17. Tossine
In questo capitolo, c'è il mio cuore, la mia anima e il mio dolore. Frammenti e pezzi della mia ossatura, sparsi per voi.
Mi auguro di non deludere nessuno e che tutti voi possiate sentirvi bene, sempre♥️
TW! AUTOLESIONISMO, SCENE VIOLENTE!
🌼
Quando era molto piccolo, Izuku credeva che tutti gli uomini fossero degni di amore, che tutti fossero innocenti, fino a prova contraria.
Crescendo, aveva capito che tutti, tutti, erano colpevoli fino a prova contraria.
Non importava cosa dicevano, ma cosa facevano.
I fatti, sono i fatti a fare una persona, Deku, questo gli ripeteva Sam, il suo compagno di cella.
Sam, sapeva di più di lui, riguardo il mondo, riguardo le minacce che lo costellavano, riguardo la vita che facevano. E Izuku, era sempre stato molto contento di ascoltarlo.
Temperava però, le sue parole, come se avesse potuto in qualche modo renderle più fine, più dolci, meno severe.
Crescendo, venendo sfruttato, venendo violentato ogni sera, aveva capito che Sam aveva ragione.
Non esisteva che qualcuno dicesse di essere buono. Nessuno nasceva buono, lo si diventava. Ma, Aizawa, non aveva fatto nulla, per poter essere etichettato 'buono', ai suoi occhi.
Aizawa, era un uomo, un alpha, un cliente.
Lo aveva utilizzato, si era svuotato, lo aveva buttato via. Izuku lo osservò, il giusto necessario a far in modo che i loro occhi si riconoscessero.
Aizawa impallidì.
Lo vide scuotere il capo, quasi…atterrito.
Lo osservò allungare una mano in sua direzione, vide le sue labbra aprirsi.
Percepì a rilento il suo 'scusami, Deku'.
Non riuscì a resistere oltre.
Dovette correre in direzione del bagno, chiudendosi la porta alle spalle, fece appena in tempo a chinarsi sul water, che stava rimettendo ogni cosa che aveva ingerito.
Si aggrappò ai bordi del water, sorreggendosi. Qualche riccio gli solleticò la fronte, i conati parvero soffocarlo.
Vacillò, stanco e impaurito.
Percepì un palmo caldo sfiorargli la fronte, i capelli finire all'indietro, una mano massaggiargli la schiena.
Lo sostenne finché non smise.
«Vieni» lo aiutò a rimettersi in piedi, le sue braccia forti lo sostennero.
«Puliamo…-» si interruppe, il suo sguardo cadde sulle sue mani fasciate.
Izuku scosse la testa, non avendo abbastanza forze per affrontare quel discorso.
Katsuki lo aiutò a sciacquarsi la faccia, gli spinse indietro i riccioli, lo aiutò a lavarsi i denti. Non fece domande.
«Vuoi stenderti?»
Izuku annuì.
Katsuki lo prese in braccio. Era troppo stanco per imbarazzarsi, così lo lascio fare. Lo portò in camera, le lenzuola del letto erano così scure che Izuku immaginò se si fossero sporcate di sangue, non si sarebbe neppure notato.
Quei pensieri gli sfiorarono il cervello, facendolo innervosire. Era quasi scioccante il modo in cui il suo intero essere fosse programmato per pensare a tutto ciò che più disgustava gli altri.
«Katsuki…non andartene, per favore» mormorò, la voce raschiante, «non lasciarmi da solo.»
Katsuki aggirò il letto, stendendosi accanto a lui. Izuku si fece più vicino, poggiando la testa sul suo petto.
L'alpha lo lasciò fare, senza neppure aprir bocca. Izuku, gli avvolse il busto con un braccio, respirando affannosamente.
«S-scusa…» bonficchiò, mordendosi un labbro per soffocare un singhiozzo.
«Non scusarti mai con me, 'Zuku» soffiò l'alpha, avvolgendolo con un braccio.
Izuku respirò il suo profumo legnoso, beandosi di quella naturalezza che lo avvolgeva ogni volta che sfiorava Katsuki.
«Non lasciarmi, non andartene se mi addormento» ripeté Izuku, tremando leggermente.
Katsuki lo strinse di più a sé.
«Non me ne vado, piccolo.»
Arrossì, ma sorrise. Quel nomignolo… gli sembrò familiare, ma non riuscì a pensare ad altro, perché gli occhi gli si chiusero, la mente gli si appannò.
Si addormentò.
«Sei sveglio?»
Izuku mugolò.
Percepiva il calore di un altro corpo contro il suo, un profumo dolce riempirgli le narici.
«Devo andare a lavoro, Izuku.»
Sollevò lentamente le palpebre. Mise a fuoco le lenzuola scure, tirate fino al suo mento, il copriletto dalla fantasia ad esagoni.
«A…lavoro?» chiese confuso. Girò la testa verso l'alto, riconoscendo il viso perfetto di Katsuki.
Avvampò immediatamente, facendo un balzo all'indietro.
Katsuki lo tenne dalla vita, impedendogli di sbilanciarsi dal letto.
«Merda, Izuku, finirai per farti male» lo rimbeccò, la voce roca.
Izuku deglutì, sentendo la salivazione sparire. Aveva dormito con la testa sul suo petto…?
Oddio.
Si affrettò a lanciare un'occhiata alla maglietta di Katsuki, e se possibile, arrossì ancor di più, nel costatare la macchia bagnata che aveva lasciato.
Katsuki seguì il suo sguardo, incuriosito.
«Sbavi, 'Zuku?»
L'omega abbassò il capo, colpevole. Stava letteralmente andando a fuoco dalla vergogna.
«S-scusa…davvero, mi dispiace…»
Percepì Katsuki trattenere una risata. Gettò un'occhiata fuggiasca, restando incantato dal sorrisetto che gli adornava le labbra.
