4. Cioccolato
La quarta visita avvenne qualche giorno dopo.
Izuku non sapeva esattamente che giorno fosse, ma sperava fosse un sabato, perché lui amava il sabato e perché quel giorno ricevette un regalo, per la prima volta.
Stava sul letto, le mani in aria a voler ricreare la costellazione del Carro Maggiore, quando percepì la porta scricchiolare. Un piccolo raschio sibilante che Izuku aveva imparato ad associare all'aprirsi di quell'ammasso di ferraglia.
Si alzò, mettendosi a sedere.
Si rannicchiò, incrociando le ginocchia al petto. Sollevò il volto, osservando con le palpebre strizzate, quella luce sprigionata dall'apertura della porta. Durò poco, essa si richiuse velocemente, lasciando intravedere una figura alta e ben impostata.
Izuku trattenne il respiro, mentre quella sagoma gli si avvicinava. Ne intravedeva i tratti scuri, le curve dritte delle spalle ampie, le linee che gli conformavano il busto, le braccia stese lungo i fianchi. Riuscì a captare un lembo dei suoi pantaloni color ardesia, il tessuto rigido e liscio.
I feromoni dispersi nella stanza gli confermarono che era un alpha. Il suo odore però, era particolare; un concentrato di dolce e amaro, un retrogusto felino, simile ad un dolce dal sapore amarognolo, simile all'odore di qualcosa che bruciava rilasciando il suo aroma nell'aria. Un qualcosa che gli fece arricciare il naso e prenderne un'altra boccata.
Quando gli fu vicino, si chinò. Solo allora, vedendolo in ginocchio Izuku si concedette di guardarlo per bene.
La prima cosa che gli saltò agli occhi furono i suoi capelli biondi. Un biondo chiaro, il colore della sabbia. Alcune ciocche lisce gli cadevano sulla fronte alta e liscia, che continuava in sopracciglia fine, anch'esse color sole e un paio d'occhi sottili. Quello che lo colpì di più, fu il colore delle sue iridi; uno scarlatto intenso, fuoco liquido. Un miscuglio di fuoco e fiamme, fiotti di sangue caldo, rubino dalle mille sfumature amaranto, un marasma di colori, un casino di luce.
«Ciao, Izuku.»
Izuku sbarrò gli occhi, irrigidendosi.
«C-come... sai...» mormorò, arretrando fino a toccare il muro con le spalle.
Il biondo, restò chinato sulle ginocchia, le braccia a penzoloni sulle ginocchia. Non sembrava disturbato da quell'atteggiamento.
«Perchè, non ti chiami così?» chiese il ragazzo, aveva una voce gutturale, un timbro adulto, simile a un soffiare dall'anima.
Izuku arrancò, il fiato gli venne meno.
«I-io... no... non...» biascicò, stringendosi le mani al petto.
Socchiuse gli occhi, ricordandosi le percosse del signor Garaki, gli insulti, il dolore, le urla. Quel nome non gli apparteneva, quel nome non era suo. Lui non aveva nome, lo aveva privato di quel diritto. Lui non era una persona, era un oggetto, un secchio dove svuotarsi del veleno che premeva nelle parti più recondite dei corpi degli altri.
«Non conosco alcun Izuku, signore» asserì, tornando a parlare con un tono cordiale, monotono.
Il biondo aggrottò le sopracciglia. Sul suo viso dalle linee dure si stese un'espressione attonita.
«Ma cosa stai dicendo? Non ti ricordi? Tu sei Izuku.» mormorò, confuso. Le sue sopracciglia creavano un solco tra di loro, una "v" che conduceva al ponte del suo naso. Aveva la pelle chiarissima, di un bronzeo nelle parti luminose, simile alle camice indossate dal signor Garfield.
Il verdino iniziò a respirare più velocemente. Percepiva il battito del suo cuore rimbombargli nelle orecchie, il modo in cui il respiro gli si coagulava nei polmoni, incrostandosi come un impasto.
I ricordi, le percosse, le urla, i sospiri.
«Si sbaglia, signore.» continuò, «io sono Deku.» mormorò. Non riuscì a trattenere una nota di nervosismo, che gli sfuggì dalle labbra come un gemito.
L'uomo arricciò le labbra. Sul suo viso dalle fattezze impeccabili si dipinse una smorfia.
«Tu sei Izuku, Izuku Midori-»
«No!» lo interruppe, urlando. Non riusciva a sentire quelle cose, non dopo quello che gli era stato inferto, non riusciva neppure a concepire che quell'uomo...
Qualche secondo dopo gli era addosso. Non si era reso conto di essergli scagliato contro, le mani in alto, gli occhi sgranati.
«Io sono Deku, solo Deku!» urlò, chinando la testa tra le mani.
