21. Tra gola e polmoni

«Quando mi dici addio,
tu mi spezzi il cuore.»
Mahmood

La prima volta che aveva visto Shota Aizawa, si trovava nel parcheggio posteriore di un pub.

Era ancora sdraiato a terra quando lo aveva visto avvicinarsi.

«Hai bisogno di aiuto?» gli aveva chiesto e Lucien era stato maledettamente sul punto di sputare fuori un 'si', esalato tra i singhiozzi. Però, non lo aveva fatto.
Si era rimesso in piedi, ignorando il fastidio al fondoschiena e agli arti inferiori. Sarebbe andato via, come ogni altra volta.

Aveva zoppicato fino a raggiungere l'uscita del parcheggio, ma proprio quando stava per varcare il cancelletto pedonale, era inciampato.
Non aveva mai saputo su cosa; forse non ci vedeva bene, forse era buio e non aveva notato una buca, forse dopo l'ennesima violenza le gambe non lo reggevano bene. Non lo sapeva.

Sapeva però che si sarebbe fatto male, un bel livido se tutto andava bene o un una gamba spezzata se fosse andato male. Non ricevette nessuno dei due.
Un paio di braccio forti lo tennero in piedi, tirandolo contro un petto ampio.

Aveva dovuto trattenere un gemito di sorpresa, mordendosi la lingua.

«Dovresti stare attento a dove metti i piedi» gli aveva sussurrato all'orecchio.

Non conosceva l'uomo che glielo aveva detto, era lo stesso che stava ignorando, ma da vicino, la sua voce pareva quasi più bassa di quanto gli fosse sembrata prima.

Quando lo aveva lasciato andare, avevano entrambi il batticuore. Lucien perché era preoccupato, l'altro non lo sapeva.

«Non sono affari tuoi» aveva mormorato, riprendendo a camminare.
Non aveva fatto neppure pochi metri, che se lo era ritrovato accanto. Gli aveva chiesto di andarsene, ma lui lo aveva ignorato.

«Un omega giovane e solo come te non dovrebbe uscire da solo, soprattutto in questa zona» aveva affermato, scrutandolo circospetto.

Lucien lo aveva guardato male.

«Non sono cazzo tuoi» aveva redarguito, continuando a guardare la strada buia.
«Non essere sboccato» gli aveva risposto l'altro, seguendolo. Si era innervosito. Gli aveva detto di andare al diavolo, di sparire e di lasciarlo in pace. Di tutta risposta, lo sconosciuto era scoppiato a ridere.

«Però, che caratterino» aveva asserito, fischiettando compiaciuto.

Lucien aveva davvero provato l'impulso di prenderlo a schiaffi, almeno finché non aveva capito chi era. E non era accaduto subito.

Lo sconosciuto, che avrebbe poi scoperto essere Aizawa, lo aveva riaccompagnato a casa e quando un gruppo di alpha aveva provato ad avvicinarsi, lo aveva tirato al suo fianco, impedendo a quegli stronzi di fargli del male. Arrivati al portone, Aizawa si era limitato a dire:

«Abiti in questo tugurio?»
Lucien non aveva trovato nulla da rispondergli. Aveva mormorato un asciutto 'grazie' ed era entrato in casa.






Lo aveva rivisto una seconda volta, qualche giorno dopo. Sempre nello stesso parcheggio, appena uscito da lavoro.

Jen-chin e i suoi scagnozzi come ogni sera, sembravano avere le stesse intenzioni di sempre. Lucien ormai, non ci provava neanche più a difendersi.
Non aveva niente da preservare e spesso, si ritrovava ad avere una lama puntata al collo. Non faceva troppe proteste. Sapeva che se avesse permesso a quei maiali di fare ciò che volevano, loro non lo avrebbero seguito e non avrebbero mai scoperto dell'esistenza del suo fratellino, cosi, poteva proteggerlo.

Quella sera stava in silenzio, avevano appena iniziato a spogliarlo della maglietta quando aveva sentito il fendente di una lama. Aveva istintivamente chiuso gli occhi, chiedendosi se Jen-chin lo avesse davvero colpito, ma quando si rese conto di non provare alcun tipo di male, li raprì. Jen-chin giaceva sdraiato a terra, la gola aperta da un taglio profondo e carnale, da cui sgorgava una lunga scia di rosso.
I suoi amici erano immediatamente scappati, lasciando solo il loro capo.

Nel constatare chi fosse il suo 'salvatore', Lucien ebbe un mancamento.

La luce pallida del lampione della strada, rifletteva il colorito pallido di un viso spigliato, i lunghi capelli color alabastro ricadevano sulle spalle, morbidi.
La tuta nera gli fasciava il petto alla perfezione, i muscoli tirati venivano messi in risalto, i bicipiti gonfi attirarono la sua attenzione. Tra le dita longinee, teneva ancora stretto un temperino svizzero. La lama era colorata di sangue.

Quello che lo sconvolse maggiormente fu constatare che lui conosceva già quel viso. Lo aveva visto senza la sottile mascherina nera che gli copriva la parte centrale della faccia, e ricordava benissimo il modo in cui lo aveva evitato e disprezzato.

«Perché non ti sei difeso, Lucien?» gli aveva chiesto, avvicinandosi.
Lucien aveva indietreggiato, fino a trovarsi stretto tra il suo corpo e il muro.

«Come sai il mio nome?» aveva chiesto. Lui non aveva risposto.

A quel punto, aveva sollevato gli occhi su di lui, guardandolo senza un filo di timore. Dentro tremava, ma era bravo a reprimere tutto, ci aveva messo anni a perfezionare questa sua affinità.

