Capitolo 28:

Un venticello fresco sferza la mia faccia, con gli occhi ancora serrati dalla paura.

Gli apro timorosa di ciò che potrei vedere... ma subito dopo capisco che non ne devo avere.

Mi ritrovo sulla panchina sulla quale, quella mattina di fine vacanze, stavo leggendo una fanfiction prima che quel vecchietto mi desse il set da disegno...

E mi cambiasse la vita.

Sospiro.

Rabbrividisco e noto dei nuvoloni nel cielo e l'aria odora di umido: è da non troppo piovuto e prevedo che ri-succederà tra non troppo tempo.

Mi alzo, vado avanti superando quella piccola siepe non tanto curata e l'angolo dell'edificio dove ogni tanto, la sera, fanno le prove il coro.

Mi sento mancare il fiato per lo stupore.

Il campetto da pallavolo circondato da sbarre di ferro (con delle porte ai lati sempre di ferro) dove i bambini di solito giocano è... fluttuante a pochi centimetri da terra!

Mi tolgo gli occhiali e mi sfrego gli occhi, nella vana speranza di riaprirli e scoprire di aver avuto un miraggio.

Ma purtroppo non è così.

Noto anche la stradina che si intravede da qui: ai lati non ci sono normali auto, ma dei veicoli che ricordano per forma delle navicelle aliene, con però delle ruote.

Dove diavolo sono finita?!

O per meglio dire, quando?!

Non posso però andare in giro così...

Meglio travestirmi... Ma come?

Devo riflettere.

Ritorno alla panchina di prima per sedermi e pensare che noto che c'è quel diavolo di set vicino a dove ero io poco fa!

"E questo da dove spunta fuori?!" mi chiedo nella testa, da un lato arrabbiata perché sto aggeggio del demonio mi perseguita, dall'altro contenta perché ho trovato la soluzione al mio problema.

Prendo il blocco e apro freneticamente l'album da disegno.

Inizio a disegnare me stessa, leggermente più bassa e con i capelli lisci e di un castano chiarissimo, a differenza dei miei normali che sono molto più tendenti al scuro.

Scrivo sotto il mio nome e cognome e una scarica mi attraversa la spina dorsale che si dirama sulla nuca rizzandomi i capelli.

Per un secondo.

Poi smette come è venuto.

Mi tocco i capelli e li sento lisci e setosi: non riccioluti alla fine e un nido per tutto il resto.

Mi metto una ciocca davanti al viso e sembra che abbia fatto una tinta molto chiara per la mia carnagione, che ha ancora l'abbronzatura.

Lascio però cadere lo sguardo sulla mia mano che tiene una ciocca di capelli davanti ai miei occhi e la noto più chiara di prima che fossi entrata nel portale.

Risalgo con lo sguardo le braccia e poi mi fisso le gambe, allibita: sono bianca, pallida, anche per i miei gusti che d'inverno faccio quasi gara con la neve.

I miei respiri aumentano di velocità e sento nella testa una vocina dolce che mi dice "Sarà un effetto collaterale... E almeno così sei più credibile"

Stranamente mi rilasso e il mio cuore smette di provare a battere il record di più battiti al minuto.

Prendo il set come una valigetta e mi dirigo verso l'unico punto di riferimento che mi rimane.

Il negozio di mia madre.

Vado fuori dai giardini, passo per le strisce pedonali, oltrepasso il comune e la chiesa.

Mi manca da sorpassare un vicoletto e la farmacia e poi sono davanti al negozio.

Ma mi sembra di avere le gambe di piombo: ho paura di fare un singolo passo.

Inspiro ed espiro più volte, mi faccio coraggio e cammino per gli ultimi metri.

Ma appena metto piede sul marciapiede, che inizia dalla farmacia, metà di esso inizia a muoversi come un nastro trasportatore portandomi con sé.

Cerco di mantenere l'equilibrio e non cadere attirando l'attenzione dei pochi passanti, adulti e anziani, ci riesco e salto su una piccola piattaforma davanti al negozio.

A lato della porta c'è una targhetta d'oro che recita: "Questo è il primo marciapiede automatico del nostro comune realizzato coi fondi dei cittadini e inaugurato il 1° agosto 2046. Continuiamo così e riusciremo ad essere tecnologicamente avanzati. come i nostri paesi vicini.
Firmato dal presidente del municipio"

Non ho capito granché ma una cosa mi ha lasciato paralizzata, rileggendo la targhetta con maggiore attenzione: quel "1° agosto 2046".