Si figurò il viso del signor Garaki, stretto, contratto dalla rabbia, il suo tono ruvido.
"Non sei nessuno, gli ripeteva, il tuo nome da oggi in poi, sarà Deku."
Scosse la testa, ricordando il sapore ferroso del sangue in gola, il dolore che le ferite gli causavano, il grumo che gli attorcigliava lo stomaco in una morsa ferrea, il respiro bloccato in gola come fosse stato una pillola che non riusciva a digerire.
«Io sono Deku! Solo Deku!» strillò, tempestandosi la testa di pugni. Le nocche si scagliavano contro la cute, i capelli gli si avvinghiavano alle dita appiccicose di sudore. «Deku... sono Deku... non valgo nulla. Sono un nulla...» continuava a ripeterlo, colpendosi sempre più forte, le dita che si attorcigliavano ai suoi riccioli e li strattonavano come fosse stata una bambolina.
Il signor Garaki gli diceva sempre che lo avrebbe punito. Se lo meritava, meritava di essere punito ora, non doveva ricordare, non doveva respirare, doveva soffrire.
Le dita strapparono alcune ciocche di capelli, il sangue gli imbrattò i polpastrelli, rendendoglieli appiccicosi, ma non bastò a fermarlo. Si spinse le unghie nelle ferite, tirando la carne.
Urlò appena, continuando a ripetere il suo nome.
«Deku. Sono Deku. Mi chiamo Deku. Solo Deku, solo Deku... Deku-»
Improvvisamente, le mani non riuscirono più a muoversi, la testa bruciava, i capelli strappati gli caddero a terra. Sollevò la testa, non riuscendo a capire. Solo dopo qualche secondo, si rese conto che quel ragazzo gli aveva bloccato i polsi, impedendogli di farsi del male. Le sue dita forti gli tenevano i polsi, senza stringere troppo, ma abbastanza da impedirgli di liberarsi.
«Lasciami... lasciami!» strillò, dimenandosi con tutte le sue forze.
Il ragazzo, però, lo ignorò. Continuò a tenerlo senza alcuno sforzo.
«No... Shhh, va tutto bene.» cercò di tranquillizzarlo, non si preoccupò di sporcarsi la bella camicia bianca che indossava.
Lo guardava negli occhi e Izuku, piano piano, riacquisì lucidità. Le sue iridi erano simili a laghi. Laghi di ricchezza, laghi di ricercatezza, rosso come sangue e fragole, rosso come il liquido appiccicoso che gli colorava le punte delle dita.
«Ecco... così, respira» mormorò, respirando anche lui al suo ritmo.
Izuku lo seguì, portando il suo fiato a calmarsi. Il corpo gli tremava ancora, i muscoli erano in tiro, allarmati, le pupille sgranate.
«Io... non sono...» farfugliò, la voce gli uscì stridula, simile al raschiare di unghie contro un muro. Un gemito lagnoso che odiò.
«Si, non sei Izuku. Ho capito.»
L'omega annuì. Esatto, non era Izuku. Poi, con orrore, si rese conto di quello che aveva fatto.
Il signor Garaki, diceva che il cliente era sacro. Non si poteva di certo spaventarlo, e lui, lui ora si era comportato in quel modo proprio davanti ad un nuovo cliente.
Ebbe l'impulso di colpirsi ancora, scoppiò a piangere e provò a dimenarsi, ma la presa del biondo si rafforzò.
«Ehy, ehy.» lo chiamò, i suoi occhi rossi lo stavano guardando. «Va tutto bene, sei bravo, okay? Non sono spaventato, va bene.»
Izuku tirò su col naso, ma non smise di divincolarsi. Il biondo, lo studiava con una strana nota negli occhi, come se stesse soffrendo.
«Padrone... m-mi dispiace...» piagnucolò, sentendo gli occhi inumidirsi di nuovo. «Sono solo uno stupido Deku. Non merito nulla. Mi dispiace. Per favore...»
L'altro non parlò, fece pressione sui suoi palmi e lo spinse verso di sé. Poi, fece una cosa che Izuku avrebbe ricordato per sempre; lo abbracciò.
Gli spinse la testa contro il suo petto, gli continuò a tenere i polsi, ma in una presa più delicata. Il suo odore lo avvolse, il suo corpo gli fu premuto contro. Percepì la morbidezza della sua pelle, quel liscio odore, simile a ruscelli di caramello. Izuku smise di piangere, sentendo il suo cuore palpitare sotto il suo orecchio.
Nessuno lo aveva mai toccato così.
Nessuno si era mai preoccupato per lui, - eccetto Sam e Touya. -
«Mi dispiace tanto, Deku.» sussurrò, la voce incrinata. Izuku non poteva vederlo in viso, ma ebbe il sospetto che anche lui stesse piangendo.
