15. Le tue lentiggini
«Once upon a time I was falling in love
But now I'm only falling apart
Nothing I can say.»
«Una volta ero innamorata
Ma ora sto solo cadendo a pezzi
Non c'è nulla che possa fare.»
Bonnie Tyler
🌼
Quando era solo un bambino, Izuku si era perso.
Era al parco giochi, stava giocando e sua madre si era allontanata per un attimo. Quando si era voltato a cercarla, lei non c'era più.
Izuku aveva pianto tutta la sera, gridando il nome della sua mamma, girando a vuoto.
Era stato tutto inutile, non era riuscito a ritrovarla, non era riuscito a tornare a casa.
Alla fine, si era accucciato su una panchina, stringendosi nel suo cappottino usurato, le braccia strette al petto, nel tentativo di calmare i singhiozzi.
Aveva nove anni.
Un signore si era avvicinato a lui, gli aveva sorriso, gli aveva offerto un fazzoletto per asciugarsi gli occhi.
Si era seduto accanto a lui e gli aveva chiesto perché piangesse.
Izuku aveva esitato, ma alla fine, tra i singhiozzi gli aveva spiegato cos'era successo.
Il signore, aveva sorriso.
Gli aveva detto di non preoccuparsi.
Lo aveva aiutato. Aveva cercato sua mamma, ma non erano riusciti a trovarla, così il signore si era offerto di portarlo a casa con la sua macchina.
Izuku aveva rifiutato, ma il signore aveva iniziato ad essere insistente.
Aveva provato a scappare, ci aveva provato davvero, ma il signore era stato più veloce, più furbo.
“Sei un omega, e come tale, le persone da te, vorranno sempre e solo una cosa.”
🌼
Shoto respirava piano.
Izuku, sentiva il suo battito sotto il palmo, battere forte, incontrollato.
Le sue labbra sapevano di dolce, un retrogusto dolcissimo, come caramelle.
Izuku ricordava che quando il signor Garaki lo aveva visto per la prima volta, aveva assaggiato le sue labbra.
Gliele aveva morse, finché non si erano lacerate e Izuku aveva urlato, singhiozzando.
Si staccò, facendo leva sulla mano che aveva poggiato sul suo petto e lo spinse via.
«No… non posso…» farfugliò, arrancando, gli occhi sgranati come due grandi biglie.
Shoto ruzzolò con la schiena contro il letto, alcuni ciuffi biondi si mischiarono a quelli rosso sangue; aveva in volto un'espressione addolorata.
«M-mi dispiace…» soffiò Izuku.
Si sollevò, incurante dei vetri che gli si erano aggrappati ai vestiti, della ferita sul polpastrello, e corse via.
Scese le scale velocemente, rischiando di cadere in avanti e non si fermò finché non ebbe raggiunto il giardino; nessuno lo aveva visto uscire e anche se lo avessero visto, nessuno lo aveva fermato.
Respirò profondamente, cercando di incamerare più aria possibile.
Gli sembrava di essere di nuovo nella stanza 366, dove i muri erano così stretti che gli sembrava di fondersi ad essi ad ogni respiro.
Cacciò un singhiozzo, accasciandosi contro il muro. Un po' di stucco gli graffiò le braccia scoperte, macchiò la vernice con la mano intrisa di sangue; non se ne curò. Aveva ancora gli abiti sporchi, - non aveva avuto modo di cambiarsi - il sangue di Katsuki gli imbrattava ancora la pelle e l'anima, come un timbro.
Respirò ancora, cercando di scacciare gli occhi grigi del signor Garaki dai suoi ricordi.
Gli sembrava di percepire ancora le sue dita cattive che gli afferravano i polsi così forte da farlo piangere.
Ricordava che aveva sempre delle catene i primi tempi. Le caviglie ne portavano ancora i segni, i polsi erano ancora macchiati di viola.
Singhiozzò, stringendo i pugni.
Tutto quel dolore, tutta quella rabbia, lo spezzava a metà, lo lacerava da dentro, come una lama troppo affilata. Gli faceva male, non riusciva a respirare bene, non riusciva a tirarsi su.