Non posso essere andata così avanti!

No no no!

Risalgo su quel marciapiede e mi faccio condurre fino all'edicola dietro l'angolo e leggo il giorno che segna il giornale: 17 settembre 2046.

Mi sento sbiancare e svenire.

Mi aggrappò alla cassetta dei giornali per evitare di cascare in mezzo alla strada.

Quella data mi riecheggia in mente: "17 settembre 2046".

Devo scoprire cosa mi è successo in questo futuro.

Salto sulla parte di marciapiede che ripercorre la strada a ritroso e salto sulla piattaforma davanti al negozio.

"Così sì che si fa fitness!" penso ironica per smorzare la paura.

Faccio un respiro profondo, spingo la pesante porta ed entro.

Ad accogliermi c'è il familiare suono acustico simile ad un "driiin" che segnala lo spostamento vicino alla porta d'entrata.

Un signore verso i quaranta esce dalla sala "chiusa" con una tenda che per me era il laboratorio: una piccola stanza con la macchina da cucire, il piano di lavoro, il ferro da stiro e un lettore CD portatile fatto diventare, per l'occasione, una mini TV.

<Buon pomeriggio> saluta senza guardarmi con una finta voce allegra che mi pare familiare.

L'ho già sentita; la domanda è: dove?

Mi concentro meglio sul suo aspetto: è poco più basso della media per gli uomini, mi supererà di cinque centimetri massimo, ha i capelli neri e corti con alla radice qualche tocco di grigio, segno della vecchiaia incombente, una carnagione molto abbronzata e un fisico asciutto.

Dannatamente familiare ma il mio cervello non vuole farmi ricordare chi è.

Funziona per una buona volta criceto che gira sulla ruota nella mia testa!

<Buon pomeriggio> saluto con la più naturalezza che mi riesce.

Lui, udendo la mia voce, alza la testa di scatto e mi nota veramente.

Un scintillio nei suoi occhi castani, simili ai miei, passa per qualche secondo e lo stupore aleggia sul suo viso per un po' di più.

<Lei... Lei è una ragazzina! Dopo tanto! Finalmente una ragazzina!> riesce a dire a mezza voce, emozionato.

<Come, scusi?> chiedo.

Da quando in qua essere una ragazzina è raro?

Non ci sto capendo una mazza e non mi piace.

<Dovranno riaprire la scuola e faranno venire altri ragazzi perché l'istruzione va data a tutti e...> si ferma un attimo.

Mi osserva per bene e dice con molta serietà: <Abita in questo comune, no?>

Meglio dire una balla.

Scuoto la testa e scorgo la delusione nei suoi occhi.

<Mi dispiace ma vengo dall'altra parte della regione per cercare... Una vecchia amica di mia madre. So che si chiama Arianna, ma non il cognome. È passato tanto tempo e non se lo ricorda. Dice che forse iniziava per "M"...> dico e faccio finta di pensarci su.

<E come mai sua madre non ha contattato questa sua amica e te sei venuta qui?> chiede lui, leggermente brusco.

<Perché andavano insieme alle elementari e lei si è dovuta trasferire al termine di queste e, essendo piccole, non avevano i loro numeri di cellulari o comunque mia madre non ci aveva pensato. Si ricordava però questo paese e questo negozio di biancheria per casa e per persone. Ed è così questo negozio, no? Però era gestito dalla madre...> faccio, recitando la parte di chi deve raccattare le informazioni che ha saputo in poco tempo.

<Esatto. Io sono il figlio della vecchia proprietaria... Mi chiamo Luca e sono il fratello minore di Arianna...> confessa.

Un piccolo tuffo mi viene al cuore: è mio fratello... Adulto?

Diavolo, sono veramente andata tanto avanti nel futuro.

<E...cosa è successo a sua sorella?> chiedo.

<Voglio sapere un'ultima cosa per essere sicuro di parlare della stessa persona. Com'era quando tua madre l'ha conosciuta?> mi domanda.