«Non ho bisogno del suo aiuto, Erased Head» aveva detto, assottigliando le parole. L'uomo aveva sorriso.

«L'altro giorno mi davi dello stronzo, e ora addirittura del lei?»

I suoi dubbi erano stati confermarti. Anche lui si ricordava. Socchiuse gli occhi, schiudendo le labbra.

«Senti…» aveva iniziato, poi, aveva sollevato un po' la maglietta, senza guardarlo, «se quello che vuoi è questo, prenditelo e basta, ecco la tua ricompensa» aveva detto e si era girato, il viso contro il muro.

Non aveva fatto in tempo a replicare, Aizawa gli aveva posto le mani sui fianchi e gli si era avvicinato ancora di più. Il suo petto gli sfiorava la schiena, il suo fiato gli bruciava la pelle.

«Non sono quel tipo di uomo» gli aveva soffiato all'orecchio. Lucien era stato colto da un brivido.
«E tu non sei quel tipo di ragazzo, non è vero?» aveva continuato, teneva le mani ferme sulla stoffa della maglietta, eppure, a Lucien pareva di sentirle fino a dentro i muscoli. Una scossa che gli arrivò sotto forma del suo profumo e della sua acqua di colonia.

«Che tipo?» aveva domandato, indeciso tra il giocare e il lasciarlo vincere. Aizawa aveva rafforzato la presa, strappandogli un gemito atterrito.

«Il tipo da coccole e abbracci» aveva sussurrato Aizawa, il suo fiato caldo gli aveva intorpidito i sensi.
«E chi te lo ha detto?» aveva replicato, offeso. Aizawa lo aveva fatto voltare con un gesto fluido.
«Ti piace essere viziato?» aveva chiesto, guardandolo. Non avrebbe saputo descrivere il luccicchio dei suoi occhi neri, né l'inclinatura naturale delle ciglia.
«Essere…viziato e essere…coccolato…sono due cose diverse» gli aveva fatto notare, scandendo le parole che sembravano raschiargli la gola e il fiato.
Aizawa lo aveva fissato, incuriosito.

«E a te quali dei due piace?» aveva chiesto Aizawa.
«Nessuna delle due» aveva sancito, poi, aveva allontanato Aizawa dal suo corpo, tornando a respirare.

Non era valso comunque a nulla, perché Aizawa lo aveva comunque riaccompagnato fino a casa e la sera seguente e quella seguente ancora era rimasto ad aspettarlo fino all'uscita dal suo lavoro. Per due mesi interi, lo aveva aspettato e lo aveva riaccompagnato a casa, ed ogni volta, riusciva a rubargli un pezzetto di anima. E Lucien, ne era terrorizzato, perché l'ultima persona che aveva amato, era fuggita via, abbandonandolo.






Izuku lo aveva accolto a casa di Katsuki, lo aveva trattato bene, lo stava trattando bene, aiutava Millie, gli davano un'istruzione. Non poteva mandare tutto a monte.

Shota Aizawa poteva e doveva essere un nome su una cicatrice, un proiettile incastrato troppo in profondità nella sua carne. Sarebbe rimasto lì, con il rischio di scoppiare tra qualche anno, non gli importava. Avrebbe dato a Millie tutto quello che poteva. Sarebbe stato un alpha, un uomo forte, non avrebbe vissuto come lui. Non avrebbe mai dovuto sacrificarsi per una causa maggiore e avrebbe potuto innamorarsi di chi voleva.

Per questo, doveva smetterla.

«Quello che vuoi è sbagliato» gli aveva detto, ignorando i suoi occhi feriti.
«Voglio te, perché dovrebbe essere sbagliato?»
Lucien non aveva potuto guardarlo, sapeva che se lo avesse fatto gli avrebbe concesso qualsiasi cosa.
«Perché non puoi avermi, Aizawa. Non posso, te l'ho già detto e te lo ripeto.»

Aizawa gli respirava così vicino che incanalava tutto senza neppure spostarsi.
Se lo avesse intossicato col suo respiro, avrebbe fatto lo stesso.

«Perché?» aveva chiesto, chinando la testa sul suo collo, le labbra calde si erano schiuse sulla sua pelle, facendolo tremare, «perché tutti possono avere ciò che vogliono ed io no? Perché devi sempre essere così fottutamente difficile, Cici?» aveva mormorato, il tono amaro.

Prima che avesse potuto formulare o  dargli una risposta, le sue labbra si erano schiuse e aveva preso a succhiare sulla sua pelle. Lucien non aveva potuto fare a meno di gemere, gettando la testa contro il muro alle sue spalle.

La bocca di Aizawa era bollente. Bollente e tremendamente brava a cogliere i suoi punti più morbidi, tanto da farlo restare senza respiro. Gli aveva infilato una mano tra i capelli, sospirando. Glieli aveva tirati, sfogando il suo voyeurismo.

«Shota…» aveva soffiato, aggrappandosi alle sue lunghe ciocche. Di tutta risposta Aizawa lo aveva morso più sopra, lungo l'incavo del collo.

«Cici» quel soprannome. Quel maledetto soprannome, era in grado di farlo bruciare come lava stessa. Gli era sembrato di star per prendere fuoco, accendendosi in un milione di supernove scoppiettanti in cielo.

«Cici…ti-»
«Non lo dire» gli aveva premuto le dita sulla bocca, impedendogli di parlare, «non dire quelle parole» aveva mormorato, la voce intrisa di un dolore che non sapeva di poter ostentare.
Aizawa non aveva proseguito.

