mezzo alla corrente, trascinato da una fiume che lo sbattocchiava a destra e sinistra in base all'intensità.

«Deku. Ascoltami, per favore...»

Una mano calda gli accarezzava il viso. Un contatto lieve e soffice come cottone. Gli sembrava di non conoscere quelle dita grandi, sicure.

Sulla sua pelle parevano fatte di ceramica.

Le palpebre gli si scollarono lentamente, quasi gli sembrava che qualcuno gliele avesse incollate con la colla.  Gli parve di rivedere il fuoco vero in un paio d'occhi rubino. L'espressione impaurita di quel volto squadrato.

«Izuku. Izuku, per favore.»

Quel nome.

Pareva che una corrente lo avesse attraversato da capo a piedi e lo avesse fatto defibrillare sul letto.
Si riscosse, sbattendo velocemente il ventaglio delle sue lunghe ciglia.

Katsuki Bakugo.

L'alpha che gli aveva regalato una barretta di cioccolata, l'uomo che lo aveva abbracciato così stretto da rimettere insieme i suoi pezzi, da aggiustare correttamente le sue scaglie senza preoccuparsi di ferirsi. Era dinanzi a lui, chinato sulle ginocchia.

«Katsuki...» mormorò, come a voler confermare. La sua voce gli parve raschiata, rauca come se non usasse la bocca da anni.

Il biondo annuì. Il viso serio, gli occhi socchiusi come a scrutare lo stato del suo di volto. Solo dopo che sembrò assicuratosi che Izuku stesse bene, gli gettò le braccia muscolose al collo, stringendolo al petto.

«Merda.» imprecò, la voce roca.
«Stai bene?»

Si sentiva il cuore in gola. Non riuscì a fare altro se non restare del tutto immobile mentre Katsuki lo stringeva come l'ultima volta, una delicatezza intrinseca nei movimenti, una dolcezza che pareva studiata nei suoi confronti.

Izuku aspettò che lo lasciasse. Non riusciva ad aprire bocca.

«Si.» bonfochiò, il tono rotto, come se glielo avessero imbottigliato per troppo tempo.

«Cos'è successo?» gli domandò, accarezzandogli l'attaccatura dei capelli, dietro la nuca; lievi carezze che sapevano di seta e zucchero.

L'omega portò lo sguardo su di lui, gli occhi verde foglia sbarrati.

«Volevo... volevo difendermi.»

Dinanzi a sé, poco dietro Katsuki, c'era il corpo morto di Chisaki Senior.
Il pavimento pareva un'oasi fatta di liquidi; il rosso dominava la scena come una macchia di inchiostro nell'acqua. Si allargava come fosse stata pittura e imbrattava tutta la superficie. Il cadavere era vitreo, bianco come un fantasma e rigido.
Un arredamento sgradevole che stonava perfino con i dettagli di quella lugubre cella.

Però, non provava nulla.

Lo osservò, steso supino nella sua stanza, il sangue che imbrattava il pavimento, l'olezzo di putrido.
Storse le labbra.

«Buttalo.» ordinò a Katsuki, atono. Non riusciva ad esserne disgustato, ma non gli faceva neppure piacere. C'era qualcosa in lui che gli impediva di esserne del tutto spaventato, una strana esperienza che lo trascinava nei meandri della non-coscienza.

Katsuki sgranò gli occhi.
Lo sguardo smarrito, le parole bloccate in gola. Quel suo viso pallido pareva fatto di cristallo, immobile e distante come una bambolina.

«Izuku, ti ha fatto del male?» gli chiese, fermando la mano con la quale lo accarezzava.

Una nota di preoccupazione incrinava il suo tono facendolo tremare.

Izuku scosse la testa, le mani che parevano volte da spasmi irremovibili.

«No, sto bene.» sancì, restando indifferente.

L'alpha rilasciò i suoi feromoni, cercando di farlo rilassare. Il suo profumo di cannella e glicerina gli invase le narici. Izuku però, fece una smorfia.

«Smettila.» ordinò, allontanandosi, storse la bocca, mostrandosi disgustato da quell'azione.
«Occupati del cadavere.» mormorò, quasi gli stesse chiedendo di gettare un pezzo di carta sporca.

