19. Tra vertebre e costole
"dai l’idea di profumare di
miele e nessun dolore
fa’ assaggiare"
Rupi Kaur
I pochi ricordi che Izuku aveva di suo padre, risalivano alla sua infanzia.
Sua madre spesso lo salutava con un bacio sulla guancia, ricordava, come il sentore di un profumo che conosceva ma di cui non sapeva la provenienza, che aveva un sorriso buono.
Spesso gli rimboccava le coperte, qualche volta gli portava un regalo. Quando era di buonuomore, portava lui e sua madre a fare lunghe passeggiate. Gli comprava lo zucchero filato, regalava una rosa a sua madre.
Ricordava il sorriso di sua madre quando lui annuiva, i suoi occhi accesi di amore quando lui rideva, però, i suoi ricordi felici finivano qui.
Non c'era altro.
Non per quanto riguardava quell'uomo.
Era buono, un uomo grande e sorridente, quando non beveva.
Ma quando lo faceva, diventava improvvisamente violento. Violento, aggressivo, rude. Izuku ricordava bene che suo padre beveva, molto.
Ricordava che quando tornava a casa, quelle sere, sentiva il cuore in gola. Lo temeva come si ha paura di un temporale, come si teme un pericolo.
Sapeva che non sarebbe stato clemente se avesse chiesto aiuto, sapeva che non sarebbe stato gentile se avesse pianto.
Restava sempre un mostro.
Uno di quei mostri di cui non si parla nelle favole, uno di quei mostri che terrorizzano con un solo sguardo, senza spiegazioni nascoste, senza traumi irrisolti.
Anche a distanza di anni, Izuku si continuava a chiedere perché suo padre lo odiasse così tanto da portargli via l'unica cosa che un padre non dovrebbe mai neppure toccare a un figlio.
Ricordava le sue mani rudi e forti contro le sue cosce, il modo in cui gliele allargava, quasi strattonandogli i muscoli, il suo respiro caldo, pieno di odio, acre come il whisky che aveva mandato giù. Ricordava che una volta, durante l'atto gli aveva vomitato addosso.
Un liquame giallastro e putrido, poi vedendo il suo viso disgustato, lo aveva picchiato finché il sangue non gli aveva lasciato le labbra umide e appiccicose.
Sua madre non aveva mai fatto nulla per impedirlo. Forse, qualche volta, si era intromessa, cercando di dissuadere il marito, di utilizzare lei, di rovinare il suo corpo, ma lui l'aveva sempre schifata, spintonandola e calpestandola.
Izuku è più bello. Izuku è più morbido. Izuku è più giovane. Izuku è più bravo.
Ogni volta, c'era una scusa diversa e col passare del tempo, Inko non ci aveva neanche più provato. Lasciava che il marito stuprasse suo figlio, mentre lei si chiudeva in camera. Solo dopo che sentiva sbattere la porta del bagno, usciva. I primi tempi, lo aiutava a ripulirsi, a medicarsi le ferite, ma col passare dei giorni, aveva iniziato a guardarlo sempre più disgustata.
Sembrava gelosa delle attenzioni che suo marito rivolgeva a suo figlio e non a lei. Al tempo, Izuku era troppo piccolo per rendersene conto, ma quando gli appariva nei sogni, non riusciva a fare altro che collegare le tessere, completando il disegno.
Più avanti, si sarebbe chiesto perché avesse voluto rivedere sua madre, non avrebbe mai saputo dirsi che in realtà, quello che voleva erano solo delle scuse.
Dalla donna che avrebbe dovuto proteggerlo, dalla donna che lo aveva generato, dall'omega che non era stata in grado di occuparsene.
Izuku capiva come si sentisse Lucien.
Quello che aveva visto, quello che aveva vissuto. Ricordi. Sono ricordi, si era detto, realizzando.
Quel ragazzino che piangeva dopo essere stato violato da suo padre, quel ragazzo che si rialzava dal pavimento di una scuola solo per occuparsi di suo fratello più piccolo, quell'omega che si rialzava dal bordo della strada dopo essere stato abusato per tornare a lavoro…
Questa era stata la vita a cui Inko Midoriya aveva condannato entrambi i suoi figli. Entrambi privati della dignità, entrambi schiavi di un mondo che li ripudiava fin dalla tenera età.
«Che cazzo stai dicendo?» Lucien lasciò andare la porta, stringendo il palmo contro il cardine del muro.
