5. Per sopravvivere

Questo capitolo presenta argomenti forti!

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(Stupro, violenza, abusi, aggressione, sangue, omicidio)


🥀

Izuku non capiva.

Aveva provato invano a leggere quella carta, ma non riusciva a capire.
Non sapeva leggere e se ne vergognava, faceva tutto il possibile per rimediare, sin da quando era piccolo, però, non riusciva.

Sbuffò, lanciando la carta.
Non si rese conto della porta che si era aperta finché non sentì una risata. Sollevò lo sguardo e intravide il biondo che lo fissava divertito. Una mano sollevata sul viso, dove, stringeva la carta.

«Sei arrabbiato, omega?» chiese Katsuki, percepì un trillo di divertimento nel suo timbro, un sentimento che gli fece tremare il letto.

Izuku arrossì, imbarazzato. Abbassò lo sguardo, farfugliando. «Stavo solo…» iniziò. «Nulla.»

Katsuki fece qualche passo avanti, portando la carta dinanzi a sé, spiegazzandola.

«Stavi provando a leggere?» proferì, aggrottò la fronte, guardandolo curioso. La sua voce sabbiosa gli penetrò nelle ossa, facendo a pugni con i suoi pensieri.

L'omega avvampò, le guance si tinsero assumendo la tonalità di  mille fragole. Distolse lo sguardo.

«Cosa vuoi?» biascicò. Non sapeva bene dove guardare, perciò si limitò ad osservarsi i piedi ancora stesi sul letto.

Katsuki sospirò, allungò una mano e indicò il letto, chiedendogli un muto consenso. L'omega arrancò verso il muro, annuendo.

«Non devi vergognarti di me.» asserì il biondo, passandosi una mano tra i capelli. Pareva sincero quando parlava, ma Izuku non si fidava affatto, era nella sua genetica non fidarsi.

«Non sai leggere?» gli chiese  Katsuki, sorpreso. Le sopracciglia bionde si arcuarono.

Izuku non lo guardava. Si stava fissando le punte dei piedi, evitando il suo sguardo.

«Certo che so leggere.» sancì il verdino, gonfiando le guance, adirato.

Katsuki gli porse il pezzo di carta che avvolgeva la cioccolata.

«Leggi allora.»

Pareva divertirsi a fargli ammettere di aver mentito.

L'omega spalancò gli occhi, offeso.

«Vaffanculo.» soffiò Izuku, strappandogli la carta dalle mani. Lo guardò infuriato, nascondendo la vergogna sotto quella rabbia.

Katsuki, tuttavia, non batté ciglio anzi, continuò ad osservarlo e infine, sorrise. Un sorriso smagliante, compiaciuto.

«Perchè stai sorridendo?» domandò Izuku, ancora più confuso ed innervosito.

Non sapeva perché, forse erano semplicemente i suoi feromoni, ma quel giorno, era terribilmente frustato, così, sfogare la sua rabbia su Katsuki lo aiutava.

«Se vuoi ti insegno.» esclamò il biondo, ignorando il suo precedente quesito.

Izuku lo guardò, esasperato. Non riusciva a mantenersi neutrale con lui, era come esporsi sempre più sapendo che da un momento all'altro qualcuno avrebbe potuto fare fuoco.

«A fare cosa?»

«A leggere, Deku» precisò Katsuki con ovvietà. Non sembrava sbeffeggiarlo. Lo aveva detto in modo tranquillo, genuino.

Izuku lo guardò, non capendo. Perché gli offriva il suo aiuto? Uno come lui non aveva bisogno di sapere certe cose, non aveva certo bisogno di un istruzione, non aveva bisogno di conoscere i suoi diritti né i suoi doveri, perché era un omega, uno schifoso omega, non un alpha.

«Perchè?» accattonò quella parola, sputandola fuori come carta arrotolata su di sé.

Katsuki lo guardò inarcando un sopracciglio. I suoi bei tratti duri si appesantirono sotto il peso di quell' emozione. «Perchè cosa

Izuku sbuffò. Perché fingeva di non capire? Era davvero così ebbro di sé da volersi divertire a spese degli altri?