Katsuki non disse nulla.

Nel sollevare il capo, l'omega notò che la telecamera era spenta. Si chiese se lasciare entrare Chisaki Senior nella sua cella fosse tutto un loro trucco, uno stupido gioco. Lui era il topolino nella gabbia e loro gli scienziati.

Si portò le ginocchia al petto, poggiandoci la testa sopra. Desolato e solo come lo era sempre stato, non aveva mai avuto nessuno ad alleggerire le sue sofferenze, le colpe che non aveva ma che gli attribuivano innatamente.

Sentì i movimenti lungo la stanza, percepì la porta aprirsi. Un mondo buio fatto di promesse inadattate e mostri invisibili che gli si aggrappavano addosso e lo portavano negli abissi. Urlava ma non c'era suono che spezzasse quella paura.
Non seppe quando si era addormentato, però ad un certo punto, le palpebre erano calate e i pensieri erano volati via.

Era stato Katsuki a svegliarlo.
La sua mano gli scuoteva la spalla, i suoi occhi sottili gli studiavano il viso.

«Izuku...»

Lo aveva chiamato ancora così. Quel nome che quasi non riusciva a sentire. Venne attraversato da un brivido, qualcosa che si irradiava nel suo corpo e lo trapassava fino al cervello.

Sospirò, mettendosi a sedere.

Fece una smorfia quando nel poggiare la mano contro il letto, il suo polso gli diede una fitta.

In un attimo il biondo gli fu accanto, gli pose una mano all'inizio della schiena e con quel tocco leggero si accinse ad aiutarlo.

«Fai piano, te l'ho fasciato.» gli disse, aiutandolo a mettersi seduto.

Izuku portò lo sguardo in basso, osservando la fasciatura bianca e i suoi vestiti puliti, scivolò anche più giù, dove di solito il suo basso ventre era perennemente scoperto, ora c'era del cottone che lo avvolgeva tiepidamente.

Il signor Garaki gli diceva sempre che uno come lui, non avrebbe mai avuto bisogno di intimo, privacy.

"Sei solo uno schifoso, Deku. Cosa devi farci con le mutande?" Questo era solito ripetergli quando provava a tirar fuori quell'argomento. Perciò, Izuku abbassava la testa e annuiva; vittima e succube come sempre.

«Chi è Matthew?».

La domanda di Katsuki lo lasciò allibito.

Come faceva a sapere il nome di Matthew?

«Lo hai detto mentre dormivi.» spiegò l'alpha, il tono pratico, le mani che ancora avvolgevano il suo corpo. Lo stava guardando, un cipiglio curioso sul suo viso pallido.

Izuku sentì il cuore battere forte. Quel nome, quei ricordi, quella storia. Quello era suo, qualcosa che non poteva condividere, che non voleva condividere.

«Nessuno.» disse, distogliendo lo sguardo e puntandolo in un punto più lontano della cella; tutto quell'ammasso di mattoni e pietre lo faceva sentire rinchiuso, stretto in una gabbia dalla quale sembrava impossibile uscire.

«Perchè mi hai dato questi vestiti? Si arrabbieranno, lo sai.» redarguì, piatto, cercando di cambiare discorso; non aveva alcuna voglia di tornare alla domanda di prima.

Katsuki storse le labbra, intuì il suo giochino e qualcosa nel suo sguardo parve farsi più felino.

«Hai detto che lo avevi salvato. A cosa ti riferivi?» chiese ancora, ignorando la sua tattica diversiva. Continuava a guardarlo, con quei suoi occhi rossi come il sangue, mettendolo in soggezione.

Izuku non rispose. Ancora una volta il suo sguardo corse lontano, la mente anche. Nel constatare la sua reazione, l'alpha sospirò, inclinò le ginocchia e si mise a sedere ai piedi del letto.

Per un po' nessuno dei due disse nulla, poi Katsuki aprì la bocca, schiacciando il silenzio.

«Stasera ti farò uscire di qui» disse tranquillo, quasi stesse annunciando una previsione meteorologica.

La reazione di Izuku fu istantanea; spalancò gli occhi, il cuore che si bloccava nel petto e il respiro si incastrava nella trachea.