«Quando arrossisci le tue lentiggini diventano ancor più evidenti» mormorò l'alpha, il tono serio. Izuku restò immobile mentre la mano di lui gli percorreva la guancia, accarezzando le efelidi che costellavano il suo viso.
Il tocco di Katsuki era fuoco puro.
Liscio come seta e rovente come brace.
Trattene il respiro finché Katsuki non rimosse la mano, tornando a guardare un punto indefinito.
«Puoi dormire un altro po', io devo andare» gli fece notare Katsuki, rimettendosi in piedi. Izuku non poté fare a meno di osservarlo, scandagliandolo con lo sguardo.
Indossava ancora gli abiti della sera precedente, ma pareva sempre impeccabile, più divino di qualsiasi umano.
Katsuki non somigliava a nessuno dei suoi clienti. Non aveva niente, neppure gli occhi simili a uno di quelli.
Forse, era per questo che Izuku con lui, si sentiva al sicuro.
Certo, le parole di Mina e di Shoto gli risuonavano ancora nelle orecchie, ma non poteva fare a meno di essere attratto da Katsuki. Desiderava capire, scoprire.
Katsuki si stiracchiò, portando le braccia sulla testa, la maglietta si sollevò, rivelando i bendaggi sul fianco.
L'omega si sentì immediatamente un idiota; come aveva potuto scordarsene?
Aveva lasciato che Katsuki, con una ferita del genere, lo portasse in braccio per due rampe di scale?!
Si rimproverò mentalmente, mentre il suo sguardo vagava sempre più giù.
La scia chiara che iniziava alla curva dei pantaloni…
Distolse lo sguardo, incontrando quello compiaciuto di Katsuki.
«Non avresti dovuto portarmi in braccio» farfugliò, abbassando il viso.
«Sto bene, 'Zuku, non preoccuparti per me» asserì, poggiò un ginocchio sul letto, il materasso affondò un po'.
«Me lo dai un bacio prima del lavoro?» mormorò Katsuki, portando due dita sotto il suo mento. I loro occhi si incastrarono.
«Un…»
Il cuore di Izuku batté così forte che ebbe paura che potesse fuggire, aprendosi un varco tra la cassa toracica e la pelle.
«Un bacio, Izuku» ripeté, quel sorrisetto furbo che gli arrischiava lo sguardo.
Izuku arrossì, le labbra schiuse.
Pensò che avrebbe dovuto dire qualcosa, che aveva sicuramente l'alito cattivo e un'espressione da pesce lesso, però, le labbra di Katsuki gli rubarono la lucidità.
Fu a malapena un bacio.
Un tocco fugace, breve e soffice, come un cuscino di seta, come uno scontrarsi di petali di rose. Izuku restò senza fiato.
Katsuki teneva gli occhi chiusi e la testa appena reclinata, le sue labbra erano calde, leggermente screpolate. Non seppe come reagire, così lo guardò per qualche secondo, allibito, gli occhi verdi sgranati, poi, Katsuki si allontanò.
Sorrideva ancora, ma stavolta, era un ghigno contenuto, un tiepido sorriso.
Izuku restò imbambolato.
«Vado a lavoro, ci vediamo più tardi» redarguì Katsuki, incamminandosi verso la porta, «resta fottutamente lontano dalla cucina, 'Zuku» aggiunse, guardandolo. Per un attimo, Izuku avrebbe voluto nascondere le mani sotto il lenzuolo, ma lo sguardo di Katsuki glielo impedì.
Annuì, incapace di parlare.
Il biondo gli gettò un'ultima occhiata prima di aprire la porta e scomparire, richiudendosela alle spalle.
Izuku si lasciò cadere sul letto, a peso morto. Sospirando.
Cosa succedeva?
Perché il suo cuore batteva così forte?
Perché gli occhi gli si erano socchiusi da soli? Perché il tocco di quelle labbra invece che infastidirlo, visto che stavano cancellando sempre di più il ricordo di quelle di Matthew, lo esaltavano?
Non seppe darsi una risposta.
Si lasciò scivolare le lenzuola, respirando impregnate del profumo di Katsuki.
Si alzò qualche ora più tardi, aiutò Mina a finire qualche lavoretto per casa, nonostante la ragazza insistette affinché stesse fermo per riprendersi prima.
Aiutò perfino con i bambini.
Non era un problema per lui; Carlotta e Nathan gli piacevano, erano bambini buoni ed educati e anche se fossero stati cattivi, Izuku dubitava che non gli sarebbero piaciuti.
Adorava i bambini, ma non pensava di essere in grado di occuparsene.
Il pensiero di suo figlio, era un caso a parte. Matthew gli aveva sempre ripetuto che con il loro bambino sarebbe stato diverso.
Impareremo.
Gli ripeteva sempre.
Izuku provava a non pensarci. Riusciva ad andare avanti così, perciò dovette imporsi di non abbandonarsi a quei pensieri. Mina, gli era parsa molto più spaventata ora, quasi terrorizzata all'idea che lui potesse commettere qualche sciocchezza mentre c'era lei in casa, così, si era rimproverato internamente.
Mina era gentile con lui, non doveva farla soffrire col suo atteggiamento.
Avevano pranzato presto, aspettando il pomeriggio tra una faccenda e l'altra.
Izuku, aveva parlato con Xander, chiedendogli scusa per la sera prima.
Gli aveva detto che non si era sentito bene e lo stesso aveva fatto Mina con gli altri. Izuku, gliene era stato silenziosamente grato.
Xander lo ascoltava. Poteva parlare per ore e Xander non si sarebbe mai stufato o distratto. Lo osservava, annuendo e aggiungendo qualcosa ogni tanto, ma non risultava mai sconveniente o accomodante.
Gli faceva notare quando non era d'accordo o quando invece lo trovava giusto. Aveva fatto amicizia anche con Mina.