«Vai a letto, Sho'» aveva sancito, la testa ancora reclinata contro il muro.
«Voglio dormire con te» aveva mugolato l'uomo, affondando il naso nei suoi capelli.
«D'accordo» aveva concesso Lucien, «ma solo dormire, Aizawa.»
Sapevano entrambi che non sarebbe stato così.





«Fa' piano, Sho'» mormorò, stringendogli le spalle con i palmi bollenti.

Aizawa tirò una stoccata più ponderosa, facendolo gemere forte.

«Sei tu che strilli, Cici» soffiò, affondando di più nelle sue carni morbide.
Lucien gli graffiò la schiena, cercando la sua bocca. Aizawa lo accontentò, baciandolo.

Un bacio fatto di saliva e passione, di pressione e lussuria, di fuoco e mareggiata. Una miscela scoppiettante che gli incendiava le viscere, facendolo gemere tra le sue labbra.
Le loro lingue si toccavano, mescolandosi, ruzzolando nei loro sapori, nei loro gemiti.

«Ah…uhm…Sho'…dio…» inarcò la schiena, percependo il membro di Aizawa, colpire un punto infondo a sé.

«Qui, piccolo?» mormorò lui, prendendo a spingere più energicamente in quella zona. A Lucien parve di toccare le nuvole.
Lo sentiva fino nello stomaco, fino in gola. Sentiva il suo petto bruciare contro il suo ventre, sentiva il suo cuore pompare forte, sentiva il suo respiro pizzicargli le labbra, tentarlo con quel desiderio che non sembrava mai abbastanza.

«S-si…!» strillò Lucien, le unghie affondarono nella sua schiena liscia, solcandola, «più…di più…ti prego…» lo supplicò.

Aizawa non resistette. Gli avvicinò le labbra all'orecchio e soffiò:

«Posso possederti?»

Lucien non riuscì a far altro se non annuire, gemendo ancora una volta.

Quel piacere brutale non fece che sommergerlo ancora una volta quando Aizawa gli strinse il palmo contro la gola, trattenendo il suo respiro. Lucien sentì il suo ventre scaldarsi, l'entrata stringersi.

Il profumo di alpha di Aizawa gli faceva perdere il controllo. Portò la mano libera di Aizawa sulla sua bocca, mentre allacciava le cosce al bacino del maggiore, lasciandosi strattonare dalle sue spinte.

«Ah…ahh…A-Aizawa…mmhpp…»
Respirare era diventato difficile, con le mani di lui a regolargli il respiro e a tappargli la bocca, riusciva a stento a non perdere i sensi, l'eccitazione alle stelle, la pressione sempre più forte.

«S-sveglieremo…gli altri…» farfugliò.
Aizawa si spinse più a fondo.

«A-Aizawa…»
«Girati, amore mio» mormorò lui, uscendo lentamente per permettere al ragazzo di mettersi a pancia in sotto. Lucien lo fece, allargando le cosce per lui.
«Sei bellissimo» gli sussurrò, baciandogli la nuca sudata. Lucien rabbrividì, venendo colto da un brivido.
«T-ti…prego…Sho'…» soffiò, senza fiato.
Aizawa capì. Lo penetrò ancora una volta, strappandogli un verso rauco, che venne in parte assorbito dal cuscino.

Avrebbe voluto farlo urlare, ma Katsuki e gli altri li avrebbero ammazzati, e probabilmente anche Lucien stesso lo avrebbe fatto. Non sembrava accettare affatto che qualcuno sapesse di loro.

Ignorò quei pensieri e la conseguente fitta che gli veniva allo stomaco ogni volta che quelli si ripresentavano e prese a muoversi a un ritmo sostenuto in Lucien, facendogli tremare le gambe e il letto.

Chinò la testa sul suo collo, mordendo forte, sottomettendolo come piaceva a lui. Lo sentì urlare, lo vide cercare di aggrapparsi al lenzuolo con le dita, ma gli bloccò i polsi in cima alla testa.

«Da bravo…Cici» ordinò, spingendosi rude tra le sue carni, «vieni per me» soffiò.

Lo sentì tremare, gli afferrò un fianco con il palmo libero e glielo strinse tra le dita, sollevandolo appena. Lui entrò più affondo, facendolo boccheggiare.
Aizawa reclinò la testa all'indietro, i suoi capelli ballarono, finendo sulle spalle.

«Aizawa…merda…ahh…ah…» strillò Lucien, mordendosi il labbro per impedirsi di produrre gemiti acuti.
Aizawa gli lasciò andare i polsi e gli tirò i capelli, sentendo l'orgasmo montare.

Fu quasi istintivo reclinargli la testa all'indietro, baciargli le labbra, mentre entrambi si gemevano addosso.

L'orgasmo colpì per primo Lucien, che percepì tremare violentemente tra le sue braccia, ansimare, gemere forte il suo nome, irrigidirsi, stringerlo tra le sue pareti fino quasi a farlo sentire prigioniero in quella carne.

Gli morse le labbra, leccando via il sangue.

«Sei fottutamente…ahh» il suo corpo si mosse, conducendolo alla perdizione.
Gli venne dentro, e Lucien gemette lasciandosi riempire.

«Ah…sei bollente…Sho'dio…» socchiuse gli occhi, guardando verso l'alto.
Aizawa gli si riversava dentro a fiotti, sentendosi mancare ogni volta.

«Sho'…» mormorò, restando buono buono. Aizawa gli baciò la schiena, restando dentro di lui. Gli baciò le spalle, gli baciò la nuca. In quei pochi istanti, Lucien lasciava defluire il suo amore, accorgendosene solo dopo.