«Cosa?» riuscì a squittire, il tono troppo acuto, decisamente sorpreso e sconvolto da quell'affermazione.

Il biondo al contrario, non batté ciglio. Il suo cipiglio restò invariabile, il tono fermo.

«Hai capito» ripeté Katsuki, calmo come se stesse spiegando come trascorrere la giornata. «Ti porto via da questo schifo.»

Il battito di Izuku impazzì.
Si mise più comodo, osservandolo per bene, quando si mosse ebbe una fitta al fianco. Digrignò i denti, sopportando in silenzio; doveva avere più lividi di quanto immaginasse.

«Prima però, devi fare in modo che Shigaraki Senior non sospetti di noi» asserì Katsuki, serio.

«In che modo?» domandò, deglutendo. Immaginava la risposta, ma Katsuki lo sorprese.

Si sistemò meglio sul letto prima di tornare a guardarlo. I suoi occhi si assottigliarono come se stesse per elaborare qualcosa di molto complicato.

«Devi dirgli che hai dei sospetti e delle informazioni su di me.»

Izuku aggrottò le sopracciglia.

«Cosa? Perché dovrei farlo? Stai cercando di incastrarmi?» disse l'omega, mettendosi sulla difensiva. Per anni non avevano fatto altro che trattarlo male, imbrogliarlo e prenderlo in giro, in base a cosa girava nelle loro teste.

Katsuki scosse la testa.

«No, perché dovrei, Izu- Deku? Voglio aiutarti, te l'ho detto.» mormorò, allungando una mano per andare incontro alla sua, poi però, sembrò ripensarci. La tirò via, continuando a parlare.

«Devi dirgli che hai delle informazioni su di me, perché io sono il capo della ribellione.»


🥀



La porta si aprì. Il solito clangore del metallo che si scolla dal muro, i cardini vecchi che scricchiolavano.
Shigaraki Senior comparve dinanzi ai suoi occhi, alto e spaventoso come un mostro beneducato.

Izuku, era seduto sul letto, indossava la maglietta sporca, messa al contrario per non mostrare le tracce di sangue.

«Buonasera, padrone.» mormorò, chinandosi sulle ginocchia in modo sottomesso. Cercò di mascherare il nervosismo intrinseco nei suoi gesti, mostrandosi carino e voglioso, come gli ripeteva sempre il signor Garaki.

L'alpha fece un verso simile a un latrato, facendogli cenno di alzarsi. Si avvicinò al letto, il passo pesante, il ventre che sporgeva come una bacinella.

Izuku si rimise in piedi, restando sulle ginocchia. È così che devono stare gli omega, gli diceva sempre il signor Garaki, e Izuku, da bravo discepolo, obbediva.

Katsuki gli aveva detto delle cose, lo aveva istruito su cosa fare e come farlo; doveva solo attenersi al suo piano.

Non sapeva se quell'alpha volesse davvero solo aiutarlo, però non aveva proprio alternative. Voleva andarsene di lì, anzi, doveva. Perché, ora che il signor Chisaki Senior lo aveva trovato, lo avrebbero fatto anche gli altri, ne era sicuro. Doveva mettere in salvo non solo sé stesso, ma anche il piccolo.
Il bambino che cercava di proteggere e che era diventato la sua spinta verso la libertà.

Non ne era propriamente convinto, ma non aveva intenzione di mollare. Doveva lasciare quel posto e poteva evitare di essere violentato, quasi tutte le notti.

Guardava in basso mentre il signor Shigaraki Senior parlava.

«Prima facciamo ciò che dobbiamo, poi, parleremo.» disse quello, iniziando a calarsi i pantaloni.

Gli occhi di Izuku si sgranarono, la pupilla zampillò nascondendo le iridi verde foglia, ebbe un fremito, un violento brivido che lo attraversò da capo a piedi.

No, no, no.

«Padrone, la prego.» balbettò, la voce che sembrava stracciarsi come carta. «Ho delle informazioni importanti.»

L'uomo lo guardò con sufficienza. I suoi occhi spenti, vuoti di ogni cosa sembrarono inchiodarlo contro il pavimento, conficcato come radici nella terra.

«Ti ho detto,» asserì, alzandosi. «che parleremo dopo.»

