37. Ustioni sull'aorta

Izuku aveva riportato ustioni di secondo grado su tutto il corpo.

Per giorni era stato immobile a letto, incosciente per ore e indignato per quei pochi minuti in cui riusciva a stare sveglio; gli avevano negato lo stare con suo figlio per un po' e dire che aveva reagito male sarebbe stato un eufemismo. Non solo aveva picchiato e strattonato Shinsou - che aveva il solo compito di comunicargli quella decisione, per lo più medica - ma anche Kirishima, Aizawa e aveva insultato Lucien.

Suo fratello non aveva detto nulla mentre lui gli faceva notare quanto facesse schifo quello che stavano facendo, non aveva detto nulla perfino quando frustato e indignato, più con sé stesso che con Lucien, aveva preso a maledirlo e insultarlo sull'ambito personale. Gli aveva detto che era uno stronzo, un insensibile, un fratello di merda e che non lo voleva lì, che se ne doveva andare. Sparire.

, sparire come i sentimenti che lui provava per Katsuki, per sé stesso, per Matthew. A volte, sveglio nel letto, mentre le ferite prudevano come se gli avessero gettato sopra dell'acido muriadiaco, guardava il soffitto e i suoi polsi bendati. Legati. Lo avevano legato ancora una volta al letto.

È solo per il tuo bene, Deku” gli aveva detto Shinsou, schivando i suoi calci e pugni, incassando qualche morso e insulto. Aveva capito, da quando si era risvegliato che le cose non sarebbero più state le stesse. Lo aveva capito dallo sguardo spento che avevano gli occhi di Kirishima, proprio lui che più di tutti sorrideva sempre e si mostrava positivo verso il futuro. Lo aveva capito dallo sguardo che gli aveva rivolto Lucien, quello smorzato, disperato, colpevole.

Come se salvarlo fosse stato un compito di suo fratello, del ragazzo che aveva patito quasi quanto lui.

E lo aveva capito dalle parole che Katsuki gli aveva rivolto, poche, pochissime.

Shura ha riportato ustioni di terzo grado su tre quarti del corpo. Sarebbe bastato un minuto in più e non… non sarebbe più stato qui.”

Se chiudeva gli occhi, poteva ancora rivedere gli occhi stanchi di Katsuki, il suo volto spento, privo di qualunque forma di vita. Sembrava che qualcuno gli avesse infilato una palla dentro e gli avesse esportato tutto; dagli organi, alle emozioni.
Compreso cervello e cuore.
Era diventata una corazza, una specie di zombie intelligente che continuava a vagare per casa, in preda a una cieca e sorda malinconia, qualcosa di spaventosamente simile alla depressione che aveva preso vita nella miserabile esistenza di Izuku.

Qualcosa che scivolava sotto pelle e si infittiva fino a diventare parte della membrana cellulare.

Izuku non riusciva a guardare negli occhi Bakugo.

C'era sempre qualcosa che lo frenava, sempre una vocina nella sua testa che gli ricordava quanto faceva schifo, quanto il suo intero mondo facesse pena e quanto lui come omega, come compagno, come madre, non fosse altro che un fallimento.
Forse era davvero questo che era in verità.

Un fallimento.

🌼

Capitava che al risveglio, sentisse le voci di suo padre, di sua madre, di Katsuki.

Erano tutte mischiate.

Nei suoi sogni, Katsuki piangeva sempre. Quando provava a consolarlo, scopriva di non riuscire a fare altro se non sfiorarlo, come le carezze di un fantasma; infondo, questo era diventato. Un fantasma che tenevano rinchiuso a chiave in una stanza nella fine del corridoio, con le braccia già di per sé ferite, legate strette e le coperte rimboccate fino al mento.

Così sarebbe stato buono, così non avrebbe causato loro problemi.

Izuku sapeva che i suoi amici gli volevano bene. Lo sapeva.
Se lo diceva la notte, se lo diceva il giorno, se lo diceva quando i pensieri insorgevano, se lo diceva quando il suo cervello iniziava a giocargli brutti tiri, se lo ripeteva. Ancora e ancora.

Peccato che non ci credesse affatto.

Qualcosa dentro di lui, prendeva quelle parole e gliele ficcava nella gola, le spingeva fino all'intestino e le faceva diventare succo gastrico. Un liquame squallido, così come le sue convinzioni.