«Ah...Sho…» sussurrava mentre Aizawa lo accarezzava e baciava lentamente.

«Sei così morbido, Cici» redarguì, sfiorando i suoi fianchi sontuosi con i polpastrelli. Aveva la pelle d'oca, ma non lo avrebbe mai ammesso.

«Aizawa…»
«Mmh?»
«Ti prego…» mosse i fianchi, sentendo l'erezione dell'alpha di nuovo in tiro a quel singolo movimento.
«Uuh…Cici…» socchiuse gli occhi, apprezzando quel suo lento ondulare.
«Dimmelo chiaramente» ordinò, afferrandogli il retro del collo.
Lucien gemette.
«Ancora,» farfugliò, «scopami ancora.»

Aizawa lo accontentò.








Lucien si lasciava sommergere facilmente. Bastava che si guardassero un po' di più, bastava che Aizawa gli riservasse quell'occhiata repentoria e svelta, quella che con cui gli mostrava un pezzo della sua anima e poi gliene chiudeva il passaggio.

Il lavoro con Kirishima e gli altri non si era rivelato più complicato del doversi mettere in pericolo ogni sera come già gli era capitato, tuttavia, restava comunque un vicolo pieno di possibili nemici; non solo, doveva occuparsi di trattare con altri omega, ma gli avevano anche affidato dei ragazzi da addestrare, nonostante lui stesso non fosse il meglio.

«Hai una buona presa» aveva detto Katsuki, quando gli aveva riferito le sue perplessità. «Devi solo aiutarli a tenere in mano un coltello senza che si facciano disarmare» aveva spiegato, mentre lui stesso si allenava contro Kirishima.

«Tu mi hai disarmato» gli aveva fatto notare. Katsuki era scartato di lato, schivando un fendente. Si era curvato sulle ginocchia e aveva replicato:
«Si ma io sono più forte di un qualsiasi villain.»

Lucien non aveva fatto in tempo a reagire. Si era chiesto, perché a suo fratello Izuku piacesse quel megalomane di Bakugo. Insomma, si, era bellissimo, questo era pur sempre un dato di fatto, ma per quanto riguardava il carattere, era un vero schifo. Anzi, stando in casa, aveva capito che gli unici con cui assumeva un comportamento decente, erano Izuku stesso e i bambini. A volte, se proprio gli girava bene, trattava in modo umano anche Kirishima.

Per quanto riguardava Dominic, l'alpha assumeva un comportamento del tutto differente; non solo non replicava quando Dominic sputava qualche offesa, ma lasciava sorvolare ogni volta e accoglieva senza batter ciglio ogni suo capriccio.

Da quel che aveva scoperto Lucien, Dominic era un omega, senza famiglia, senza amici. Aveva un appartamento sulla settima, in direzione est, poco lontano dai quartieri benestanti e quando aveva indagato sul suo lavoro, aveva scoperto che non solo Dominic aveva un posto di rilievo nel governo, ma che addirittura aveva una relazione con il CS, ovvero, il commissario speciale, colui che non solo manovrava il potere esecutivo, ma anche quello giudiziario.
Quell'uomo, aveva terrorizzato per anni famiglie su famiglie, alpha, omega, beta, era famoso per aver appiccato il fuoco su una casa famiglia che gli doveva dei soldi e nessuno, neppure i vicini, avevano osato alzare un dito per spegnere l'incendio.

Franklin Marshall, era questo il nome del commissario speciale, e Lucien si chiedeva come diavolo avesse fatto Dominic ad entrare nelle sue grazie. Era raro, si vociferava che il commissario prendesse un trasullo di letto, tuttavia, Dominic non solo riceveva da lui una paga straordinario, ma veniva anche ricoperto da ogni sorta di gioiello, di abito firmato e di attenzioni. Si vociferava addirittura, che Dominic avesse stregato Marshall per farlo restare con lui in eterno.

Eppure, Lucien, non riusciva a capire; come aveva fatto? Si, era bello, ma a paragone con un altro omega, uno di un altro qualunque prestigioso bordello, sarebbe sembrato una pietra sbiadita, tuttavia, Marshall ne era assolutamente infatuato. Devono essere i suoi modi, si era detto. Perché, se c'era una cosa che aveva capito su Dominic era che era un grandissimo giocatore. Una perla rara, in un mare di false gemme. 

Capiva perché facesse quell'effetto. Era il potere che un alpha provava nel dominarlo, doveva essere qualcosa nella sua genetica, quelle guance rosse, quella pelle così fragile da sembrare porcellana. C'era qualcosa in Dominic che attraeva gli alpha, portandoli allo stremo.

Qualcosa che infiammava le anime e Dominic non faceva altro che tenere acceso quel focolare, alimentandolo con i suoi sorrisini e i suoi sguardi seducenti.







Izuku passava le sue giornate a cercare di migliorare nel leggere e nello scrivere.

Se ne stava seduto, al suo letto, massaggiandosi il ventre e osservando il via vai del soggiorno alla sua camera e ancora lungo il corridoio.

Katsuki lo faceva leggere ogni sera, na quasi non parlavano. Izuku non sapeva perché, ma temeva centrasse il fatto che lui stesso aveva preso le distanze.
Non avrebbe voluto farlo, ma dopo la visita di Dominic, sentiva di stargli rubando qualcosa. In generale, non sopportava l'idea di sapere che proprio lui stava facendo qualcosa di tanto immorale.