Emise un gemito di frustazione, intrecciando le dita. Il ventre era già leggermente più pronunciato, ma il logoro straccio che indossava glielo copriva per bene.
«Perchè mi aiuti, perché mi prendi della cociolata, perché mi vuoi insegnare a leggere, perché non pretendi sesso da me?»

«Cioccolata.» replicò Katsuki, scandendo piano. Non aveva battuto ciglio sentendolo gridargli contro. Pareva del tutto a suo agio, con una caviglia poggiata al ginocchio e le dita rilassate in grembo. C'era qualcosa in grado di scalfirlo?

«Cosa?» biascicò, leggermente innervosito.

«Si dice cioccolata.» ripeté Katsuki, sereno. Izuku non ci vide più. Cacciò un uggiolio che fece inarcare l'aria e gettò un'occhiataccia al biondo.

«Smettila!» redarguì.

Katsuki sospirò. Si passò ancora una volta una mano tra le ciocche bionde.

«Okay, va bene.» decretò il biondo, sollevando i palmi davanti al viso, in segno di resa. «Non volevo offenderti.»

Izuku si lasciò ricadere contro il muro, stanco.

«Scusa, padro-» si interruppe, ricordandosi ciò che aveva fatto l'altra volta che lo aveva chiamato così «Katsuki.» si corresse, abbassando lo sguardo. «Perché sei di nuovo qui?»

«Izu-»

«Ancora?! Io non sono Izuku! Io sono… sono Deku

Balzò in piedi, urlandogli contro.
Katsuki non mosse un muscolo, guardandolo addolorato.

«Scusa, non vole-»

«No, no, non ti scuso.» sbraitò il più piccolo, non sapendo da dove provenisse quella strana rabbia che gli pervadeva i sensi. «Io non so cosa tu voglia da me. E questo gioco, non mi piace. I-io sono qui per… per…soddisfarti, per fare sesso. Non per questo. Tu… tu non puoi portarmi questi regali, non puoi chiamarmi… in quel modo, io non sono…» si bloccò, prese un respiro profondo, socchiudendo gli occhi. Avvertiva delle strane fitte al ventre, che lo obbligavano a stringere i muscoli, però le ignorò, continuando.

«Io sono Deku. Solo Deku, e tu non puoi fare quello che vuoi, tu devi…-»

«Scoparti? Devo fare questo vero? Perché ti hanno insegnato questo, perché è giusto questo, non è vero?» Katsuki aveva incrociato le braccia al petto, sfidandolo con una muta provocazione nello sguardo.

«Sì.» sibilò Izuku con una nota d'isterismo nel timbro vibrante. «Dovresti fare proprio questo.»

«E perché dovrei, Izuku?» ripeté quel nome, mandando in fumo i freni che Izuku si era imposto.

«Io non sono Izuku! Io sono Deku, sono solo Deku, sono qui. Sono qui, per soddisfare il padrone, sono qui. Sono Deku. Sono Deku, Deku, Deku. Sono solo Deku, padrone, per favore, non mi punisca. Sono Deku. Sono

Ancora una volta, furono le braccia di Katsuki a zittirlo. Percepì il suo profumo dolce, pizzicargli le narici, il tessuto fresco della sua camicia contro la sua guancia bagnata di lacrime.

Quando aveva iniziato a piangere?

Le braccia di Katsuki lo stringevano a sé, ma non erano prepotenti, non erano un gabbia, erano una culla, una culla dolce e protettiva. Si lasciò andare contro quella spalla, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, i suoi feromoni da alpha riuscivano a calmare un po' il suo omega interiore, ma i singhiozzi sgorgavano indisturbati. Pianse sulla sua camicia, artigliandogli la schiena con le unghie, scaricando il suo dolore sulla sua pelle.

Katsuki lo abbracciò, in silenzio.

«Scusami, ho esagerato» mormorò Katsuki, dopo un po'. Continuava a tenerlo stretto a sé, mentre Izuku provava a respirare normalmente.

«Perché non mi dici cosa vuoi da me?» chiese l'omega, si separò dal suo viso, guardandolo in viso. Aveva gli occhi arrossati, le labbra tremolanti.