Izuku a volte si sentiva solo.
Seduto sul letto, con gli occhi per metà socchiusi e rimbambito dai sedativi che gli somministrava Shinsou, pregava Mina di concedergli qualche minuto con Shura. Il suo piccolo Shura.

A quel punto, Mina si faceva seria, il suo bel viso niveo assumeva la solita tonalità pallida, lattea. Si guardava attorno, cominciava a giocare con le pellicine che aveva attorno ai pollici, diventava fredda.

Vorrei Izuku, ma… lo sai.” gli diceva.

Sì, Izuku sapeva cosa aveva fatto. Cercava di ignorare quella parte di sé che lo spingeva a ritentare, cercava di non pensare a Shura notte e giorno.

Falliva miserabilmente, ogni volta.

Il suo bambino era parte di sé.
La notte, i sensi di colpa si facevano così forti che doveva piegarsi e vomitare nella bacinella che avevano riposto al lato del letto. Rimetteva poco più che succo gastrico e liquidi. Non mangiava quasi nulla, e se lo faceva, se ne liberava appena possibile.

Non gli importava di farsi altro male.

Voleva solo vedere Shura.
Prima di farla finita e basta.
Perché, se c'era una cosa che aveva capito, era proprio che quella terra non era fatta per lui.
Non era fatta per il suo umore, per il suo corpo troppo fragile, troppo rovinato, per l'amore che provava e sempre avrebbe provato per Matthew.

L'unico problema, era Katsuki.

Katsuki che sembrava diviso tra vita e morte come posto di fronte ad un bivio. Un bivio senza via di uscita.

A volte, guardava la finestra con le inferiate in ferro battuto e pregava che qualche angelo potesse scendere dal cielo e salvarlo, liberarlo da quell'esistenza divenuta ormai troppo.
Troppo crudele, troppo piena, troppo dolorosa.

Era tutto troppo.

Compreso il suo respiro, il suo battito e gli sguardi che tutti gli rivolgevano, perché lui lo aveva capito che li aveva di nuovo messi tutti in allarme e fatti preoccupare. Lo capiva che erano preoccupati e spaventati, che erano stanchi. Correre dietro a qualcuno che sembrava solo volersi distruggere.

E Katsuki non aiutava.

Izuku non gli aveva chiesto nulla, a malapena parlava quando si presentava nella sua stanza. Si sedeva alla sedia e guardava il pavimento, il soffitto, la porta. Un punto qualsiasi, purché non fosse il viso di lui.
Stavano in silenzio, respiravano, e Izuku sentiva il divario che era calato tra di loro, pesante e opprimente come un cappio attorno al collo.
Gli pareva di soffocare ogni volta che si ritrovava solo con lui, esposto ai suoi occhi e al suo giudizio.

Per questo, faceva il possibile per non esserci.

La maggior parte delle volte, dormiva. Passava le ore a dormire, si svegliava solo quando era ora di mangiare o se doveva andare in bagno - azione che richiedeva tempo visto che qualcuno doveva obbligatoriamente stare con lui per tutto il tempo - e solitamente, era più addormentato che mai.

Shoto era stato molto gentile con lui. Non gli aveva detto nulla, non lo aveva rimproverato, non gli aveva detto che aveva sbagliato. Lo aveva guardato a lungo, gli aveva sorriso appena, accennato. Poi, gli aveva detto se andava tutto bene.

Izuku era scoppiato a piangere.

Non sapeva se stava bene. Pareva essere in una bolla, in un involucro di plastica dove tutto ciò che lanciava via finiva per rimbalzargli addosso.

🌼

«Katsuki, stai calmo, andrà bene.»

Kirishima gli sedeva vicino, la mano sulla spalla del suo migliore amico ed entrambi gli sguardi puntati sulla porta di fronte a loro.

Katsuki non faceva che dondolare la gamba su e giù, un gesto di nervosismo che non riusciva a nascondere neppure volendo. Era sempre stato bravo ad ombreggiare quello che provava, ma quando si era innamorato, tutto era andato via via sfumando. Kirishima lo aveva capito da come gli occhi rossi di lui sembrassero prendere vita e guizzare nel sangue quando uno dei suoi ragazzi gli sorrideva.

