41. Al sapore di nuvole

Pioveva.

Izuku era accostato alla finestra mentre cercava di scrutare qualcosa nel buio fitto che si intravedeva dal vetro traslucido. Scrutava il buio con quei suoi occhi verdi attenti e frenetici, cercando di scorgere qualche figura oltre quella fitta coltré di acqua piovana e fulmini.

«Si può sapere cosa stai facendo?»

Quella voce improvvisa lo fece sussultare. Balzò lontano, scagliando via la tenda che reggeva nel pugno con uno scatto nervoso.
A momenti non caracollò sulle ginocchia quando si rese conto che la figura che lo aveva sgamato con le mani nel sacco, era solo Dominic.

Proprio Dominic che lo osservava con un cipiglio corrucciato stampato in viso e le braccia incrociate al petto, in un gesto irrisorio. Lo osservava con i suoi occhioni verdi come le foglie degli alberi, le labbra stirate in una lunga linea dritta.

«Nulla... stavo solo-»

Non fece in tempo a concludere la frase. Il campanello trillò, risuonando lungo tutto l'atrio, con quel suono acuto che fece sussultare entrambi. Dominic fu il primo a riscuotersi, Izuku lo vide avanzare verso il portoncino, la schiena lievemente piegata sotto il peso di quelli che dovevano, indubbiamente, essere i punti del cesareo.

Anche a lui li avevano messi e ricordava bene quanto bruciassero.

Dominic a quanto pareva si rifiutava categoricamente di sedersi sulla sedia a rotelle e più volte Lucien gli aveva raccontato le urla che ne erano conseguite, quando Katsuki aveva cercato di convincerlo.

Lo vide aprire la porta con un lieve scatto della serraturra, le mani che si posavano sulla chiave e poi sulla maniglia d'ottone. Nell'aprirsi, il vento gelido della notte investì i loro corpi come una tempesta antartica.

Izuku fu attraversato da un brivido violento che si diffuse sino alla sua punta dei piedi.

Quando scorse le figure zoppicanti che si inoltravano in casa, il suo cuore fece un capitombolo. Lo sentì ruzzolare sino alle cavità più profonde del suo stomaco, mischiarsi ai succhi gastrici che facevano lì il nido.

«Oh merda, ma che è successo?» chiese Dominic, aiutando Aizawa a sorpassare l'entrata. Gli pose un braccio sulla spalla spostandolo dall'atrio e permettendo agli altri di fare la loro entrata.

Tra chiome rosse e schizzi di fango e sangue, Izuku lo vide.

Con il viso completamente zuppo di pioggia e le labbra screpolate, così tanto che era certo, passandoci il dito ne avrebbe percepito la ruvidezza fin dentro i polpastrelli.
Avrebbe voluto prendergli la testa tra le mani e posarci sopra le sue di labbra, donandogli un po' della sua morbidezza.

Senza neanche rendersene conto gli stava già correndo incontro, le gambe che si muovevano ancor prima di aver ricevuto l'imput dal cervello, le mani protese in avanti che lo afferravano e toccavano la sua pelle pallida.

Gli sembrava un dejavu.

Lui quel momento lo aveva già vissuto, quella vista l'aveva già dovuta patire un volta.

La volta in cui Katsuki, lo stesso Katsuki di ora era rientrato dalla porta della loro vecchia casa e grondava sangue da quello stesso fianco e aveva la tuta zuppa di quel liquido appiccicoso, con le iridi così vitree da sembrare due pozzi d'acqua fresca.
Di un rosso così spezzato da fargli ricordare il colore delle fiamme del camino, di quei fuocherelli leggeri che si tengono accesi quando fa freddino.
Quando è ancora autunno ma l'inverno sta iniziando a bussare alle porte.

«Izuku...» biascicò Katsuki, aggrappandoglisi addosso, con le dita ruvide e il respiro ridotto a rantoli.
E Izuku istintivamente lo strinse a sé, poderando il peso sulle sue gambe e tenendolo ben saldo contro il suo petto, al sicuro.

«Sono qui, sei al sicuro...» gli ripeté mentre lui continuava a guardarsi attorno, smarrito e spaesato, come se si aspettasse di essere attaccato da un momento all'altro.

Quella vista dovette spezzare il cuore di Dominic, perché Izuku ne sentì il "crac".

Lo vide spostare lo sguardo altrove e fingere che quella vista non gli causasse nulla.
Quando faceva così, Izuku lo invidiava. Avrebbe voluto essere altrettanto in gamba da fingere che vedere l'uomo che amava nelle braccia di qualcun altro, non gli causasse altro che disagio e noia.

Ma non ci sarebbe mai riuscito, specialmente se il ricordo di Katsuki tra le sue braccia era così fresco da sembrare vivo.

Come a confermare quella teoria le dita dell'alpha si avvinghiarono con più vigore alle sue spalla, traendolo a sé per respirare meglio il suo odore, nonostante il naso che perdeva sangue e pareva diviso in due. Lo tenne più forte, esattamente come lui lo stava pregando di fare.

«Ma che succede...»

Lucien entrò lentamente nella sua visuale, il pigiama che gli stava grande e i capelli scompigliati. Doveva star dormendo perché aveva gli occhi ancora semichiusi e nel mettere a fuoco la figura ferita di Aizawa dovette sorreggersi al muro accanto a sé per non scivolare sulle ginocchia.

Gli corse immediatamente incontro, tenendolo a sè da un braccio.
Lo guardò in viso e i suoi occhi si riempirono di lacrime, piccole goccioline che volevano scivolare giù ma alle quali, lui tirando su col naso, strappava la volontà e tagliava la strada. Nel vederlo in quello stato Izuku ebbe una fitta allo stomaco e al cuore, una fitta così acuta che dovette abbracciare Katsuki con più enfasi, a costo di fargli e farsi male.

«Shota, amore.» lo sentirono mormorare, con la voce tremante. «Che ti hanno fatto?»