Non aveva parlato con Katsuki della gravidanza. A volte, capitava che lo beccasse con lo sguardo sul suo ventre, ma poco prima che potesse fare una domanda, Izuku lo interrompeva, chiedendogli una qualunque cosa potesse farlo allontanare; mi prendi un bicchiere d'acqua, per favore? Mi spieghi questa parola? Mi passi la coperta?

Ogni volta, Katsuki non diceva nulla. Si scambiavano due parole e poi, Izuku iniziava a leggere. Lo correggeva se sbagliava, sempre con calma e pazienza, ma non faceva più battute, non lo toccava più, non lo baciava più. E Izuku soffriva.





«Io e Katsuki abbiamo una cosa da comunicarvi» disse Dominic. Aveva poggiato la forchetta al bordo del piatto di ceramica.

Sedevano al tavolo del soggiorno, Izuku in silenzio, accanto a Lucien e Xander.
Millie, era con i bambini vicino a Mina e Kirishima.

Sollevarono lo sguardo, osservando Dominic. Teneva la mano stretta tra quelle di Katsuki, che lo fissava a sua volta. Aveva uno strano sguardo in viso, come se non riuscisse a capire ciò che voleva dire il suo fidanzato.

«Uh cosa?» chiese Kirishima, addentando un pezzo di carne. Li guardava curioso, i suoi occhi rossi saettavano da Dominic a Katsuki. «Si, cosa?» ripeté Mina, tagliando la carne ai suoi figli e a Millie.

Dominic esitò. Izuku spostò distrattamente lo sguardo su di lui, stanco e frustato. Non dormiva bene quei giorni, e temeva fosse a causa di tutti i pensieri che gli frullavano per la testa, incasinandogliela come un vagone pieno di gente.

«Pensavamo di aspettare a dirvelo, pensavo di aspettare ancora un po', ma…» guardò Katsuki, sorridendo, il suo bel viso chiaro assorto in una linea felice, «non voglio più aspettare. Vedete, io e Katsuki, diventeremo genitori.»

Katsuki spalancò gli occhi, guardandolo.
Mina emise un piccolo squittio come se fosse stata punta da un insetto, Kirishima sobbalzò, spalancando le labbra, Shoto sbiancò, Xander fissò Dominic, confuso, i bambini borbottarono tra loro.
Izuku ebbe un mancamento. Dovette aggrapparsi alla spalla di Lucien, respirando dal naso.

La sua reazione passò inosservata a tutti, tranne che a Dominic, che ad un certo punto si era voltato a fissarlo con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra candide. Dovette chiudere gli occhi, ed elaborare quelle parole, temendo di aver capito fin troppo.

«Cosa? Che vuol dire?» mormorò Katsuki, la voce incrinata; Izuku non seppe dire da quale emozione, non riusciva neanche a guardarlo.

Dominic gli sorrise dolcemente. Posò una mano sulla sua guancia.

«Vuol dire che aspetto un bambino, il tuo bambino.»

Katsuki non rispose. Con la coda dell'occhio, lo vide poggiarsi contro lo schienale della sedia, respirare pesantemente; era pallido come un lenzuolo.

«Oh…è…» iniziò Denki, balbettando. Fissava gli altri, non capendo perché non dicessero nulla. «È meraviglioso» lo aiutò Mina, il tono monocorde, rauco quasi.
«Si…è…» farfugliò Kirishima indulgiando con lo sguardo su Izuku, «bellissimo, congratulazioni.»

«Grazie» soffiò Dominic, il sorriso serafico sulle sue labbra si estendeva ad ogni parola. Katsuki resto in silenzio.

«Amore?» lo chiamò Dominic, voltandosi a guardarlo ancora, «sei contento?»

Per un attimo, Izuku credette stupidamente che Katsuki avrebbe detto a Dominic di andarsene, che lo avrebbe chiamato e gli avrebbe detto di raggiungerlo e davanti a tutti si sarebbe scusato. Pensava che si sarebbe messo a ridere e avrebbe detto che era tutto uno scherzo. Ma Katsuki non lo fece.

Lo vide deglutire, il pomo d'Adamo che come il nocciolo di una ciliegia affondava nella sua gola morbida.

«Si, sono felice, amore» lo sentì mormorare, il tono cristallino.
Dominic gli sorrise, soddisfatto. Gli prese la mano e gliela portò verso il ventre.

«C'è tuo figlio, qui» asserì, gettandogli un'occhiata al di sotto delle sue lunghe ciglia nere, «solo tuo

Si rivede nel campo, che sorrideva a Matthew, il manto erboso morbido sotto i suoi palmi, il sole che gli scaldava le guance. Dinanzi a sé però, non c'era Matthew, c'era Katsuki.

Ancora una volta, dovette stringere i pugni, scacciando via quelle immagini.
Solo tuo.
Gli venne il dubbio che Dominic sapesse.
Che Dominic sapesse tutto fin dall'inizio e che stesse solo giocando, che avesse sempre avuto un vantaggio su di lui e che per questo, potesse destreggiarsi in qualsiasi offesa o accusa, senza rischiare nulla.

Dovette soffocare il conato che gli risalì lungo l'esofago, imporsi di non tremare e stringere i denti così forte che un guizzo di dolore gli risalì lungo la mascella. Lo inseguì, concentrandosi su quella fitta.

«Si, sono» mormorò Katsuki, «contento.» Il tono impassibile. E sarebbe andato bene, sarebbe andato tutto bene se solo Katsuki non si fosse voltato a guardarlo, i suoi occhi che sembravano pregarlo di non dire nulla e allo stesso tempo di dire qualcosa.