Non aveva parlato con Denki e non lo aveva visto in salone. Quando aveva chiesto sue notizie a Mina, quest'ultima gli aveva spiegato che Denki faceva un po' fatica ad accettare tutto quello che gli era successo, così gli lasciavano il suo tempo. Izuku aveva annuito.
Non aveva chiesto di Aizawa.
Non si sentiva affatto sicuro di volerlo rivedere, né tantomeno di volergli parlare.
Si era principalmente impegnato, conversando con Xander, senza mai chiedere qualcosa di quando erano prigionieri.
Era come se entrambi sapessero che quell'argomento era meglio non toccarlo.
Izuku rispettava la scelta di Xander e Xander rispettava troppo Izuku per fargliene cenno.
Ad un certo punto, tornarono Kirishima e Katsuki. Il primo, baciò subito la moglie e i figli, poi si accinse, - sempre sorridente,- a salutare, Izuku e Xander.
Katsuki, dal canto suo, gettò un'occhiata a Izuku, annuendo in direzione di Xander.
Qualcosa in Izuku si mosse. Una fitta gli attraversò lo stomaco; era fame forse?
No, era qualcosa di molto più intenso, più complicato e meno risolvibile.
Izuku abbassò lo sguardo.
Quando Katsuki lo raggiunse sul divano, Mina era in cucina, assieme a Kirishima, Xander era tornato in camera.
Izuku, stava seduto sul sofà, giocando con i bambini.
«Sei bravo con i marmocchi» asserì Bakugo, facendolo sussultare; non si era accorto che lo aveva raggiunto.
Arrossì, comprendendo ciò che gli aveva detto.
«Sio!» proruppe Carlotta, rivolgendosi a Katsuki. Lui si volse a guardarla.
«Izuku…è belo» esclamò.
Nathan annuì, dando ragione alla sorella.
Izuku, di tutta risposta divenne di un acceso color vermiglio.
Un sorrisetto beffardo apparve sulle labbra di Katsuki.
«Sei bello, Izuku?» gli domandò, guardandolo.
«I-io…non lo so» farfugliò l'omega, spostando lo sguardo.
Katsuki ridacchiò.
Il suono di quella risata, attirò il suo sguardo come una calamita. Sollevò rapido il capo, osservandolo.
Sembrava così bello, Katsuki.
Le guance diafane, gli occhi accesi, le ciglia lunghe, le labbra rosse.
Tutto in quel viso urlava regalità.
Izuku lo trovò spaventosamente bello.
Un qualcosa che non riusciva ad ammettere né a guardare per troppo senza che gli facessero male gli occhi.
Dovette infatti, distogliere lo sguardo, rinproverandosi.
Lo stomaco gli si era aggrovvigliato di nuovo. I polmoni sembravano funzionare a tratti.
Non capiva cosa gli succedesse.
In presenza di altri alpha, non gli era mai accaduta una cosa del genere.
Era diverso dall'avere ansia.
Non provava niente di così frustante, di limitante o doloroso. C'era solo qualcosa che gli stringeva il ventre e gli scaldava il petto, fino a fargli avvampare le guance.
Ogni volta che Katsuki parlava.
Continuava a ripetersi che avrebbe dovuto avere paura, ma non ne provava neppure un po', specialmente se Katsuki gli sorrideva in quel modo.
Si sentiva, fragile.
«Sei bello.»
«N-non lo so, Katsuki…»
«Non era una domanda, Izuku.»
«Oh…»
Dopo cena, Kirishima volle accendere la radio.
Izuku, non ne aveva mai vista una, ma ne aveva sentito parlare, inoltre, ricordava che anche sua madre ne aveva una quando era bambino.
Era rimasto comunque affascinato dal suo funzionamento. Le note che ne uscivano, il suono raspante della musica, il leggero grattare delle melodie.
Anche Xander ne era rimasto incantato.
Perfino Denki, - che era sceso per mangiare e poi, era stato trattenuto da Kirishima- aveva guardato con meraviglia quell'oggetto.
Mina aveva spiegato ad Izuku che c'erano tante persone che cantavano e che quelle melodie non erano altro che le loro voci, registrate e trasferire lì dentro.
I bambini, si era messi a ballare, saltellando qua e là, finché non era riusciti a convincere Kirishima a ballare con la moglie.
Avevano così iniziato a danzare, perfino Xander si era messo a ballare, con Denki che seguiva le mosse di Mina. Dopo un po', Kirishima che aveva da poco finito un ballo, si era avvicinato ad Izuku.
Lui, si era limitato ad osservare dal divano, colpito e meravigliato, studiando minuziosamente ogni loro movimento e muovendo la testa a ritmo.
Gli piaceva quella radio.
Però, non poteva immaginare che Kirishima volesse poter ballare con lui.
Infatti, scosse la testa, convinto che non ne sarebbe stato in grado e che lo avrebbe solo fatto vergognare.
Kirishima però insistette.
Gli porse la mano e Izuku avvampò.
«Andiamo, solo un giro…!» redarguì l'alpha rosso, sorridendo seducente.
Mina gli aveva dato man forte.
Alla fine, si era arreso, mettendosi in piedi.
«Non so come si fa» aveva ammesso, le guance rosse.
«Non preoccuparti, Izu-bro! Qui nessuno è esperto! Ti basterà seguire le mie mosse!» lo rassicurò Kirishima.
Gli prese la mano, ignorando la fasciatura, ma il suo tocco rimase comunque delicatissimo.
Izuku lo osservò, cercando di replicare ciò che faceva lui.
Kirishima gli disse di mettere l'altra mano sulla sua spalla, come faceva lui. Izuku obbedì.
«Ora muoviamo i piedi, uno avanti e l'altro indietro, ok?»
Izuku annuì.
Provarono a muoversi e all'inizio, l'omega si lasciò trascinare. Poi, capendo un po' il ritmo, prese a muovere i piedi, calpestando il più delle volte quelli di Kirishima, che tuttavia invece che rimproverarlo, rideva felice.
