24. Tra sinapsi e neuroni

Kirishima aggirò il divano, sedendosi accanto a Lucien.

«Bisogna parlare alla sua famiglia» mormorò, la voce moderata. Gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, trovandolo gelato. «So che tu sai dove abitano, se ci puoi dire dove trovarli, io e Katsuki ci occuperemo di dargli la notizia» redarguì, sforzandosi di fargli un sorriso.

Lucien, la guancia premuta contro il petto di Aizawa, la mano incastrata tra le sue, lo guardava, battendo appena le ciglia.
Sotto i suoi bei occhi verdi, lunghe occhiaie violacee gli adombravano il viso pallido.

«Mi hai sentito, Lucien?» domandò, un'espressione compassionevole sulla faccia, «non devi preoccuparti, ci penseremo noi, ovviamente.» Non ebbe risposta. Katsuki fece per avvicinarsi, ma Izuku gli prese il polso.

«Lascialo fare» lo pregò, intrecciando il mignolo al suo. Katsuki cacciò un mugolio, restando immobile.

«Lucien, caro…» provò Mina, affiancando il marito «ti senti bene? Riesci a capire ciò che stiamo dicendo?» mormorò, un sorriso incoraggiante sulle labbra rosse.

Lucien voltò lo sguardo.

«Si, capisco quello che state dicendo» farfugliò, il tono raschiato come se non avesse abbastanza saliva in bocca, «ve lo dirò» sentenziò, Mina e Kirishima si gettarono un'occhiata sorpresa, poi però, Lucien continuò, «a patto che mi portiate con voi.»

«Assolutamente no.»
Era stato Denki a parlare, l'espressione ferita stampata in volto. Tutti i presenti si era voltati a guardarlo, chi con confusione chi con sorpresa.
«Tu non li conosci. Non conosci la sua ex moglie, non conosci i suoi figli. Non meriti di conoscerli dopo quello che è successo» asserì, il tono infervorato, il viso contratto.
«Denks» provò a richiamarlo Kirishima, «cerca di essere comprensivo, non può essere stata colpa di Lucien» cercò di farlo ragionare. Denki scosse la testa, scoppiando in una risata isterica.

«E tu cosa ne sai? C'eri, forse?» lo rimbeccò, guardandolo con sufficienza. Kirishima non rispose, chinando il capo.
«Nessuno di voi era lì, nessuno a parte io e lui» indicò Lucien con un indice, guardandolo sprezzante. Mentre parlava, nelle sue iridi Izuku lesse un mischio tra dolore e rabbia, frustazione e desolazione. «E non c'eravate a vedere come lui ha esitato, come Aizawa è dovuto intervenire, come è stato ferito a causa sua e del suo stupido essere codardo e-»

«Adesso basta» era stato Dominic a zittirlo, solo alzandosi dalla sedia dove s'era appoggiato, facendo calare il silenzio nella stanza. «Tu sei solo uno sciocco se credi che chiunque possa uccidere a sangue freddo. Non dargli colpe che non ha, Lucien ha più palle di tutti voi messi insieme.»

Fu Izuku a restare profondamente sorpreso e colpito da quelle parole, osservando con stupore. Anche gli altri dovevano essere dello stesso avviso perché, nel guardarsi intorno, li vide completamente attoniti, come se non si aspettassero che fosse proprio Dominic a difendere Lucien.

Quest'ultimo però, non solo non lo guardava, ma aveva anche socchiuso gli occhi, continuando ad accarezzare debolmente la mano di Aizawa.

«Non trovo comunque giusto che lui venga» asserì Denki, il tono più basso, quasi colpevole. Dominic gli scoccò un'occhiataccia.

«O vengo o non vi dico nulla» sentenziò Lucien senza scomodarsi. Kirishima sospirò, scambiandosi un'occhiata nervosa con Katsuki.

«Va bene, cazzo» decretò Katsuki, la fronte corrugata. Izuku continuava ad osservarlo, senza aggiungere nulla.
«Però, devi riposare e lavarti» aggiunse, fissando Lucien.
«No, io devo-»
«Non me ne frega un cazzo, ragazzino. Ti alzi, dormi, ti lavi e poi andiamo, non ammetto repliche.»

Lucien aveva sollevato il viso, la sua carnagione appariva ancora più pallida ora. Annuì con la testa, senza aprire bocca. Katsuki cacciò un verso compiaciuto.

«Ottimo lavoro, Kacchan» soffiò Izuku, passandogli accanto con un lieve sorriso che il biondo ricambiò con un ghigno beffardo.

«Sono il migliore, 'Zuku.»








Denki pareva fin troppo silenzioso. Kirishima lo osservava dalla cucina, chiedendosi se fosse bene parlargli o lasciarlo in pace.

Vedendolo alzarsi, optò velocemente per la prima opzione. Lo raggiunse a lunghe falciate, bloccandolo.

«Che c'è?» chiese Denki, sollevando appena lo sguardo sul suo.
«Mi chiedevo se andasse tutto bene» redarguì il rosso, «ti ho visto agitato prima, non ti è mai successo.»
«Va tutto bene» sentenziò l'altro, guardando pigramente il muro alle sue spalle «non era nulla.»
Fece per sorpassare Kirishima, ma l'alpha rosso lo bloccò, afferrandogli il polso.

«Denks, siamo amici, puoi parlarmi» mormorò, guardandolo negli occhi color oro. Kaminari storse le labbra.
«Amici? Ejirou, io ti amavo» sussurrò, l'espressione fragile. Qualcosa nei suoi tratti gli trapassò il cuore, facendolo sanguinare.

Amare. Già, lui lo amava. Kirishima ricordava bene quando glielo aveva confessato, come lo avesse allontanato, come si fossero persi di vista. Non riusciva a perdonarselo, così come non riusciva a dimenticare lo sguardo addolorato di Denki, lo stesso che aveva visto prima, mentre Lucien stringeva il corpo inerme di Aizawa.