Il biondo si lasciò sfuggire uno sbuffo, turbato.

«Te l'ho già detto, Deku. Voglio solo aiutarti» asserì, puntando gli occhi nei suoi.

Izuku non gli credette. Però, annuì.

«Ieri, quando ti ho chiesto di fuori… tu hai detto che è peggio di qui. Cosa intendevi?» chiese, approfittando di quel momento di stallo.

Katsuki si volse a guardare il muro alle spalle dell'omega.

«Lì fuori, non è più come prima» iniziò l'alpha, allentando la stretta sul corpo dell'altro.

«In che senso?» lo guardò con circospezione. Se fosse stato bravo avrebbe potuto cavargli qualche informazione senza che lui se ne rendesse conto, infondo lo aveva già fatto in passato, no?

Katsuki si guardò attorno, esitante.

«Nel senso che non c'è più giustizia, non per quelli che non hanno nulla. O ti allei con gente di questo tipo o finisci per strada, o peggio, in una buca sottoterra. Non è un buon posto per gli omega, ma neppure per gli alpha e i beta, fidati.» spiegò il biondo, la fronte corrugata dal dolore.

«Intendi dire che non solo il solo ad essere…»

Katsuki annuì.

«Ti porterò via da qui, Izu- Deku.» si corresse. «Te lo prometto.»

«E come posso fidarmi di te?» domandò Izuku, sprezzante, «come posso fidarmi di un cliente? Di qualcuno che potrebbe anche uccidermi?»

Izuku lo spinse via, sentendo montare ancora quella strana rabbia.

Non sapeva spiegarsi perché improvvisamente si comportasse così, però, non riusciva a farne a meno. Sapeva che stava rischiando di essere picchiato o peggio ancora, punito, tuttavia, non riusciva mettere un freno. Katsuki però, non era affatto impaurito o adirato, si limitava a guardarlo, una smorfia sofferente stampata in viso, nascosta dietro un volto stoico.

«So che è difficile, ma per favore, Deku, devi fidarti» asserì l'alpha, muovendo in passo in sua direzione.

Izuku si fece indietro.

«Bene, allora, se fai davvero sul serio, dimmi quando» decretò l'omega, lo sguardo sicuro.

Katsuki aggrottò le sopracciglia.

«Quando, cosa?»

«Quando mi porterai via di qui!»

Il biondo parve avere un attimo di confusione.

«Io… non lo so, cazzo. Sto facendo quello che posso. Mi dispiace, mi dispiace così tanto, Izuku…» si passò una mano tra i capelli, tirando all'indietro alcune ciocche.

«Non so cosa farmene del tuo dispiacere» replicò il più piccolo, evitando il suo sguardo.

«Davvero Izuku, io-»

«Non mi chiamo così! Non so chi diavolo sia questo Izuku che continui a nominare! Io sono Deku, solo Deku!» scattò, gli occhi scintillanti di rabbia, mischiata a quella paura che era solita strisciargli nelle vene.

«Tu davvero… non stai fingendo? Non sai davvero chi sei?» Katsuki era impallidito.

«Io sono Deku.» ribatté l'omega, sfarfallando le ciglia su e giù.

«D'accordo, sei Deku.» sancì Katsuki.

«Bakugo. » lo chiamò la voce metallica, Katsuki sollevò gli occhi, guardando la telecamera.  «Il tempo è finito.» disse.

Katsuki annuì, il volto di nuovo impassibile.

«Ci vediamo presto, Deku.» mormorò.

«Aspetta, aspetta. Mi dispiace, non volevo…»  Izuku provò a bloccarlo, sentendo montare, improvvisamente il panico.

«Va tutto bene, non sono arrabbiato.» disse Katsuki, lasciandogli una carezza sulla guancia. Gli occhi di Izuku si inumidorono ancora.

Non voleva restare da solo un'altra volta. Gli tornarono in mente le cose che aveva fatto, le cose che aveva urlato contro Katsuki, gli insulti che gli aveva rivolto. Meritava di essere abbandonato, non doveva comportarsi così.

«Ohi, guardami.»

Katsuki gli aveva preso il viso tra le dita, chinandosi fino a far collidere i loro nasi.