«Lasciaci entrare, per favore, stiamo attirando l'attenzione.»
In effetti, una piccola folla si era affacciata dai portoni sottostanti, sbirciando i visi dei nuovi intrusi, origliando i loro discorsi.
Lucien gettò un'occhiataccia uno ad uno, poi, gli fece cenno di entrare.
Katsuki fece per seguire Izuku, ma Lucien gli bloccò il passaggio.
«Niente alpha in questa casa» sancì, guardandolo con odio.
Katsuki ringhiò, un acuto basso e vibrante che fece abbassare la testa ad Izuku e intestardire Lucien. Il bambino, al contrario, non ebbe alcuna reazione.
Izuku lo osservò con interesse.
Nessun omega, per quanto forte, resiste così bene da non chinarsi ad un alpha… questo gli ripeteva sempre Sam.
«Lui è un…» si bloccò, Lucien lo stava guardando scongiurandolo di non dirlo.
Si ammutolì.
«Kacchan, sarà solo per pochi minuti» lo rassicurò.
«Merda, ok, però se entro dieci minuti non sei fuori, entro» redarguì il biondo, ignorando lo sguardo d'odio che gli stava lanciando Lucien.
«A tra poco» mormorò Izuku, poi si voltò, seguendo Lucien, prima che potesse varcare la porta però, Katsuki gli prese il polso.
«Cosa c'è?» chiese, girandosi.
Il viso di Katsuki era accigliato.
«Izuku…»
«Si?»
«Niente» sbuffò, distogliendo lo sguardo, «sbrigati.»
Izuku sorrise. Seguì Lucien e il piccolo in casa.
Il tavolo non aveva sedie.
Izuku si guardò attorno, respirando l'aria che sapeva di muffa. Non c'era polvere sui mobili, però le pareti erano tutte rovinate.
Inoltre, faceva un freddo cane.
Non se ne era reso conto subito, essendo abituato al freddo che gli si infiltrava nelle ossa, quando era nella camera 366, quando però, si era seduto sul divano per metà lacerato, era rabbrividito.
Un tempo, non ci avrebbe neppure fatto caso, però, ora il suo corpo era troppo ben abituato per non notarlo.
Quella casa non era affatto adatta a del ragazzini. Non c'era luce, non c'era riscaldamento e corrente.
Nel sorvolare il soggiorno con lo sguardo, notò che c'era una stufetta per metà rotta.
Il bambino si era seduto accanto al fratello, avvolgendosi in una coperta di lana. Lucien lo aiutò a sedersi per bene prima di voltarsi verso Izuku.
«Cosa sai di noi?» gli chiese, lo sguardo prudente.
«Puoi non credermi, ma ultimamente mi capita una cosa che finora non avevo mai compreso; se tocco qualcuno, ho una specie di visione dei suoi ricordi. Non so a cosa sia dovuto, ma ti giuro che è così.»
Lucien lo guardò, interdetto.
Izuku gli raccontò delle cose che aveva visto quando lo aveva toccato. Lucien lo ascoltò senza interromperlo, solo quando Izuku finì, annuì.
«Millie, puoi prendermi un bicchiere d'acqua?» chiese al fratello più piccolo.
Il bimbo mosse la testa, annuendo. Quando sparì oltre la cucina, Lucien tornò a parlare.
«Cosa ti è successo? Perché volevi rivedere una che ti ha abbandonato?»
«Come fai a sapere che mi ha abbandon-»
«Ho visto delle tue foto, lei a volte ne parlava» esclamò Lucien, guardando un punto indefinito della stanza.
Izuku sgranò le palpebre, sorpreso.
«Lucien…»
«Ci sono delle tue cose nella stanza alla fine del corridoio» disse il ragazzo.
«Posso vederle?»
«Si.»
Millie tornò con due bicchieri d'acqua e ne porse uno ad Izuku e l'altro a suo fratello.
«Grazie…» indulgiò, non sapendo se chiamarlo col nome che aveva sentito.
«Millie» venne in suo soccorso Lucien, il tono più dolce, «si chiama Millie.»
Passò una mano tra i capelli ricci del bambino che sorrise.
Solo allora, Izuku notò il pallore delle sue guance, il rosso dei suoi occhi. Quel bambino non stava bene e a giudicare dal modo in cui Lucien digrignava i denti di tanto in tanto, non stava bene neanche lui.
«Katsuki ti ha fatto male?» domandò, allugando la mano verso il suo petto.