«Denki» soffiò, guardandolo con gli occhi carichi di sentimenti inespressi, «mi dispiace tanto, ero molto sciocco al tempo, non avrei dovuto reagire così. Ti prego, capisci, Mina aspettava il mio bambino, sentirmi dire dal mio migliore amico che mi amava, che mi voleva da anni, mi ha confuso» cercò di spiegare, il tono bassissimo.
«Essere confuso vuol dire anche venire a letto con me per chiarire i tuoi dubbi? Vuol dire illudermi per poi abbandonarmi con tanto di soldi sul comodino?!»
«Denks, no, io te li avevo lasciati per…»
«Per pagare il mio corpo?» lo guardava, senza alcuna specifica emozione, solo apatia nelle iridi color miele.
«No, no, assolutamente!»
«E per che cosa?»
«Per…per…per aiutarti! Per permetterti di andare avanti, e-»
«E cosa? Cosa volevi pensassi vedendo i soldi sul comodino e il posto accanto a me vuoto?!» la sua voce si era alzata di un'ottava, le guance si erano arrossate.

Piccole efelidi chiare tempestavano la sua pelle chiarissima, Kirishima ricordava di avergliele sfiorate in passato, mentre lo sentiva gemere. Si chiese perché sentisse l'impulso di farlo ancora.

«Denks, io…non volevo, ti prego di perdonarmi, non volevo farti sentire così, volevo solo aiutarti…» era sincero, il viso stretto in una smorfia di dolore, le labbra serrate. Denki non volle guardarlo.
«Non so come fare a perdonarti, Eiji-san. Non credo di averne le forze, ora» soffiò, il tono simile ad un sussurro di dolore.

«Non farlo» gli aveva bloccato il polso, la sua mano era sospesa a qualche centimetro dalle sue lentiggini. Non si era neppure accorto di aver sollevato la mano. Denki gliela riportò lungo il fianco, continuando a tenergli il polso.
«Non posso continuare a stare male per te, sono andato avanti» mormorò, più tra sé e sé che per altri.

Sul viso virile di Kirishima si stampò un sorriso amaro «e il tuo andare avanti vuol dire innamorarsi sempre di uomini sposati?»
Lesse il dolore negli occhi color miele di Denki, «vaffanculo, Kirishima» gli sputò contro, il viso contratto in una smorfia ferita.

Non avrebbe dovuto dirlo, ma sapeva bene che l'unico modo per far affrontare un problema a Denki era buttarcelo davanti, dargli una grande spinta e sperare che non precipitasse giù.

Così chiuse gli occhi, lasciando che il biondo lo sorpasse con un ringhio, cercando di non pensare ai suoi occhi lucidi e al dolore che gli scavano dentro.







«Ti senti bene?» gli aveva chiesto Kirishima, mentre Bakugo guidava.

Lucien aveva annuito, continuando ad osservare il paesaggio che scorreva sotto i suoi occhi.

«Sei davvero sicuro di voler venire con noi? Ci hai ripensato? Se vuoi puoi, aspettare in macchina» bonficchiò Kirishima, gettando le parole fuori di botto.

«Ohi, capelli di merda» lo aveva richiamato Bakugo, svoltando in una stradina, «lascialo stare.»

Lucien gliene era stato silenziosamente grato. Si sentiva agitato. Agitato e nauseato, il pensiero che Aizawa potesse aver bisogno delle sue cure mentre non c'era lo lasciava con un fastidioso nodo alla gola, ma al contempo, non sarebbe riuscito a lasciar andare altri.
Denki aveva ragione, era colpa sua e se ne sarebbe assunto la responsabilità.

Avrebbe parlato con la famiglia di lui, si sarebbe inchinato, chiedendo scusa, si sarebbe addirittura prostato in ginocchio se fosse servito allo scopo.

Katsuki aveva svoltato in un vicolo, e si era ritrovati di fronte a una grande palazzina. Lucien si era guardato attorno, accorgendosi dei bei lampioncini ai lati del prato, della strada lastricata, dell'erba falciata. Quello era il quartiere benestante, non aveva dubbi.

«Andiamo» aveva asserito Katsuki, parcheggiando l'auto.

Erano scesi dalla macchina e avevano raggiunto il portone d'ingresso. Le scale non gli erano mai parse tanto faticose; aveva sempre abitato all'ultimo piano, non che non ci fosse abituato, ma negli ultimi giorni aveva usato anche l'ultima briciola di forza per far star meglio Aizawa e non mangiava nulla da ore.
Aveva dovuto sorreggersi alla ringhiera, il fiato corto e le membra stanche.

Kirishima si era offerto di aiutarlo, porgendogli il braccio, ma lui aveva educatamente rifiutato.

Ad aprirgli la porta era stato un bel bambino; gli occhi chiarissimi, i capelli dello stesso colore alabastro del padre.

«Chi siete?» aveva chiesto, guardandoli con un sopracciglio inarcato.
«C'è tua madre?» aveva redarguito Katsuki, il tono burbero. Il bambino si era gettato un'occhiata alle spalle.
«Chi la cerca?» aveva chiesto.
«Katsuki Bakugo.»

Il bambino aveva sgranato gli occhi, guardandolo con un'aria nuova; un misto di adorazione e sorpresa. Le guance gli si erano imporporate.

«Aspettate» si era diretto in casa, lasciandoli sull'uscio. Lucien si era mordicchiato il labbro, nervoso.
«Andrà bene» lo aveva incoraggiato Kirishima, facendo caso al suo gesto.

Quando il bambino era tornato, dietro di sé c'era un ragazzo più grande. Nel guardarlo, il cuore di Lucien perse un battito. Trattene il fiato, sorpreso.

Gli stessi tratti mascolini, la stessa espressione severa, gli stessi lineamenti perfetti. Gli pareva di avere davanti la copia spuntata del suo Shota, in versione più piccola. Però, i suoi occhi, erano azzurri e blu come il ghiaccio e i suoi bei capelli neri, più chiari di quelli di Aizawa.

Non doveva avere poco più di sedici anni, eppure, quando parlò la voce risuonò nel corridoio come quella di un uomo.

«Che vi serve?»

Katsuki gli gettò un'occhiataccia.

«Ohi, ma in questa famiglia siete tutti tardi? Devo parlare con vostra madre, perciò, levatevi di mezzo.»
Kirishima lo aveva trattenuto dal braccio.
«Scusatelo, è un po' agitato» mormorò, abbozzando un sorriso di scuse, «potremmo parlare con vostra madre?»