Izuku non riuscì a resistere. Scattò in piedi, barcollando. Si sorresse alla spalla del fratello. Tutti gli sguardi erano volati su di lui. Perfino Dominic lo guardava, un qualcosa di compiaciuto nelle brillanti iridi avorio.

«Scusate…non mi sento bene» si sentì farfugliare. Arrancò fino al corridoio da solo, prima di sentire il braccio di Lucien contro il suo fianco, la voce di suo fratello che gli chiedeva di respirare.

Non seppe come avevano raggiunto raggiunto la sua stanza. Sapeva che ora si trovava sul suo letto, che il soffitto vorticava in senso orario dinanzi ai suoi occhi, che stava iperventilando, che qualcuno gli aveva messo una pasticca sotto la lingua.

Quando tornò a respirare, davanti a sé c'erano i lisci ciuffi corvini di Lucien.
Le sue dita gli premevano in corrispondenza del polso.
Mi sta contando i battiti, rifletté, guardando il viso attento di suo fratello.

«Ti occupi sempre degli altri, Lucien?» gli chiese, la voce bassa e graffiata, come se avesse urlato per ore e ora non avesse più fiato da parte.

«Solo di chi se lo merita» rispose, le sue dita erano gelide, ma il suo tocco era gentile.

Gli girava ancora un po' la testa.

«Come ti senti adesso?» domandò una voce che riconobbe come quella di Aizawa. Balzò a sedere troppo rapidamente e la testa gli pulsò.

«Sto bene» menti, il tono gelido.

«Izuku, non devi preoccuparti, Shota non ti farà del male» spiegò Lucien, tentando di rassicurarlo, «te lo assicuro.»

Izuku non gli credette.

«Perché è qui? Cosa vuole?» domandò, guardano suo fratello. Lucien abbassò la testa, spostando il suo sguardo.
«Hai avuto un forte attacco di panico, Izuku» mormorò, il tono quasi spezzato, «sei caduto sulle scale, hai sbattuto la testa, Shota mi ha solo aiutato a portarti qui.» Gli sistemò un cuscino dietro le spalle.

«Ora è Shota?» redarguì Izuku, con odio. Lucien socchiuse gli occhi. Il suo viso pareva stanco e debole, nonostante la sua giovane età. Socchiuse gli occhi, respirando lentamente. Quando li riaprì, Izuku, gli lesse una scintilla di pacatezza e dolore. Schiuse le labbra, volendo parlare, ma Aizawa fu più veloce.

«Mi dispiace Izuku, per quello che ho fatto, non avrei dovuto, mi dispiace tanto» decretò, chinandosi in avanti.
Izuku non lo guardò.

«Non mi interessano le tue scuse» sbottò, percependo una fitta attraversargli il corpo, tremò ma non si zittì, «mi hai violentato, ma non mi importa. Quello che non riesco a perdonarti è come tu guardi Lucien!»

Aizawa sollevò lo sguardo, colpevole.
Lesse qualcosa di simile al dolore inferto da mille pugnalate nel suo sguardo.

«Izuku…» iniziò Aizawa, ma l'omega scosse la testa, guardando altrove.

«Vattene, vattene via» ordinò, la voce ridotta a un sussurro tremante.
«Per favore, permettimi di-» provò a ribattere, ma lo sguardo di Lucien lo zitti.
«Vattene, Shota» lo sentì esclamare, il tono spento, freddo come laghi d'Alaska.

«Cici…» soffiò Aizawa, prendendogli il polso, «non te l'ho detto perché…-»
Lucien si sottrasse alla sua presa.
«Non me ne frega un cazzo» sancì, «vai via ora, devo occuparmi di mio fratello. Ne parleremo un'altra volta» decreto, non ammettendo repliche.

«Ti prego, Izuku, perdonami» soffiò Aizawa poco prima di chiudersi la porta alle spalle.

All'omega non sfuggì il modo in cui aveva osservato Lucien. Come se nei suoi occhi ci fosse l'unico modo che conosce per vivere. Si chiese se anche lui guardasse così Katsuki, se quello che provava per lui fosse così evidente da farlo traboccare dalle iridi, come miele.

Voleva dire qualcosa, scusarsi con Lucien, dirgli che non voleva reagire così, che aveva solo avuto paura, che non voleva strappargli il cuore, ma non ci riuscì. Prima che potesse farlo, una fitta gli trapassò il ventre e con orrore se lo sfiorò.

«M-mio…» non riuscì a pronunciare la parola figlio. Gli sembrava di commettere un reato ogni santa volta.

«Sta bene» lo rassicurò Lucien, «sei caduto sulla schiena» spiegò, continuando a contare i suoi battiti cardiaci.

«Lucien» soffiò, «mi dispiace, scusa.»
Il ragazzo non disse nulla.
«Sei arrabbiato con me?» mormorò Izuku, guardandolo.
Lucien si bloccò, mettendosi a sedere accanto a lui. Si passò una mano tra i capelli color alabastro, sospirò.

«No, non sono arrabbiato» redarguì, «sono preoccupato.»
«Ti ho detto che sto bene, non devi» cercò di rassicurarlo. Lucien scosse la testa.
«Non sono preoccupato per questo. Cioè, lo sono anche per questo, ma per ora è un problema secondario» disse, «sono preoccupato per quello che è successo a tavola, per il modo in cui sei quasi svenuto, per la tua espressione quando hai sentito quello

Izuku deglutì, non riuscendo a guardarlo in faccia, spostò lo sguardo altrove.

«Cosa intendi?» chiese, sapendo benissimo a cosa si riferiva;
sperava solo che nessuno lo scoprisse.