Gli accarezzò la guancia e senza attendere una risposta lo trasse a sé, facendolo accucciare contro il suo collo. Izuku vide comunque la lacrima che ruzzolò lungo la sua gota e che lui si accinse a cancellare con una passata della mano.

A Lucien seguirono Denki e Mina, l'uno con gli occhi sbarrati immobile, l'altra nascosta dietro la colonna che tremava e guardava suo marito, con le iridi color ocra colme di dolore.

Kaminari non si accostò troppo a lui, lo osservò con gli incisivi che parevano voler bucare il suo labbro tanta era la forza che ci stava mettendo. Mosse qualche passo avanti quando Kirishima gli fece cenno di raggiungerlo.

Con orrore, il rosso sbarrò gli occhi nell'accorgesi dei suoi figli, stretti alle gambe della madre che lo guardavano, piangendo.

«Piccoli...» li chiamò, forzando un sorriso sulle labbra. Uno di quei suoi soliti sorrisi gentili e buoni che faceva a tutti. «Venite da papà..!»

I bambini, esitanti lo raggiunsero. Gli si aggrapparono alle gambe, il cui tessuto della tuta da hero era ancora umido di pioggia e sporco di fango e... sangue.

Sangue rosso che sembrava una lappata di pittura su tutto il suo corpo.

Chi era stato a ridurli in quello stato? Izuku temeva di sapere la risposta e il solo pensiero di quel mostro gli faceva accapponnare la pelle.

«Non ti avevo per caso detto che questo era un piano del cazzo?» asserì Dominic, il tono fermo ma non abbastanza da non far trapelare lo spavento cieco che gli aveva attanagliato il petto non appena aveva aperto il portoncino. «Mi sembrava di essere stato chiaro quando ti ho detto che era un'idea fottutamente stupida e che avreste patito e vi sareste fatti male? Eh Katsuki?» continuò avvicinandosi al biondo che non sembrava neppure capire appieno cosa stava dicendo e come. «Ti avevo detto, ti ho detto, anzi. Ti ho detto mille volte che questo piano sarebbe andato a finire così, che tu non sai controllarti che quel bastardo è più avanti c-che...»

Gli tremò la voce e lui dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non scoppiare e sputare fuori il dolore nell'unico modo in cui sapeva farlo; restituendolo.

Gli tremavano le mani, le gambe e perfino le labbra che strinse le une alle altre, provando a continuare, con la bocca schiusa e gli occhi spalancati.

«Dominic.»

Un paio di mani gli presero le sue.
Gli si avvicinò piano, gli occhi fissi nei suoi, sul suo viso pallido come un lenzuolo.

«No, non provare a d-difenderlo Uriel, non ci provare. I-io glielo avevo... io... sapevo che sarebbe andata così e

Le braccia di Uriel lo avvolsero.
Spezzò quella cascata di tremiti e singulti, stringendolo al suo petto, lasciando che si spezzasse contro il suo torace, tenendolo su con la presa. La presa delle sue braccia forti, ignorando il dolore delle ferite che Fukushūki gli aveva procurato e sussultando ogni volta che un singhiozzo faceva tremare Dominic.

«È tutto apposto, è tutto ok... va tutto bene...» continuò a cullarlo lentamente, respirando contro i suoi capelli castani e cercando di moderare il dolore in piccole dosi.

Dominic singhiozzava tra le sue braccia, strozzava i piccoli versi di dolore che gli uscivano dalla bocca contro la spalla di Uriel e gli graffiava la pelle, quasi volesse trasmettergli un po' di quel dolore.

Izuku non lo aveva mai visto piangere. Mai.

Aveva sempre attribuito a Dominic una sorta di immunità alla debolezza.
Ma restava il fatto che anche lui era solo un omega, un ragazzo che pareva spezzarsi sotto la morsa di quella diga di dolore caduta tutta insieme. Nonostante tutto, anche Dominic sembrava aver bisogno di un po' d'amore ogni tanto, anche lui soffriva.

E stava patendo il dolore di quel momento e anche quello degli ultimi sei mesi.

🍪

«Dovreste spiegarci cos'è successo» asserì Shinsou, entrando nella stanza.

Aveva portato con sé la sua valigietta rossa, quella con tutti i suoi arnesi da medico, le medicine dai coperti argentati e lo stetoscopio con la punta arrotondata. Sembrava essere di fretta visti i suoi capelli - più scompigliati del solito - e i suoi vestiti stropicciati.

Si accostò ai ragazzi feriti, scrutandoli uno ad uno. Si soffermò sul viso ferito di Katsuki, osservando con le sopracciglia corrucciate il suo naso rotto.

Sospirò stancamente, si fece più vicino.

«Katsuki ma non avevi detto di avere un piano?» domandò confuso.

Al ché tutti si ammutolirono, volgendosi a guardare il ragazzo come se avesse appena detto una bestemmia.

«Già, aveva un piano, il campione» ribatté Dominic, seduto nella poltrona più lontana, quella accostata al fuoco.

Teneva le braccia incrociate al petto e un cipiglio adirato in volto. I suoi bei tratti efebici con l'ombra aranciata delle fiamme sembrava un campo di porcellana.

«Dominic...»

«È ok, curalo» si affrettò ad aggiungere prima che Uriel potesse dire altro.

Shinsou non ribatté, evidentemente colse la tensione c'era nell'aria e se la ficcò in gola, deglutendo.
Aprì la borsetta e ne estrasse i suoi strumenti per le cure; cerotti, punti da dutura, disinfettante, garze bianche.

Izuku ricordava come fosse avere le garze contro le ferite aperte.

Pizzicava.

Ricordava il prurito causato da quel tessuto ruvido che graffiava e si strofinava contro le ferite aperte.

Non le aveva mai sopportate le garze, perfino quando si trovava all'interno della cella 366 e dopo i maltrattamenti arrivavano le cure, lui prendeva le garze tra le dita e le strappava fino a farsi uscire il sangue dai polpastrelli, scheggiandosi le unghie fino alla carne viva. Non gli importava del dolore, preferiva i tagli ai baci, specie se gli unici baci che poteva avere erano fatti di spine e lame.