Izuku anche ridacchiò.
Kirishima lo fece volteggiare, e per un attimo, Izuku vide tutto il mondo girare. Rise, per poi tornare barcollante a muovere i piedi.
Kirishima aveva un sorriso contagioso e mani calde. Si mosse con più sicurezza, godendosi quel ballo.
La melodia non era lenta, ma dolce, ritmica. Izuku si mosse, dondolando e l'alpha lo seguì.
Si calpestarono i piedi ancora una volta e fu il turno di Kirishima di ridere.
Gli piaceva quella melodia.
Improvvisamente, il suo sguardo, scivolò accanto al camino. Mina, stava ballando con Xander e Denki, ma oltre loro, con un fianco poggiato al camino in muratura, c'era Katsuki.
Le gambe incrociate, le braccia incrociate.
Izuku incontrò il suo sguardo mentre un risolino gli lasciava la bocca.
Katsuki lo osservava.
Non appena lo vide ridere, sorrise.
Un riflesso istintivo, tenero.
Non seppe spiegarsi perché quella sola vista, bastò ad attorcigliargli le budella, seppe solo che dopo quell'occhiata, inciampò nuovamente nei piedi di Kirishima e la musica finì.
Lasciò le mani di Kirishima, mentre iniziava una nuova melodia.
Il rosso sorrise, mentre raggiungeva la moglie.
Izuku, raggiunse Katsuki.
Il passo ancora un po' barcollante per via delle troppe giravolte, il sorriso ancora dipinto sulle labbra.
«Mi guardi?» gli domandò, divertito.
«Sempre.»
Izuku dovette distogliere lo sguardo per un attimo. Quando lo riportò sul suo, il suo cuore batté all'impazzata.
Lo sentiva rimbalzare nelle orecchie, nella gola.
Gli offrì la mano.
«Vuoi ballare?»
Katsuki si guardò attorno, il viso serio. Izuku si sentì improvvisamente uno sciocco; che stava facendo?
Era ovvio che Katsuki non volesse ballare con lui. Non erano niente e lui era fidanzato.
Scosse la testa, facendo per allontanarsi, ma la mano di Katsuki si avvolse al suo polso, bloccandolo.
Si girò, confuso, ma prima che potesse aggiungere qualcosa, Katsuki lo spinse verso il corridoio. Raggiunsero la porta, Katsuki l'aprì.
Il vento pungente gli sferzò le guance.
Katsuki gli posò qualcosa sulle spalle.
La sua giacca…
Riconobbe il suo profumo legnoso.
Il giardino era coperto di ombre. La luna era alta in cielo.
Izuku si guardò attorno, non capendo.
«Che c'è?» gli domandò.
Katsuki sollevò un sopracciglio, osservandolo. Gli porse la mano.
«Non volevi ballare?»
Izuku spalancò la bocca.
«M-ma…tu…» iniziò, scioccato, «non hai… risposto, pensavo che non volessi…»
«Izuku…» gli prese la mano. L'omega sollevò lo sguardo, percependo il suo palmo stringergli il fianco.
Kirishima non ha poggiato la sua mano lì…
Katsuki gli si avvicinò. Posizionò le sue mani, aggiustandogliene una sulla sua spalla e l'altra nella sua sua.
Arrossì ancora una volta, abbassando lo sguardo.
«Certo che voglio ballare con te, scemo» asserì l'alpha, muovendosi. Izuku lo seguì, tornando a guardarlo.
«E perché prima…-»
«Perché voglio guardarti solo io quando balliamo» lo anticipò il biondo.
Izuku lo guardò, intensamente.
I loro occhi si fusero per qualche secondo.
Sotto la luce della luna, le iridi di Katsuki sembravano fatte di vetro colorato.
«Katsuki» soffiò, la voce tremendamente bassa.
I suoi piedi si muovevano così bene, finché Izuku non decise di muovere i suoi.
Scacciò quelli di Katsuki, vedendolo mordersi il labbro per impedirsi di imprecare.
«S-scusa…» mormorò
«Vieni» Katsuki gli prese entrambe le mani, gli baciò le fasciature, poi, se le legò dietro il collo. Izuku trattene il respiro.
Katsuki gli poggiò i palmi su entrambi i fianchi, provocandogli un brivido.
I loro occhi tornarono gli uni negli altri.
«Metti i piedi suoi miei» asserì Katsuki.
«Ma così ti sporcherò le scarpe…»
«Mettili e basta, Izuku» soffiò, suadente.
Lui obbedì.
Salì sui suoi piedi, finendo con le labbra tremendamente vicine.
«N-non c'è musica…» gli fece notare, tanto per rompere il silenzio.
Katsuki inarcò un sopracciglio.
«Invece, c'è eccome» asserì il biondo.
Gli portò una mano sul cuore, facendogli sentire il suo battito, poi posò la sua su quello di Izuku.
Izuku corruggò la fronte, non riuscendo a capire.
«La melodia dei nostri cuori» gli sussurrò Katsuki, le labbra vicine alle sue, gli occhi fissi su quelli di Izuku.
L'omega avvampò, il fiato mozzato, il battito cosi forte che riusciva a percepirlo in gola.
«Non ti facevo un tipo romanitico» mormorò Izuku, osservando le sfumature più scure nelle sue iridi.
«Romantico» lo corresse, Katsuki, lasciando scivolare le parole sulla punta della lingua, come a volerle modellare.
Izuku sgranò gli occhi, non riuscendo a fare altro se non osservarlo. Era così bello che non poteva fare altro che scrutarlo, studiarlo come se fosse un quadro raro, un dipinto dai colori accesi e perfetti, privo di qualsivoglia imperfezione.