Lucien provò a scacciarlo, ma Izuku fu più veloce. Gli sfiorò il costato, ponendo una leggera pressione, Lucien gemette, corrugando la fronte.
«Ti fa male? Forse hai qualche costola incrinata» espose, le sopracciglia corrugate.
«Perché ti interessa?» chiese all'improvviso Lucien, il viso contratto.
«Perché sei mio fratello» mormorò Izuku, abbassando la testa, colpevole.
«Tu sei nosto fratello?» mormorò Millie, guardandolo curioso.
«Millie…»
«Si, sono vostro fratello» asserì Izuku.
Lucien si alzò, innervosito.
«Ma si può sapere che cazzo vuoi?!» redarguì, il tono più alto, «vieni qui e pretendi che ti accettiamo solo dicendo che sei nostro fratello?! Entri in casa mia e pretendi di dire a mio fratello che vuoi aiutarci che sei suo fratello e poi che altro? Pensi che sono nato ieri?! Lo so bene che vuoi qualcosa in cambio.»
Lo guardò sprezzante, Millie si stava mordendo il labbro, trattenendo le lacrime.
«Va tutto bene, Millie» sussurrò al fratello, chinandosi.
Izuku non disse nulla, prese le sue cose e fece per andarsene, ma prima che arrivasse alla porta, Lucien lo fermò.
Gli prese il polso, facendolo voltare.
«Mi dispiace non dovevo dire quelle cose.»
Aveva il tono cristallino, vero. Il suo dispiacere gli trapassò la carne, penetrando nel cuore.
Con lo sguardo rivolto verso il basso e la testa incassata tra le spalle, sembrava… piccolo. Molto più tenero e piccolo del ragazzo che voleva far vedere.
«Quanti anni hai Lucien?» domandò, il tono più basso.
«Ne faccio quindici tra qualche mese.»
Izuku sorrise. Un sorriso stanco e dolce.
Allungò una mano e prima che potesse ripensarci, la pose sulla guancia del corvino. A quel gesto, Lucien rispose spalancando gli occhi, sorpreso. Il verde delle iridi gli parve quasi un blocco di giada liquida.
Sulla parte destra della tempia, aveva una cicatrice. La sua guancia era gelida ma morbida come seta.
«Ti sei occupato da solo di Millie per tutti questi anni?» domandò, sorridendo dolcemente.
«È mio fratello» mormorò lui in risposta, spostando lo sguardo, burbero. Izuku lo guardò ancora.
«Si, appunto.»
Lucien gli rivolse uno sguardo interrogativo, però Izuku non aggiunse altro.
Entrando nella sua vecchia stanza, Izuku pensò di essere tornato ad avere sei anni, quando tornato da scuola correva in cameretta e si lanciava sul lettone.
Il “lettone” come lo aveva sempre chiamato da bambino, consisteva in un materassino sottile, posto sopra una brandina mobile. All'epoca, lo tenevano sotto la finestra, accanto alla scrivania, ora, stava dalla parte opposta della stanza, contro il muro che si ergeva di fronte alla porta.
La sua trapunta color arancio, col disegno di All Might, non c'era più. Al suo posto, v'era una piccola coperta di ciniglia, azzurro pastello.
Sul bordo della finestra, impilati in una torre disordinata, c'erano dei libri di scuola. Izuku si avvicinò, ma non riuscì a leggere nessun titolo. Sul lato opposto, c'era un piccolo salvadanaio a forma di porcellino.
Quelle cose, non erano sue.
Quella camera, non era più sua. Si, entrando si era ritrovato in quella familiarità quasi dolorosa, ma guardandosi attorno aveva capito che come l'ombra di quello che era stato.
Quell'intera casa, un tempo solare e calda, ora non era altro che un aggromerato di stanze gelide e vuote.
Improvvisamente si sentì di troppo.
Si guardò attorno, senza riuscire a provare nulla. Un tempo quel posto era stata la sua casa, il suo posto sicuro, ora, non era altro che un buco nel suo petto.
Dovette appoggiarsi alla parete alle sue spalle, riprendere fiato, tenere gli occhi chiusi. I suoi polmoni incameravano ossigeno, la bocca buttava fuori l'anidride carbonica. Respirare. Doveva respirare.
Non servì a molto. L'attacco di panico fu comunque violento. Affondò le unghie nei palmi, strinse convulsamente i pugni, contò i battiti.
