Interludio ~ Lago Nero
~Prima parte: Il luogo del delitto~
Se mi avessero chiesto di scegliere il mio luogo preferito ad Hogwarts, non avrei dovuto pensarci neanche un secondo, la risposta era chiara nella mia mente: il Lago Nero.
Mi ero innamorata di quella sconfinata pozza d'acqua molto prima di mettere piede a scuola, quando ancora tutti mi chiamavano Amelia e Bones era solo un cognome. I miei genitori avevano passato serate intere a descrivermi la magnifica vista del lago dalla sala comune di Serpeverde. Mi sembrava quasi di esserci già stata, tanto mi era facile immaginare il riverbero verde sulle pareti e lo sciabordio dell'acqua che si sentiva solo a notte fonda quando la stanza era vuota.
Era certo per tutti che io avrei seguito le orme dei miei genitori. Ero una bambina furba e con la risposta sempre pronta, quale casa avrebbe potuto ospitarmi meglio di Serpeverde?
In più ero una Bones e, nonostante la mia famiglia non facesse parte delle sacre ventotto e non vantasse un sangue perfettamente puro, nessuno aveva mai messo piede in una sala comune diversa. I miei genitori non erano degli esaltati, non credevano che i nati babbani andassero eliminati, ma sostenevano con sicurezza la loro superiorità in quanto maghi.
Non riuscivo a capire fino in fondo il loro punto di vista, frequentavo un corso elementare con tanti bambini della zona e molti di loro avevano un genitore babbano, non mi sembrava fossero tanto diversi da me.
Forse per questo trovavo così affascinante il Lago Nero, potevo essere una Serpeverde e rendere felice i miei genitori senza dover condividere il loro modo di pensare. Ci tenevo molto a renderli fieri di me, passavano tutto il giorno al Wizengamot e quelle serate a parlare di Hogwarts erano uno dei pochi momenti che condividevamo. Quella grande distesa di acqua era il mio pensiero felice.
Così quando il primo giorno di scuola era finalmente arrivato, mentre tutti i miei compagni fissavano meravigliati il castello durante la traversata del lago, per me niente era più attraente della possibilità di scorgere l'acqua tumultuosa, cercando con lo sguardo creature fantastiche tra le correnti.
Lo stesso pensiero mi aveva permesso di non soffrire quando ero stata smistata nella casa che volevo, ma senza le mie uniche amiche. Durante quel corso elementare per giovani maghi avevo conosciuto le due persone che mi avrebbero cambiato la vita: Rachel Cooper e Annabel Thompson. Sapevo che entrambe aspiravano ad entrare in Grifondoro, ma non avevo smesso di sperare di trovarle sedute accanto a me al tavolo dei Serpeverde.
Avevo passato quella prima sera a scuola da sola, senza riuscire ad interagire con i miei compagni. Il pensiero del lago mi aveva distratta e mi aveva fatto desiderare che il tempo andasse veloce durante tutta quella estate. Non vedevo l'ora di essere una Serpeverde. Solo allora, seduta alla cena inaugurale del mio primo anno ad Hogwarts, capii a che cosa avessi appena rinunciato.
Guardai Rachel e poi Anne essere smistate in Grifondoro e sedersi contente l'una di fianco all'altra. Quella sera attesi che la sala comune si svuotasse per poter sentire il famoso sciabordio delle onde. Tutto era esattamente come mi avevano descritto i miei genitori, la luce giocava sulle pareti, il camino, ormai spento, borbottava di sottofondo e il lago era il grande protagonista della stanza.
Eppure, i miei pensieri continuavano a correre su per le scale, attraverso i corridoi desolati fino alla torre di Grifondoro dove due bambine con i capelli rossi stavano sicuramente dormendo vicine.
Ero certa che non saremmo più state amiche dopo quel giorno, avrebbero conosciuti altri compagni di casa e mi avrebbero sostituita. Sicuramente c'erano ragazze più interessanti di una piccola Serpeverde dai capelli neri e con la passione per il Lago Nero e le sue creature.
Non avevo capito niente.
Non ero molto un'esperta di amicizia, era la prima volta che ne avevo stretta qualcuna.