Sinceramente non si spiegava come entrambi facessero a vivere con la consapevolezza di essere quasi di troppo” l'uno per l'altro, ma poi si rimproverava pensando che lui stava obbligando Denki e Mina a fare lo stesso.

Non hai il diritto di giudicare Katsuki, si diceva. Forse era così, forse no.

Quello che in quel momento gli dava più fastidio, era non sapere come aiutare il suo migliore amico. Certo, per Katsuki aveva fatto grandi sacrifici, - tutti li avevano fatti - ma questo non significava che non dovesse più dargli il suo supporto; in un momento come quello poi…

«Andrà bene, vedrai» gli ripeté.

Non sapeva se sarebbe andato davvero bene, ma quando era piccolo sua madre gli ripeteva spesso di aiutare gli altri e dire cose belle, cose che avrebbero incrementato la speranza. Se non possiamo aiutare gli altri, cosa viviamo a fare, Eijrou? Gli diceva.

Era cresciuto così Kirishima, con la convinzione che aiutare gli altri e soprattutto farli sorridere fosse la cosa più importante di tutte. Poi, era ruzzolato sulle sue stesse convizioni, sulle sue stesse abitudini.

Caduto in un abisso profondo come il Tartaro.

Stava per aprire nuovamente la bocca, spiegare ancora una volta a Katsuki che non sarebbe accaduto niente di male e che anzi sarebbero stati felici di sapere che tutto era stato svolto al meglio, quando il dottore uscì dalla stanza.

Non appena Katsuki lo vide dirigersi in loro direzione, scattò in piedi, facendo scivolare la mano di Kirishima dalla sua spalla.

Il medico, la fronte sudata e i guanti ancora stretti alle dita affusolate, si tirò giù la mascherina, rivelando il suo viso stanco e corrucciato.

«Come sta, dottore?» si fece avanti Eijrou, fremendo più del suo stesso amico.

Il medico si passò una mano sul viso, in segno di stanchezza. Le sopracciglia folte sembrarono formare un'unica semiretta sul ponte del suo naso. Prima di parlare si portò la cuffietta che aveva tra i capelli nella mano stesa lungo il fianco.

«Il paziente ha superato l'intervento.» concluse.

Katsuki non batté ciglio, la bocca serrata, Kirishima però non ebbe la stessa reazione, anzi, lui balzò in avanti, sorridendo.

«Sta bene quindi?» esclamò, quasi proclamandolo, tutto entusiasta.

«Si sta bene anche se-»

«Come sta il bambino?»

Nel sentire la voce roca di Katsuki sia il medico che il suo migliore amico sembrarono gelare sul posto. Lo osservarono, il primo facendosi cupo e l'altro spalancando la bocca, il sorriso che scemava piano piano, come una colata di colore.

«Come ben sai, c'era il rischio che la bomba toccasse lo stomaco e di conseguenza, anche l'utero. Siamo dovuti intervenire a livello del bambino, per evitare che in caso di esplosione, il feto ne venisse danneggiato o peggio… ucciso

Un brivido attraversò il corpo di Katsuki, il rosso vide i suoi peli farsi più evidenti, segno della paura animale che ancora restava attaccata agli esseri umani.

L'alpha biondo corrucciò le sopracciglia, non riuscendo a capire.

«Cosa cazzo significa?» biascicò, la fronte aggrottata come la pagina di un libro stretto in un pugno.

Il medico si schiarì la voce, guardò altrove e deglutì. Non doveva essere molto anziano, ma Kirishima sapeva per certo che aveva una moglie e due figli, uno dei quali era rimasto incinto di un alpha che lo aveva violentato brutalmente. Forse, nella violenza di Katsuki e nella sua frustrazione riconosceva un po' della cattiveria che c'era nel mondo, o forse il contrario.

«Significa che abbiamo dovuto far nascere suo figlio in anticipo.»

Katsuki sbarrò gli occhi, le iridi rosse che saettavano nelle pupille come anguille furiose. Vi lesse dentro una paura cieca, simile a quella di qualcuno che deve affrontare la morte stessa. Una specie di ansia intrappolata sotto le ciglia.

«Ma… ha sette mesi…»

Il medico annuì, un segno distratto con la testa.