Chiudo gli occhi e recito di fare mente locale: <Mi ha detto che ricorda di questa bambina tra le più alte della classe, studiosa, che porta gli occhiali, capelli e occhi castani e... Ah sì, che portava sempre tute da ginnastica!>

Luca sospira e commenta: <È la stessa persona...>

<Beh, è morta tanto tempo fa. Trent'anni, per l'esattezza. In questo stesso giorno.> annuncia, con aria grave e con nella voce una enorme tristezza.

Sento il vuoto sotto ai piedi e tutto intorno a me vorticare e non cado solo perché, con riflessi rapidi non da me, mi afferro al bancone, nella metà di legno.

Stringo forte, fino a farmi diventare le nocche ancor più pallide mentre quelle due parole fatidiche mi risuonano nella testa: "È morta".

<E...e come? Scusi se le faccio ricordare queste cose...> aggiungo, in un sussurro.

<Forse è meglio se lei prima si sieda e si rilassi: sembra che le abbia fatto più effetto del previsto. Vuole qualcosa di zuccherino?> mi domanda mio fratello preoccupato facendomi accomodare su una sedia lì vicino.

Sorrido amaramente dentro di me: inconsciamente, non si era mai preoccupato così tanto per me, lui.

<Posso e mi può dare del tu? E un po' di zucchero credo che mi farebbe bene.> rispondo, con calma.

<Va bene.> risponde lui andando in laboratorio.

Ne esce subito dopo con una confezione di Kit-Kat, che adoro.

<Spero che ti piacciano.> fa mentre mi porge la bustina.

<Li adoro. Grazie. Credo che anche a te piacciono visto che ne hai di là...> noto, innocentemente, mentre mangio metà di una delle due barrette.

<Sì, io e... lei...> gli sembra costare un grande sforzo solo pensarci <da piccoli aspettavamo sempre la domenica perché, se andavamo in negozio, andavamo sul retro e ci prendavamo una di quelle confezioni a testa. È uno dei bei ricordi che ho con lei...> spiega perdendosi nei suoi pensieri.

<Ora credo di poter reggere un altro shock. Come è successo?> chiedo, tra la curiosità e la paura.

<Nessuno se lo aspettava, nessuno l'aveva vista diversa, sembrava tutto normale. Eppure doveva star morendo dentro lentamente, piano piano, poco a poco, finché...> sospira con la voce tremolante dalla tristezza <Finché il 17 settembre di 30 anni fa, a pochi giorni dopo l'inizio della scuola, un pomeriggio... Si suicidò in camera sua...> altra pausa, più lunga della precedente.

<Nessuno di noi se ne è accorto... Fino all'ora di cena... Quando dopo tante chiamate non è venuta hanno mandato me e... Lo spettacolo era raccapricciante. Era appena con una corda a dove c'era il lampadario, a pochi centimetri dal toccare a terra, senza vita. E sul suo viso non c'era dolore ma... Felicità.> si ferma un attimo e si lascia andare ai singhiozzi.

Non credo che gli importi di avere davanti una ragazzina, vuole solo sfogare ciò che si è tenuto per tanto dentro.

<Non c'era nessun biglietto d'addio, se non... Un foglio sulla sua maglietta. "Non piangetemi: ora sono felice qui." diceva... Avevo 9 anni... E lei appena 13... aveva tutta la vita davanti a sé. Era intelligente, studiosa, brava e dotata di buona fantasia e creatività. Sarebbe andata lontano... ma a quanto pare il mondo è stato stronzo... E sotto l'ansia... l'ha fatta morire...> e si mette a piangere.

È strano vedere un adulto, soprattutto se in teoria è tuo fratello minore, piangere della tua morte avvenuta tempo fa.

Sento le mie guance bagnate: sto piangendo e non me ne sono resa conto.

Dentro di me percepisco solo smarrimento, tristezza e... delusione... da me stessa, che volevo farla finita.

Oppure è solo una conseguenza dell'esser entrata nel mondo dipinto?

Dopo qualche altro istante Luca si accorge di me e dice: <Non avrei dovuto dirti una cosa del genere... Quanti anni hai?> mi chiede infine.

<Tredici, compiuti a inizio agosto> rispondo dicendo una bufala sulla data.

Mi guarda con un sospiro.

Mi alzo dalla sedia.

<Ora devo andare.> dico solo con voce grave.