«Katsuki…»
Il luccicchio della luna gli rendeva rendeva le ciocche bionde ancora più chiare. Un tenue color argento, mischiato alle sfumature dorate, oro che si diluiva nell'argento, colando, intrecciandosi.
Izuku ne restò incantato.
I loro piedi si muovevano a ritmo, Katsuki sembrava un ottimo danzatore. Izuku non pensava che un alpha autoritario come Katsuki Bakugo fosse capace di quella delicatezza.
Sorrise, lasciando scivolare la testa sulla spalla di Katsuki. Sentì il battito del biondo sotto il suo orecchio, forte e costante.
«'Zuku» sussurrò.
Izuku sollevò la testa, tornando a guardarlo. Nel farlo però, mise male un piede, lasciandolo scivolare da sopra quello del biondo, perse l'equilibrio, barcollando.
Vide il manto erboso farsi più vicino, chiuse gli occhi, riaprendoli solo quando percepì qualcosa di morbido avvolgergli la vita.
Katsuki lo teneva stretto.
Izuku gli era finito sopra, entrambi, erano scivolati a terra, però l'alpha lo teneva saldamente, impedendogli di cadere.
Il corpo di Katsuki era solido e caldo.
Arrossì nel costantare la posizione nella quale erano finiti. I loro nasi erano così vicini che non riusciva neanche a guardarlo negli occhi. Aveva dinanzi a sé, solo le sue labbra rosse e schiuse.
«Sei proprio bello, Izuku.»
La voce soffice di Katsuki contrastava il suo carattere burbero. L'omega si sollevò un po' sui gomiti, arrossendo.
Non poté evitare di sorridere, mestamente.
«Questo voglio vedere sempre» ammise l'alpha, punzecchiandogli l'indice nel buffetto creato dal sorriso di Izuku.
«Cosa?»
«Il tuo sorriso.»
Izuku spostò lo sguardo, non riuscendo a sostenere l'intensità di quello di Katsuki.
«Vorrei poter farti sorridere, sempre» redarguì, accarezzandogli la guancia.
«Smettila…» mormorò Izuku, allontanando il viso.
«Perché?»
Le labbra di Katsuki erano a un soffio dalle sue. Lo sentiva esalare piccoli respiri fugaci.
«Perché sei…» si bloccò. Non riusciva proprio a pronunciare quel nome. Non riusciva a trovare una ragione per sopportare la presenza di Dominic nella vita di Katsuki.
«Il mio cuore non ha lucchetti» asserì.
Non riuscì a deglutire, la saliva gli riempiva la bocca, il cuore gli batteva così forte che gli girava la testa. Centomila pensieri gli affollavano la mente, ognuno in attesa di essere esaminato, il cartellino col numero, in fila.
«Tu non sei mio.»
Non avrebbe dovuto dirlo. Se ne rese conto solo dopo averlo esalato. Non ne aveva alcun diritto, non doveva parlare così.
Avere Katsuki cosi vicino...il suo cervello ragionava già a stento. Lo sentì macchinare, scegliere qualcosa da elaborare, da spezzettare e rendere friabile, così che avesse una risposta da dare. Ma Katsuki lo sorprese.
«E chi te lo ha detto?» replicò.
Baciami, ti prego.
Avrebbe voluto urlarglielo sulla bocca, mentre respirava a stento, con la lingua bloccata nella sua gola, con la testa che gli si riempiva di endorfine e il corpo che si faceva sempre più debole.
Ebbe un brivido.
Un minuscolo fremito che lo fece sussultare sul corpo dell'altro.
Katsuki lo stava guardando, anzi, sembrava starlo mangiando. I suoi occhi rossi salivano e scendevano, rapidi e repentini, alternando i suoi occhi alle lentiggini per poi scendere alle sue labbra.
«I-io…»
«Che cosa vuoi da me, Izuku?» sussurrò, il respiro spezzato e irregolare, «mi chiedi di starti lontano e il giorno dopo mi chiedi di ballare, mi dici di farmi gli affari miei e qualche ora dopo mi guardi come se fossi la tua unica ragione di vita, dici di odiarmi ma non riesci a non nominarmi, dici di non ricordare ma mi chiami nei sogni, dici che vorresti andartene ma-»
«Non ho mai detto di odiarti» lo interruppe Izuku. La voce gli tremava, ma non ci fece caso.
«Izuku…»
«Che cosa vuoi da me?» asserì il biondo.
«I-io…» il suo sguardo indulgiò sulle sue labbra, «non possiamo, Katsuki» soffiò.
Eppure, i suoi occhi non si spostarono, il suo corpo non si mosse. Si sarebbe dovuto alzare, avrebbe dovuto spingerlo via, tornare in casa. Il cervello continuava a ripetergli che Katsuki era fidanzato, che era di un altro omega, però non riusciva a lasciarlo andare.
Socchiuse gli occhi, lasciando scivolare la fronte contro quella di Katsuki.
«Non…-»
Katsuki posò le labbra sulle sue.
Il suo tocco gli ricordò le setole dell'erba, un fruscio dolce e soffice, debole e infiammato.
Le sue labbra erano bollenti, il suo sapore gli dava le vertigini.
Non riuscì a lasciarlo andare, dovete stringergli le mani attorno al viso, lasciando che quelle di Katsuki gli si unissero ai fianchi, sfiorandolo.
Sotto la luce delle stelle, Izuku sentiva solo il battito veloce di Katsuki, i loro respiri mescolati e i suoi tiepidi sospiri.
L'ultimo che aveva baciato era stato Matthew, ma da allora, erano passati mesi. Aveva paura, ma al contempo, sentiva una tempesta di stormi invadergli lo stomaco. In gola aveva la sua saliva, in bocca la sua lingua.
Katsuki inclinò la testa, le loro bocche si unirono più a fondo, le lingue si toccarono. Lo baciava come se stesse assaporando qualcosa che amava, lo leccava dolcemente, ruotava attorno alla sua lingua, gli sfiorava il palato, giocava con le sue labbra. Izuku incamerava ossigeno direttamente sulla sua bocca.