«Cosa ti hanno fatto?» mormorò con orrore, più a sé stesso che al verdino.
Izuku non capì. Si limitò a farsi stringere, il cuore ancora scosso, l'anima fatta a brandelli.
🥀
Quando si fu calmato, il biondo lo aveva lasciato andare.
Si era seduto di fronte a lui, sul pavimento e Izuku lo aveva osservato meglio. Teneva lo sguardo basso ora, come se si sentisse in colpa per qualcosa o in imbarazzo.
Izuku non aveva mai conosciuto qualcuno che si sentisse così. Lui faceva quello che doveva, ma nessuno si era mai dimostrato pentito con lui.
Pensò che forse quell'alpha, come Denki, non voleva fare sesso con lui, che fosse obbligato da qualcuno.
Forse, non si era ancora spogliato, perché si vergognava.
Esitante, si mosse verso di lui.
Sapeva che dovevano farlo, perché sennò quelli che guardavano dalla telecamera gli avrebbero fatto quella cosa e Izuku non voleva, non voleva che la facessero né a sé, né a quel ragazzo.
«Che c'è?» gli chiese il biondo, guardandolo.
Izuku tentennò, guardando in basso.
«Dobbiamo...» indicò sé e poi lui, stringendo poi le mani.
Il biondo ci mise qualche secondo a capire, corrugò la fronte, confuso.
«Fare sesso» aggiunse Izuku, mettendo da parte la vergogna.
Il biondo sgranò gli occhi, poi, osservò la telecamera.
«No, non c'è bisogno» disse. «C'è un mio amico alla telecamera ora. Nessuno lo verrà mai a sapere» spiegò.
Izuku sollevò gli occhi, schiuse appena le labbra, sorpreso.
«Oh» riuscì a mormorare, «quindi... tu-» aggrottò le sopracciglia. «Cosa vuoi da me?»
Il biondo lo guardò. Uno sguardo attento e interessato, poi chinò un po' la testa, abbozzando un sorrisetto. Izuku non poté evitare di guardarlo; sembrava davvero bello, molto più di chiunque avesse mai conosciuto. E lui, di alpha potenti, ne aveva visti e conosciuti a bizzeffe.
«Ti ho portato una cosa» disse, frugò nelle tasche, ne estrasse un pacchetto e glielo porse.
Izuku s'immobilizzò; cos'era?
Non aveva mai ricevuto un regalo, il signor Garaki gli diceva sempre che lui gli era costato più di qualsiasi regalo avesse mai sognato di ricevere, che non doveva desiderare nulla, perché era solo una nullità.
Scosse la testa.
«Non posso accettarlo, padrone» disse in un soffio, sentì il cuore pompare più forte.
Il biondo corrugò ancora una volta la fronte, guardandolo.
«Hah? Non devi accettare nulla, prendi e basta» e prima che potesse replicare o dimenarsi, il biondo gli aveva preso la mano e ci aveva messo il pacchetto sopra.
Izuku lo osservò, con una nuova ansia, qualcosa che gli attorcigliava lo stomaco ma non era fastidioso, anzi, era quasi gioia.
«G-grazie» mormorò, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal pacchetto.
Era una confezione molto piccola, ricoperto da una carta colorata di blu e con delle scritte che Izuku, nonostante ci provasse, non riuscì a leggere.
Fece scorrere un indice su quella carta, percependo la sua lucidità sui polpastrelli.
«Puoi aprirlo» disse il biondo, facendogli cenno.
Gli occhi di Izuku si illuminarono. Continuava a percepire il sangue pompare nelle vene, sbafandogli qualunque altro sentimento. Pareva una scatola troppo piccola per contenere tutto quel marasma di percezioni.
«Davvero?» chiese, non riuscendo a mascherare il nervosismo intriseco all'entusiasmo che gli fluiva nelle guance pallide.
Il biondo annuì. Teneva gli occhi fissi su di lui, ma dopo un po' li spostò sul pacchettino.
«L'ho preso per te. Ti piaceva tanto quando eri-» si interruppe, vedendo il viso di Izuku contrarsi. «Non fa niente, aprilo e basta.»
Izuku con le mani tremanti, iniziò a strappare lentamente la carta, stando ben attento a non rovinare la scritta. Riuscì a levare il primo involucro e sotto trovò un altro strato di carta argentata. Scartò anche quella e poi, sentì la consistenza di ciò che conteneva.
«Cos'è?» domandò, reprimendo l'ondata di imbarazzo che lo sommerse nel non riconoscere quella tavoletta.
«Cioccolata.» spiegò il biondo, gli si avvicinò e Izuku impaurito, arretrò.