Quella stanza non era stata solo la cameretta di un bambino, era stata il suo rifugio, il suo isolamento, il suo abbraccio nel buio. Era lì che si rifugiava quando le violenze di suo padre finivano, erano quelle pareti che ascoltavano i suoi singhiozzi, notte dopo notte, era quella brandina che lo sorreggeva, era quella trapunta che lo avvolgeva quando non riusciva a respirare.
Li stava rivivendo tutti.
Tutti i momenti che aveva passato tra quelle mura, gli arrivarono uno dopo l'altro, come legati a una corda, come trainati da una forza invisibile. Gli offuscavano la ragione, gli rubavano le forze.
«Va tutto bene?» Lucien gli aveva poggiato una mano sulla spalla. Lo toccava appena, tuttavia, Izuku si sentì sollevato.
«Si, solo…» sospirò, «nulla, sto bene.»
Lucien non sembrava credergli, tuttavia non fece domande.
«Ho conservato le tue cose» asserì, senza un colore preciso nella voce, «sono nell'armadio.» Si mosse fino alle ante bianche, aprendole. Dentro, dietro poche felpe scolorite, c'era un'intera parte dedicata alle sue vecchie cose.
«Non sapevo di chi fossero precisamente, però mamma continuava a ripetere che non dovevo toccare nulla, che dovevo lasciare tutto com'era…mi dispiace, ma quando…» si bloccò, guardando oltre la finestra, la mascella si strinse «ho messo da parte quelle cose, non ho buttato nulla.» Lucien si fece da parte, permettendo di vedere le cose ripiegate sui ripiani.
Intravide la sua coperta di All Might, il colore leggermente più sbiadito ma il disegno intatto. Accanto, c'era il suo piccolo pupazzetto degli eroi, un ometto sorridente, col costume luccicante.
Quante sere aveva passato con stretto al petto quel pupazzo?
Non riuscì a pensare ad altro, una forte esplosione lo fece sobbalzare, un rumore sordo venne dall'atrio.
«Che cazzo è stato?» esclamò Lucien prima di correre nella stanza accanto.
Conosceva quel rumore, lo aveva udito solo un'altra volta ed era certa che non fosse affatto un buon segno. Si portò una mano al ventre, accarezzandolo.
Allungò la mano prendendo il pupazzetto e se lo mise in tasca prima di seguire Lucien.
In salotto, Millie si teneva le braccia sulla testa, mentre Katsuki Bakugo lo parava dai colpi col suo corpo.
Aveva le mani sudate, piccole esplosioni esplodevano da quei palmi aperti. Era quello il rumore che avevano sentito.
Izuku avanzò, ma il braccio di Lucien si stese dinanzi a lui, bloccandogli il passaggio. Non lo guardava, fissava i due sconosciuti dinanzi all'alpha biondo, il viso contratto.
«Ti ho detto di spostarti!» asserì l'uomo con i capelli bianchi, le braccia lasciate scoperte da uno smanicato di jeans.
Mosse contro Katsuki la lama che teneva tra le dita, ringhiando.
Katsuki non batté ciglio.
«E io ti ho detto di andare a farti fottere, non toccherai quel bambino» sibilò, gettandogli un'occhiata feroce.
L'uomo accanto a quello che aveva parlato fece per scattare in avanti, ma Katsuki ringhiò, denudando i canini.
«Lascialo in pace, Erd, sono io quello che vuoi» esclamò Lucien, facendoli voltare in sua direzione.
«Eccolo qui, il nostro bocconcino» sghignazzò il biondo, leccandosi le labbra. Ignorò Katsuki, camminando verso Lucien.
«Oh pezzo di merda» ringhiò Bakugo, strattonandolo dal polso. Quello si voltò, cercando di liberarsi dalla sua presa, senza successo.
«Non intrometterti, ragazzino» redarguì l'uomo vicino al primo, scoprendo i suoi denti neri e avariati.
Katsuki spalancò gli occhi. Izuku vide solo una luce accecante, l'odore di fumo, le mani di Katsuki alzate.
«Ragazzino? Ma con chi cazzo credi di star parlando?!» ululò Katsuki, la voce adirata.
Teneva il biondo dal collo, mentre il suo amico era arrettrato, impaurito.
«L-lasciami o te la f-farò pagare…!» sibilò il biondo, scalciando. Un ghigno ampio e beffardo si stese sulle labbra di Katsuki.
«Vuoi morire, comparsa?» mormorò, scantendo le parole nel suo ghigno strafottente.