Si calò del tutto i pantaloni, scoprendosi il membro. Il petto che andava su e giù come un fiume.

«M-ma signore... è importante..!» provò a farfugliare Izuku, qualche lacrima aveva già iniziato a scivolare lungo le sue gote arrossate.

Il signor Shigaraki Senior lo interruppe, spingendogli la testa verso il suo membro. Izuku sentì gli occhi riempirsi di lacrime e dolore.

Non voleva più farlo, non voleva.

«Signore, la prego...» provò ancora, aggrappandosi alle sue gambe. Si dimenò un poco, cercando di ribellarsi a quella presa.

Il signor Shigaraki sbuffò.
Gli sferrò un calcio improvviso, la violenza di quel colpo al mento lo fece finire a terra. Rovesciato sulla schiena, già per sé dolorante.

«Signore... per favore... n-no...» piagnucolò, non potendo bloccare i singhiozzi. La bocca era diventata un crescendo di lamenti e suppliche, parole per metà singhiozzate e per l'altra metà abbozzate.

Si sentiva fragile.

Non sapeva perché, ma non riusciva a non pensare, non riusciva a farsi possedere e basta. Dall'incontro con Katsuki Bakugo, qualcosa dentro di lui non era più disposto a lasciarsi sottomettere. Non era più disposto a farsi maneggiare a piacimento di qualcun altro, a lasciarsi violare, distruggere fuori e dentro.

Scalciò, graffiò, urlò.

Le mani del signor Garaki lo colpirono. Un pugno sulla guancia, un calcio sul ventre, un altro pugno sul labbro, uno schiaffo sulla testa, un manrovescio sul naso. Sanguinava da ogni graffio quando alla fine il signor Shigaraki Senior riuscì a mettersi in mezzo alle sue cosce.

«Sta' buono, bastardo!» sbraitò furioso e affatticato, stringendogli i polsi, incurante dell'osso spezzato.

Izuku gemette di dolore, una fitta che lo attraversò da capo a piedi e lo costrinse a rannicchiarsi su di sé, divenendo piccolo e fragile come lo era sempre.

«Oggi non vuoi proprio stare buono, eh?» sbottò il signor Shigaraki Senior, stringendo più forte, «vorrà dire che non sarò per niente gentile.»


🥀


«Allora,» iniziò il signor Shigaraki Senior. Si rimise i pantaloni, facendo tintinnare la cintura. «Cosa dovevi dirmi di così importante?».

Si issò sulle gambe, scansando le sue gambe, mentre si rimetteva in piedi.
Lo spinse via, come fosse stato un giocattolo rotto. Lui era il suo padrone, stufo di quel gioco ormai non più divertente.

Izuku tirò su col naso, ignorando la sensazione di bruciore lancinante; era certo di aver sanguinato parecchio. Non si sentiva le gambe, percepiva solo le fitte che lo attraversavano da capo a piedi e lo facevano sussultare e tremare come una foglia.

«Ho un messaggio da parte del capo dei ribelli, Katsuki Bakugo.» mormorò, la voce monotona. La voce gli uscì come un lamento, qualcosa che dovette sputare fuori e ostentare come un vanto.

Il signor Shigaraki sgranò gli occhi, bloccando i suoi movimenti.

«E cosa dice?» chiese, fremente di rabbia.

Un piccolo sorriso si dipinse sulle labbra di Izuku. Mise da parte l'orgoglio, che desiderava caldamente sputargli addosso e si rimise in piedi, ignorando la fitta di dolore al fondoschiena, qualcosa che quasi lo indusse a schiacciarlo contro il pavimento.

«Vuole che tu sappia una cosa.» spiegò, scandendo bene le parole. «Ha scoperto dove si trova tuo figlio e se d'ora in avanti non farai come ti dice...» si bloccò, fece qualche passo in avanti, fermandosi dinanzi a lui. Lo guardò per bene negli occhi, poi sorrise beffardo, e sussurrò: «lo farà diventare carne da macello.»

Gli occhi chiari del signor Shigaraki si tinsero di rosso. Vide l'alpha in lui scalpitare, cercando di sottometterlo. Vide le sue mani sollevarsi, il suo pugno prepararsi a colpirlo.