<Capisco... Allora arrivederci. E mi dispiace per sua madre che è venuta fin qua per lei.> mi saluta lui.

<Almeno ora lo saprà. Arrivederci e buona giornata> saluto mentre esco.

Alzo lo sguardo e il cielo si è fatto ancora più scuro.

Un lampo di genuina follia geniale mi passa per la mente.

Devo provare a fare una cosa, è la mia unica possibilità.

Corro per l'incrocio deserto e vado dritta andando verso il viale che va fino al cimitero cittadino: il posto più isolato del paese.

A meno di metà strada i miei polmoni sono trafitti da innumerevoli aghi e un tuono rimbomba in lontananza, sintomo di vicino temporale.

Ma trovo rinnovata energia da qualche parte e continuo a correre fino a raggiungere il cimitero e a superarlo.

Mi metto le mani sulle ginocchia per riprendere fiato e solo ora mi ri-accorgo di avere il set da disegno in mano: per tutto il tempo che sono stata in paese (dopo essermi trasformata) non mi ero resa conto di tenerlo.

Prendo il set e strappo il mio disegno di me trasformata e lo faccio diventare tante piccole striscioline che butto nell'unico bidone lì vicino nel raggio di metri.

Sento una scossa attraversami la spina dorsale e so di essere ritornata me stessa.

Intanto inizia a piovere tutto insieme: sembra che qualcuno, da là sopra, stia gettando giù dei bei secchioni d'acqua al posto delle singole gocce.

"Cazzo! Un riparo!?" impreco nella testa cercando di tenere il set riparato col mio corpo e vestiti, entrambi già fradici, mentre corro verso una tettoia che da fuori dal cimitero.

Scorgo un angolino più decente degli altri e mi siedo lì tirando un sospiro di sollievo: il set non si è danneggiato.

Non che ne dubitassi da quando, all'inizio di tutta questa storia, l'ho provato a bruciare nel camino senza successo.

Lo apro, attenta a non farlo bagnare con le mani bagnaticce che mi ritrovo ma che provo ad asciugare nell'erbatta tra le mura che mi rende i palmi verdastri ma almeno asciutti.

Afferro una matita e inizio a disegnare quell'idea, quell'unico appiglio rimasto, sbucatomi nella mente: una costruzione di dimensioni pari alle antiquate cabine telefoniche britanniche ma che diventerà di colore azzurro metallo e avrà il compito di fare una cosa tanto trita e ritrita nei film e libri di fantascienza: da macchina del tempo.

Cercherò di ritornare nel passato al momento esatto in cui sono scomparsa, per evitare che questa tragedia accada nel mondo reale come giustificazione alla mia volatilizzazione.

Il disegno a matita è quasi finito: ultimi ritocchi e basterà colorare.

La mia mano si muove sul foglio con il preciso obiettivo di riprodurre fedelmente il disegno che ho pensato prima ma comunque ciò non mi impedisce di vagare nella mente per altri pensieri..

Nella terribile e pessimistica ipotesi nella quale la mia idea non funzionasse... non saprei come agirei.

Ma un tarlo si insinua nella mia mente e mi suggerisce di fare ciò che anche sulla spiaggia ho evitato per ritornare nel mio mondo...

Che scopro essere andato a quel paese con me morta la sera stessa in cui sono entrata in quel blocco, con passati 30 anni e, a quanto pare, con il mio paesino in decadenza e abitato da soli adulti e anziani o comunque non minorenni.

Ma perché devo già pensare che il piano fallirà se non c'è ancora nulla di concreto?

No!

Devo farmi forte ed essere ottimista per una buona volta nella mia vita!

Ho quasi finito di colorare ed è esattamente, se non migliore, di come me lo sono immaginato.

Tocco col dito il disegno e lo trascino verso l'alto (verso il fuori del blocco), come se fosse una pokeball su "PokemonGo".

E questa macchina è come se spuntasse fuori dal foglio e comparisse vicino a me, sotto la pioggia che non lo deturpa o rovina in qualsiasi modo, anche se è una pioggia molto fitta e le gocce sembrano proiettili.

Devo riuscire a creare una specie di barriera qui intorno: qualcuno potrebbe comunque passare e non deve essere il massimo della normalità per uno qualunque vedere una ragazzina entrare in uno strano cubicolo per poi scomparire insieme ad esso in pochi istanti.