Il biondo si dimenò, chiamando a suo soccorso l'altro, che tuttavia, era sbiancato. Fissava la scena, mentre il coltello gli cadeva dalle mani tremanti.
«T-tu…sei…quell'alpha…» farfugliò, guardandolo con orrore, «quello…quello che ha sfidato Uriel» mormorò quel nome quasi sottovoce, come se temesse di dirlo. Izuku lo fissò, aggrottando le sopracciglia.
«In persona» sancì Katsuki, l'espressione gongolante. Non aspettò che aggiungessero altro, fece scoppiettare di nuovo i palmi, colpendo il volto del biondo, che urlò.
«Sparite, comparse del cazzo…!» sbraitò, spingendo il biondo addosso al suo compagno. Entrambi caracollarono, finendo contro il portone d'ingresso.
Il tonfo riempì la stanza.
Izuku sollevò lo sguardo su Katsuki.
«State bene?» chiese, guardando Izuku.
Annuì.
Lucien corse accanto a suo fratello minore.
«Chi sono questi pezzi di merda?» chiese, continuando a squadrare quei due.
Lucien esitò.
«Nessuno» borbottò, «ladri immagino.»
Katsuki storse le labbra.
Raggiunse i due, afferrandoli dal bavero delle magliette. Il biondo squittì, privando a liberarsi, l'altro, sembrava sinceramente terrorizzato.
«Non farmi del male…ti prego…» lo supplicò. Katsuki lo ignorò.
«Kacchan…»
«Non ora, Izuku.»
«Izuku?» ghignò il biondo, il tono sorpreso, «Izuku Midoriya? Il figlio di quell'ubriacone di Hisashi?» chiese divertito.
«Chiudi quella fogna» gli intimò Katsuki, strattonandolo mentre lo spingeva contro la parete.
Il biondo lo ignorò.
«Ti ricordi di me? Di quella volta che ci siamo divertiti? Una delle scopate migliori della mia vi-» il biondo non fece in tempo a concludere. Il pugno di Katsuki gli strappò il fiato, facendogli sputare sangue.
Il biondo rantolò, tossendo. Continuò a guardare Izuku, che non riusciva a spiccar verbo.
Si, ricorda quel viso. Ricordava quel sorriso. Ricordava quella sera.
«Aspetta…no, non dirmi forse che tu e occhi di cerbiatto siete fratelli?! Hahahah, no, non ci credo…!» ululò, sputando un grumo di sangue e saliva sul pavimento, quando il pugno di Katsuki lo colpì sui denti.
A quelle parole però, Izuku si bloccò. Gettò un'occhiata a Lucien, guardandolo impallidire. Questo? Era costretto a fare questo? Izuku deglutì, un sapore amarognolo gli invase la bocca.
«Ti ho detto di tacere, pezzo di merda» sancì Katsuki, colpendolo così forte da fargli saltare qualche dente in aria.
Il biondo tuttavia, non smise di ridere.
«N-non ci credo! Due delle scopate più belle della mia vita…!»
Katsuki lo colpì ancora.
Il biondo rotolò per terra, sorreggendosi il ventre con le braccia. Katsuki gli sferrò un calcio, lui urlò, gliene tirò un altro, un altro e un altro ancora.
«Katsuki…»
Izuku provò a spingerlo via, impedendogli di colpire ancora quell'uomo, ma non valse a nulla.
Katsuki continuava a colpirlo senza neppure fargli riprendere fiato.
«Kacchan…!» ripeté, provando a portarlo via. L'alpha però, non sembrava neppure sentirlo.
Fu Lucien a staccarlo di lì, incastrandogli i gomiti dietro le sue braccia, spingendolo contro di sé. Katsuki ringhiò, Lucien lo strattonò più forte.
Per un po' lottarono, senza che Izuku potesse fare nulla per fermarli, stette in silenzio, stringendo tra le dita il pupazzetto che teneva in tasca.
Alla fine, Katsuki si arrese. Quando Lucien lo lasciò andare, aveva il fiatone.
«'Zuku…» mormorò, guardandolo. Izuku gli corse incontro.
«Stai bene? Mi dispiace, gli caverò la lingua…-»
«Sto bene, Kacchan, calmati» gli accarezzò una guancia. Lui restò buono.
«Merda, un altro po' e lo ammazzavi» sancì Lucien, interrompendoli.
Katsuki scattò in sua direzione.
Lucien, era chinato accanto al biondo, tuttavia, non lo toccava, si limitava a guardarlo atono.