Avrebbe voluto urlare, sfogare in qualche modo quella debolezza, quella rabbia, quel dolore, cacciarlo assieme alla voce, sputarlo come un cibo amaro. Non si permise di fiatare, non si azzardò neppure a cacciare un altro singulto.
Stette in silenzio, tappandosi la bocca con un palmo. Infilò le unghie nella carne tenera delle guance, lacerandola. Tirò più forte che poté, si graffiò la pelle.
Nella prospettiva buia dei suoi occhi chiusi, comparve l'immagine di quegli uomini, le loro pance gonfie, i loro membri tesi, i loro gemiti.
Il modo in cui socchiudevano gli occhi.
“Le tue lentiggini…”
“Le tue lentiggini, omega…”
“Dio, le tue lentiggini… cosa ti farei…”
Mille voci gli si affollavano nella testa, mille gemiti, mille mani.
Percepì ancora una volta quegli schizzi, quel seme sporcargli il viso, le sue lentiggini intingersi, colorarsi.
Lo schifo.
La rabbia.
Le lacrime che si mescolavano allo sperma secco sulla sua faccia, ogni volta che doveva pulirsi.
Affondò con le unghie più sopra.
I zigomi si tesero, la pelle cedette. Tracciò linee sempre più lunghe sulle sue lentiggini, la pelle si arcuò.
Il suo omega singultò, decisamente contrariato, ma lo ignorò, continuando.
Non vedeva nient'altro se non le facce estasiate e disgustose di quegli uomini. Non vedeva altro che il loro piacere, il dolore, i tagli.
Non voleva più provarli.
Era stanco di soffrire così, di rammendare, ancora e ancora.
Quando gli sembrava che tutto andasse bene, apparivano quelle immagini.
Il suo corpo lo sabotava, il suo cervello lo puniva, il suo cuore si crepava.
Le unghie si spezzarono.
Sentì delle fitte acute, percepì il sangue imbratargli il viso, i palmi.
Stette in silenzio, mordendosi il labbro, tirando indietro la testa.
Doveva farsi male, doveva stare male.
Solo così sarebbe riuscito a fare tornare in ordine tutti quei sentimenti. Doveva impacchettarli, doveva catalogarli e farli uscire piano piano.
🌼
«Izuku…»
Non riusciva a respirare.
Sentiva il sangue in bocca, il suo sapore ferroso e acuto, la sua voce.
«Izuku… ehy…».
Una mano lo scrollò, la testa ciondolò, il corpo tremò.
«Izuku…».
Aprì gli occhi.
L'azzurro denso del cielo gli colpì lo sguardo, le nuvole chiare rapirono il suo sguardo.
Osservò dinanzi a sé.
C'era Matthew.
I suoi occhi azzurri brillavano come gemme preziose, i riccioli gli scivolavano sulla fronte ad ogni battito di ciglia.
«Ciao, amore» lo salutò.
Izuku lo osservò, scioccato.
«Che succede? Perché sei qui?».
Allungò la mano in direzione del viso di Matthew e riuscì a toccarlo. Sentì gli occhi pizzicare.
«Matthew…» la voce gli tremò, non ci pensò due volte; si fiondò tra le sue braccia, respirando direttamente sulla sua spalla. Il suo odore di colonia gli riempì le narici.
Non sentiva altro se non il rumore del suo cuore, che pompava così forte da risuonargli perfino nella gola, nelle orecchie.
Le sue braccia strinsero Matthew al suo petto, le dita affondarono nei suoi riccioli, godendosi la morbidezza dei suoi capelli.
Matthew respirava piano.
Sentiva il suo cuore risuonarono contro il suo petto, percepiva il raschiare dolce del vento, il pizzicore del sole.
«A-amore…» singhiozzò, aggrappandosi più forte.
Le sue mani sembrano allacciarsi direttamente sulla sua anima; non aveva intenzione di lasciarlo andare.
«Izuku, piccolo» lo chiamò Matthew, accarezzandogli la schiena, «devi ascoltarmi, abbiamo poco tempo.»
Izuku si irrigidì. Le spalle si resero, gli occhi si sgranarono.