«Tornerò, te lo prometto.»

Izuku annuì, conficcandosi le unghie nei palmi serrati.

«Puoi… puoi portarmi dell'altra cioccolata?» gli chiese sentendosi improvvisamente sciocco.

Katsuki non si arrabbiò, anzi, gli sorrise.

«Certo» sancì, «certo che posso.»

🥀

Izuku si svegliò di soprassalto.

Aveva avuto un'incubo.
Sentiva il vento imperversare contro il muro, qualcosa di rumoroso squarciare il silenzio tombale della notte.

Scattò a sedere, completamente zuppo di sudore, respirando affannosamente.

Aveva sognato che il signor Shigaraki Senior scopriva che aveva rubato quel telecomando e che lo torturava. Gli aveva infilato una mano dentro e aveva scavato, fino ad estrarre una sacca sporca. Aveva urlato di orrore quando, dal sorriso maligno che alleggiava sul volto di Shigaraki, aveva capito che si trattava del suo bambino.

Cercò di riacquisire un po' di lucidità, socchiudendo gli occhi. Si portò una mano sul cuore, contando i battiti.

Era solo un sogno. Un brutto sogno, si disse, respirando affannosamente.

Fece per mettersi in piedi, ma delle mani lo afferrarono. Provò ad urlare, dimenandosi, ma una mano gli teneva bloccata la bocca, impedendoglielo.

«Va tutto bene, ssh…» gli sussurrò all'orecchio. Izuku si dimenò, scalciando terrorizzato.

«Ora ti lascio andare, ma promettimi che non urlerai, okay?»

Izuku annuì.
Strinse le dita. Quelle mani lo lasciarono andare e lui riprese a respirare.

«Non ti sono mancato?»

Quel viso. Conosceva quel viso. Ebbe uno spasmo. La sua mano corse al ventre.

«Lì c'è il mio sangue, vero?»

Stava sorridendo, anzi no, quello non era un sorriso, quello era un ghigno. Un ghigno orrendo, un ghigno malefico. Izuku rabbrividì.

«C-come…»

«Come ho fatto ad entrare qui?» lo riprese lui, giocherellando con il coltello che teneva tra le mani.

Izuku annuì, deglutendo lentamente. Gli occhi sbarrati, fissi su di lui.

«Diciamo che sono un tipo persuasivo» mormorò, sfoggiando i suoi denti scheggiati. «Ma tu questo lo sai bene, vero, Midoriya?»

Izuku ebbe un capogiro. Strinse i pugni, sentendo il battito accellerare.

«Ti avevo fatto una promessa, o sbaglio?» gli disse, camminando in sua direzione. Izuku indietreggiò finché non toccò il muro con le spalle. Il sudore gli aveva appiccicato la maglietta alla schiena, perciò percepì tutto il freddo attraversargli la colonna vertebrale, causandogli un brivido.

Quando percepì il tocco prepotente di lui, chiuse gli occhi, stringendo forte i pugni. Fu solo peggio, perché dinanzi a sé comparve tutto quello che quell'uomo gli aveva fatto, gli insulti, gli schiaffi, le violenze.

Non riusciva neppure a smettere di tremare. Si imposse di respirare piano, senza successo.

«Sei ghiacciato, ma non preoccuparti ci penso io a scaldarti per bene.» proruppe, soffiandogli quelle sillabe nell'orecchio.

Le sue labbra gli sfiorarono il lobo. Izuku represse un singhiozzo. Quell'odore gli faceva rivoltare lo stomaco.

Riusciva a percepire solo il suo tocco, il suo fiato bollente, la sua pelle ruvida, simile alle spire di un serpente.

«Ti prego…» mormorò. Le labbra presero a tremare, causandogli un fremito.

«Risparmia il fiato per quando te lo metterò dentro.» ghignò lui, ridacchiando malignamente.

«N-no, no, per favore. Il bambino…abbi pietà…» lo supplicò, sollevando lo sguardo.

«Pietà? Tu ne hai avuta per me quando hai bruciato vivo mio figlio?» ringhiò, la voce satura di rabbia. Gli strinse il collo con le mani grosse, avvinghiando le unghie sulla giugulare.