Il ragazzo più grande fece schioccare la lingua sul palato.

«Arschlöcher. Stronzi» soffiò, guardandoli con sufficienza.

Katsuki aveva sollevato un sopracciglio, Kirishima lo aveva osservato confuso.

«Sei nicht unhöflich. Non essere scortese» rispose Lucien, non battendo ciglio. Il ragazzo spostò lo sguardo su di lui, un ghigno compiaciuto stampato sul viso sorpreso.

Sentì su di sé anche lo sguardo di Kirishima e Bakugo, tuttavia, prima che potesse aggiungere altro, il ragazzo parlò di nuovo.

«Sprichst du Deutsch? Parli tedesco?» chiese, le lunghe ciglia nere si socchiusero, velando a metà le sue iridi chiarissime.

«Ja. Si» confermò Lucien. Il ragazzo lo guardò senza batter ciglio.

«Ohi, che cazzo di lingua state parlando?!» ringhiò Katsuki, interrompendoli.

Lucien abbassò lo sguardo, sentendo pizzicare la pelle dall'intensità di quello del giovane.

«Cosa ci fa un gioiellino come te con questi buzzurri?» decretò il ragazzo, inclinando il viso. Ciuffi neri come il buio gli sfiorarono la fronte. «il mio fratellino sarà deliziato da te» sentenziò. Poi, si fece da parte, lasciandoli passare.

Attraversarono il corridoio, raggiungendo il salotto. Le pareti della casa erano di un debole azzurro pastello.

«Wilhem, wer war an der Tür? Wilhelm, chi era alla porta?» una donna, con dei lunghi capelli biondo ghiaccio, li raggiunse. Una bella vestaglia rosa antico le circondava il corpo sinuoso. Le ciocche bionde le scivolavano sulla schiena, come una cascata di seta.

«Sie sagten, sie müssten mit dir reden. Hanno detto che avevano bisogno di parlarti» rispose Wilhelm, accomodandosi sul divano. La donna, si voltò verso gli ospiti, un sorriso gli distese le labbra.

«Piacere, sono Eloise» porse loro la piccola mano affusolata, Kirishima gliela strinse.

«Piacere signora» mormorò, gettando un'occhiata di avvertimento a Katsuki.
«Piacere» soffiò. La donna sorrise, poi passò a salutare Lucien.

«Vergnügen, gnädige Frau. Piacere signora» esclamò, lentamente. La signora Eloise sollevò lo sguardo, studiandolo sorpresa.

«Ein ziemliches Juwel, nicht wahr Mama? Un vero gioiellino, non è vero mamma?» intervenne Wilhelm guardando Lucien con un ghigno.

«Mannaggia il cazzo» sentì imprecare Katsuki, gettando a tutti e tre un'occhiataccia. Kirishima gli tirò una gomitata.

«Smettila, Baku-bro» lo pregò. Il biondo sbuffò.

«Signora, dobbiamo parlarle di una cosa molto importante» decretò Kirishima, riportando l'attenzione della signora su di sé.

«Certo, sedetevi pure» indicò il divano, l'espressione pacata del suo viso chiaro dava a Lucien una strana sensazione di calma.

Era tedesca. Lucien non lo avrebbe mai detto, tuttavia, ogni particolare glielo confermava.

Si accomodò sul divanetto bianco, studiando la stanza; non c'era molto a parte il divano e le poltrone, il tavolino, il piccolo camino in muratura e qualche mensola e quadro. Sulla mensola di legno sul camino, c'era una cornice con una foto, nella quale, era raffigurate quattro sei persone. Riconobbe Aizawa, con i suoi lunghi capelli scuri, un Wilhem bambino, con gli occhi grandi e belli, la signora Eloise con un sorriso meraviglioso sulle labbra tinte di rosso, un piccolo bambino che immaginò fosse il ragazzino che gli aveva aperto la porta, poi, altre due figure, una bambina, con dei bei riccioli dorati e un ragazzo simile, con le gote arrossate.

Anche loro erano figli di Shota?

Prima che potesse darsi una risposta, la signora Eloise tornò con un vassoio, con sopra delle piccole tazzine blu.

«È té» spiegò la signora Eloise, porgendone una tazza ciascuno. Lucien accettò, sorridendo.

«Danke» ringraziò. La signora ricambiò il sorriso.

«Voi parlate tedesco, signori?» chiese la signora Eloise, rivolgendosi agli altri due. Kirishima scosse la testa.

«No, mi dispiace» esclamò. La signora Eloise scosse la testa con eleganza, i riccioli gli scivolarono sul petto, danzando accanto al suo seno.
«Non preoccupatevi» poggiò la sua tazzina sul tavolino dinanzi a sé, «allora, di che cosa volevate parlarmi?»

Lucien sentì lo sguardo bollente di Wilhelm scottargli la pelle. Gli parve di percepire il freddo tagliargli le ossa, traendone godimento.

«Si tratta del suo ex marito, Aizawa» disse Kirishima, guardandola. La signora Eloise, si raddrizzò sulla poltrona, l'espressione fattosi improvvisamente seria.

«Che succede?» chiese.
«È…stato ferito» spiegò l'alpha, lo sguardo spento, «durante una battaglia. Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo, ora però dobbiamo aspettare che si svegli. I medici dicono che ha perso tanto sangue, troppo

La signora Eloise non parlò.
Si mise in piedi, portando le braccia al petto. I braccialetti che gli cingevano il polso, tintinnarono. Lucien intravide il luccicare dei piccoli smeraldini.

«Dov'è ora?» domandò Eloise, guardando il tavolino.
«A casa nostra, nel nostro rifugio.»
«Capisco.»

«Com'è successo?» non era stata Eloise a parlare, ma Wilhelm, che con le braccia incrociate al petto, guardava Katsuki.

«È…» iniziò Kirishima, ma venne interrotto da Lucien.
«È stata colpa mia» mormorò, chinando lo sguardo in basso, poi, prima che potessero fermarlo, si sporse in un inchino «vi prego di perdonarmi.»