Katsuki gli leccò il labbro inferiore e lui si abbandonò a un sospiro.
Voleva affondare nella sua anima. Izuku voleva annegare nei suoi pensieri, scoprire cosa nascondeva, scoprire quali erano i pensieri che gli facevano sussultare il cuore e quali erano quelli che lo facevano innervosire.
Voleva conoscerlo, imparare a capirlo, impararlo.
Se Katsuki fosse stato un libro, Izuku lo avrebbe studiato a memoria, se fosse stato una sinfonia, l'avrebbe ascoltata finché non l'avesse memorizzata, se fosse stato un disegno, ci avrebbe fatto scorrere gli occhi e le dita fino a copiarlo a memoria.
Voleva abbandonarsi, lasciarsi andare a quello che provava, al sentimento sconosciuto che gli tirava quei fili dentro, che lo portava a respirare più veloce, che gli faceva pulsare il cuore così forte che temeva sarebbe esploso.
Katsuki scese con le labbra sul suo collo.
Riprese fiato, per poi lasciarlo uscire tutto insieme quando i denti di lui si chiusero sulla carne morbida. Ansimò, un soffio veloce e rauco che non riuscì a trattenere.
Le labbra di Katsuki erano bollenti.
Percepiva il suo corpo contro il proprio, lo sentiva premergli contro la coscia, arrossì, i pensieri ingarbugliati.
La bocca scese, succhiando la pelle. Izuku reclinò il capo, socchiudendo gli occhi.
Le mani si chiusero sui ciuffi biondi di Katsuki. Li tirò a sé, mordendosi il labbro.
I gemiti premevano per uscire, ma li tenne intrappolati nella sua bocca umida.
«Ehm…ragazzi…»
Avvertirono la voce di Kirishima, vicina.
Izuku scattò a sedere sulle ginocchia di Katsuki, ma mise male il piede e finì con il sedere contro l'erba.
Borbottò qualcosa, mugolando per via del dolore. Si massaggiò la parte lesa.
Kirishima li aveva raggiunti e a giudicare dal suo colorito, simile ai suoi capelli rosso fuoco, li aveva certamente visti.
Avvampò, rimettendosi in piedi. L'occhiata di Katsuki gli infuocò le membra. Anche lui si era rimesso in piedi e si stava passando una mano tra le ciocche scompigliate.
«Scusate» asserì Kirishima, mortificato, «però, è arrivato Dominic e stava chiedendo di te, Baku-bro» spiegò, indicando la casa.
Katsuki annuì.
«Stavamo rientrando» redarguì, col tono distaccato.
Izuku non aggiunse nulla.
Lasciò che fosse Katsuki a rientrare per primo, lo seguì solo dopo qualche minuto.
L'aria della stanza era bollente.
Dopo aver passato venti minuti buoni in giardino, Izuku sentiva le guance a fuoco per via del calore di quella casa.
Il fuoco bruciava nel camino, consumando la legna. La osservò scomparire, ridotta in cenere.
Seduto sul divano, osservava da lontano Aizawa Shota, conservare cordialmente con Denki. Il ragazzo non sembrava a disagio, ma Izuku capì dal modo in cui si mordeva il labbro che non sapeva bene come comportarsi.
Sorrideva ad Aizawa, un sorrisetto accennato, le guance imporporate, la voce bassa. Da dove era, Izuku non riusciva a capire nulla di quello che si dicevano, colpa anche della musica.
Non voleva però spostarsi.
Affondato nel divano, era impossibile che qualcuno andasse a disturbarlo. I bambini si erano addormenti accanto a lui, Mina e Kirishima stavano parlando di qualcosa seduti al tavolo, Katsuki era accanto a Dominic.
La sola idea di quei due vicini, gli dava le vertigini. Non riusciva a tollerare la vista di Dominic stretto a Katsuki, per quanto se lo ripeteva, non lo trovava mai giusto.
Si lasciò andare ad un sospiro, osservando in modo minuzioso come Denki lasciasse scivolare lo sguardo sul viso di Aizawa, lentamente.
Sembrava volerlo divorare con lo sguardo, ma a considerare dal viso serio del corvino, non doveva essersene accorto.
Non pensava che sarebbe stato visto così presto. Aizawa incontrò il suo sguardo, mentre però, colto in fragrante, provava a distoglierlo, il corvino lo raggiunse.
Izuku si alzò, provando a raggiungere il corridoio, per evitarlo, ma Aizawa fu più veloce.
«Deku» lo chiamò, raggiungendolo.
Izuku si impose di non sussultare, ma non appena Aizawa gli sfiorò il polso, bloccandolo, restò paralizzato.
«Hai qualche minuto?» gli chiese il corvino, facendolo voltare.
Sapeva di caffè.
Di caffè e zucchero, come una crema schiumosa.
«No…devo-»
«Per favore Izuku.»
Sospirò, svuotando i polmoni. Guardò in basso per qualche secondo, poi, si decise a guardarlo in viso. La fitta arrivò comunque, assieme ai ricordi.
Li scacciò via, ritirandoli dentro con un artiglio gigante. Si ferì un po' la carne, ma non gli importò.
«Che cosa vuole?» chiese, non rendendosi neache conto di avergli dato del lei.
«Solo…» esitò, lasciandogli andare il polso. Si portò una mano dietro la nuca, «scusarmi, non avrei mai voluto farlo, ma era l'unico modo per far si che loro si fidassero davvero di me. Capiscimi, Izuku, avrebbero ucciso mio figlio se mi fossi rifiutato…io…mi dispiace così tanto…»
Aveva abbassato la testa, inchinandosi leggermente. Si scusava.
Avrebbero ucciso mio figlio…
Come Hero, è nostro dovere proteggere e aiutare i più deboli e quelli in pericolo…
Le parole di Kirishima gli tornarono in mente come sassi giganti.