«Che vuol dire? È un sogno?».
Si separò lentamente, restando con le mani sulle sue spalle grandi.
«Izuku…».
Matthew gli stava accarezzando la guancia. Riuscì a percepire il suo tocco morbido, quasi un soffio.
Socchiuse gli occhi, godendosi la pelle di lui contro la propria.
«Amore, devi ricordare» sussurrò Matthew, la sua voce tremò.
Izuku sgranò gli occhi verdi, guardandolo confuso.
«Ricordare? Cosa devo ricordare?» chiese, le sopracciglia scure, aggrottate.
Matthew si fece cupo.
Vide dipingersi sul suo viso, un'espressione addolorata. I suoi bei tratti si storpiarono.
«Amore… cosa deve ricordare?» domandò nuovamente Izuku, scrollandolo dalle spalle.
Matthew portò lo sguardo dietro di lui. I suoi grandi occhi color mare lo scrutavano con attenzione e rammarico come se non sapesse bene quando avrebbe dovuto salutarlo.
«Devi ricordare la verità, Izuku.»
«Quale verità, Matt? Cosa stai dicendo, amore? Io ricordo tutto, la nostra storia, il tuo bambino, noi…» mormorò Izuku, disperato. Gli prese una mano e gliela poggiò sul ventre.
«Qui c'è il tuo bambino!» asserì sull'orlo delle lacrime. Gli premette la mano più forte, impedendogli di spostarla.
Matthew lo guardò, i suoi occhi blu, ricolmi di lacrime. Tirò su col naso, sorridendo debolmente.
«No, amore…»
Izuku lo fissò, il suo colorito si fece pallido come una mozzarella.
«Matt, tesoro, è un sogno?» domandò, cercando di riacquistare lucidità.
Matthew distolse lo sguardo. Le sopracciglia aggrottate, profondamente addolorato.
Nonostante il sole cocente, Izuku percepì un brivido di freddo attraversargli il corpo.
«Ti ricordi i tuoi diari? Quelli che tenevi alla fattoria?» esclamò Matthew, tornando ad osservarlo.
Izuku riflettè un secondo, prima di scuotere la testa.
«Matthew…» mormorò, abbassando lo sguardo; si sentiva preso in giro, «io non so scrivere né leggere» gli ricordò.
Matthew scosse la testa.
«No, Izuku, non è vero» asserì, facendosi più serio, gli prese le spalle, tirandolo verso di sé. «Tu sai leggere, sai scrivere, ma loro… te lo hanno fatto dimenticare.»
Izuku corruggò la fronte, spazientito. Non sapeva leggere, non aveva fatto in tempo ad imparare; aveva frequentato un solo anno di scuole elementari e non era stato abbastanza bravo da imparare.
«Ma “loro” chi?» chiese quasi urlando. Si sentiva maledettamente frustato.
Continuava a ripetergli di ricordarsi, ma ricordarsi cosa?!
Lui aveva avuto sempre e solo una vita, un paio di ricordi felici, il resto erano un totale schifo, un aggromerato di dolore e sofferenza, non ci teneva a rammendarli ancora.
«Matt, amore…» mormorò, stanco.
Matthew lo strinse a sé. Le sue braccia forti lo tennero contro il suo petto, i loro battiti coesistettero.
«Izuku…» sussurrò, affondando la testa tra i suoi ricci, «ti prego, trova quei diari, tesoro ricordati.»
Sembrò supplicarlo, il tono con il quale glielo scongiurò fece stringere il cuore di Izuku.
«Promettimelo, Izu.»
Si staccarono, il giusto necessario per guardarsi negli occhi.
Una lacrima solcò entrambe le loro guance. Izuku tremò, un brivido che lo attraversava da capo a piedi e lo portava a scuotersi su di sé.
«S-si, te lo prometto, amore.»
Matthew sorrise. Chiuse gli occhi, il sorriso vacillante sulle labbra tremolanti.
«Izuku…».
L'omega singhiozzò, fiondandosi tra le sue braccia.