Non ebbe modo di concentrarsi su quel pensiero, visto che Shinsou si stava avvicinando a Katsuki e aveva tirato fuori ago e filo.

Si concentrò sul modo in cui le dita di Hitoshi strappavano il tessuto della maglietta di Bakugo e si accingevano a spargere il disinfettante su tutto il tessuto. Katsuki neppure sussultò, troppo stanco, troppo sudato e ferito, conservava le forze per stringere i denti e la mano di Izuku che non aveva lasciato neppure per un secondo.

«Cazzo, questa ferita è-»

Shinsou aggrottò la fronte, i suoi capelli viola londra gli tempestavano la fronte spuntando di qua e di là. Esaminò con attenzione la ferita, il colorito che impallidiva di botto.

«Una maledizione» sussurrò Izuku, come se le parole non gli appartenessero.

Un ricordo lontano che gli era rimasto sulla punta della lingua.

Come attratta da una calamita, l'attenzione di tutti calò su di lui. I loro occhi lo inquadrarono per un secondo, cercando di capire cosa intendesse.

«Si… sembra proprio una maledizione.» affermò Shinsou, perlustrando tutto il perimetro del fianco ferito. Le dita tastarono la superficie con inerzia, qualcosa di lungimirante nello sguardo.

Izuku ammutolì, non sapendo bene cosa dire.
Non sapeva neppure perché avesse detto quelle parole.
Una maledizione, aveva detto, ma lui non l'aveva mai vista una vera e propria maledizione.

O meglio, non quell'Izuku.

Forse, si disse mentre cercava di collegare i fili e capire da dove fosse sbucata l'idea, forse era stata per via dei ricordi dei quali gli aveva parlato Katsuki.

Tempo prima nel loro letto. O meglio, il letto che avevano condiviso da infedeli; lui a sé stesso, Katsuki a Dominic.

«Che tipo di maledizione? Una limpidus, una expecial, una magnum

Nel sentire quelle parole lasciare le labbra di Lucien, metà degli occhi lì presenti gli saettarono addosso.

«Che c'è? Nessuno di voi è appassionato di magia?» si giustificò il ragazzo, stringendosi nelle spalle.

Se ne stava ancora accanto ad Aizawa, così bianco e debole che sembrava una bambola rotta. I lunghi capelli parevano ciuffi di tenebre, ondulati e irrisori, se ne stavano là sulle spalle. Lucien gli aveva pulito un po' il viso - ancora cosparso di sangue - e continuava a tenergli la mano, assorbendo gran parte della sua pena.
Non doveva patirne poca vista la smorfia che gli incurvava il viso ogni volta che la morsa si faceva più intensa.

«Tu conosci la magia?» gli domandò Shinsou volgendo lo sguardo sul suo viso.

Lucien sollevò le spalle.

«So qualcosa» ammise, gettando gli occhi altrove.

«Be' credo proprio che dovresti dare un'occhiata a questo allora, perché non è nessuno di quelli che hai nominato» asserì il dottore, tutto curvato sulla ferita. Assunse un cipiglio severo, per poi aggiungere il resto. «È una maxima

Gli occhi verdi di Lucien si spalancarono di colpo. Il suo volto parve farsi più latteo di sempre, le labbra violacee come se fosse sul punto di rimettere.

«Una… maxima?» mormorò, sottovoce come se pensare anche solo di dirlo ad alta voce fosse impossibile.

Shinsou annuì, poi si fece da parte, permettendo al ragazzo più giovane di osservare con i suoi occhi la ferita.
La ferita così estesa da prendere metà del suo torace, il fianco, la pancia. Tutto era cosparso di vene terribilmente nere, come se qualcuno gli avesse iniettato dell'inchiostro dentro.

Lucien guardò senza riuscire a spiccar verbo.

«Questa… questa è…»

Shinsou annuì, la bocca chiusa come se non volesse pronunciare le parole.

«Cosa? Cos'è?» balzò su Mina, gli occhi spaventati e vispi che scattavano qua e là, verso Shinsou e Lucien.

Era così addolorata che sul suo viso, - sempre immacolato e truccato - si potevano scorgere delle piccole rughe d'espressione, dovute senza dubbio a quelle emozioni troppo intense, tutte insieme.

Lucien guardò Hitoshi, un interrogativo muto tra di loro; come se stessero sopessando quanto avrebbero potuto reggere le loro schiene se gli avessero rivelato quell'arcano.

«Possiamo farcela.» asserì Denki, la voce stirata come se non riuscisse a farla suonare per bene. «Possiamo reggere questo peso, ma ditecelo, vi prego.»

I suoi occhi color miele si fermarono su di loro, osservando per bene le loro reazioni. O per lo più quella di Shinsou.

«Non credo che-» iniziò il medico.

«Maxima. Explosione maxima. Le maledizioni si basano su quattro livelli. Come diceva Lucien, limpidus. Ovvero, il livello più basso, facile magia per principianti. Expecial, ovvero la maledizione media, quelle magie che si basano su anni di esperienza, ma ancora deboli. E infine ci sono le magnum. Magnum dal latino, grande. Sono le maledizioni più dure, quelle che possono verificarsi solo in casi particolari e solo se il mago ha molta esperienza, ma nulla è alla pari delle maxima

A parlare non era stato Lucien.

Lui se ne era rimasto in silenzio mentre la voce lieve di Aizawa riempiva la stanza. Ogni tanto si spezzava in rantoli di sofferenza dovuti alla sua ferita, ma continuava a parlare nonostante il dolore, esponendo il suo sapere.

«Le maxima. Le maledizioni che esortano ad utilizzare tutta la forza vitale. Una vita per un'altra. È il meccanismo che ha usato Fukushūki.» asserì, il volto stretto nel dolore. «Ha lanciato una maledizione su tutti quelli di noi che erano lì. Una vita per un'altra.»