«Intendo, che non puoi, Izuku» asserì, «levatelo dalla testa.»

«Cosa?»

«Sai bene cosa

«No, invece temo di non saperlo» finse, guardandolo da sotto le lunghe ciglia nere. Lucien gli gettò un'occhiata di rimprovero.

«Quello» decretò, «scordarti di lottare per lui. È uno stronzo, Izuku.»

Non riusciva comunque a sopportare che qualcuno parlasse così di lui. Era come sentire male fisico, come se lo colpissero ogni volta in pieno viso. Scattò, come ogni volta che qualcuno provava ad offendere lui.

«Allora, qualcosa in comunque io e te ce l'abbiamo» sibilò, guardandolo severo.
«E sarebbe?»
«Piacciono ad entrambi gli stronzi.»

Lucien ringhiò.

«Non sto scherzando, Izuku!» cantalenò, il tono grave, «quello non è altro che uno stronzo.»

Spostò lo sguardo.

«Lo so bene» asserì, «ma è uno stronzo che mi ha spezzato il cuore.»

Lucien si intenerì. Si fece più vicino.

«Vieni qui» mormorò avvicinandosi. Izuku obbedì, gli arti molli. Lucien lo abbracciò. Le sue braccia erano calde contro il suo corpo gelido. Affondò il viso nell'incavo tra collo e spalla.

«Perché fa così male?» mormorò e, neppure Izuku sapeva se si riferisse al suo corpo o al suo cuore.







Più tardi, mentre gli altri dormivano, Katsuki lo andò a trovare.

Non appena lo vide entrare, Izuku scattò a sedere, guardadolo ad occhi sbarrati.

«Izuku…»
«Vattene» ordinò, facendosi più lontano. La schiena toccò la spalliera del letto.
«Voglio solo vederti» mormorò, chiudendo la porta. Izuku scosse la testa.

«No, te ne devi andare» sentenziò, la voce che gli tremava già. Sapeva che non sarebbe riuscito a trattenere le lacrime a lungo, specialmente dopo quello che quella giornata gli aveva riservato.

Katsuki si era avvicinato ancora di più.
Ora, riusciva a vedere i suoi tratti longinei anche con la luce spenta.

«'Zuku…»
«Non chiamarmi così!» sbottò, la voce incrinata. Non sapeva perché stesse reagendo così. Era una cosa nostra e tu l'hai rovinata, doveva essere per questo.

Percepì il fiato di Katsuki accanto al suo viso, le sue mani che gli afferravano i fianchi, la sua voce rauca. Come quando era ubriaco, ma stavolta era diverso, sembrava quasi una supplica.

«I-Izuku…» farfugliò, il tono tremante. Sta piangendo…?

«N-non fare così…» soffiò tirandolo contro il suo petto. Izuku provò a dimenarsi, ma le braccia di Katsuki lo strinsero forte.
«Lasciami, Katsuki» disse, spingendo i palmi contro il suo petto. Lo sentì tremare, mentre poggiava la testa sulla sua spalla.
«Non posso…» mormorò, «non fare così, 'Zuku.»

Izuku lo spinse via.

«Perché no, Katsuki?» chiese articolando il suo nome con rabbia, «perché non dovrei? Posso essere arrabbiato no? Me lo hai detto tu! Perché non dovrei prendermela? Hai solo un figlio in arrivo, no? Che sarà mai! Infondo, il povero Izuku ti perdonerà, è qui proprio per questo! Il tuo Dominic sarà felice di sarebbe che ha vinto, che sei s-»

Katsuki lo interruppe. Premette le labbra contro le sue, spezzandogli il respiro.
La forza dell'impatto lo fece finire con la schiena contro il materasso, Katsuki scivolò tra le sue cosce.

Quasi non riusciva a capire quello che stava accadendo; un attimo prima stava urlando addosso a Katsuki e l'attimo dopo, si stavano baciando. E si baciavano con così tanta furia, con così tanta passione, che Izuku temette di bruciare.

Le labbra di Katsuki erano come lava sulle sue, irruente, impetuose, prepotenti. Rispose a quell'assalto come meglio poté, aggrappandosi ai suoi capelli, tirandoli. Katsuki non meritava i suoi baci, ma lui meritava quelli di Katsuki, perciò non lo lasciò andare. Lo strinse a sé, schiudendo meglio le cosce per farlo stare comodo. Il suo ventre si scontrò con l'erezione di lui, il suo tocco sui fianchi lo fece e sospirare.

Non riusciva a liberarsi di quella sensazione di beatitudine e pace che compariva ogni volta che le labbra di Katsuki sfioravano le sue. Era come bramare qualcosa che sapeva di non poter avere, ma che voleva così tanto da sorvolare sui modi.

Saggio la sua lingua, scivolando nella sua bocca, una mossa che di dominanza che fece fremere il sangue anche a Katsuki, che gli concesse il comando provvisorio.

Si aggrappò meglio ai suoi capelli, inclinandogli la testa di lato, spingendo la lingua nella sua bocca. Non era mai stato così impetuoso, non era mai stato così acceso, così bene. Il corpo di Katsuki premeva contro il suo, in un incastro di braccia e gambe, che non volevano ne potevano più districare. Si respiravano addosso, si asciugavano l'aria dalle bocche come se fosse il solo modo di vivere.