«Non potete restare qui» redarguì Katsuki, il tono professionale, l'espressione di chi sa come reagire.
Lucien, che si era rimesso in piedi, gli gettò una lunga occhiata.
«E dove vuoi che andiamo?» redarguì, innervosito, «non posso permettermi un altro affitto, ora» sancì, spostando lo sguardo, imbarazzato.
«Kacchan…» mormorò Izuku, tirandogli la manica. Il biondo chinò l'orecchio in sua direzione, ascoltandolo.
«Possono stare da noi?» chiese. Katsuki aggrottò la fronte, stette in silenzio per qualche secondo, poi annuì.
«Stare da voi?» domandò Lucien, confuso. Izuku lo raggiunse.
«Possiamo parlare?»
Lucien si era guardato attorno, notando le condizioni in cui riversava il suo salotto; il sangue e la saliva che gli imbrattavano il pavimento, i due sconosciuti privi di sensi, il muro bruciato.
«Per favore, è importante» insistette Izuku, guardandolo negli occhi.
Lucien gli fece cenno di seguirlo.
Izuku gettò un'occhiata preoccupata ai due uomini svenuti.
«Va' ci penso io» dichiarò Katsuki.
«Ma…»
«Tranquillo, tengo io il marmocchio.»
«Kacchan…» lo guardò, incapace di aggiungere altro.
«Vai Izuku e convinci tuo fratello» mormorò. Lui gli sorrise.
«Non si tratta di me» obiettò Lucien, scuotendo la testa, «ma di Millie» redarguì.
«Potremo dargli un'istruzione» gli fece notare Izuku. Lo guardava lottare contro i suoi principi, dal lato opposto del divano.
«Anche io posso dargliela» replicò, tagliente. Izuku scrollò la testa.
«Tu anche hai bisogno di aiuto» decretò, «hai il viso pallidissimo e Millie avrà sicuramente la febbre…!»
«Cosa volete in cambio? Dov'è la fregatura?!» soffiò il ragazzo, scrutandolo timoroso.
«Non c'è fregatura, io stesso ero in una situazione simile» ammise, spostando lo sguardo, «non vuoi che Millie viva i tuoi stessi traumi, vero?» si giocò il tutto per tutto, osservandolo speranzoso.
Fare leva su quell'argomento non era cento un comportamento esemplare, ma se serviva a farlo ragionare, lo avrebbe fatto altre centomila volte.
«Lui è un alpha.»
«È ancora un bambino» sancì Izuku, severo.
«È più forte» obiettò lui. Qualcosa nella sua voce gli diceva che non voleva e non poteva demordere.
«Si, lo è, ma questo non toglie il fatto che è un bambino.»
Lucien non trovò da ridire. Lo vide agitarsi sul divano, rimirando le sue unghie corte.
«Come posso fidarmi…?» chiese, la voce spezzata. Guardandolo, Izuku capì che anche lui avrebbe reagito così.
«Chiedimi quello che vuoi, lo farò» asserì, gli occhi traboccanti speranza, verde e pura.
Lucien si mise in piedi. Gli dava le spalle, ma era comunque un po' più alto di lui.
Sulla nuca, i capelli erano più chiari, il nero si dissolveva, lasciando intravedere un pallido verde quercia.
«Una cosa c'è» ammise. Izuku si mise le mani in grembo, osservandogli le spalle.
«Dimmi.»
«Si tratta di una cosa molto pericolosa» aggiunse, girandosi a guardarlo. Il suo viso era una maschera di sofferenza.
Izuku non si tirò indietro.
«Qualunque cosa» decretò.
Lucien socchiuse gli occhi, le linee della labbra si serrarono, per poi rilassarsi.
Izuku sentì il cuore caracollare, finendo incastrato tra vertebre e costole, impigliato negli angoli sporgenti delle sue ossa.
«Aiutami ad uccidere Hisashi Midoriya. Aiutami ed io e Millie verremmo con te.»
🌼
Spazio autrice:
Come state? Spero tutto bene!
Ecco qui il capitolo, succedono molte meno cose del solito, però ho voluto pubblicare lo stesso, sennò vado in confusione e rischio di non aggiornare più. Penso, ormai lo abbiate capito che sono una perfezionista cronica e che non va affatto bene 🙈
Comunque, cosa ne pensate del capitolo? Che pensate farà Izuku, ora? E cosa accadrà?
Aspetto le vostre ipotesi💜
Alla prossima,
Lilla
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top