Chiuse gli occhi.
Un sorriso dolce sulle labbra, se lo avesse colpito ora, ne sarebbe stato più che felice. Aspettò che lo colpisse e non appena lo vide arrivare, sogghignò. Si leccò le labbra e sollevò ancora una volta lo sguardo.

«È figlio di Matthew.» mormorò, tranquillo. Osservò i suoi occhi sbarrarsi, il colpo si fermò.

«Cosa hai detto?» bobficchiò, la voce titubante. Stava cercando di riacquisire quella sicurezza che sembrava mostrarlo irremovibile, ma sembrava sfuggirgli via come fumo.

Izuku schiuse gli occhi. Lo fronteggiò, poggiandosi una mano sul ventre.
Un sorrisetto amaro nacque sul suo viso, una curva leggera che gli inasprì le guance.

«Il bambino che aspetto, è il figlio di Matthew.»

Il braccio di Shigaraki si infranse contro il fianco. Qualcosa gli attraversò lo sguardo, una cascata che parve inumidirgli gli occhi come un fiume in corsa.

«Sai cosa ti farà Kai quando verrà a sapere che mi hai toccato?» sussurrò Izuku, il sorriso era scomparso dalle sue labbra, lo osservava e basta.

«Sappiamo entrambi che ti ucciderà»

«N-non può essere... tu e quel bastardo... Matthew non può... il mio piccolo Matthew...» piagnucolò Shigaraki Senior, guardandolo allibito. Era diventato bianco come un cencio, annaspava in cerca di ossigeno, gli occhi di ossidiana sgranati come due fosse.

Izuku sorrise.
Quel dolore, quel lampo di dolore che gli lesse nello sguardo, lo fece stare meglio.

«Se non mi credi, perché non odori i miei feromoni?» Izuku lasciò andare il suo odore, ignorando il fremito del suo corpo; non rilasciava più il suo odore da anni.

Non sapeva perché non lo avesse fatto prima, forse, non voleva lottare.

Ora però, aveva una speranza, e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di vincere, pur di mettersi in salvo.

Nel percepire quell'odore, la reazione di Shigaraki Senior fu istantanea, lo vide scoppiare a piangere. Disperato e sconvolto come se gli avessero appena annunciato quando poco tempo gli restava.

«Non può essere vero... Matthew. Loro lo avevano ucciso quando era solo un bambino...» latrò Shigaraki, il tono biascicante come a volersi ricredere. Non sembrava convinto, era molto più scioccato, così scioccato che gli tremavano le mani e anche le gambe.

Izuku chiuse gli occhi, lasciando scorrere una mano sul ventre.
Un sorrisetto sornione gli aleggiava sulla bocca screpolata, qualcosa che sapeva di vendetta gli si sciorinava sulla lingua.

«No. Non lo avevano ucciso. Lo avevano rapito.» spiegò, la voce incrinata; sentiva lo sguardo di Shigaraki Senior sul suo viso. «Matthew mi ha aiutato a fuggire da quella casa, e loro...» si bloccò, un singhiozzo gli salì alle labbra, per quanto ci provasse, non riusciva mai a trattenere le lacrime se si trattava del suo grande amore. «Loro me lo hanno ucciso davanti agli occhi.»

Il signor Shigaraki Senior, aggrottò le sopracciglia. «Loro chi?» chiese, confuso.

Una lama perforò il ventre di Shigaraki Senior, il sangue zampillò, svuotandolo come fosse stato fatto di cotone.

Un sussurro appena accennato.

«Noi.»

Un'altra lama gli tagliò il collo.
Shigaraki Senior sbarrò gli occhi, il suo corpo si afflosciò come una bambolina di pezza, le membra si fecero fragili come vetro rotto.

Un paio di braccia lo spinsero a terra, gettandolo via con un tonfo.
Un rifiuto che non valeva la pena conservare anche solo un secondo di più.

Izuku si strinse il ventre, il respiro mozzato, gli occhi spalancanti.
Il cuore gli scalpitò nel petto come un neonato nella sacca amniotica.

Un sorriso frastagliò l'aria. Denti felini e aguzzi come quelli di uno psicopatico.

«Ciao, piccolo.»

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