«Ti amo Matt, ti prego, non lasciarmi…n-non andare…» lo strinse a sé, affondando con il viso nell'incavo tra il suo collo e la spalla.
«Non ti lasceremo, amore…».
Respirò lentamente, il suo cuore sussultò.
Il profumo di Matthew… no, quello non era il profumo di Matt.
Quell'odore erboso, quella dolcezza, quella nota legnosa.
Izuku si staccò, confuso.
Dinanzi a sé, non c'era più Matthew, non c'erano più i suoi occhi blu cobalto, non c'erano più i suoi capelli scuri, non c'era il suo sorriso gentile. No, dinanzi a sé, col suo sorriso sfrontato, c'era Katsuki Bakugo.
I capelli biondissimi scintillavano come se avessero raggi di sole intrappolati tra le ciocche.
Sotto il cielo cocente, il viso di Katsuki pareva ancora più perfetto, privo di qualsivoglia imperfezione.
«Che succede? Dov'è Matthew?» chiese Izuku, spingendolo via.
Katsuki arretrò di qualche passo, gli sorrideva ancora.
«Andrà tutto bene, 'Zuku» redarguì il biondo, allungò una mano per sfiorarlo, ma Izuku gliela schiaffeggiò, allontanandolo.
«Matt… tu…».
Non capiva.
Socchiuse gli occhi, sperando di poter rivedere Matthew, ma quando li riaprì, non c'era altro se non il cielo blu.
Sgranò gli occhi, confuso.
«Stai meglio?».
Vicino a sé, seduto sull'erba umida c'era Katsuki.
Izuku riprese fiato, portandosi una mano sul petto; il suo cuore batteva furioso.
«S-si» sussurrò.
«Vuoi rientrare?» gli domandò, sembrava sereno, per nulla turbato o adirato. Izuku si chiese perché.
«Katsuki…».
Il biondo volse il capo in sua direzione, studiandolo. Ad Izuku piaceva come lo guardava, con lo sguardo attento, come se non volesse perdersi neppure una parola di quello che aveva da dire.
Come se, potesse dire cose importanti e profonde, come facevano i suoi amici.
Katsuki non lo considerava inferiore, non lo reputava solo uno sciocco, inutile, omega, e questo, lo aveva capito ormai da tempo.
«Ti piacciono le stelle, vero 'Zuku?»
Izuku sollevò la testa, guardando il cielo. Era buio, le stelle brillavano come fori su una tela scura.
Annuì.
«Le adoro» mormorò.
«Lo so.»
Izuku non replicò.
Katsuki anche guardava le stelle, le braccia abbandonate sulle ginocchia, incrociate al petto. L'omega lo imitò, poggiado la testa sulla sua spalla.
Si sentiva così stanco, così frustato.
Gli sembrava di poter rivedere Matthew se solo si fosse impegnato, ma al contempo l'idea gli sembrava così sciocca e irrazionale che temeva anche solo di pensarlo.
«Sai perché la luna si sente così sola?»* sussurrò Izuku, continuava a guardare il cielo, sorridendo vago.
«Perché?».
Katsuki si era voltato a guardarlo, i suoi occhi rossi lampeggiarono come fuochi d'artificio nella notte.
«Perché aveva un amante una volta.»
Katsuki sorrise, mettendosi a sedere per bene; raddrizzò la schiena, avvicinò le braccia al petto, mettendole conserte.
«L'amante si chiamava Quequacho e viveva con la luna nel mondo degli spiriti.»
Katsuki annuì, facendogli cenno di continuare.
«E ogni notte vagavano insieme per il cielo. Però, uno degli spiriti era geloso… quell'imbroglione voleva la luna tutta per sé. Così disse a Quequacho che la luna voleva dei fiori… gli disse di venire nel nostro mondo e raccoglierle delle rose selvatiche. Ma Quequacho non sapeva che una volta lasciato il mondo degli spiriti non sarebbe potuto tornare… E ogni notte, lui guarda su nel cielo e vede la luna e ulula il suo nome…ma…non può più toccarla.»
Izuku guardò nostalgico la pallida luna riflessa in cielo.