La mattina mi svegliai indolenzita su una poltrona nella sala comune, maledissi me stessa e la mia fissa per il Lago Nero. Non solo mi aveva impedito di concentrarmi sulle mie amiche durante l'estate, ma avevo anche perso la prima occasione per conoscere le mie nuove compagne di stanza. Sarei stata considerata da tutti quella strana.
Dopo essermi cambiata, mi diressi con il morale sotto i tacchi nella Sala Grande. Non guardai neanche il cielo incantato, i miei occhi erano incatenati al pavimento. Ero troppo impegnata a piangermi addosso per sentire due voci che chiamavano il mio nome.
Le trovai al tavolo di Serpeverde, mi aspettavano con un sorriso e sembravano non accorgersi delle occhiate dei miei compagni di casa. L'unica cosa importante era stare insieme.
Da quella prima mattina sono passati cinque anni, ormai tutti ci hanno fatto l'abitudine. Nessuno ci guarda più stralunato, il nostro trio itinerante è diventato una costante per tutti.
Mangiamo sempre insieme cambiando tavolo senza farci nessun problema.
Mangiavamo sempre insieme.
Cercai di scacciare quel pensiero e tornai a fissare il Lago.
Era ormai dicembre inoltrato, Natale bussava alle porte e un sottile strato di brina copriva il mio posto preferito e il mio cuore.
Di solito la sola vista di quella distesa d'acqua solo in parte ghiacciata mi faceva stare meglio, immaginavo le piccole creature nascondersi sul fondo per scappare dal freddo e il popolo delle Maridi arrabbiarsi per le loro incursioni.
Quel giorno, però, niente riusciva a scalfire il mio pessimo umore. L'ultimo mese era stato il più assurdo della mia vita e io non riuscivo a reagire. Mi ero allontanata dall'Ordine, dalle mie amiche, da Anne.
Non avevo partecipato alla battaglia contro i Mangiamorte e avevo rischiato di perdere tutte le persone a cui volevo bene, senza neanche saperlo. Mi sentivo così tremendamente sola. Così inutile.
Avevo passato il mio tempo a studiare, era l'anno dei G.U.F.O. e, se volevo entrare al Wizengamot, avrei dovuto prendere il massimo dei voti. Non che avessi altra scelta, i Bones lavoravano al tribunale magico da generazioni e nessuno dei miei fratelli aveva dimostrato alcuna dote intellettuale.
Ed ora era quasi Natale e, per la prima volta, lo avrei passato da sola. Niente Rachel ad obbligarmi ad ascoltare quelle orribili carole babbane, niente Sala Comune di Grifondoro calda e accogliente, niente Lily, Alice e Marlene a riempirmi di regali e soprattutto niente Anne.
Non riuscivo a smettere di pensare a lei. Al suo sguardo ferito, ai suoi innumerevoli tentativi di parlarmi. Nessuno mi aveva insegnato a gestire questa situazione, non i miei perfetti genitori, non i miei fratelli maggiori, non i miei insegnanti, non l'Ordine, nessuno.
Cosa bisogna fare quando la tua migliore amica ti bacia?
Cosa bisogna fare quando non sai neanche tu cosa provi?
Cosa bisogna fare quando lei quasi perde la vita e tu non trovi neanche la forza di andare a trovarla?
Queste domande si rincorrevano come bambini ad un parco giochi nella mia testa. Erano giorni e giorni che non riuscivo a pensare ad altro. Anche quando provavo a concentrarmi sul mio amato Lago Nero, il volto di Anne compariva nella mia testa. Vedevo i suoi occhi verdi come l'acqua salmastra fissarmi, molto più indagatori e giudicanti di quelli che avesse nella realtà.
Ero ferma al freddo da ore ormai, non mi sentivo più le mani e sapevo bene che avrei dovuto rientrare. Ma, finché ero fuori dal castello potevo illudermi che le mie amiche mi stessero aspettando nella loro Sala Comune e che a breve le avrei riviste. Se avessi deciso di rientrare avrei dovuto, di nuovo, accettare che non le avrei mai più avute al mio fianco.
Avevo sempre saputo di non essere una persona coraggiosa.
Avevo appena scoperto di essere una codarda.
Come potevo pensare di dirigere un intero tribunale se non ero in grado di giudicare neppure me stessa?
Sentivo la voce di mia madre che mi abbaiava in testa: Amelia affronta ogni difficoltà come se fosse un processo.