Per un attimo Katsuki, parve non capire cosa stesse cercando di dirgli il medico, continuò a biascicare a voce bassa, con le dita che tremavano. Poi, Kirishima gli posò una mano sulla spalla e lui tornò a guardare di fronte a sé, il controllo riacquisito.

«Morirà?» soffiò, neutro.

«Non possiamo dirlo.» affermò il dottore. «Certo, non posso assicurarti che starà  bene, ma come alpha e come padre… ti dico solo, di pregare.»

Di pregare.

Quelle parole continuarono a risuonare nella stanza come una tromba. L'eco lontano di una sentenza definitiva. Katsuki che in vita sua non aveva fatto altro che affidarsi a fatti, ora si ritrovava a pregare.

Pregare che suo figlio avesse salva la vita.

Deglutì, facendosi avanti. Sentiva qualcosa di doloroso nel petto, come l'ago di una puntura smisuratamente grande.

«Ma dottore, Dominic sta bene? Siete riusciti ad estrarre la bomba?» chiese, gli occhi schiusi dalla paura e dall'ansia.

Il dottore ci mise qualche secondo a rispondere, ancora concentrato su Katsuki e sul suo volto sconvolto.

«Si, Dominic sta bene. Gli artificieri ed io abbiamo fatto un buon lavoro, anche se, dovrà stare in sedia a rotelle per un po' per via del cesareo.»

Nel sentire quelle parole, Katsuki che era andato a sedersi ancora una volta, sollevò il viso, la carnagione troppo pallida per il suo corpo; sembrava un fantasma.

«I-in sedia a rotelle?» biascicò Kirishima.

Il medico annuì, dispiaciuto.

«Non ci aspettavamo di dover fare un cesareo, ma la situazione era più complicata di quanto ci aspettassimo. L'intervento ha richiesto la massima concentrazione. Il tritolo sembrava essere stato messo apposta lì, in quel punto più delicato dello stomaco. Devono avergli fatto molto male.»

Nel dirlo, gli occhi del chirurgo, corsero a catturare quelli di Katsuki, un sordo avvertimento.

Quei bastardi, volevano fargli del male.

«Per un po', escludo che Dominic possa camminare senza sedia a rotelle.» concluse l'uomo. «E sarà compito vostro convincerlo, - so che è testardo fino al midollo - ma se non lo farà, non potrete più avere figli.»


🌼




Lucien non aveva preso bene la notizia del tentato suicidio di suo fratello.

Subito dopo che Shinsou aveva soccorso Izuku, gli era rimasto vicino, gli continuava ad accarezzare la fronte, un gesto dolce e delicato come se potesse farlo guarire solo col tocco delle sue dita. Non era riuscito ad alleviare tutto il dolore di suo fratello, ma se ne era inglobato la maggior parte. Gli era rimasto accanto giorno e notte, quasi senza mangiare, bevendo solo l'acqua che Aizawa gli portava.

Non riusciva a fare niente che non fosse pregare e sperare che il suo Izuku aprisse gli occhi.

Nessuno era riuscito a smuoverlo di lì e quando Katsuki ci aveva provato, Lucien lo aveva accusato. Lo aveva accusato di aver lasciato solo Izuku, di averlo lasciato a soffrire senza rendersene conto o addirittura - aveva ipotizzato - ignorandolo.

Gli era scattato addosso come una iena che non mangiava da giorni, e complice anche il dolore di Izuku ancora in circolo nelle sue vene, aveva gettato il suo veleno sulla faccia di Katsuki. Aveva provocato l'alpha fino a fargli perdere le staffe e quando Bakugo gli aveva tirato uno schiaffo, Lucien aveva sorriso soddisfatto.

A quel punto, Aizawa aveva trascinato via Katsuki e aveva fatto in modo di farlo calmare, - o almeno ci aveva provato. -

«Che cazzo vuoi?» gli aveva urlato addosso Katsuki, quando Aizawa aveva provato a condurlo in corridoio.

Si era dimenato finché, Shouta non aveva sospirato stancamente, lasciandolo andare. La rabbia che scorreva cieca negli occhi di Katsuki pareva fuoco incandescente.

«Fatti i cazzi tuoi, Aizawa.»

Non si era mai permesso di parlare in quel modo a quell'uomo. Colui che più di tutti gli aveva insegnato a fare l'hero e ad esserlo.