«Che vuol dire?» mormorò Mina, la bocca schiusa e le sopracciglia corruciate. Si torturava le pellicine ai lati delle unghie, guardando uno ad uno coloro che gli avevano dato quelle riposte.

«Vuol dire che Fukushūki ha lanciato un incantesimo. Vuol dire che ha di nuovo fatto il suo gioco.» disse Denki, il tono stanco e ferito come se quel dolore non stesse colpendo solo gli alpha.

«E non si può spezzare?» mormorò l'alpha donna, ancora spaesata.

Nessuno rispose.
Per un attimo ci fu qualche attimo di silenzio, uno di quei silenzi che parevano pieni di interrogativi, di dubbi, di coltelli.

Poi, Lucien parlò, e infranse tutte le speranze di Mina.

«No, non si può spezzare.»

«Come? Ma non… non è possibile… no, no, no…»

«Mina…»

La voce di Kirishima si diffuse lungo la stanza, il suo tono debole si fece ugualmente strada lungo i timpani della ragazza.

«Che c'è?»

Kirishima gli fece un piccolo cenno con la mano, lei riluttante gli si avvicinò. L'alpha dalle ciocche rosso fuoco era allungato vicino al camino, in un lettino improvvisato.
Aveva perso tanto sangue anche lui, soprattutto in prossimità dell'orecchio che sembrava perforato da qualcosa.

Qualcosa di appuntito e doloroso.

Nessuno ebbe modo di ascoltare ciò che il marito le stava dicendo visto che parlarono a voce bassa, ma Izuku intuì dal modo in cui le guance di Mina si imporporarono che doveva essere qualcosa di dolce.

Non sortì lo stesso effetto in Denki, che aveva voltato lo sguardo altrove, ferito.

Bella situazione di merda, aveva pensato Izuku osservato tutta la scena. Poi, gli era tornata in mente la maledizione, le parole di Lucien e Aizawa.

Una vita per un'altra.

Non c'è modo di spezzare la maledizione.

Fukushūki ci ha incastrati.

Gli risuonavano in testa come un mantra. Non riusciva a liberarsene neppure provandoci.

«Non si può spezzare.» ripeté Lucien a voce alta, come se non riuscisse a capacitarsene.

«Cicì…»

«Non si spezzare.» disse ancora, lo sguardo vacuo, gli occhi verdi diluiti dalle lacrime che ancora doveva versare.

«Cicì…»

Aizawa provò ad afferrargli la mano, ma Lucien lo evitò. Gli aveva poggiato un palmo sul torace per assorbire meglio il suo dolore, ma non dava segno di reazioni al suo tocco.

«E come dovremmo fare? Che cazzo dobbiamo fare, Shota? Pensi che ti lascerò morire? Pensi che Izuku lascerà morire Katsuki? Pensi che Mina possa comunicare ai suoi figli che il loro padre è morto? Pensi che non troveremo un modo per salvarvi, Sho? Lo pensi davvero? Perché io-»

«Una vita per un'altra.» lo interruppe Dominic, soppesando e ripetendo le parole di Shota.

Di nuovo un rimbalzo di sguardi, silenzio mentre solo i tuoni e la pioggia spazzavano via il rimbombo dei pensieri.

«Cosa stai-»

«Una vita per un'altra. Penso che sia chiaro, no? Chi altri colpirebbe Fukushūki Bakugo se non i vostri punti deboli?» redarguì l'omega, la voce sempre uguale, come una livella.

«Dominic, no…» sussurrò Bakugo interrompendo il suo ragionamento. «N-non… dirlo… non…»

Ma Dominic lo ignorò, proseguì a voce alta, spezzando i pochi dubbi rimasti ad Izuku.

«Dobbiamo essere noi omega a sacrificarci, solo così la maledizione si scioglierà.»

🍪

Lo osservava dormire da un po', chinato accanto a lui gli scostava piccoli ciuffi biondi che gli scivolavano sulla fronte e gli si incastravano tra le ciglia.

Avvertiva il suo respiro cadere oltre la linea delle sue labbra come un lento, cadenzato, soffiare del vento. Izuku si premurava di percepire per bene ogni più piccolo sbuffo d'aria che gli usciva dalle labbra, lo sguardo stanco ma i sensi sempre più attenti.

Lo toccava con i polpastrelli freddi, cercando di captare ogni segnale del suo corpo.

Preoccupato.

Si sentiva così preoccupato che lo stomaco gli si era attorcigliato addosso come un serpente e si agitava qua e là quando Katsuki gli stringeva più forte la mano. La presa che non avevano mai sciolto, da quando Shinsou aveva finito di medicarlo.

Gli aveva detto di farlo riposare, di sorvegliarlo, di occuparsi di lui.
Izuku avrebbe voluto essere più coraggioso per ricordare a Shinsou - e soprattutto a sé stesso - che Katsuki non gli apparteneva. Le raccomandazioni che aveva fatto a lui, avrebbe dovuto farle a Dominic.

Ma Dominic non c'era.

Era tornato nella sua stanza subito dopo aver assistito alle cure di Bakugo. Non aveva spiccato neppure una parola, se non per ordinare ai più piccoli dell'ordine di sorvegliare la casa e i confini del bosco, notte e giorno. Era stato molto serio e autoritario nel farlo e ad Izuku non era sfuggito il modo in cui Uriel era rimasto a guardarlo.

Con gli occhi schiusi, cercandolo anche quando non c'era.

Lui lo conosceva quello sguardo, ma non aveva detto nulla. Non erano affari suoi, si era detto, poi aveva dovuto occuparsi di Katsuki e tutto era passato in secondo piano.

«'Zuku… amore…»

Il suono della sua voce lo aveva distratto dai suoi pensieri. Si era voltato, incontrando nella semioscurità della camera, i suoi occhi color amaranto.

Gli aveva sorriso, un piccolo cenno di pace tra di loro.