Era sempre stato così per i miei rigidi genitori, ogni problema poteva essere smembrato in prove, giudizi e testimoni. Non c'era mai stato spazio per altro e, sicuramente, non per quel guazzabuglio di emozioni che viveva nel mio stomaco.
~Seconda parte: il processo~
Udienza disciplinare del ventitré dicembre per violazioni commesse contro il Decreto per la Ragionevole Sopravvivenza della Salute Mentale della Propria Migliore Amica da Annabel Thompson, Grifondoro.
Inquisitore: Amelia Susan Bones, Serpeverde.
Le accuse riportate sono le seguenti: che consapevolmente, deliberatamente e in piena conoscenza della confusione causata dalle sue azioni, l'imputata abbia baciato l'inquisitore, il ventitré novembre alle sedici e quindici, ciò costituisce una violazione al Decreto per la Ragionevole Sopravvivenza della Salute Mentale della Propria Migliore Amica, comma A.
L'inquisitore Amelia Bones ha portato in aula diverse prove per sostenere che il suo atto di non parlare più alla suddetta Migliore Amica, sia l'unica condotta possibile in seguito ad una violazione di tale portata.
Prova numero 1: un bacio.
Il comma A del suddetto Decreto stabilisce chiaramente che non si possa modificare lo stato di Migliore Amicizia in alcun modo, a meno che entrambe le parti siano consenzienti. Amelia Bones afferma di non aver mai accettato, o anche solo lasciato pensare, che lei fosse disposta ad avere una relazione romantica con Annabel. Il bacio dell'imputata rappresenta, quindi, una chiara violazione del comma A.
Prova numero 2: ad Amelia piacciono soltanto i ragazzi.
Come abbiamo potuto ascoltare dalla testimonianza dell'inquisitore, Amelia non ha mai dubitato del proprio interesse unicamente verso il genere maschile e non trova motivazioni per iniziare a farlo ora. Per avvalorare la propria tesi, l'accusa chiama a testimoniare il signor Stark.
Testimone numero 1: Alfred Stark.
La testimonianza è avvenuta in sede privata, qui ne riportiamo soltanto i punti salienti.
«La signorina Bones ha affermato di essere stata fidanzata con Lei durante tutto il quarto anno, conferma?»
«Fidanzati mi sembra un termine un po' generoso. Diciamo che siamo andati insieme a cinque o sei uscite ad Hogsmeade. E non eravamo mai esattamente soli, Amelia insisteva per portarsi dietro la sua amica Anne. Però, sì, siamo stati bene.»
«Come mai vi siete lasciati?»
«L'ho invitata ad uscire di nuovo con me durante l'estate, ma lei ha detto che avrebbe passato l'estate con Anne. Le ho chiesto se volesse che portassi qualcuno per la sua amica e si è molto arrabbiata. Non le ho più scritto.»
Come è possibile analizzare dalla testimonianza, Amelia non voleva in nessun modo turbare la Salute Mentale dell'accusata. Ha, anzi, cercato di tutelarla sapendo che Anne non fosse pronta ad uscire con qualcuno. Ad esso si aggiunge l'inequivocabile attrazione dell'Inquisitore verso il testimone numero 1.
Per supportare la prova 2, l'Inquisitore chiama a testimoniare Remus Lupin.
Testimone numero 2: Remus Lupin.
Il suddetto è stato scelto dall'accusa in quanto cotta secolare dell'Inquisitore. Questa testimonianza è stata molto breve e verrà riportata integralmente.
«Si è mai accorto dei sentimenti che l'inquisitore Bones provava nei suoi confronti?»
«Sentimenti? Io e Amelia ci siamo incontrati pochissime volte. Mi è capitato di dare una mano a Rachel ed Anne per prepararsi all'esame di Difesa Contro le Arti Oscure del secondo anno e di parlare anche con Bones, ma nulla di più. Non mi sembrava che la ragazza fosse in qualche modo interessata a me, ha passato tutto il tempo a chiedere ad Annabel se avesse capito o se avesse ulteriori dubbi.»
La corte si sente in dovere di esprimere i propri dubbi sulla testimonianza appena riportata. Appare evidente agli occhi di tutti che il signor Lupin non abbia compreso a pieno la relazione con l'Inquisitore, famosa per la propria riservatezza.