«Oh caro» la signora Eloise lo raggiunse, poggiandogli una mano sulla spalla, «non preoccuparti, alzati.»
Lucien obbedì.

«Perché dici che è colpa tua?» domandò la signora Eloise, facendolo risedere.
«Eravamo in missione. Non doveva essere pericoloso, sarebbe andato tutto bene a patto che tutti avessero fatto la loro parte» si interruppe, prendendo un respiro profondo, «è…» la voce gli si incrinò, «è stata colpa mia. Avrei dovuto solo difendere la porta, ma…sono distratto. Ho lasciato la porta e quando sono tornato, un uomo stava per aggredirmi. L'ho bloccato, dovevo…dovevo ucciderlo, ma…ho esitato. Quello mi avrebbe ucciso se non fosse stato per Aizawa, però, ce ne erano altri e non sono riuscito…» si bloccò, lasciandosi sfuggire un singhiozzo, «l-lo hanno ferito e quando sono riuscito a raggiungerlo, perdeva già tanto sangue.»

«Vi prego di perdonarmi» soffiò, portando lo sguardo verso terra. Le lacrime ormai gli avevano bagnato le guance, arrossandogli gli occhi.

Percepì le mani delicate della signora Eloise tra i suoi capelli, la sua voce gentile che gli chiedeva di guardarla.

«Esitare ad uccidere non è segno di debolezza, ragazzo» mormorò, la voce bassa e dolce «io ho quattro figli. Ogni giorno ringrazio dio di essere nata ricca, perché solo così a questo mondo riesco a proteggerli. Tu sei molto giovane, vero?»
Lo guardò, sorridendo.
Lucien annuì.

«Non devi scusarti, caro, se ti fa stare meglio, ti perdono, anche se non hai nulla da farti perdonare. Sei stato molto coraggioso, ti sono grata di essere venuto qui.» Gli lasciò una carezza sulla guancia, Lucien la fissò, imbambolato.

«Dice sul serio? Anche se Shota sta male a causa mia?» si lasciò sfuggire un'altra lacrima, che Eloise asciugò.
«Certo.»

«C'è un'altra cosa, signora Eloise» disse Kirishima, la voce raschiante.
«Ti prego, chiamami Eloise» lo interruppe.
«Eloise» ripeté Kirishima, «devo pregarla -a lei e i suoi figli- di fare i bagagli e venire con noi. Avrete una stanza tutta vostra, però non potete restare qui, non dopo l'aggressione.»

«Was zum Teufel sagst du? Che diavolo stai dicendo?» ringhiò Wilhelm, scattando in piedi. Eloise gli gettò un'occhiata severa.

«Hinsetzen. Siediti» ordinò. Il ragazzo obbedì, tornando a sedersi.

«Ho due bambini piccoli» spiegò Eloise, indicando il bambino seduto sulla poltrona, «devono andare a scuola, essere al sicuro, però, se stare con voi significa proteggerli, verremmo.»

«Ma che cazzo dici, ma'?» sibilò, adirato.

«Wilhelm, sta' zitto, ti prego» sentenziò la donna, mantenendo il suo tono fermo.
«Ti rendi conto cosa ci stanno chiedendo? Non sappiamo neppure chi siano!» ringhiò Wilhelm, ignorando la madre.

«Sono amici di papà» mormorò il bambino, guardando Katsuki.
«No, Liv, non sappiamo chi sono» lo rimbeccò Wilhelm.
«Basta, ragazzi» li interruppe la madre.

«Signor Bakugo» asserì la donna, facendosi seria, «ho sentito molto parlare di lei. Dicono che sia un prodigio, la punta di diamante della ribellione. Mi fiderò se mi assicurerà che nessuno toccherà i miei figli.»
«Sono Katsuki» redarguì il biondo, «e le assicurò, sulla mia vita, che nessuno torcerà un solo capelli ai suoi figli.»

«Glaubst du, das beruhigt mich? Pensi che questo mi calmi?» sancì Wilhelm con odio.

«Du solltest deiner Mutter und uns etwas mehr vertrauen, schreien bringt dich nicht weiter. Dovresti avere un po' più di fiducia in tua madre e in noi, urlare non porterà a nulla» sentenziò Lucien, intervenendo.

«Und Sie sollten sich um Ihre eigenen Angelegenheiten kümmern. E tu dovresti farti i cazzi tuoi» redarguì, lanciandogli un'occhiataccia.

«Wilhelm!» lo rimproverò la madre. Lui distolse lo sguardo.

«Vi prego di perdonare mio figlio, è solo molto impulsivo» spiegò l'espressione mortificata, gettò un'occhiata a suo figlio, un sorriso dolce sulle labbra. Lui la ignorò, offeso.

Il rumore della serratura che scattava li fece irrigidire. Katsuki lanciò uno sguardo al portone, pronto ad alzarsi. Eloise gli fece cenno di stare seduti.

«Maman, je suis à la maison. Mamma sono a casa!»

Videro un bambina dai nei riccioli biondi correre incontro alla madre. La signora Eloise la strinse a sé, prendendola per mano.

«Cherry, loro sono degli amici di papà» disse, indicandoli alla figlia. La bambina sorrise, i suoi bei occhi azzurri brillarono.

«Papà sta bene? Ha detto qualcosa per me?» chiese, il sorriso emoziatonato. La signora Eloise si chinò a sussurrare qualcosa e lei annuì. Si sedette accanto a suo fratello, che le accarezzò i capelli.

«Maman, tout va bien? Mamma, va tutto bene?»

Una cascata color ghiaccio, occhi grandissimi, labbra carnose. Un bel ragazzo entro nella stanza, guardando circospetto sua madre.

«Oui» asserì la madre, facendogli cenno di raggiungerla.

«Ash, demande-lui combien de langues il parle. Ash, chiedigli quante lingue parla» disse Wilhelm, rivolto al fratello.

Gli occhi del biondo scivolarono su Lucien, il blu intenso lo avvolse, l'angolo della bocca si sollevò. Lucien deglutì, sentendo il cuore scoppiare. Pompava così forte che non si sarebbe sorpreso di vederlo rotolare a terra.

Spero che quel ragazzino non lo avesse notato il modo in cui tremava, il modo in cui le guance gli si erano colorate. Speranza che si frantumò come vetro sotto i colpi di un'acceta.