«Sei sveglio? Ti senti meglio?» domandò.

Gli scostò i capelli dalla fronte con un gesto rapido, soffermandosi sulla sua fronte bollente e sudata. Ci aveva poggiato un panno umido, ma Katsuki se n'era liberato mentre si girava per via della febbre.

«Uhm.»

«Vuoi bere un po' d'acqua?»

Katsuki non rispose. Lo chiamò ancora, la voce sottile come non gliel'aveva mai sentita.

«Vieni… vicino a me.»

Izuku s'irrigidì, le spalle che si protendevano e i muscoli che guizzavano sotto pelle.

«Katsuki, devi riposare.»

«Izuku, per favore…»

Forse fu più di tutto la supplica a scuoterlo; non aveva mai sentito Katsuki supplicare, mai da quando lo conosceva lo aveva visto tanto debole.

Ed era colpa sua.

Era sempre colpa sua se qualcuno soffriva, come gli aveva sempre detto sua madre. Alla veneranda età di diciott'anni, Izuku non poteva che dargli ragione. Era una sfiga perfino per l'alpha che aveva provato in ogni modo a salvarlo.

Katsuki gli aveva dato un posto dove stare e lui cosa aveva fatto?
Si era tagliato le vene. Voleva portare via Shura e sé da quel mondo crudele, ma aveva finito solo per peggiorare la situazione. Ed ora i sensi di colpa si facevano così pesanti da sembrare catene che gli tenevano imprigionate le caviglie così forte da fargli male.

«Sono qui, tesoro.»

Fece come gli aveva chiesto il biondo. Si sdraiò accanto a lui, scivolando con il viso alla sua altezza, poco sotto il cuscino. Stretto al suo petto con un braccio un po' tremante.

Nessuno dei due ci fece caso però; tremavano entrambi e poi non avevano voglia di farlo notare all'altro.

«Sei così bello, Izuku…» mormorò l'alpha con la voce intermezzata dagli spasmi.

Gli fece scorrere una mano sulla guancia, un tocco così delicato da sembrare un battito d'ali appena accennato. Izuku si beò delle sue dita addosso, rammendato i bei momenti che avevano passato assieme, i baci, le loro labbra infuocate, umide.

Socchiuse gli occhi quando le dita dell'alpha delimitarono il confine delle sue labbra.

«Dominic aveva ragione.» mormorò Izuku, non sapendo neppure lui da quale demone fosse improvvisamente posseduto per interrompere quel momento. «Non saresti dovuto andare.»

Il leggero sbuffo di lui, zittì il resto della sua frase.

«Dominic. Dominic si basa su strategie egoiste e-»

«Vere. Sono vere le sue strategie. Lo sai anche tu, Katsuki.» lo interruppe Izuku, prendendogli la mano che aveva tolto e riportandola alla sua guancia. «Dominic non sbaglia nelle sue previsioni. Non so perché ma sai anche tu che lui è preciso. Per quanto egoista, non lascerebbe mai che ti venisse fatto qualcosa.»

Ne seguì qualche attimo di silenzio, poi Izuku continuò. Gli occhi incastrati nelle iridi color rubino dell'alpha.

«Ha salvato me, Katsuki.»

Non parve sortire il risultato che avrebbe voluto, ma vide lo stesso il lampo di colpevolezza che trafisse gli occhi di Bakugo.

Una lama che li spezzò in due come biscotti.

«E quasi fatto morire il mio bambino.» replicò il biondo.

«Come puoi dire una cosa del genere?» gli si incrinò un poco la voce, perché lui sapeva bene cosa volesse dire provare a proteggere il proprio bambino con tutte le proprie forze, ma sentendo di essere sempre deboli. Stremati. «Dominic ha fatto quello che poteva. Ha impedito che io morissi e ha salvato anche mio figlio.»

«Perché lo difendi?» gli chiese il biondo, inaspettatamente. Stava utilizzando un tono calmo, nessuna accusa che gravava nelle corde vocali, solo curiosità. «Perche difendi uno che vorrebbe ciò che tu hai?»

«Io ho? Tu non sei mio, Katsuki.»

«Lo sono dal primo istante.»

«Kacchan…»

Gli si inumidivano sempre gli occhi quando diceva quelle cose. Non poteva fare a meno di tirare su col naso, avvampare come un ragazzino, perché certe cose non gliele avevano mai dette e perché tanta dolcezza non gli era mai stata data neppure da sua madre.

Una volta Sam gli aveva detto che innamorarsi è facile. Così facile che non ce se ne rende neppure conto, e Izuku aveva riso così forte da farsi male allo stomaco, ma ora… Ora se avesse potuto vedere il sé di anni prima gli avrebbe detto di non ridere così.

L'amore ti investisce come una malattia e ti indebolisce tutto il corpo. Ti rende di zucchero e tu affoghi nel miele di qualcun altro.

Questo gli avrebbe detto Izuku. E per lui significava così tanto visto che le parole non erano mai state il suo forte e che le similitudini gli costavano fatica.

«Non voglio che tu muoia Katsuki, non lo permetterò mai.» biascicò, volgendo lo sguardo oltre la spalla dell'altro. Il cielo era così scuro fuori che l'alba non sembrava neppure esistere. «Non sarò Dominic forse, ma non permetterò che Fukushūki ti faccia del male. Non permetterò che più nessuno soffra per causa mia, tantomeno tu.»

Le mani di Katsuki si poggiarono sul suo collo, sulla parte fredda dove l'aria sferzava contro la sua pelle e gli faceva venire la pelle d'oca.

«Izuku, guardami.»

«No, non voglio… io…»

«Izuku…»

E allora si girò, lasciando che Katsuki assaggiasse le sue labbra morbide, i loro sapori che non si scontravano da un po', da troppo.

Gli era mancato il suo sapore, forse più di quanto fosse disposto ad ammettere, Katsuki versava in quel bacio ogni sentimento e Izuku lo sentiva scendere giù in gola come amortensia. Gli pareva una pozione magica la sua saliva, pozione che gli accendeva i sensi uno ad uno e dava fuoco al suo cuore, già rimbombante.