«Ah, Cucuracio è rimasto fregato…» * mormorò Katsuki, sorridendo sardonico.
«Quequacho» lo corresse, girandosi.
Osservarlo fu molto più intimo di avvicinarsi. Katsuki sapeva di terra, di legno, di fuoco, un po' più umano degli altri.
Katsuki inclinò il capo, ricambiando lo sguardo. Non sembrava turbato, più che altro, affascinato, rapito da qualcosa che Izuku non riusciva a vedere in sé.
«Non dovresti essere con Dominic?» chiese, distogliendo la testa; Katsuki non era suo, non era il suo alpha, ma era di un altro, eppure, ad ogni suo singhiozzo accorreva.
«Izuku» le sue dita gli afferrarono il mento, spingendo a guardarlo, «non farti così male.»
L'omega lo guardò senza capire.
Katsuki gli accarezzò le guance e lui ricordò; si era graffiato, cercando un modo di punirsi, di scaricare il dolore, di provare altro.
«Le tue lentiggini…».
Ci fece scorrere un dito, sosteggiando su una piccola efelide.
Izuku avvampò, socchiudendo gli occhi. Ricordava quel tocco, le immagini, il sole, l'erba morbida, il suo sorriso.
«Nessuno potrà mai eguagliarti» sussurrò, più tra sé stesso che per Izuku.
Si sottrasse alla sua presa, tornando a fissare un punto indefinito nel cielo.
Il cuore gli batteva così forte che sentiva di poter morire lì sul posto.
«Sono soltanto uno dei tanti omega presenti» sancì, il tono neutro.
Avrebbe voluto dire che non era niente, che non era neppure degno di nota, ma non ce la fece.
Voleva solo sentirsi qualcosa, qualcuno, per una volta.
«No, sei uno su tanti» gli rispose, serio.
Izuku si girò a guardarlo. Gli occhi che parevano incollarsi al suo viso, all'ombra che scivolava via.
«Dovresti tornare da Dominic» ripeté, il cuore sembrò aprirsi nel pronunciare quel nome.
L'alpha sbuffò, roteando gli occhi in su.
«Non me ne frega un cazzo di lui, se tu stai così.»
Izuku sorrise, gli occhi pizzicavano terribilmente.
«Vattene, Katsuki» farfugliò; non voleva che lo vedesse piangere, non voleva che lo vedesse di nuovo fragile e piagnucolante, come sempre.
«Izuku…».
«Izuku, niente» sbottò, le lacrime gli arrocchivano la voce, un fremito acuto la scosse «ti ho detto già tante volte di non chiamarmi così» sancì, «e smettila, qualunque cosa tu voglia; io non posso e non voglio dartela.»
Katsuki al contrario di ogni sua aspettativa, ridacchiò.
Un risolino che somigliava più ad uno sbuffo che a un soffio, più un ululato che un suono ovattato.
«Hai ragione, quell'Izuku, mi manca più di ogni altra cosa» redarguì, allungando una mano. Izuku gliela scacciò via.
«Non so di cosa parli» insistette, «io non so cosa tutti cercate di farmi ricordare, ma voglio che la smettete, subito!»
Katsuki socchiuse gli occhi, la mano ancora alzata. Vide le vene del collo guizzare, le spalle raddrizzarsi.
«Certo, tutto quello che vuoi.»
Non gli diede modo di reagire, si alzò e sparì all'interno.
Izuku reclinò la testa, poggiando la nuca contro il muro, sospirò stanco.
Cosa devo fare, Matthew?
🌼
Quando rientrò in casa, il calore confortevole del soggiorno lo avvolse come una coperta.
Avrebbe voluto lasciarsi scivolare contro il muro del salotto, restando lì per terra finché tutto non sarebbe passato via, finché le fondamenta della casa non gli sarebbero crollate addosso.
«Puttana.»
Un paio di mani gli strinse la gola, si sentì premere contro il muro, la schiena si scontrò contro la parete dura, facendogli cacciare un singulto.
«Sei solo una lurida puttana.»
Nel sollevare gli occhi verdi, si scontrò contro quelli identici di Dominic. Però, i suoi erano rossi era gonfi.