Izuku sentì il respiro venir meno, le gambe sollevarsi dal suolo.

«Hai avuto pietà di Kai quando gli hai versato l'acido addosso?»

La presa si fece più viscosa. Izuku sentì gli occhi appannarsi, l'ultimo fiato gli stava lasciando le labbra.

«Hai avuto pietà di me quando mi hai cavato l'occhio con quel cacciavite?» le parole intrise di veleno, le dita che affondavano nella carne.

Iniziò a vederci nero, i piedi che si dibattevano verso il basso. Le mani che cercavano di staccare quella presa.

«Non avrò alcuna pietà per te, proprio come tu non ne hai avuta tu per me e la mia famiglia.» ululò.

Izuku ormai aveva smesso di graffargli le mani e si era arreso a quella morsa. Non respirava quasi più quando sentì il suo corpo cadere a terra, il fiato tornare a riempirgli i polmoni. Tossì, portandosi le mani al collo. Si accucciò su sé stesso, ma lui lo prese dalle caviglie, trascinandolo verso di sé.

Lo spinse contro il pavimento, allargandogli le cosce. Izuku combatté, graffiandogli il viso, tirandogli dei calci, ma non servì a nulla. Non quando lui sfoderò la lama, puntandogliela contro il ventre.

«Giuro che se non stai fermo, tuo figlio lo caccio di lì a brandelli.» lo minacciò, il tono furioso un po' ansimamente per via della lotta.

Izuku s'impietrì, cacciando un singhiozzo. Lui ghignò, iniziando a sbottonarsi i pantaloni.

«Ora proviamo un po' l'omega che ha fatto perdere la testa ai miei figli.» lo provocò, abbassandosi i boxer.

Fu un attimo.
Izuku lo aveva visto poggiare il coltello a terra per calarsi i pantaloni, pensando che lui stesse tenendo gli occhi chiusi, stava per riafferrarlo, ma lui fu più veloce.

Lo impugnò dalla parte del manico, stringendolo con tutte le sue forze, mentre il suo braccio calava, rapido e feroce. Si sentì un taglio netto e poi, Izuku avvertì il sangue zampillare e un urlo disumano, squarciare il buio.

Aprì gli occhi, osservando quello che aveva fatto.

Lui era in piedi, con le mani contro l'inguine, cercando di bloccare il flusso di sangue, osservando bianco come un cencio, la pozza di sangue dove giaceva il suo membro, tagliato come un pezzo di carne di maiale.

Strillava come un matto, raschiando il respiro tra i denti, gli occhi incandescenti.

Quando li sollevò per guardare Izuku, il verdino tremò. Non capiva cosa avesse fatto, anzi, non voleva credere a ciò che aveva fatto.

Ora, lui lo avrebbe ucciso.
Sarebbe morto e assieme a lui, sarebbe morto suo figlio.

Arretrò, spingendosi lontano, ma le mani di lui gli afferrarono con rabbia le caviglie, spingendolo a terra.

«Ti ammazzo! Lurido schifoso! Schifosa troia!» ringhiò, pazzo di rabbia. Gli sporcò le gambe di sangue, mentre cercava di strappargli il coltello dalle mani. Izuku lottò ancora, spingendolo via, ma lui lo afferrò dai polsi, cercando di rompergli quello dove teneva il coltello.

L'omega strillò, graffiando e spingendo, ma sotto quella presa, il suo polso si ruppe, risuonò il crac fino ai suoi timpani, facendogli salire la nausea.

Le dita si sganciarono dal coltello, lasciandolo scivolare lontano. Lui ne approfittò per gattonare a riacciuffarlo. Continuava a sanguinare come un ossesso, gli occhi spirati, le mani tremanti.

Mentre Izuku osservava il suo sorriso pazzoide, si disse che sarebbe morto. Sarebbe morto squartato da quell'uomo che gli aveva rovinato la vita già in passato. Sarebbe morto e con lui, sarebbe morto anche suo figlio. Il bambino che teneva in grembo, il bambino nato da quel sentimento puro, il bambino che aveva promesso a Matthew di proteggere, il bambino che gli aveva salvato la vita, il bambino che sembrava non voler neppur dare un segno della sua vita.