Le mani di Katsuki gli agguantarono i fianchi, portandolo a cavalcioni su di sé con un gesto rapido.

Appiccicati l'uno all'altro come sabbia e mare.

Izuku sorrise sulle sue labbra, un riso amaro, ricambiando il suo tocco e prendendo a scandire un ritmo più serrato, con le lingue che si toccavano, ancora e ancora.

Stavano conducendo un valzer che gli ricordava la sera del ballo, quando le labbra di Katsuki sapevano ancora di Sole e speranza, quando il cielo non sembrava ancora così scuro come lo era diventato poi.

Le mani corsero a carpire sempre più pelle. Le loro dita bollenti si intrufolarono sotto le magliette, percorrendo chi la schiena, chi l'addome. I polpastrelli di Bakugo lo toccarono con calma, saggiando la pelle con le labbra e vezzeggiando con flemma il suo collo niveo.

Carezze sensuali che si disperdevano lungo tutto il corpo, con quelle mani che scottavano, le bocche unite in un cerchio chiuso.

«Ho avuto così… tanta… paura» soffiò Izuku, aggrappandosi ai fianchi di lui con le sue cosce magre. «Di perderti

L'alpha rispose a monosillabi, percorrendo in una lunga discesa il suo collo teso, redarguendo morbide lappate lungo la pelle.

«Anch'io… 'Zuku» rivelò, posandogli i palmi sulla vita, lì dove la pelle lo cercava e ardeva delle fiamme che solo i loro corpi assieme creavano.

Poi ancora, tocchi dolci, baci languidi e bagnati mentre i ciuffi dei loro capelli si inoltravano tra le loro ciglia, mentre gli indumenti iniziavano a farsi di troppo e l'adrenalina prendeva a pompare nelle vene più sangue. Più voglia.

Con un colpo di reni dell'alpha, Izuku si ritrovò sotto il suo corpo imponente, solo un millimetro a dividerli l'uno dall'altro.

«Ho pensato che nessuno avrebbe potuto amarmi come fai tu.» asserì il biondo.

Aveva qualcosa nelle iridi che pareva già di per sé, nostalgia. Nostalgia di vita, di amore, di loro.

Dell'amore che Izuku non gli aveva mai dato.

Se ne pentiva.
Nel guardare negli occhi Katsuki, il suo cuore si strinse su sé stesso. Si fece di miele mentre l'alpha lo baciava sulla punta del naso, sforzando fin troppo i suoi muscoli feriti.

«Anch'io… anch'io, Kacchan.»

Abbozzò quella solita curva che gli nasceva sulla bocca quando si trattava di Bakugo. Era ancora lì infondo, il Katsuki che lui aveva conosciuto, era ancora lì.

Nascosto, rintanato, spaventato dalle sue stesse reazioni, ma c'era. Era lì avvinghiato in un bozzolo, tutto avvolto in una trincea di tessuti e dolore.

Eppure, allungando le mani e posandogliele sulle guance, lesse nei suoi occhi l'amore che a parole non sapevano dirsi, quello che continuavano a prendere a pugni e si negavano con le unghie e con i denti.

Eccolo lì.

«Ti amo.»

Gli uscì dalla bocca prima che potesse fermarlo e se ne rese conto solo dopo. Solo dopo che gli occhi di Katsuki si furono spalancati e le sue labbra schiuse.

La sua reazione non si fece attendere.

Ne conseguì ancora il suo bacio, le sue labbra che sapevano di dolore, il caldo che portava la sua lingua addosso.

Dopo poco Katsuki lo fece sollevare, gli strappò di dosso la maglietta e Izuku lo seguì in quella danza senza mosse. Solo sguardi, carezze, labbra. E sangue.
Sentiva il sangue scorrere così forte che avrebbe mozzato loro il fiato.

Si avvinghiarono l'uno alle labbra dell'altro, Izuku gli infilò le unghie nella schiena, riversando in quel gesto nervoso tutto il dolore che dovevano ancora patire. Così contrastante che con una mano lo accarezzava e con l'altra lo graffiava.

Sono tuo, lo sono sempre stato. Gli urlavano i suoi occhi, i suoi grandi occhi dalle iridi dello stesso colore della menta.

Si stupì di trovare nelle iridi amaranto di Bakugo il sapore delle lacrime, il loro guscio vitreo. Piangeva anneggando il suo dolore tra di loro, tra il loro amore.

«Katsuki…»

«Ti amo da morire. L'ho sempre fatto, dirlo… dirlo è così… bello

Restò immobile, rapito dalla morsa dei loro sguardi ancora mischiati, ancora uniti e indistricati come due nastri rossi.

Dove nasce e muore il mio cuore.

. Dentro gli occhi di Katsuki nasceva e moriva il suo cuore, affogava il suo amore. Sarebbe rimasto sempre lì, sotto pelle, tra i tessuti e gli organi.

Ricordò di esserselo tirato addosso, poi lacrime, baci, saliva, battiti. Katsuki gli aveva sfilato i pantaloni e aveva fatto lo stesso con i suoi. Ricordava di essersi attaccato smanioso alle sue cosce, di averlo pregato, con la voce tirata dal momento, di strappargli di dosso qualunque cosa non fosse amore.

Di fargli dimenticare che alla fine uno dei due avrebbe perso.

E Katsuki, in quel muto caos spezzato solo dai loro singhiozzi occasionali, lo aveva accontentato.

Sesso, amore, corpi.
Izuku lo aveva sempre associato ad un bisogno carnale, a qualcosa che finito doveva restare separato dalle emozioni, così gli avevano insegnato, così era sopravvissuto per tutta la sua vita. Ma non fu così.

Katsuki non gli stava dentro solo carnalmente. Lui sentiva l'anima di lui scorrere nel suo sangue assieme al suo membro, riversarsi in lui ad ogni spinta. Lo arricchiva con il suo tocco dolce, lo guardava negli occhi e ripeteva “ti amo” come fosse una litania.