Prendo una matita bianca e immagino che sia come un pennello capace di rendere le cose estranee in un'area invisibili, come sotto un mantello dell'invisibilità.

Mi alzo lasciando il set lì tra l'erba all'asciutto e, armata di tutto il coraggio e speranza che possiedo, corro sotto la pioggia e disegno un immaginario quadrato per terra intorno a me e alla macchina del tempo.

Dopo aver fatto il perimetro mi pare di vedere brillare una lucina bianca.

Allora sollevo la matita in aria come ad alzare immaginari muri e il braccio, soprattutto la mano, mi formicola come pieni di potere.

Prendendomi da sola, per disegnare sono una mezza calzetta ma, con modestia, l'immaginazione non mi manca.

Aspetto un pochino sperando che qualcuno passi per vedere se ha funzionato e, come se il cielo avesse ascoltato le mie preghiere, subito dopo passa un vecchietto accanto a me.

Io provo a fare linguacce e gestacci ma lui non mi nota, si gira pure nella mia direzione ma appaio invisibile...

Perfetto.

Ora che devo affrontare il viaggio un po' dell'adrenalina si è smorzata e sento di più sulla pelle l'insistenza della pioggia e la paura di ciò che sto per fare.

Mi riparo sotto il tettuccio sporgente per non infradiciarmi troppo e faccio respiri profondi per farmi coraggio.

Afferro il set tenendo l'impugnatura stretta cercando di ripararlo col mio corpo e mi fiondo sul lato della "cabina" davanti a me, dove forse c'era una porta.

Noto un bottone azzurro e un bottone rosso: il primo è più rialzato, a segnalare che è da premere; il secondo più abbassato, come a dire che non serve a niente.

Schiaccio l'azzurro, la porta si apre e mi fiondo dentro la cabina.

Nello stesso lato dove c'erano i bottoni fuori, ce ne sono due di colore identico: premo il rosso e si chiude.

Mi lascio un attimo cullare dal suono della pioggia sul tetto di questo cubicolo.

Mi perdo nei ricordi e mi riaffiora nella mente il ticchettio che produce la pioggia sul tetto di onduline nell'antibagno nella casa dei miei nonni in Sardegna.

Il suono è identico.

Rimbombante, insistente e rumoroso, ma non mi da fastidio: l'ho sentito molte volte e rumori del genere mi cullano.

Non mi addormentato solo perché mi ricordo dove mi trovo.

"Se non voglio che quel suono non lo senta più mi devo sbrigare." mi dico decisa nella testa e cerco qualcosa come un quadrante per la data.

Trovo un mini-display con dei tasti sotto lo schermo.

<Wow! Brava me!> mi auto-complimento sorprendendomi per come, con la mia magia, riesco a fare delle cose incredibili.

Digito la data: "17/09/2016" e le ore: "13:00-14:00" visto che mi ricordo che era in quel lasso di tempo, ma non il minuto preciso.

Schiaccio "invio" e aspetto speranzosa.

Sento dopo qualche secondo un ronzio che non mi piace: non pare di starmi spostando, sembra di essere qualcosa che centra col surriscaldamento.

Un presentimento negativo si fa strada nella mia testa e una sirena inizia a squillare, a normale volume ma insistente e penetrante​.

Il panico prende sopravvento e provo a schiacciare il tasto blu per uscire: nulla.

Ancor più ansia: premo più e più volte il tasto blu ma ancora niente.

Inizio a dare pugni sulla porta mentre la sirena suona più forte e il ronzio aumenta di forza facendo tremare leggermente il cubicolo.

<Apriti porta di merda!> urlo incazzata nera dando, oltre i pugni, i calci alla porta con molta più forza finché essa non si divella leggermente.

Intanto il ferro si surriscalda: devo fottutamente uscire di qui prima di esplodere o diventare una cotoletta umana!

O un miscuglio di entrambi!

Do altri calci e pugni, anche se sento gli arti invocare pietà, e sembra che la porta stia per cedere.

Intanto il caldo si fa insopportabile e la sirena e il ronzio mi stanno uccidendo i timpani e stordendo.

<Ma vaffaculoooo!> grido dando una spallata potente alla porta che si sfonda, io esco e quasi vado a sbattere contro il muro, spinta ancora dalla forza con cui avevo caricato la spallata.