Ad un certo punto, Izuku gli morse il labbro, facendogli sfuggire un lieve ringhio. Il corpo dell'omega tremò, gli strinse le cosce contro i fianchi, premendoselo addosso. Lo sentiva spingere contro di sé, con tutto il suo peso, puntellato su un solo gomito.
Perse la lotta di dominanza quando si lasciò andare a un sospiro, dettato quasi dall'istinto e da un sentimento che gli scavava dentro come una pala.

Katsuki gli lasciò scivolare la lingua in bocca, iniziando un sali scendi di emozioni. Lo stomaco gli esplodeva in una marea di sentimenti che non sapeva esprimere, qualcosa di potente e distruttivo, che lasciava germogli in ogni angolino del suo essere.

Quando si separarono, Izuku aveva il fiato corto, aveva dovuto aggrapparsi alle sue spalle, mentre Katsuki scendeva a succhiargli il collo. Le sue labbra bollenti si chiusero poco sopra la sua clavicola, Izuku ebbe paura che potesse sentire  impazzire il battito del suo cuore.
Socchiuse gli occhi, lasciando che le fitte che attraversavano il suo corpo lo colpissero senza alcuna resistenza, mentre provava a respirare normalmente, senza alcun risultato particolare.

Katsuki gli scaricò una rapida sequenza di baci sulla curva della gola, azzannando un lembo di carne poco sotto il suo orecchio. Izuku gemette. Un verso nuovo e seducente che scosse il corpo di Katsuki, facendogli percepire per bene la sua erezione premergli contro la coscia.

«Izuku…» lo sentì soffiare, il suo fiato bollente gli colpì l'orecchio, «ancora, gemi ancora» gli prese il lobo tra le labbra, Izuku tremò, «gemi per me» lo tirò verso di sé con i denti, bagnandolo con la sua saliva calda.

«K-kacchan…» sospirò, non riuscendo a trattenersi. I palmi del biondo bruciavano contro la sua carne, i pollici gli toccavano l'inizio dei pantaloni. Il respiro di Katsuki era rauco, il suo cuore anche batteva inferocito contro la sua cassa toracica, Izuku lo sentiva attraverso i loro vestiti e si chiese se battesse più veloce o più lento del suo.

Katsuki scese a baciargli il petto, le labbra che sfioravano i segni sul suo corpo, sempre più lento ad ogni cicatrice o imperfezione che trovava. Lo sentì bloccarsi poco prima di arrivare ai suoi pantaloni. La luce spenta impediva che lo vedesse del tutto, ma poteva distinguere le sue forme, così come il colorito brillante dei suoi capelli biondissimi.

«'Zuku…» sospirò, chinato tra le sue gambe, con le labbra umide e gonfie, «tu sei l'unico che voglio.»

Non resistette. Lo tirò a sé, cercando le sue labbra, che baciò con irruenza. Lo spinse contro di sé, cacciandogli la lingua in bocca e scontrandosi con la gemella. Si abbandonò al suo controllo, senza riuscire a far altro.

Non era come baciare Matthew. Era diverso da ogni bacio avesse mai dato in vita sua. Le labbra di Katsuki sapevano di dolce, qualcosa di simile al miele, allo zucchero fuso. Si ritrovò a leccarsi le labbra, mandando giù le loro salice mischiate. Le parole di Dominic gli risuonavano ancora in testa, ma avere Katsuki cosi vicino gli impediva di ragionare lucidamente.

Sentendolo esitare, portò le mani sulla sua maglietta, sfilandogliela. Katsuki lo aiutò, sorpreso da quella intraprendenza.
Non che non lo avesse mai visto, ma Katsuki a petto nudo era quanto di più bello ci fosse mai stato. Simile al dipinto di un artista raro, i muscoli sotto la sua pelle erano come lisce distese di sabbia compatta, marmo caldo, che si affossava e finiva sul suo ventre piatto, che le dita di Izuku percorsero in punta, tremante e emozionato. Scivolò sulla sua pelle calda, sfiorò la striscia di peluria dorata che anticipava la sua intimità ancora coperta.
Voleva vederlo nudo. Questo pensiero lo colpì all'improvviso, facendolo avvampare. Si morse il labbro, sfiorando l'elastico dei suoi pantaloni.

Sopra di lui, Katsuki tratteneva il fiato.

«'Zuku…» sussurrò.

Izuku sollevò lo sguardo, incontrando i suoi occhi rossi. Il buio attorno a loro gli impediva di scoprire chiaramente le sfumature più chiare e quelle più vivide delle sue iridi, ma le trovo comunque la cosa più bella che avesse mai visto. L'unico rosso che non lo spaventava.

«Devo fermarmi?» soffiò sulla sua bocca, spingendo via con le dita, i suoi boxer.

Katsuki gemette, la sua erezione libera pulsava. Izuku capovolse le loro posizioni, salendogli a cavalcioni.

«Devo fermarmi, Katsuki?» ripeté, gustandosi il suo sguardo languido.

Di tutta risposta l'alpha gli afferrò i fianchi, spingendolo contro di sé.

«Assolutamente no» ringhiò.

🌼

Spazio autrice:
Non uccidetemi, avrete lo smut nel prossimo capitolo, promesso ;)
Avrei potuto aggiungerlo, ma sarebbe stato troppo lungo, inoltre, un po' di attesa rende tutto più bello!
*Schiva i pomodori che i lettori gli lanciano, insultandola per ciò che ha appena detto*

Comunque, a parte gli scherzi, vi è piaciuto? Che ne pensate di ciò che è successo? E della gravidanza di Dominic? Sono curiosa di sapere da che parte state e soprattutto cosa pensate di Katsuki, ora!

Vi aspetto nei commenti♥️
Alla prossima,

Lilla♥️

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