Sentiva sulle labbra e nello stomaco il bisogno che aveva di lui, di amarlo, di averlo. Amore.

Così forte e raro da farlo lacrimare.

Ad ogni spinta che Katsuki dettava nel suo corpo, sentiva di poter morire tra le sue braccia, con gli occhi fissi nei suoi, con le braccia strette strette attorno al suo collo.

«Katsuki… Kacchan…»

La voce mischiata al miele del momento, un lieve sentore di perdizione nei suoi occhi più liquidi, come un gelato.

L'alpha, col viso affondato nell'incavo tra la spalla e il suo collo, respirava piano, dettando ponderate e precise spinte, piccoli colpi che facevano sussultare il letto e il cuore di Izuku.

Lo sentiva nel suo cuore, nella sua carne, nel suo stomaco.

Gli rigò la schiena ferocemente, infondendo in quel tocco tutto ciò che poteva dargli, quella passione che lo stava cogliendo dall'alto fino alla punta dei piedi.

«Io s-sto…»

«Anch'io…» mormorò lui, il tono roco gli fece vibrare le viscere.

Come benzina.
Sapeva come accenderlo, soprattutto quando le sue spinte iniziarono a farsi più rapide e il suo tocco più consistente.

Izuku non resistette.

Non poteva farlo sapendo che Katsuki lo stava amando così tanto da farlo suo.

Gettò il capo all'indietro e arricciò la punta dei piedi. Un biascico lento e esalante, le dita di Deku che si aggrappavano alle ciocche di Katsuki e portavano gli occhi di lui nei suoi, le labbra a pochi millimetri le une dalle altre.

Sospirò direttamente sulla sua bocca tutto ciò che gli passava nella gola e nella testa, strizzando gli occhi pur di tenerli aperti mentre l'orgasmo li coglieva come margherite e li sommergeva.

Uno spasmo che travolse entrambi fino a portarli al largo, lontano da qualsiasi altra cosa. Katsuki si riversò dentro di lui con un latrato roco, stringendogli convulsamente i fianchi esili, Izuku gettò la testa all'indietro, scoprendo sensualmente la curva della gola e rivelando la sua saliva che andava giù.

Bollenti entrambi e sfiniti.

Si guardarono negli occhi prima di scambiarsi ancora un bacio, note di quell'orgasmo che li aveva colorati di rosso, si sfiorarono la fronte.

Katsuki lo studiò con attenzione. Scivolò sul fianco non ferito, poggiando la testa sul palmo il cui braccio aveva piegato contro il cuscino.

Izuku però, era rimasto fregato dal suo sorriso.

Quel sorriso che faceva piegare perfino gli angeli al suo volere, con i denti appena scoperti e la fossetta all'angolo della guancia.

Felici.

Entrambi erano felici, con una morsa nel petto che equivale all'ennesima gabbia, ma per qualche secondo, con gli occhi rossi di Katsuki impegnati a cercare la purezza nei suoi, il resto scomparve.

🍪

«Non ti senti bene?»

Relegato nei suoi pensieri, Dominic non lo aveva sentito entrare. Non aveva percepito né il suono rimbombante dei suoi passi contro il parquet, né quello dei suoi movimenti rapidi contro i mobili.

Aveva passato le ultime quattro ore a piangere contro il vetro della cupola che lo separava dal suo bambino. Con le mani nei capelli e la schiena curvata in avanti, incurante delle conseguenze per il suo corpo.

Nel percepire la stretta dei palmi dell'altro contro le sue spalle tese, si riscosse. Tirò su col naso, cercando di rimuovere i segni del pianto dal suo viso con il dorso della mano.

«Sto bene» disse, senza voltarsi a guardarlo.

Non ricevette risposta, le mani di lui si mossero appena. Prima premendo di più, poi rilasciando. I suoi muscoli protestarono e subito dopo si rilassarono, non poté evitare che la sua schiena si distendesse all'indietro, rilassandosi.

«Sei così teso che non si direbbe.» ribatté il beta, la voce a malapena udibile.

Un sussurro che arrivò comunque alle orecchie dell'omega.

Si volse a guardarlo, portando il palmo ad avvolgere uno dei suoi polsi, senza spostarlo.

«Perché sei qui, Uriel?» chiese, il tono fermo nonostante le ore di pianto che gravano sui suoi occhi.

Uriel si perse per un po' nei suoi occhi, in quelle sfumature che solo il tempo aveva saputo scavare in lui. Attento ad ogni briciola di quello sguardo, bramoso di sapere cosa gli passasse nella testa solo sbirciando nelle sue iridi.

«Hai perso la lingua?»

Soffocò un sorriso, guardando altrove. Dominic al contrario, teneva gli occhi fissi sui suoi, osservando per bene ogni curva del suo viso.

«Sono solo…»

«Impietosito? Rammaricato? Desolato?» lo rimbeccò Dominic, un sopracciglio inarcato, il tono tagliente.

Uriel gli scoccò un'occhiataccia.

«Preoccupato

«Ma certo.» asserì, guardando in direzione della porta, una smorfia irrisoria in viso. «Preoccupato per il povero Dominic? Le mie corna sono troppo grandi?»

Uriel non replicò, con un movimento rapido gli circondò la vita, portandolo più vicino a lui, al suo petto. La stoffa del suo maglione di lana pizzicò la pelle sensibile di Dominic.
Lo vide sbarrare gli occhi, non riuscendo a capire cosa avesse intenzione di fare. Nonostante la sua reazione però, restò fermo, in attesa della sua prossima mossa.

«Non è per questo, Capitano

A Dominic sfuggì una risatina, roteò gli occhi all'insu, facendosi sfuggire il suo sguardo tenero.

«Non sono più il tuo Capitano da un po', Fukuma.»