Il viso di Aizawa si era fatto più duro, severo come quando doveva impartire una lezione più complicata.

«Questi sono cazzi miei.» aveva sancito.

La furia aveva fatto nuovamente capolino nelle iridi rossastre di Katsuki, aveva ghignato con quei denti perfetti come tessere scoperte.

«Non sai neppure cosa ti nasconde il tuo omega, e pretendi di intervenire quando lui fa qualcosa?»

Aizawa ci aveva messo un po' ad elaborare quelle parole, si era ritrovato a fissarlo confuso, la fronte arricciata e gli occhi socchiusi.

«Che cosa intendi?»

Il biondo aveva fatto schioccare la lingua sul palato, in un gesto di muta soddisfazione. Aveva schiuso la bocca e si era preparato a rigettare il dolore che pareva aver soffocato anche lui.

«Lucien è incinto e il bambino è tuo.»

Per un po' Shouta era rimasto sbigottito, senza parlare, senza riflettere. Aveva solo elaborato, un pezzetto alla volta, digerendo. Il suo cervello pareva essere andato in blackout.

«Ma che cazzo stai dicendo?!» aveva sbottato.

Lo aveva preso dal bavero e lo aveva strattonato contro la parete di legno. Lo aveva lasciato a boccheggiare, con la sua forza intrinseca nei polsi.

«La verità» aveva biascicato, stringendogli le spalle nel tentativo di allontanarlo.

«N-non può essere… Lucien…»

Poi, tutto gli era parso chiaro.
Gli svenimenti, le voglie, il sesso matido di passione, le nausee. Gli sembrava di rivivere quei momenti dinanzi agli occhi, un rullino di fotografie che sembrava soffermarsi su ogni momento che incrementava quell'ipotesi.

Poteva essere vero?

Doveva, perché tutto il suo cervello pareva mettersi in moto fino allo sfinimento, col fumo che usciva dalle orecchie e la bocca schiusa dallo stupore.

Lucien aspettava il suo bambino. E come faceva a non essersene accorto?



🌼



Seduto sul tappeto di cottone, quello col motivo a fiori e orsetti, osservava il cavalluccio di legno che aveva in mano. Lo aveva acquistato lui a Millie. Lo aveva osservato prenderlo tra le dita e farselo girare davanti agli occhi, tutto contento, con quel sorrisino che gli si apriva sulla bocca e arrivava fino alle orecchie.

Con gli occhi che parevano brillare come i suoi.

Stava ancora muovendo il cavalluccio quando aveva sentito la porta aprirsi. Un tonfo sordo che lo aveva fatto sobbalzare e attivare istintivamente i sensi.

Aveva sollevato gli occhi, ritrovandosi dinanzi la camicia di Aizawa, scura come l'inchiostro. Lui aveva sempre odiato il nero, gli sembrava di non riuscire a vedere altro se non il buio che lo avvolgeva come un nastro sugli occhi.

«Che succede, Shou-»

«Quando cazzo avevi intenzione di dirmelo?!» sbottò.

Lo raggiunse a rapide falciate, lo sguardo duro come quello di qualcuno che è stato ferito a morte.

Lucien non capì. Sbatté le ciglia su e giù, socchiuse gli occhi. Rimise il cavalluccio a terra. Millie che stava tenendo il suo orsacchiotto in mano lo osservò spaventato.

«Ma di cosa stai parlando?»

Aizawa lo afferrò dal polso, tirandolo su con uno strattone. Una smorfia di dolore attraversò i suoi legamenti, cercò di sottrarsi a quella morsa ma Aizawa non glielo permise.

«Mi fai male» provò a mormorare, ma il corvino lo ignorò.

In seguito si sarebbe chiesto cosa sarebbe accaduto se fosse stato lui stesso a comunicargli quella notizia, lui e non qualcuno che non era altro che uno sconosciuto per il loro amore.
Il problema era che Lucien non era mai stato disposto a lasciargli il cuore, perché, lo aveva già affidato a qualcun altro.

Lo stesso con cui giocava e si chinava a scherzare. Lo stesso di cui aveva creato il sorriso.

«Pensavi di dirmelo direttamente quando avevi le contrazioni? O quando lo avresti portato a scuola?!» ringhiò, il suo alpha che prendeva il sopravvento. «Eh Lucien, perché cazzo non mi hai detto che aspetti nostro figlio?!»