«Je me souviens de ton goût sucré, Lucien. Ricordo bene come sua dolce il tuo sapore, Lucien » soffiò, il tono intriso nel miele, con quel francese dalla pronuncia impeccabile che in quella maledetta sera gli aveva quasi fatto perdere i sensi.

Non dovette spostare lo sguardo per percepire il ghigno sorpreso di Wilhelm.

«Vi conoscete?» chiese Eloise, confusa. Lucien non ebbe il coraggio di rispondere. Annuì abbassando la testa.

«Si, ci conosciamo» proferì Ash.
«Bene, devo parlarvi di una cosa» sentenziò Eloise, guardando i figli.







Mentre gli passava accanto, Lucien trattenne il respiro. Ricordava quel ragazzo, il modo in cui le sue labbra si piegavano, la curva sinuosa della sua gola.

Percepì il suo profumo riempirgli le narici, quel suo odore dolce e penetrante, un mugolio avrebbe potuto lasciargli le labbra se non le avesse serrate così forte da non riuscire a sentirle.

Ash gli si era accostato, sfiorandogli appena il petto.
«Ne secoue pas Lucien, je ne t'ai pas encore touché. Non tremare Lucien, non ti ho ancora toccato» gli aveva sussurrato contro l'orecchio. Poi, lo aveva lasciato andare, leccandosi il labbro.

Wilhelm che aveva osservato la scena da lontano, aveva sogghignato.

«Ci sarà da divertirsi» aveva mormorato col suo perfetto francese.




Non avevano riportato solo la famiglia di Aizawa a casa. Katsuki aveva detto che si sarebbero fermati a prendere alcuni ragazzi, i quali facevano tutti parte della ribellione.

Per tutto il viaggio, Lucien si era tenuto incollato al finestrino, mentre Katsuki guidava, seguito da Kirishima che aveva preso un'altra auto per poter portare tutti.

I tempi si fanno sempre più difficili, aveva detto una signora ferma sul ciglio della strada. Lucien non poté che dargli ragione.

Non aveva molto tempo per piangere. Non era il tipo da piangersi addosso per ogni cosa, tuttavia, in quel momento avrebbe solo voluto lasciarsi andare e sfogare tutte le lacrime che gli arrovellavano gli occhi, lasciandole scorrere assieme ai brutti pensieri e alla rabbia.

Mentre osservava il paesaggio corrergli dinanzi agli occhi, percepì il suo odore fresco. Si era spesso chiesto come un omega facesse ad emanare un odore così forte, così mascolino, non era mai riuscito a sentire quel profumo in nessuno, a parte lui.

Gli aveva poggiato una mano sulla coscia e lui si era sentito mancare. Si era girato a guardarlo, quasi a pregarlo di rimuoverla. Ash però, non solo non l'aveva ascoltato, ma gli aveva anche preso la testa e l'aveva lasciato poggiare sulla sua spalla.

«Vous êtes malade? Stai male?» gli domandò, accarezzandogli i capelli.
Lucien non era riuscito a reprimere un singhiozzo.

«Mon petit oméga» aveva sussurrato Ash, cullandolo a sé. Lucien gli aveva bagnato la felpa con le sue lacrime.





«Ohi»

Katsuki gli accarezzò la guancia. Izuku sorrise.

«Ciao» nel buio della stanza i suoi capelli gli parvero fatti di raggi di luna. Si lasciò baciare, le labbra di Katsuki sapevano di zucchero e menta.

«Mi sei mancato» sussurrò il biondo, scendendo a baciargli il collo. Izuku ridacchiò, sentendo il leggero strato di barba pizzicargli la pelle.

«Kacchan…mi fai…il solletico…» ridacchiò, cingendogli il collo con le braccia. Il biondo si lasciò baciare, sfiorandogli la lingua con la sua.

«È andato tutto bene?» chiese quando si separarono. Katsuki si era chinato sulla sua pancia e ci aveva lasciato un bacio.

Era arrossito, sentendo le guance colorarsi. Gli occhi gli si erano gonfiati di lacrime.

«K-Katsuki…» lo aveva chiamato, il biondo era tornato sulle sue labbra.

«È andato tutto bene, anche se la casa sarà più affollata d'ora in poi» ammise, il tono leggermente colpevole.
«Kacchan…»
«Dimmi.»
«Lo sai che non è un problema, vero?»
«Dici così solo per vederli contento.»
«Anche se fosse, sei felice?»
Katsuki sbuffò, maledicendo il suo carattere burbero. Il cuore di Izuku batteva così forte sotto il suo orecchio.

«Si, si sono felice Izuku» sentenziò, arrendendosi a quel sentimento «sono felice che tu sei qui con me, sono felice di averti, sono felice di essere tuo.»

«Kacchan…» la voce gli si era incrinata.
«Hmm?»
«Stringimi» l'alpha lo fece, cingendogli il corpo con le sue braccia, affondando la testa nel suo collo.
«Stringimi più forte» soffiò Izuku. Katsuki obbedì. Non voleva fargli male, ma il gemito che sfuggì dalle labbra di Izuku lo invitò a osare di più.

Gli baciò il collo.
Izuku reclinò il capo, lasciandosi cullare dalle sue labbra.

«Katsuki» lo sentì mormorare, la voce accesa da un bisogno che lo faceva sospirare ad ogni sfioramento delle labbra di lui contro il suo collo.
«Hhm?»
«Scopami

Il suo cuore accellerò rapidamente. Deglutì, la saliva gli riempiva la bocca, mentre la mente si faceva vuota.

«'Zuku…» soffiò, accarezzandogli un fianco. L'omega gli prese il viso tra le mani, avvicinando le labbra alle sue.

«Veloce, ti voglio dentro di me.»
«Izuku, cazzo…»

Lo spogliò, aiutandolo a sfilarsi gli ultimi indumenti, poi prese a baciargli e succhiargli la pelle. Izuku reclinò il capo, accogliendo quelle carezze.

Lo aiutò a togliersi a sua volta i vestiti, osservando meravigliato ancora una volta, il suo corpo perfetto, gli addominali longinei, la curva sinuosa delle sue spalle. Gli sfiorò una piccola cicatrice sul petto, sollevando gli occhi a guardarlo.