Uriel non smise di osservarlo. I suoi occhi azzurri fissi in quelli di Dominic, con le ciglia che svolazzavano su e giù e una smorfia candida in volto.

«C'è qualcosa che vuoi da me?» redarguì ancora l'omega, non ottenendo nessuna risposta alla precedenza domanda.

Rispose al suo sguardo con la stessa intensità dell'altro, con le iridi color smeraldo che saettavano qua e là, cercando di captare qualcosa.

Qualcosa che lo aiutasse a capire cosa Uriel Fukuma volesse, cercasse, da lui.

«Si.»

«Ed io posso dartela?»

«Dipende dai punti di vista.»

Dominic sorrise ancora, amareggiato e divertito da quella provocazione. Gli era sempre piaciuto giocare e se sapevano come accenderla, la sua fiamma avrebbe continuato a vivere. Nonostante le tempeste.

«Potresti essere più specifico?»

Fu il turno di Uriel di portare lo sguardo altrove, un velo di rossore sulle sue guance solitamente nivee come perle. Un bel contrasto con la cascata di capelli color caffè, tutti sparpagliati e mai in ordine, perfino durante il militare non glieli aveva mai visti ordinati.

Istintivamente allungò il braccio e gli sfiorò le ciocche che sporgevano in avanti. Entrambi furono sorpresi da quel gesto, soprattutto Uriel che mai e poi mai si sarebbe aspettato il tocco di Dominic addosso.

«Scusa… non avrei dovuto» si affrettò a dire l'omega, provando ad allontanare la mano.

Uriel però non glielo permise. Gliel'afferrò a mezz'aria, stringendola alla sua come a volersi imprimere quel calore addosso. Nelle ossa, così quando si sarebbe separato da lui, lo avrebbe avuto ancora su di sé.

«Tu puoi mettermi sempre le mani addosso» sussurrò il beta, portando le loro mani avvinghiate dinanzi ai loro visi.

Lo sguardo di Dominic saettò su quella presa, osservò le loro pelli a contrasto, il modo in cui le dita di Uriel si serravano alle sue.

«È un invito a picchiarti, Fukuma?»

Un sorrisetto beffardo si dipinse sulle labbra rosse di Dominic. Gli esplose un luccicchio negli occhi.

Si mordicchiò un poco il labbro, con gli incisivi che affondavano nella carne morbida. Il pensiero di Katsuki assieme a Izuku gli faceva contorcere lo stomaco, ma nonostante sapesse, era rimasto fermo.

Chi era lui per impedire a Katsuki di amare qualcun altro? Questo si era detto. E se quando ci aveva provato, Bakugo non aveva fatto altro che tornare da Izuku, allora, la situazione era chiara.

Era solo colpa sua se ancora stavano insieme.

Però, il modo in cui Uriel lo guardava, lo aveva fatto tornare a quando per Katsuki Bakugo, lui era il mondo. La sua conquista più grande, il suo amore.
Al tempo in cui i ciliegi erano in fiore nonostante fosse inverno inoltrato.

Prima che potesse fare o pensare ancora, si sporse in avanti, sulle punte dei piedi.

E fece unire le sue labbra a quelle di Uriel.

Un tocco così leggero che pareva un respiro mescolato. Una rianimazione che fece raggiungere le cento pulsazioni al beta, che sbarrò gli occhi, ritrovandosi con la bocca agganciata a quella dell'omega.

Però non si mosse. Non mosse neppure un muscolo mentre Dominic gli assaggiava le labbra, una alla volta, con tocchi leggeri e morbidi come soffiate di vento.

Un bacio che sapeva di nuvole.

Tiepido, candido, ustionante.
Perché Dominic era fuoco e Uriel bruciava come un pezzo di legno ogni volta che si arrischiava a respirare.

Poi tutto si fermò.

Dominic si separò dalla sua bocca e la realtà ripiombò tra di loro come un separé troppo vecchio. Lì riportò al mondo vero come uno sparo improvviso, facendoli sobbalzare.

Gettò un'occhiata a Dominic e per poco non gli cadde la mascella a terra nel notare il modo in cui l'omega si stava leccando l'angolo della bocca, raccogliendo un po' di saliva che era scivolata fuori.

«Dominic…»

Avrebbe voluto dire qualcosa, una qualsiasi cosa potesse far capire all'omega che sì, il suo bacio gli era piaciuto e che sì, aveva amato il modo in cui lo aveva guardato. E che non doveva scusarsi, non con lui.

Ma Dominic lo precedette.

«Devi aiutarmi, Uriel. Ho un piano.»

🍪

Spazio autrice:
Eccoci qua!

Tanti casini. Ve lo avevo detto io che la parola all'ordine del giorno sarebbe stato dolore, perciò ecco qua.
Non solo Dominic ha già capito, ma c'è stato anche un bel bacio (che si, mi ha ispirata tanto per il titolo, tutto merito di Dominic e della sua spudoratezza).
Ve li aspettavate? Vi piacciono questi due insieme o preferite Domi con Katsuki?

E poi, ci sono Izuku e Katsuki.
E finalmente (dopo 16983848 capitoli) un po' di sesso, un po' d'amore. Lo so, lo so, mi odierete un po' visto che dispenso dolcezza raramente in questa storia, ma vi giuro che sono una persona estremamente romantica.
Vi sono piaciuti? Che pensate accadrà ora che loro due si sono riavvicinati?

E infine, le maledizioni.
Eh sì, Fukushūki ha sempre un asso nella manica e stavolta questo sarà decisivo. Quale sarà il piano? Cosa faranno ora i nostri amati hero?
Non vi resta che scoprirlo, restate in attesa miei adorati lettori e lettrici!

Nel prossimo capitolo non solo vedremo l'inizio di una storia, ma avremo anche baci dolorosi, sguardi di fuoco e una scena fatidica!
Che ne sarà dell'amore? Lo scopriremo solo nella prossima parte!

Grazie di essere arrivati fin qui, vi adoro❤️ Alla prossima,

-Lilla

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