Questo non può essere in alcun modo utilizzato per dichiarare fallace la prova 2.
Prova numero 3: il trio.
L'inquisitore Amelia ci tiene a ricordare ai presenti che l'amicizia tra lei e l'imputata è sempre stata perfettamente identica a quella con Rachel. Le tre ragazze passavano insieme talmente tanto tempo da essere considerate da tutti un'entità unica. Questa prova non fa altro che confermare l'impossibilità che l'accusa provi un diverso sentimento per Annabel rispetto a Rachel. Per confermare questa ipotesi è chiamata a testimoniare la terza parte del trio.
Testimone numero 3: Rachel Cooper.
~Terza parte: la giuria~
«Non hai freddo?»
La voce di Rachel mi strappò dai miei pensieri. Non sono ero pronta ad affrontarla, nonostante l'avessi appena chiamata a testimoniare nel finto processo che avevo creato nella mia testa. Non sapevo neanche cosa dirle.
«Posso fare un commento sarcastico?», risposi senza girarmi.
«Solo se poi rientri al castello con me.»
Avrei voluto dirle di no, ma non ci riuscivo. Sapevo di aver bisogno di parlare, sapevo di non potermi nascondere nelle profondità del lago ancora a lungo, sapevo che un processo mentale non avrebbe risolto la situazione, ma sapevo anche che non sarei mai stata abbastanza pronta. Mentre la seguivo in silenzio pensavo che questa avrebbe potuto essere la nostra ultima camminata insieme.
Era evidente da quale parte si sarebbe schierata Rachel, Anne era una sua compagna di stanza e di squadra, mentre io ero solo la piccola Serpeverde che si trovano sempre alle calcagna. Non ero pronta a perdere anche lei, per questo non le avevo voluto parlare.
Il cortile era completamente silenzioso, nessun altro aveva osato avventurarsi al di fuori delle confortanti mura del castello. Neanche Rachel avrebbe voluto farlo, odiava il freddo con tutta se stessa. La osservai mentre camminava davanti a me, tenendosi stretto il mantello per cercare di non far entrare l'aria gelata. Odiava ogni istante passato qui fuori, lo si vedeva da quanto camminava veloce, eppure aveva deciso di uscire lo stesso, solo e soltanto per me.
Mentre stavamo attraversando l'ingresso mi sorpresi a pensare che forse non era detta l'ultima parola.
«Cosa ne pensi di un te caldo?» Chiese dirigendosi verso la Sala Grande.
Durante le fredde giornate delle vacanze di Natale viene allestito un piccolo banchetto pomeridiano, per far sentire gli studenti lontani dalle loro famiglie un po' meno soli. Mi si strinse il cuore mentre la seguivo verso la tavolata di Serpeverde, dove eravamo solite fare merenda insieme tutti i pomeriggi noi tre.
Rachel si sedette di fronte a me e cominciò a servirsi con te e biscotti, come se fosse un pomeriggio normale e non fosse la prima volta che ci parlavamo in settimane. I capelli rossicci incorniciavano il suo visino affilato ed erano ancora ricoperti di brina. Fingeva di essere calma, ma io lo vedevo che era agitata, continuava a sfregarsi le mani una sull'altra.
Io non riuscivo a muovermi. Il cuore mi batteva fortissimo e avevo la testa completamente vuota. Ero pronta all'annuncio, alla fine, al verdetto. La situazione si era completamente ribaltata: non ero più l'inquisitore, ero diventata l'accusato. Mi sentivo come un criminale alla sbarra, mentre lei era tribunale, giudice e accusa insieme.
«Come stai?» Mi chiese, invece.
Come stavo?
Non ci avevo pensato neanche un secondo durante queste lunghe settimane, avevo pensato a come stessero loro, a come stavo prima, a come sarei stata poi, ma mai a come stavo in quell'istante. Non era importante, era colpa mia.
«Non lo so», risposi, «infreddolita, forse».
Non era soddisfatta dalla mia risposta, cercava di non farlo notare, ma era evidente che non sopportasse il mio becero tentativo di svincolare. Sorseggiò un altro sorso di te, prima di tornare all'attacco.
«Ho parlato con Marlene», mi spiegò. «So che ha provato a parlarti insieme a Lily e Alice, ma che sei scappata.»