Il biondo cercò di non mostrarsi turbato, ma all'omega non era sfuggita la smorfia sofferente che gli era apparsa sul viso qualche secondo prima. Si impose di non rifarlo e lasciò che le dita del biondo prendessero la barretta.
Izuku pensò che glielo avrebbe tolto e che gli avrebbe riso in faccia, dicendogli che era uno stupido e che la sua gentilezza era solo uno scherzo, però, il biondo non lo fece.
Spezzò la tavoletta e gli porse un pezzo di cioccolata.
«Mangia, è molto buona.» sancì, spingendogli la mano verso le labbra.
Izuku esitò, poi, prese la cioccolata.
Se la portò alla bocca e ne assaggiò un pezzo. Un'esplosione di sapori gli invase la lingua, socchiuse gli occhi, godendosi quel sapore. Dolce, morbido, setoso.
«Ti piace?»
L'omega finì di masticare e annuì. Un piccolo sorrisetto gli spuntò sulle labbra; non se n'era neppure accorto.
Anche il biondo parve rassenerarsi.
«La prossima volta allora, te ne porto dell'altra» disse gentile.
Izuku tornò a guardarlo. «Perchè, cosa vuole da me, padrone?»
Vide appena gli occhi del biondo spalancarsi prima che il suo pugno si scontrasse contro il muro.
Izuku trasalì.
«Non chiamarmi così, cazzo!» ringhiò, la voce gli tradì quel tono incurante, trasformandolo in uno sofferente.
Izuku non capì.
«Non sono il tuo padrone, Izu- Deku» spiegò, tornando al suo posto.
L'omega annuì, chinando la testa. Qualche ricciolo cadde a sfiorargli la pelle, se lo spostò con inerzia, non osando sollevare lo sguardo.
«Scusa... non volevo spaventarti» mormorò il ragazzo, avvicinandosi. Qualcosa nei suoi modi attraeva Izuku. Se ne sentiva scottato a tal punto da voler sconfiggere i demoni che lo importunavano e farlo tornare a guardarlo negli occhi.
«Non importa, padr-» si bloccò, guardandolo con la paura negli occhi. Il biondo però, sospirò. Un sospiro stanco e rassegnato, niente di accusatorio.
«Mi chiamo Katsuki.» disse piano, guardandolo in viso.
«Katsuki.» ripeté Izuku, assaporando le sillabe di quel nome sulla sua lingua. Non sapeva se se lo sarebbe ricordato, ma certamente avrebbe fatto del suo meglio per non scordarlo.
L'alpha annuì. Il suo viso venne illuminato un poco dalla debole illuminazione a corrente. Ne intravide le forme stagliate, vezzose, il naso attorniato, le sopracciglia sottili.
«E sono qui per aiutarti» spiegò Katsuki, il tono più pacato. Sembrava volergli illustrare per bene ciò che intendeva.
Izuku non capì. Sollevò il viso, guardandolo meglio. La stanza pareva un covo grigio e gelido, un mostro pronto a divorarli. «Aiutarmi?»
«Ti porterò via di qui» continuò il biondo, allungando una mano verso la sua. Izuku lo scrutò.
«Devi solo fidarti di me.»
«Tu vieni da... fuori?» chiese l'omega, guardandolo con occhi curiosi.
«Vengo da... fuori, sì.»
Gli occhi di Izuku si aprirono, sorpresi. «E com'è? Com'è lì fuori?»
Katsuki corrugò la fronte.
«È peggio di qui, è un casino, un mondo senza speranze-»
«Katsuki, il tempo è finito.» Una voce li interruppe. Katsuki si ammutolì, rimettendosi in piedi, si scrollò una polvere invisibile dai pantaloni, le mani che non sapevano bene dove appoggiarsi.
«Mi dispiace, Deku.» asserì, osservandolo con un cipiglio addolorato, lesse nei suoi occhi una nota di paura, un qualcosa che non credeva di poter secernere negli altri. Non in un alpha.
«No, aspetta.» iniziò Izuku, alzandosi a sua volta. Voleva trattenerlo, tenerlo con sé e farsi stringere ancora. Nessuno lo aveva mai trattato così. Tutti non facevano altro che pretendere, tutti non facevano altro che urlare e picchiarlo, strillare e strillare, mentre lui provava a fuggire da quella realtà, ma Katsuki non l'aveva fatto. Gli aveva regalato della cioccolata, gli aveva impedito di farsi male, gli importava di lui.
«Non posso, mi dispiace Deku. Tornerò.»
E prima che potesse fermarlo, Katsuki si era già spinto in avanti e gli aveva lasciato un tiepido bacio sulla guancia. Le sue labbra erano distese di petali.
Izuku arrossì. Poi, Katsuki lasciò la stanza e il buio tornò.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top