Nel sentire quelle parole, Lucien parve essere colpito da un fulmine. Una luce fortissima che lo abbagliava e lo lasciava steso sul posto come un anema.

Quando ritrovò la forza di parlare, la consapevolezza gli causò un brivido.

«Chi te lo ha detto?» biascicò, la voce che si infittiva come dentro un bosco. «È stato Katsuki, vero?»

Il suo viso variò. Improvvisamente, i ruoli parvero invertirsi; lui era arrabbiato come se lo avessero insultato nel profondo, mentre Aizawa era arretrato, quasi impaurito dalle sue stesse azioni.

«Lascialo, lascialo!»

Era stato Millie a tirargli quei deboli pugnetti contro le gambe, non riuscendo a smuoverlo neppure di un millimetro, ma con una furia negli occhi che sembrava inglobare quella che Lucien non aveva mai mostrato, ma sempre tenuto sotto chiave.

E incamerate quelle informazioni, Aizawa fece scendere lo sguardo, osservò prima il bambino, poi perlustrò le iridi verde menta di Lucien. Con quelle due biglie di ardesia grezza che saettavano ancora e ancora.

«Lui è tuo, vero?» chiese.

Il cuore dell'omega a quel punto, prese a battere così forte che temette gli avrebbe perforato il petto e sarebbe ruzzolato sul pavimento, tingendo di amaranto tutto il tappeto perlato. Rendendo una distesa di sangue e lacrime, come la sua vita lo era sempre stata.

«C-che intendi?»

Tutto era fermo e statico come in una bolla d'aria, perfino il suo respiro pareva bloccato nei bronchi, agonizzante nei polmoni che lo trattenevano fino a sfiatarlo.

Millie anche si era fermato. Il resto del mondo, della stanza, dei loro occhi.
Tutto cristallizzato e ridotto ad attimi e frammenti che Lucien catalogò come un unico, disastroso, evento.

Disfatta.

Un'unica disfatta che si era trasformata in una debolezza e uno smarrimento. In quell'istante Lucien si sentì smarrito, stanco, preda delle onde di quella paura che era diventata un mare.

«Lui è tuo figlio.»

E questa non era una domanda. Lo capì dal modo in cui Aizawa proruppe pronunciando quelle sillabe come se fosse il prologo di una storia già scritta.

«Lui è il tuo bambino» realizzò. «Ecco perché lo tratti così bene, perché ne sei così affezionato, perché lo ami più della tua stessa vita e più di me.»

Le ultime parole le aveva biascicate fuori come fosse stata una bestemmia.

Tu non mi ami.

Quante volte in piena notte si era ritrovato preda dei dubbi che quella stessa frase aveva suscitato nel suo cuore, nel suo corpo, nelle sue vene.
Lo amava? Non faceva che mettere il punto interrogativo, però.

«No» si tirò via dalla sua presa, accasciandosi in ginocchio contro il suo bambino, contro Millie. Lo strinse al petto, sentendolo tremare tra le sue braccia. «Non ti amerò mai come amo mio figlio.»

Aizawa, fermo in piedi, fu colto da uno spasmo. Gli occhi neri come il buio si sgranarono.

«Quindi è tuo figlio.»

Lucien strinse più forte il piccolo a sé, affondò il naso nei suoi capelli ricci, respirando il suo profumo.

«Sì, Millie è mio figlio. E sì, aspetto il tuo bambino.»


🌼





Spazio autrice:
Buonanotte a tutti gli insonni come me, che cercano un po' di pace tra queste righe e trovano solo interrogativi.

Mi scuso ancora per il ritardo (stavolta di tanto) però ho avuto un brutto blocco e come vedete, il capitolo è un po' più cortino, ma almeno più gestibile per me. Spero non ne siate troppo dispiaciuti, però vi prometto che in questo modo riuscirò a pubblicare più volte.

Allora, passando alla storia; che ne pensate? Vi sta piacendo?
Che pensate di ciò che è accaduto a Lucien? Della scoperta che il suo fratellino, è in realtà suo figlio?

E di Izuku e Domi? Sono curiosa di sentire le vostre teorie, perciò non siate timid*, fatevi avanti e parliamo, mi fa tanto piacere❤️

Alla prossima,

-Lilla

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