«Vuoi portarmelo via?» sussurrò, avvicinando le labbra alle sue, «ti distruggerò prima che tu te ne renda conto, numero 366» soffiò, velenoso.
Ogni parola, sembrava sputarla, cacciarla fuori come si fa con un insulto.
«Ti ucciderò se provi ad avvicinarti ancora a lui» gli ringhiò contro.
Izuku vide i suoi occhi colorarsi, le iridi luccicare di blu, in quel tratto omega che veniva fuori solo quando si provavano emozioni forti e pure.
Dominic lo odiava, questo pensò di averlo capito.
«Dominic…» mormorò, non sentiva più l'ossigeno in gola, qualcosa gli mozzava il respiro, iniziava a vederci a tratti. «N-non… era mia…intenzione…»
Lui strinse maggiormente la presa, lasciandola a bocca spalancata.
Izuku boccheggiò, piccoli puntini luminosi gli ballavano davanti agli occhi.
«Ti conviene» redarguì, un sorrisetto malefico gli incrinò le labbra carnose, «ti ucciderò, ricordartelo.»
Come a voler confermare le sue parole, le sue unghie gli graffiarono la giugulare pulsante.
Izuku non riusciva neppure più a vederlo per bene, un lieve velo dinanzi alle pupille lo faceva vedere sfocato.
«Tutto bene?» .
Dominic lo lasciò andare di scatto, riponendo le mani dietro la schiena.
«Si, tutto ok» replicò Dominic, sorridendo suadente.
Izuku non riuscì a vedere la figura che li aveva interrotti, ma dedusse dalla sua voce che si trattava di Shoto.
«Stavamo solo…» si bloccò, sogghignò, con quel visino da sogno, gli occhi che parevano quelli di una sirena ammaliatrice, «scambiando due parole.»
Si volse in direzione di Izuku, un sorriso angelico sul viso, gli poggiò una mano sulla spalla, stringendola. Non era una presa gentile; affondò le unghie nella sua carne e Izuku dovette stringere i denti per impedirsi di urlare dal fastidio.
«Ricordarti, omega».
Poi, lo lasciò la presa e gli diede le spalle.
Izuku aspettò di vederlo svoltare in direzione delle scale, prima di scivolare in ginocchio, tossendo.
«Izuku…».
Shoto lo raggiunse velocemente, chinandosi sulle ginocchia, lo guardò preoccupato, poggiandogli una mano sulla schiena, per sorreggerlo.
«S-sto bene» biascicò l'omega, aggrappandosi al petto di Shoto. Tremava.
«Che ti ha fatto?» redarguì l'alpha, gettando un'occhiata verso le scale, dove Dominic era sparito.
Per un attimo sembrò volerlo raggiungere, lo sguardo duro, ma Izuku lo bloccò, lasciandosi scivolare tra le sue braccia.
«Nulla…» mormorò, «però… non lasciarmi… ti prego.»
Shoto si lasciò stringere, poi, lo afferrò dalle ginocchia e lo portò in camera, in braccio.
Lo posò sul letto e fece per andarsene, ma Izuku lo trattenne.
Riusciva a trattenere a stento le lacrime.
«Resta» sussurrò.
Shoto aggirò il letto e si stese sul fianco, abbracciandolo. Izuku pianse in silenzio, mordendosi le labbra e soffocando il suo dolore assieme ai singhiozzi.
🌼
Spazio autrice:
Mi scuso come sempre, perché il capitolo sarebbe dovuto uscire ieri, ma non ho avuto un attimo libero.
Doveva essere più lungo, ma siccome non sapevo se sarei riuscita a postare, ho voluto accorciare e darvi comunque qualcosa, spero vi piaccia💜
Inoltre, cosa pensate dei ricordi di Izuku? E cosa pensate che gli sia successo che non riesce a ricordare?
Scrivetemi pure che ne pensate nei commenti, mi fa piacere e mi sprona ad andare avanti💜
IMPORTANTE!
*Sai perché la luna…
…è rimasto fregato*
Storia tratta da Wolverine-Le Origini!
(Si tratta del dialogo del film!)
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