Deglutì.
«Capisco» si limitò a mormorare, la bocca impastata. Sentiva il cuore trattenere i battiti, il respiro bloccato.
«Non mi sto giustificando, quello che ho fatto è ingiustificabile» aggiunse il corvino, ancora chinato. Izuku non riusciva a vedere gli tutto il viso, anche per via dei ciuffi che gli erano sfuggiti dalla coda bassa che portava.
«Si alzi, la prego» sussurrò, afferrandogli le spalle per farlo rimettere in piedi.
Aizawa obbedì.
Lo guardò. I suoi occhi scuri sembravano immensi.
Izuku non aggiunse nulla, non riusciva a parlare e sentiva che se fosse rimasto di più avrebbe pianto. Si accinse a raggiungere il divano, intenzionato a sprofondarci di nuovo dentro, ma il suo sguardo venne catturato dalla figura sinuosa di Dominic.
Il posto che prima occupava sul divano, era stato preso da lui. Più precisamente, da lui che sedeva a cavalcioni sulle ginocchia di Katsuki, mentre gli baciava le labbra.
Izuku sentì una fitta mozzargli il respiro.
Qualcosa di tagliente gli attraversò la gola, spingendosi tra le sue carni, fino a raggiungergli l'intestino e il cuore.
Glieli trapassò da parte a parte, spezzandoli a metà.
Rabbrivì.
Fino a pochi minuti fa, Katsuki stava baciando lui così.
Non riuscì a pensare ad altro, se non alla sensazione delle labbra morbide di Katsuki sulle sue, del suo sorriso velato, dei suoi componenti, alla sua voce contro l'orecchio, al suono raspante del suo respiro.
Tu non sei mio.
E chi te lo ha detto?
Bugie. Tutte bugie. Il suo cuore sanguinò.
Si posò una mano sullo stomaco, sentendo un conato risalirgli l'esofago.
Mentre lo baciava, Dominic sollevò lo sguardo su di lui, riservandogli un ghigno strafottente. Uno sguardo di sfida.
Battimi se ci riesci, questo sembravano gridargli le sue iridi chiare.
Izuku distolse lo sguardo, il sangue che gli finiva sulle dita, affondò con le unghie nei palmi, scavando piccole mezzelune nella carne morbida.
Non sei mio, si ripeté.
Poi però, Katsuki lo guardò. Sembrò rendersi conto solo allora dello sguardo che Dominic aveva lanciato a lui, al povero Izuku e lo sguardo che gli rivolse Katsuki lo fece arrabbiare.
Sembrava scongiurarlo di perdonarlo, di non farci caso. Serrò le labbra, strinse i pugni. Si liberò del suo odio, scaricandolo nei suoi palmi feriti.
Non gli importava neppure del male che si stava procurando, non gliene fregava nulla. Sentiva solo una rabbia nuova e corrossiva, un sentimento che lo consumava fino a lasciargli la pelle sgualcita.
Avrebbe voluto colpirlo.
Correre lì e colpirlo il più forte che poteva, proprio sul suo bel viso, gli avrebbe voluto fare male, sottrargli un po' di perfezione, rovinarlo un po'.
Fargli patire una briciola di quello che soffriva lui.
Ma non lo fece.
Gli voltò le spalle, camminando dritto fino alla sua camera, poi, colpì il muro cosi forte che il polso si rubbe, sentì il crac sordo dell'osso che si divideva, ma non smise, continuò a colpire finché il sangue non imbrattò tutta la sua mano e il muro bianco.
Provò a prendere sonno, ma il polso gli pulsava così forte che dovette avvolgerci un panno bagnato contro. Sperò di allieviare il dolore, ma non ottenne che un brivido viscido e violento.
Steso di schiena, nel letto, ripensava a come era bello quando dormiva abbracciato al suo Matthew, a quanto Matthew fosse buono con lui, a quanto non gli avesse mai fatto mancare nulla.
Lasciò che una lacrima gli scivolasse sulla gota, scendendo lungo il cuscino bianco.
Venne subito seguita da un'altra, e un'altra ancora.
Smise di singhiozzare quando sentì la porta aprirsi.
Si mise a sedere, osservando lo sconosciuto entrare nella stanza.
«C-chi sei?» chiese.
«'Zuku.»
S'irrigidì.
«Vattene, Katsuki.»
Lo sentì chiudere la porta, mosse un passo in avanti.
«Non posso, Izuku» replicò, «non se tu stai così.»
«Smettila, queste cazzate valle a raccontare al tuo fidanzato, non a me…!»
Non diceva mai parolacce, però, quella gli era sfuggita dalle labbra assieme a tutto l'odio e il dolore che fondava quelle parole. Concentrò entrambe le emozioni nella parola fidanzato, sputandola fuori come una vera e propria maledizione.
«Izuku…ti prego» lo sentì mormorare, «lo faccio solo per te.»
Percepì un piccolo tonfo e si accorse che doveva essere inciampato.
«Ah davvero?» chiese sarcastico, «baci il tuo fidanzato per fami stare meglio?!»
«No, io…merda!»
Fece per rimettersi in piedi, ma inciampò di nuovo.
«Sei ubriaco?» chiese Izuku, scendendo dal letto per aiutarlo. Si odiò con tutto il cuore quando Katsuki lo tirò a sé, ma lo lasciò fare.
«Ho bevuto…un pochino» ammise.
«Non riesci a stare in piedi» gli fece notare, mentre Katsuki lo stringeva al petto.
«Era l'unico modo per toglierti dalla mia testa» spiegò.
Izuku lo spinse via. Katsuki barcollò un po', appoggiandosi al muro, i suoi occhi scivolarono istintivamente sulla parte rotta e insaguinata.
Lo vide aggrottate la fronte, confuso.