Non credevo avrebbe iniziato da questo. Non andavo particolarmente fiera di come mi ero comportata, ma non sapevo veramente cosa fare.
«Amelia non puoi continuare a nasconderti. Devi parlarne con qualcuno. Anne è disperata, non sei neanche andata a trovarla dopo quello che le è successo. Nessuno ti chiede di ricambiarla, soltanto di non chiuderti in te stessa. Non ti chiedo neanche di aprirti con me, scegli tu con chi, ma fallo. Fai qualcosa, qualsiasi cosa», sbotta tutto d'un fiato.
Ed io restai in silenzio.
Ancora una volta, un'ultima volta.
La osservai immobile di fronte a me, tremante dalla rabbia e dal freddo. E non riuscivo a non pensare a qualcun altro. Bastava arrossarle un po' i capelli, smussare i tratti del viso, schiarire gli occhi ed ecco davanti a me Anne, che mi giudicava, che mi disprezzava, che non voleva più essere la persona più importante della mia vita.
Non mi sentivo più un criminale in attesa di giudizio, ero soltanto un colpevole che aveva già ricevuto la sua condanna e che stava scontando la sua pena.
«Io...», balbettai, «mi... spiace...»
E poi feci l'unica cosa che i Bones non mi avevano insegnato a fare, scappai.
Corsi veloce, un piccolo fulmine dai capelli neri che scorrazzava verso i sotterranei, verso la salvezza, verso il Lago Nero.
~Quarta parte: la condanna~
Ero una codarda.
Non ero stata neanche in grado di fronteggiare Rachel, come pensavo di poter sopravvivere ad un confronto con Anne?
Non potevo scappare per sempre, avrei dovuto prendere in mano la mia paura e dirigermi verso la torre di Grifondoro. Avrei dovuto dirle la verità, farle capire quanto le voglio bene e che non desideravo perderla.
Invece ero rannicchiata su una poltrona sfondata troppo lontana dal camino. Fissavo le acque verdi del mio amato Lago aspettando un segno.
Come se avessi avuto bisogno di altre spinte, come se non fossi già in possesso di tutte le prove, le testimonianze, i giudizi. Sapevo esattamente quello che avrei dovuto fare, non come Inquisitore, non come Serpeverde, non come Bones, ma come Amy.
Perché avevo sempre saputo la verità.
Ancora prima della battaglia con i Mangiamorte.
Ancora prima di fingere un tribunale.
Ancora prima di ascoltare le testimonianze
Ancora prima di parlare con Rachel.
Ancora prima di perdermi nelle profondità del Lago Nero.
Ancora prima di quel bacio.
Senza tutto questo, probabilmente, sarei rimasta ad aspettare nella luce spettrale della mia Sala Comune. Non avrei fatto nulla per cambiare le cose, beandomi nella mia confortevole ignoranza.
C'era un motivo se Anne era stata smistata a Grifondoro e io no.
E ormai era troppo tardi.
Troppo tardi per tornare nella mia ignoranza.
Troppo tardi per impedirle di baciarmi.
Troppo tardi per risponderle come vorrei.
Troppo tardi per costruire qualcosa.
Sapevo quello che avrei dovuto fare e sapevo che non lo avrei fatto. Sarei rimasta qui seduta a perdermi nelle profondità del lago accettando di aver barattato Anne con la solitudine.
Solo perché ero una codarda.
Solo perché non sapevo gestire i miei sentimenti.
Solo perché ero una Bones.
Solo perché dirigere un tribunale era più importante di essere felice.
Solo perché ero innamorata della mia migliore amica.
Ero così immersa nel turbinio nero dei miei pensieri che mi accorsi della Maride solo quando raggiunse il vetro che separa la Sala dal Lago. È raro che le sirene si spingano così vicine al castello, non mi era mai capitato di poterne osservare una così da vicino.
Per un attimo la mia indole da magizolooga ebbe la meglio e mi persi a studiare le dita palmate della creatura che si trovavano ad appena mezzo metro dalla mia faccia. Sembrava quasi che la Maride mi stesse salutando, tanto muoveva la mano velocemente.
Fu quel movimento a convincermi a spostare, finalmente, l'attenzione verso il volto della sirena. Riuscì a trattenere un urlo solo perché ero talmente sconvolta da non riuscire ad emettere fiato.