«Sei…» arrossì, non riuscendo a dirglielo. Katsuki sorrise compiaciuto.
«So di essere bello, Izuku» lo prese in giro, godendosi le sue guance infervorate.
«Stupido» soffiò l'omega. Gli allaccio le braccia al collo e riprese a baciarlo.

Katsuki gli era scivolato tra le gambe, guardandolo compiaciuto. Il suo membro gli sfiorava la coscia, premendo sulla sua carne morbida.

Ansimò. Katsuki aveva fatto scivolare due dita tra le cosce, iniziando a sfiorargli l'apertura con i polpastrelli.

«Ah…Kacchan…» mugolò, «prendimi e basta» asserì, lasciando scivolare i polsi accanto al suo viso. Katsuki ringhiò, un verso dettato dal suo alpha, l'erezione che pulsava contro la sua coscia.

«Sei sicuro?» mormorò, lambendogli le labbra con le sue. Izuku lasciò che gli mordesse il labbro, che gli sfiorasse la lingua, unendole.
«Si» soffiò, cingendogli i fianchi con le gambe. Non poteva e non voleva aspettare.

La pelle di Katsuki era bollente.

«Non ho il preservativo» gli sussurrò, Izuku arrossì, sorridendo.
«Non mi importa, voglio sentirti tutto
Katsuki gemette. Gli attanagliò le labbra, sfogando la sua lussuria su quei due lembi di carne.

Poi, il suo mondo ruotò. Izuku lo aveva ribaltato sulla schiena, finendogli sopra.
Le cosce gli cingevano il bacino, i suoi palmi gli sfioravano il petto.

«Esiti troppo, amore» redarguì, mugolando sulle sue labbra. Katsuki si lasciò sfuggire un gemito.

Izuku sorrise, poi, si issò sulle ginocchia.
La sua mano corse sul membro del biondo, lo avvolse col palmo, conducendolo un poco dentro di sé.

Katsuki gli tenne i fianchi, graffiandoli.
«Così -ah, cazzo
Izuku non lo stava ascoltando, perso nel suo piacere. Lasciò scivolare la mano, facendolo finire completamente dentro di sé. Gettò la testa all'indietro, gemendo; era così grande…

«K-Katsuki…» tremò, lasciando che il suo corpo si adattasse a quella presenza.

Con Katsuki non bastava abituarsi; restava comunque dotato, tanto da premergli da subito contro quel punto in grado di cancellargli dalla mente qualsiasi pensiero. Tremò, un brivido gli attraversò la schiena, il corpo si mosse, seguendo l'andamento di Katsuki, il suo respiro tremulo sulle labbra.

«Sei così grande…» mormorò, lasciando andare la testa all'indietro. Le labbra bollenti dell'alpha gli circondarono il lobo dell'orecchio, soffiandoci contro.
«E tu sei fradicio» mormorò.
Izuku percepì una fitta di piacere intorpidirgli le gambe. Il membro di Katsuki gli premeva dentro, lo sentì gonfiarsi, ergendosi.

«Ah…ahh!…» urlò, non riuscendo a trattenere quel piacere totalizzante, che come onde gli anneggava il corpo.
Boccheggiò, aggrappandosi a Katsuki.
Mosse le ginocchia, ma le sentì cedere, arrossate e deboli.
«Katsuki...io…»
Il biondo lo baciò, circondandogli i fianchi e portandolo sotto di sé.

La sua schiena sudata si scontrò con le lenzuola sfatte, gemette, sentendo Katsuki muoversi più velocemente.

«Così, ti piace?» gli soffiò contro l'orecchio, mandandogli il cervello in fiamme.

Gli graffiò la schiena, non riuscendo a trattenersi.

«Più veloce» lo pregò, in quello che sarebbe dovuto sembrare un ordine, ma che risuonò come una supplica. Katsuki lo accontentò.

Gli schiuse ancora un po' le cosce e sprofondò in lui, colpendolo fino infondo.

«Aah…Katsuki…ah…» gemette. Il biondo si mosse ancora.

Izuku di lasciò andare, riversando i suoi riccioli sul cuscino e gemendo a bocca aperta.

Mentre lo sentiva dentro di sé, non poté fare a meno di essere sfiorato da un pensiero, da quelle fitte che sempre più abbondanti gli colpivano il ventre.
Si ritrovò ad artigliargli le spalle, mentre lo teneva contro di sé.

«Scopi così Dominic?» gli sussurrò, una vena masochisista nella voce. Katsuki ringhiò, spingendosi in lui con più enfansi.
«No» gli rispose, la voce bassa e roca. Il corpo dell'omega fu attraversato da un brivido più forte. Sapeva bene di essere vicino all'orgasmo, ma volle comunque una risposta.

«E come?» mugolò, il tono strascicato. Conficcò le unghie nella schiena, più affondo.

«Non ti piacerebbe» gli rispose il biondo, sprofondando in lui con voracità, lasciandolo senza fiato. Lo sentiva sfiorargli il ventre con ogni spinta, si sentiva riempire e possedere così bene che non riusciva a pensare ad altro.

«E come…ah…come fai a saperlo? Voglio…ah…voglio…mmh…che me lo dici…ah!» replicò. Katsuki ringhiò più forte, strappandogli un'uggiolio sottomesso.

«No…'Zuku…»
«Eddai…K-Kacchan…ti prego…»
«Merda…» lo sentì tremare dentro di sé, pulsare vogliosamente, mentre lui capiva il suo punto debole.

Le suppliche, eh?

«Kacchan…ti prego…»
Lo sentì gemere, trattenendo il labbro tra i denti e poi, percepì le sue mani spostarlo, voltarlo a pancia in sotto. In un attimo, si ritrovò con la guancia schiacciata contro il lenzuolo e il sedere in alto. Arrossì, sentendosi maledettamente esposto.

Non ebbe modo di pensare ad altro, Katsuki gli si risponde dentro di botto, facendolo urlare. Inarcò la schiena, senza fiato, sentendo il suo mento farsi strada in lui sempre più affondo.