Scusami Matthew. Scusami tanto, amore.

Izuku stava per chiudere gli occhi e arrendersi alla violenza di quell'uomo, quando, la sua pancia vibrò. Non un fremito di dolore come quelli che aveva di solito, no, era un dolore diverso, un pizzicore lieve, quasi piacevole. Schiuse gli occhi, rendendosi conto che suo figlio, aveva appena tirato un calcio.

Suo figlio gli stava chiedendo di vivere, gli stava chiedendo di proteggerlo. Di salvare l'ultima cosa che gli era rimasta di Matthew.

Si portò istintivamente una mano sul ventre, dove aveva avvertito il calcio. Una lacrima gli solcò la guancia, bruciando come acido.

"Mamma ti proteggerà, mamma ti ama."

Fece scivolare la mano dentro la tasca della maglietta e tirò fuori il pezzo di vetro che aveva rubato. Vide Chisaki Senior gettarsi su di lui, il coltello stretto tra le mani, il sorriso sulle labbra.

Mosse la mano con quanta più forza avesse, vide il vetro luccicare in aria, gli occhi di lui rendersi conto, ma oramai, era troppo tardi, Izuku gli conficcò il vetro nella giugulare, premendo ferocemente. Strinse la presa sul vetro, sentendo la carne del palmo lacerarsi, ma non lasciò la presa. Vide gli occhi di Chisaki rivoltarsi all'indietro, la bocca spalancarsi, il sangue schizzare a terra. La giugulare smise di pulsare, Izuku lasciò la presa, il corpo cadde a terra con un tonfo.

Avvertì il tanfo di escrementi, l'odore acre del sangue, il sentore di morte. L'aveva già visto accadere, ma non era poetico, non era bello, non era soddisfacente. Era solo un'abrasione in più sulla sua anima già ferita, era solo un mostro che naufragava assieme agli altri, nuotando in quel mare di sensi di colpa, senza fine.

Cadde sulle ginocchia, ansimando. Non ci credeva. Gli tremarono le mani, le serrò fino a far sbiancare le nocche. Era solo un fremito, sarebbe passato presto.

Chisaki aveva gli occhi aperti, fissi nel vuoto e la bocca coperta di bava e sangue.

«Ho protetto il nostro bambino, Matthew.» mormorò, il tono gli si fece di ghiaccio. Si crepò come vetro soffiato, si fece in pezzi, frammentandosi in più parti, spiragli di dolore mischiati alla sua anima intrisa di male.

La mano sporca di sangue si posò sul ventre, dove un altro calcetto gli spezzò il respiro.

Non era la prima volta che uccideva un uomo per non finire ucciso lui stesso, ma in nessuna delle precedenti volte, aveva mai sentito così tanta voglia di sopravvivere.



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Angolino autrice:

Buonasera, mi fa strano non scusarmi per il ritardo ma stavolta, sono stata incredibilmente puntuale hahah.
Comunque, vorrei scusarmi per gli argomenti del capitolo, avrei potuto alleggerire, ma non avrebbe reso, in più, avevo bisogno di scrivere questo. Sarà sciocco, ma è un modo per liberare i miei demoni. Ecco, ora sono qui, imprigionati su carta e per un po', staranno zitti.

Un'altra cosa molto importante, che vi prego di osservare, è la seguente. Vi prego davvero di fermarvi un attimino a leggere quello che sto segue, visto che sono cose relative alla storia.

Izuku, in questa storia, ha degli specifici disturbi comportamentali dell'umore e della personalità.
Non sono io una psicologa, ma provo a spiegarvi e chiedo scusa se non utilizzo termini approppiati o se lo faccio in modo errato, però, mi preme di spiegare; in particolare, il disturbo di Izuku, è un disturbo da stress post traumatico, e tanti vari altri disturbi.

Se siete arrivati fin qui, grazie, grazie davvero♥️ se vi va, commentate quello che pensate, vale tanto per noi scrittor* sapere che non stiamo sbagliando!

Alla prossima,

- Lilla


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