Quella di fronte a me non era una creatura marina.
Quella di fronte a me era Anne.
I suoi tratti erano deformati, nessun altro sarebbe riuscito a riconoscerla, ma io avevo passato così tanto tempo a guardare quegli occhi verdi e quel viso delicato che non avrei mai potuto sbagliarmi.
Anne mi fece segno di salire e fu come se mi avesse lanciato la maledizione Imperius. Tutto il mio corpo seguì il suo ordine senza doverci pensare. Scesi dalla poltrona e mi capicollai verso la riva del Lago Nero.
Non era da me agire così impulsivamente, non era da me non analizzare ogni singolo dettaglio della situazione, non era da me fregarmene dell'opinione altrui e correre per i corridoi.
Era per questo che ero innamorata di Anne, perché lei riusciva sempre a farmi diventare una persona migliore, mi impediva di chiudermi a riccio e mi costringeva a tirarmi fuori.
La trovai che mi aspettava sulla riva del Lago Nero, ancora trasfigurata in sirena. Era sdraiata sul confine tra ghiaccio ed acqua ad aspettarmi. I suoi capelli rossi erano sparsi nell'acqua gelata e formavano complicati ghirigori, mentre le buffe dita palmate si torturavano tra loro.
Era la creatura più bella che avessi mai visto.
«Perché?» Riuscì a chiedere soltanto.
Lei mi guardò con i suoi occhioni verdi sgranati. Anne non era come me, era una persona impulsiva, non era mai stata capace di giustificare le sue azioni, lasciava che fosse il momento a guidarla. Le stavo chiedendo tanto, forse troppo.
«Era l'unico modo per attirare la tua attenzione. Non mi permettevi di avvicinarmi, era impossibile parlarti. Ho pensato che un atto scenico fosse l'unica soluzione», disse guardandomi negli occhi. «Amelia io non ti chiedo niente. Non ti obbligo a ricambiare i miei sentimenti e neppure ad affrontarli. Voglio solo riaverti nella mia vita e se questo vuol dire essere amiche e basta, a me va benissimo. Non posso vivere senza di te. Ti prego dimmi come posso fare a riaverti indietro.»
Era sempre stata lei la più drammatica delle due, quella propensa alle smancerie e appassionata di romanticherie. Io ero una persona più diretta, forse più burbera.
Per questo non ci pensai neanche più.
Il tribunale aveva preso una decisione, la giuria si è espressa, il verdetto è stato emesso.
La baciai.
Quando finalmente ci staccammo, riuscì finalmente a chiederle la domanda che mi ronzava in testa da quando l'avevo riconosciuta sul fondo del lago.
«Da quando sei diventata più brava di me in trasfigurazione?»
Lei arrossì e con fare colpevole bisbigliò: «ci ho lavorato per un mese intero, facendomi aiutare da James e non sono ancora del tutto convinta di sapermi ritrasformare.»
«Non sono del tutto convinta che mi dispiaccia se resti incastrata in questa forma», le dissi sorridendo.
La seduta era tolta.
Ma la nostra storia era appena cominciata.
Ciao!
Ebbene si, sono ancora qui.
So di essere sparita per mesi e di avervi promesso questo capitolo più e più volte, ma eccola qua!
É un capitolo molto diverso dal solito, scritto in prima persona e con uno stile un po' diverso. Direi anche che è molto più mio del solito, questo è esattamente il modo di scrivere che rispecchia meglio i miei gusti e le mie capacità.
Ci tenevo che le nostre Anne e Bones avessero un momento tutto loro senza essere disturbate dalle altre ingombranti personalità della storia.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Se vi piace questo stile e questo improvviso cambio di registro!
Il prossimo capitolo segnerà ufficialmente l'inizio della seconda parte e il ritorno alla terza persona. Vi ricordo che intanto sto revisionando la storia, per ora siamo al capitolo 6. Non ho apportato cambiamenti essenziali, solo migliorato lo stile e reso più OC i personaggi, se nei prossimi capitoli dovessi citare qualcosa che è stato aggiunto nella revisione posterò una piccola nota ad inizio capitolo per farvi capire di cosa stiamo parlando.
Grazie per avermi aspettato,
La Vostra Corvonero
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