Mi rannicchio per terra facendo scudo oltre al mio petto anche al set.

Subito dopo quella "macchina del tempo" esplode e sento schegge di metallo e altro schizzare intorno.

Oltre a un botto che l'esplosione sembra quella di una bomba atomica.

Mi colpiscono delle scintille che bruciano alcuni pezzetti di tessuto della maglietta e ustiona qualche parte di braccio facendomi un male cane e qualche scheggia mi ferisce la schiena facendo scorrere dei rivoletti caldi su di essa: sangue.

Poi il silenzio per qualche secondo, assordante, che mi invade le orecchie peggio della sirena, del ronzio e dell'esplosione messi assieme.

Poi sento la pioggia continuare a cadere incessante, spegnendo il fumo e i fuochi creati dall'esplosione celata agli altri dalla mia magia.

Le gocce mi arrivano visto che sporgo di poco, ingobbita, e il dolore si acuisce nei punti in cui ci sono i tagli e le ustioni, grandi come punture di zanzara.

Mi perdo nei miei pensieri visto che ho solo quello di mio a cui aggrapparmi.

Il mio piano di andare nel passato è crollato come un castello di carte, sono ferita dal mio stesso marchingegno e sono bloccata in questo futuro orribile.

Sento il mondo crollarmi addosso e piango, rannicchiata con il set stretto al petto.

Piango e non mi fermo.

Il mio corpo è scosso dai singhiozzi e le lacrime rendono sfuocato quel poco di campo visivo che ho.

Quel tarlo di prima si fa più insistente nella mia testa e, anche se io cerco di scacciarlo, un po' mi ha persuaso: ho perso tutto, cosa conta ormai?

"Conta che Jack si è sacrificato per te..." mi fa notare una vocina dolce e triste, pure più di me.

<Ma... Jack capirebbe... Ora... mi starebbe affianco... Ma ho perso pure lui... Cosa mi rimane a cui aggrapparmi, spiegamelo!> urlo disperata alla vocina dentro di me che fa da coscienza.

"Beh..." sembra rifletterci su.

"Niente..." aggiunge poco dopo grave.

<Esatto... Niente... Cosa vuoi che sia... se ora la faccio finita?! In questo mondo sono morta 30 anni fa... Almeno ora succederà per davvero... E forse...> e qui la mia voce sembra non voler uscire, per quanto tristi e macabre sono le parole da dire.

<Forse... ri-incontrerò Jack... Anche solo per un secondo> concludo in un sussurro con ancora le lacrime che sgorgano dai miei occhi.

<Deciso... Non ho niente a cui tengo...> dico mentre estraggo il blocco e una matita e incomincio a disegarmi distesa, con gli occhi chiusi e il sorriso sulle labbra.

Passa mezzo minuto prima che io ricomincia a parlare.

<Tutti mi danno per morta...> noto mentre finisco il disegno a velocità più che sorprendente.

<Non ho nessuno per cui combattere o che amo che mi riconosca> commento mentre pesco i colori dal set e inizio a colorare, tanto velocemente quanto ho disegnato.

<Quindi...> sussurro con voce tremante e carica di tristezza ma, infondo, di vergognosa gioia mentre il disegno giunge al termine.

<Che senso ha vivere ancora?> chiedo mentre ripongo i colori, prendo una biro e scrivo sotto il mio nome e cognome, seguito da "Morta indolore".

Appoggio, più che altro lascio la presa, sulla penna appena finito di scrivere, stanca.

Un brivido leggero e freddo mi pervade la schiena mentre so che sta iniziando a fare effetto la magia.

L'oscurità prima invade i bordi del mio campo visivo e pian piano inizia ad occuparlo tutto.

Sto scivolando nelle tenebre e mentre mi distendo, con la presa sul set sempre più debole, sussurro: <Scusami Jack se non sono stata forte come te...>

Chiudo gli occhi lacrimanti e sorrido felice mentre il buio invade tutto e mi trascina con sé.

N/A: questo capitolo è lunghissimo, come gli ultimi d'altronde, ma ve lo meritate con tutta la suspence che faccio!

Ora manca solo il finale il quale ho deciso che sarà...

Lo scoprirete la prossima volta.

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