Izuku provò a nascondere le mani dietro alla schiena, ma l'alpha fu più veloce, afferrandogliele.
Lottarono per un po'; Izuku che cercava di spingerlo via e Katsuki che glielo impediva, alla fine, il biondo vinse.
Izuku lasciò cadere la sua resistenza, porgendogli la mano ferita.
«Che cazzo…»
Gli sfiorò il polso gonfio, ormai nudo visto che il panno che ci aveva poggiato sopra era scivolato durante la lotta.
«Chi…-»
«Nessuno, non è stato nessuno» strillò Izuku, precedendolo, una rabbia sconosciuta, «l'ho fatto da solo…» aggiunse poi, abbassando lo sguardo.
Katsuki lasciò andare il suo polso.
Izuku non fece in tempo a capire cosa stesse facendo, finché non lo vide colpire il muro con il pugno. Vide il cartongesso incrinarsi, l'intonaco cadere a terra, il sangue colorare la parete.
«Che stai-»
Colpì ancora la parete, la mascella irrigidita, il pugno teso. Colpì ancora e ancora. Izuku scattò in avanti, bloccandogli il braccio, ma Katsuki lo scacciò facilmente, continuando a colpire, lo sguardo fisso sulla parete.
Izuku provò a tirarlo via, si frapose tra lui e il muro, gli chiese di smetterla piangendo, ma Katsuki lo ignorò.
Continuò finché non vide il polso gonfiarsi, dopo di ché, si volse a guardarlo. Allungò il polso, mettendoglielo dinanzi agli occhi.
Izuku, seduto a terra, tremò.
«Come ti senti ora, Izuku?» gli chiese, la voce raschiante, il fiato veloce.
«P-perché lo hai fatto?!»
Lasciò cadere una lacrima, tirando su col naso. Il polso era violaceo e gonfio, uguale al suo.
«Rispondi, Izuku» ripeté, il tono placato.
«Mi fa m-male, mi fa male vederti così» asserì Izuku, distogliendo lo sguardo.
Deglutì, la bocca gessosa.
«Ora capisci come mi sento ogni volta che vedo una di queste» gli prese le mani, il tocco leggero.
Izuku sollevò lo sguardo, incontrando il suo.
«Ti fa male?» gli chiese l'omega, ignorando le sue parole, «bisogna medicarlo.»
Fece per alzarsi, ma Katsuki lo bloccò.
«Izuku» mormorò, «smettila di pensare agli altri, cazzo!»
L'omega sollevò le ciglia nere, non capendo.
«Smettila di pensare a me, a Dominic, a come stanno gli altri… tu hai il diritto di stare male, Izuku, ha sofferto molto più di chiunque io conosca eppure, continui a farti sempre più male, continui a ferirti come se la vita non ti abbia lasciato già abbastanza cicatrici...!» urlò quelle parole, afferrandogli il viso tra le mani, imponendogli di guardarlo mentre gli riversava addosso il suo di dolore.
«Mi fa fottutamente male» asserì ancora il biondo, «mi fa male che tu soffra, che tu debba patire ancora, che non riesci ad essere felice, che io ti faccio soffrire. Non riesco a fare altro che pensare a te. A te, Izuku, non a Dominic o a qualcun altro. Tu, sei la fonte costante dei miei pensieri! Tu sei il mio cuore, Izuku!» soffiò, la voce che si abbassava di un ottava ad ogni parola.
Izuku, schiuse gli occhi, sorpreso.
Voleva dire qualcosa, voleva scusarsi, voleva urlargli contro, ma quando schiuse le labbra, Katsuki gli fece cenno di aspettare.
Non Dominic, non qualcun altro, tu!
«Sei il mio cuore Izuku, e ogni volta che stai male, ogni volta che soffri, soffro anch'io. Ogni volta che ti ferisci, ferisci anche me. Ogni volta che ti spezzi, spezzi anche me e se per dimostrartelo dovrò spaccarmi ogni fottuto osso del corpo, mi spaccherò ogni fottuto osso del corpo centomila volte finché, le tue ossa non guariranno, finché il tuo cuore non smetterà di singhiozzare. Dovessi spaccarmi il mio per far guarire il tuo, io non ti lascerò farti del male mai più.»
Izuku singhiozzò, accostando le braccia al suo collo, il polso ferito ancora a penzoloni. Lo strinse a sé, affondando il viso nella sua spalla.
«Scusa…mi dispiace, Kacchan…mi dispiace…perdonami…» singhiozzò. Non si rese conto di aver utilizzato quel nomignolo, finché non percepì la stretta di Katsuki attorno ai suoi fianchi.
«Non farlo più, cazzo» soffiò, la sua voce era incrinata.
Izuku ignorò il sussultò che gli scosse l'anima quanto percepì una lacrima gelida bagnargli il collo. E non era sua.
«Non punirti, piccolo, la vita lo ha già fatto, lo hanno fatto quegli stronzi e lo faranno ancora, non ferirti, mi uccidi ogni volta.»
Izuku lo avvolse.
«Mi dispiace, scusa, Kacchan.»
Il biondo si separò da lui, gli sfiorò le labbra col pollice.
«Dillo ancora» sussurrò.
«Cosa?»
Izuku aggrottò la fronte.
«Quel nomignolo.»
«K-Kacchan…» la voce gli tremò.
Katsuki lo baciò.
Le sue labbra sapevano di alcool, lacrime e dolore.
Così tanto che Izuku pensò di affondare.
🌼
Spazio autrice:
Come scritto all'inizio, questo capitolo ha tante cose, ha quanto più di me io riesca a definire o spiegare, ha tanto, perciò, mi sento esposta, ma al contempo felice di poter liberare un po' di questo.
Che ne pensate?
Se siete arrivati fin qui, non posso fare altro se non ringraziarvi e non posso neppure esprimere a parole quanto io vi sia grata per aver letto questo♥️
Alla prossima,
Lilla
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