«Sei così caldo» sussurrò Katsuki piegandosi sul suo collo, gli morse il collo strappandogli un gemito rauco.
Lo sentì tirarsi fuori e rientrare, veloce e rude, il suo membro gli scavi dentro, finendogli più affondò.

«Aah…Katsuki…» ansimò, quella posizione lo faceva impazzire, ma al contempo lo uccideva. Si chiese se anche Dominic godesse così, mentre Katsuki lo scopava in quel modo.

Non c'era nulla nella sua mente, non gli uomini che lo avevano posseduto, non rabbia, non dolore. C'era solo il suo corpo che fremeva, il membro di Katsuki che lo riempiva a dovere, il piacere che gli travolgeva i muscoli e i sensi.

Lasciò andare la testa all'indietro, poggiando la nuca contro la spalla di Katsuki. Lui lo afferrò dai capelli e gli spinse la lingua in bocca.

«Aah…io…»
Katsuki diede una spinta più profonda, facendolo arrampicare sulla schiena.
«…» mormorò, graffiando le lenzuola.

Katsuki prese a spingere in quel punto, strappandogli ogni raziocinio.
Prese ad ansimare più forte, conscio di quel piacere che gli intorpidiva i sensi.

«Ah…K-Kacchan...io…» mugolò, non riuscendo a trattenersi.

L'alpha diede una spinta più profonda, facendo tremare il letto.

«Vieni per me, piccolo» gli soffiò contro l'orecchio, il tono roco e graffiante. Izuku si strinse, sentendo il suo membro toccare ancora quel fascino di nervi, facendolo urlare.

«Katsuki…» gemette, chiuse gli occhi e vide nero. L'orgasmo lo colpì come un tornado, scuotendogli perfino l'anima.
Si lasciò andare, sentendo il seme di Katsuki riempirlo.

Le ginocchia gli crollarono, facendolo finire supino, Katsuki che gemendo roco gli si riversava dentro, piano.

Sospirò, sentendosi deliziosamente sfinito.




Più tardi, mentre Katsuki gli riposava con la testa sul petto, percepì un piccolo movimento all'interno del ventre.

Sobbalzò, facendo sussultare anche l'alpha.

«Che succede?» gli chiese mezzo addormentato. Izuku gli accarezzò la guancia, scusandosi.

«Vuoi sentire una cosa?» gli chiese gli occhi verdi brillavano. Katsuki annuì, confuso. L'omega gli prese la mano, portandola sul suo ventre.

«Cosa…?» stette immobile, accarezzando quella zona, Izuku gli fece cenno di stare in ascolto. Aggrottò la fronte, non percependo nulla, stava per parlare quando, lo sentì.

Simile a un piccolo soffio, alla resistenza di un fiore contro un velo. Al callo di una penna contro un foglio. Ne percepì il suo piccolo movimento, preciso e veloce.

Sgranò gli occhi.
«Era un…»
Izuku aveva gli occhi lucidi.
«Si, era un calcetto» sussurrò, accarezzando la mano di Katsuki.

«Izuku» mormorò, la voce incrinata.
«Che c'è, tesoro
«Ho litigato con Dominic.»
«Uh, e come mai?» Izuku aveva la voce tiepida, come lo scorrere di un ruscello.
«Gli ho detto di abortire.»

Mentre lo pronunciava, si vergognò. Si vergognò terribilmente, chinò il viso e aspettò che Izuku lo guardasse schifato, ma il ragazzo, lo prese per mano e gli fece sollevare il volto.

«E lui cosa ti ha detto?» gli chiese, guardandolo con dolcezza. Katsuki distolse lo sguardo.
«Ha detto che non lo avrebbe fatto, che sono un egoista e uno stronzo
«Dovresti chiedergli scusa» soffiò Izuku, il tono monocorde.
«Vuoi che lo faccia?» domandò Katsuki, guardandolo. Fu il turno di Izuku di distogliere lo sguardo.
«Non si tratta di quello che voglio io» sancì. Katsuki non replicò.








Più tardi, mentre Izuku dormiva, Katsuki era sgattaiolato via. Si era districato dal suo abbraccio dolce e caldo e aveva messo i piedi per terra.

Non si era dato il tempo per riflettere, aveva seguito il cuore e l'istinto.

Aveva attraversato il corridoio, fino a raggiungere la porta della sua camera.
Aveva abbassato la maniglia, attento a non farla scricchiolare ed era scivolato dentro, chiudendo la porta.

Quasi era inciampato mentre raggiungeva il letto, aveva urtato il comodino e il rumore, lo aveva svegliato.

Aveva sentito l'abajour accendersi e non gli era rimasto che guardarlo, con le mani tremanti, avvicinandosi.

«Finita la scopata?» aveva soffiato Dominic, la voce apatica, il solito cipiglio indenifito. Non riusciva mai a leggere davvero il dolore in quelle iridi chiare, sembrava fin troppo bravo ad eliminare tutto.

Katsuki non rispose, raggiunse il letto, aggrappandosi alle sue dita.

«Cosa c'è? Non ti ha soddisfatto abbastanza? Sei venuto per il secondo round-»

Non gli permise di continuare, lo afferrò dai fianchi, portandeselo in grembo e baciandolo. Lo sentì opporsi, spingerlo via con i palmi delle mani, ma lui non lo lasciò andare.

Dominic gli morse il labbro con forza, costringendolo a staccarsi.

«Non ti voglio, lasciami» gli disse guardandolo con odio. Katsuki si pulì il rivolo di sangue che gli stava lasciando le labbra, continuando ad osservarlo.

Dominic era bellissimo, una di quelle bellezze rare e preziose, che Katsuki aveva avuto l'onore di incontrare due anni prima, quando ancora si chiedeva come e cosa fare.

Era l'omega più bello che ci fosse in circolazione in quel paese. Katsuki lo aveva notato solo dopo qualche settimana, ancora troppo preso dal suo Izuku, tuttavia, una volta notato, aveva fatto fatica a levarselo dalla testa.

Kirishima gli aveva detto che era sbagliato, però Katsuki aveva trovato il modo di stare con lui e di trarne più informazioni possibili.

Il piano gli era venuto in mente molto prima che lo vedesse di persona, tuttavia, una volta iniziato, non poteva più tirarsi indietro. Non avrebbe voluto usarlo, specialmente sapendo quello che Dominic provava e faceva per lui, però, cercava di diassuadersi dai sensi di colpa, dicendo che era solo per via diun bene superiore se faceva quello, però, ora, mentre lo guardava alle tre di notte, nel suo letto con le occhiaie sempre più evidenti e il ventre lievemente pronunciato, capì che ciò che stava facendo, non era affatto per un bene superiore.

Lui lo stava distruggendo.

«Voglio scopare la madre di mio figlio» mugolò, tornando a stringerlo a sé. Gli affondò il viso nell'incavo tra collo e spalla e prese a mordergli la pelle chiara.

Dominic lo respinse con forza, ma Katsuki lo spinse sul letto, intrappolandogli, con una mano, i polsi sulla testa.

«Mi fai schifo» soffiò Dominic, guardandolo con gli occhi assottigliati, «profumi ancora di lui. Sento il suo odore addosso a te, il suo maledetto odore…» il suo tono tradì un raschiare rauco. Un piccolo singhiozzo trattenuto.

Katsuki gli era a cavalcioni sulle gambe e provava a capire cosa gli passasse nelle iridi chiare, ma Dominic si rifiutava di guardarlo, serrando le palpebre.

«Guardami, Dominic» sussurrò, chinandosi sulle sue labbra. L'omega scosse la testa, serrando le labbra.
«Domi…» sussurrò ancora, soffiando fuori quel nomignolo. Dominic cacciò un verso di sdegno.

«No, non chiamarmi così» redarguì, cacciando giù le lacrime, «non devi più chiamarmi così.»

«Dominic, ti prego» soffiò, portando la mano libera sulla sua guancia. Dominic aprì gli occhi, le lacrime non c'erano più.

«Vattene, lasciami dormire almeno» disse, guardando di lato. Katsuki ringhiò, frustato.

«Dominic ti prego, non abortire, mi dispiace di avertelo detto, sono stato uno stupido» mormorò, il tono spezzato.
L'omega riuscì a liberarsi dalla sua presa, lo spinse indietro, riuscendo a sedersi.

«Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?» chiese Dominic, guardando un punto indefinito oltre la sua spalla.

Katsuki annuì.

«Si, certo che mi ricordo» proferì. Una lacrima gli lasciò l'occhio.
«Ricordi cosa ti ho detto quando quell'alpha ci ha provato con me?»
Katsuki sollevò il viso, guardandolo.
«Hai detto che per te non c'era nessun altro. Che se avevi guardato me, automaticamente gli altri avevano perso valore, che mi avresti tenuto la mano tutto il tempo che avrei voluto.»
«E?»
«E lo hai fatto.»
Dominic lo guardò.
«Si, l'ho fatto. L'ho fatto per tutto il tempo, anche adesso, anche il giorno in cui ti ho detto che aspettavo il tuo bambino e tu mi hai dato della puttana. Quindi, Katsuki» mormorò, scandendo il suo nome, facendolo a pezzi con la lingua, «perché ora mi chiedi di non abortire? Hai detto che non sapevi se è figlio tuo, no? Hai detto che per quel che ne sai, chiunque avrebbe potuto scoparmi e darmi un figlio. Hai detto che-» si interruppe, un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra. Katsuki lo guardò addolorato.

«Dominic» soffiò Katsuki, allungando una mano verso di lui, «mi dispiace tesoro, mi dispiace tanto

Dominic si lasciò sfuggire un altro singhiozzo. Katsuki gli avvolse le braccia al collo, portandolo contro il suo petto.

I sussulti di Dominic gli scossero il corpo.

«È tuo figlio, è…i-il tuo bambino…perché, p-perché non mi credi...?» singhiozzò il ragazzo. Katsuki gli fece sollevare il mento, portando il suo viso contro il suo.

Era la prima volta da quando lo conosceva che lo vedeva piangere.

«Ti credo, Domi.»
«E mi chiederai ancora di abortire?»
Katsuki scosse la testa. «No, mai più.»
Dominic affondò di nuovo il viso sul suo petto, lasciando andare le lacrime.

«Ti odio» sussurrò, aggrappandosi alla sua camicia stropicciata «ti odio» ripeté, Katsuki gli portò una mano sul ventre, il cuore che batteva furente, lì dentro c'era suo figlio, il suo bambino.
«Ti amo così t-tanto che ti odio» sussurrò, mordendogli la spalla.

La sua mano raggiunse quella di Katsuki, le dita si intrecciarono.

«Lo so che mi ami» mormorò Katsuki «e so quanto ti faccio male ogni volta.»

«Allora saprai bene quanto soffro.»
«No, quello non me lo lasci vedere» sancì l'alpha.
«Perché se lo facessi, allora ti darei tutto e t-tu…mi distruggeresti



🌼

Spazio autrice:
Buonasera piccolin*!
Come state?
Ecco qui il capitolo. Un po' più tardi del solito, però mi ha stremata.

Avevo promesso un po' di felicità e invece... :)

Dai, prima o poi ce lo darò un capitolo felice, promesso.
Intanto, cosa ne pensate?

Che ve ne sembra dei figli di Aizawa? E soprattutto, di Lucien e Ash, il ragazzo che già conosce? Come lo ha conosciuto secondo voi?

E poi, vediamo un momento tra Denki e Kirishima, e si scopre che in passato, hanno avuto un rapporto. Che ne pensate a riguardo?

Inoltre, ci sono Katsuki e Izuku, un momento tutto per loro, finché, Katsuki non ripensa a ciò che che sta facendo a Dominic. So che a molt* di voi non piace molto, ma capitelo, è un ragazzo molto ferito da ciò che gli è stato fatto e più avanti si vedrà meglio anche la sua storia. Inoltre, già qui, nell'ultima parte si vede come Dominic abbia sofferto e come Katsuki, nonostante tutto provi a non provare nulla per lui (perdonate la ripetizione) secondo voi è giusto o no?

Sono curiosa di sapere che ne pensate!♥️

Grazie a chiunque abbia letto, un abbraccio grande♥️
Alla prossima,

Lilla














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