Capitolo III
<<Abbiamo tempo: dobbiamo aspettare che si calmino le acque per intervenire.>>
<<Allora sai spiegarci quel che è successo?>>
<<No, non lo so. Posso solamente supporre. Nostro padre non ha potuto mostrarci i suoi ultimi momenti, ma suppongo che qualcosa abbia assimilato l'energia della reazione... non vedo altre spiegazioni al momento.>> mormorò lentamente la bambina. Era tesa, questo tutti lo capivano, ma disponibile e cordiale come sempre. Del resto aveva passato la vita a fingere: di essere umana, una bambina allegra e dolce, di non covare odio fin dalla sua (vera) infanzia. Riunirsi alla sua razza d'origine, due anni prima, non l'aveva cambiata. Aveva smesso di contar bugie agli umani per cominciare coi suoi simili.
Fece in tempo a vedere le vetrate di un palazzo andare in frantumi, poi lui stesso fu investito dall'ondata bollente e spedito in aria. Si fermò.
Passò qualche minuto, ma il ragazzo nemmeno se ne accorse. La maggior parte della sua attenzione era rivolta al ramo a cui si era aggrappato: al momento era l'unica àncora che si frapponeva tra di lui ed il suolo oltre il dislivello, una decina di metri più in basso. Non troppo lontano dall'albero a cui si reggeva c'era l'ospedale e nelle vicinanze, chissà dove, suo fratello.
Oggi
Ebbe un capogiro. Strinse febbrilmente il ramo, ignorando gli scricchiolii del legno.
...oggi questo luogo sarebbe dovuto sparire dalle mappe. Voi sareste dovuti morire. C'è stato un piccolo cambio di programma: la città e le zone limitrofe sono ora sotto il controllo ankh.
Michele si voltò a guardarsi intorno, ma non vide nessuno. Chiunque stesse parlando non era con lui. La sensazione che provava si avvicinava a quella di un altoparlante sparato a tutto volume vicino alle sue orecchie, anzi direttamente nella mente. La voce bambinesca proseguì.
Quelli che voi chiamate Senzanome, diventano da oggi i vostri padroni. Chi tenterà di varcare i confini che stabiliremo sarà ucciso sul posto. Rimanete dove vi trovate e vi sarà data la dovuta assistenza.
Ai nostri fratelli traditori offriamo asilo, in cambio di collaborazione. Altrimenti saranno trattati come gli homo sapiens sapiens, se non peggio. Agite di conseguenza. Qualunque forma di rappresaglia contro di noi o i nostri fratelli sarà punita in modo tale da far desiderare la morte ai porci che la metteranno in atto.
Il resto del messaggio non arrivò mai alle orecchie di Michele. In quel preciso istante il ramo che lo reggeva si staccò dal tronco ed il ragazzo precipitò.
Anna comunicò quello che doveva, passeggiando distrattamente lungo il declivio che segnava il confine del paesello. Non le piaceva la piega che aveva preso la situazione. Pensavano di aver calcolato tutti i possibili intralci, avevano momentaneamente silenziato le comunicazioni governative, nautiche ed aeree. Sicuramente il panico era stato molto, ma non andava comunque.
Di una sola cosa poteva rallegrarsi: l'unico ankh che potesse affermare di conoscere tutta la sua storia era finalmente sparito dalla faccia della terra. Non che cambiasse qualcosa, ma quel vecchio la infastidiva col suo fare paterno e malinconico. Quando poi le parlava dolcemente, quasi in tono di scuse, Anna provava il fortissimo impulso di decapitarlo (non lo avrebbe nemmeno ucciso, ma la sua reputazione di paladina degli ankh ne sarebbe uscita macchiata).
Il suo cellulare squillò: era Keeito, uno dei membri stanziati ai limiti della zona sicura, in questo caso ad un casello autostradale. Mutato, come lei: di quelli che erano già sulla terra prima dell'arrivo degli ankh, circa due anni prima.
<<Dovresti risparmiare la batteria. Problemi con le comunicazioni mentali?>>
<<Più ci avviciniamo e peggio è. Gli ankh sopravvissuti ci stanno bloccando. Ci impediscono di comunicare a distanza. Ne abbiamo avvistati alcuni nelle auto della polizia e dei carabinieri, taxi e pullman. Immagino sia un'alleanza momentanea. Li uccidiamo o li rendiamo inoffensivi appena vengono avvistati ma ce ne saranno a migliaia: è un'impresa disperata.>>
<<Non c'è da biasimarli. Non durerà, non preoccuparti: nel mentre limita le chiamate. Conserva la batteria ok?>>
<<Non mi trattare come un bambino, qui il tappo sei tu!>> Anna rise automaticamente, piano. Keeito era, nel suo modo di vedere, una brava persona. Non meritava né quella guerra, né la prima linea.
<<Allora a... Aspetta un secondo?!>> la chiamata proseguì nel silenzio più assoluto. Anna attese, respirando lentamente.
<<Cosa succede?>> non era morto. -E' successo qualcosa, ma non è morto.-
<<Anna.>>
<<Dimmi. Ci sono problemi?>>
<<Qualcuno ha comunicato mentalmente con la squadra. Non era dei nostri, ne sono certo. Nessuna parola, solo immagini, come in un video in prima persona.>>
<<Cosa vi ha mostrato?>>
<<Quello... Quello che abbiamo fatto... Cadaveri, palazzi fumanti e distrutti, uomini e donne agonizzanti.>>
<<Non abbiamo né diritto né motivo di impressionarci.>>
<<Ok, ma perché.?>>
<<Non ci interessa. Probabilmente un ankh ribelle. Concentrati sulle cose concrete e su ciò che c'è da fare.>>
<<<Capo... davvero non hai idea di cosa sia successo?>> Anna si morse il labbro inferiore.
<<Il fatto che io risponda per gentilezza non ti da il diritto di far sempre e solo domande.>> mentre diceva ciò sorrise, spontaneamente questa volta.
<<Chiedo venia, tappo. Ci aggiorniamo, ok?>>
<<Ci aggiorniamo...>> chiusero la comunicazione.
Si lasciò cadere sulla soffice erba.
No, non andava. Proprio ora che stava riprendendo a dormire ecco che un nuovo tarlo tornava a roderle il cervello. Era quasi sicura di sapere chi avesse assorbito l'essenza del padre ankh. Del resto, la sua rossa amica era l'unica persona al mondo a poter contenere un simile potere... la domanda era perché. Già, faceva storie ai suoi sottoposti per quesiti che lei stessa si poneva.
Era stanca, stanca, stanca. Le notti erano insonni e quando sveniva per il sonno capitava spesso che le venisse meno il fiato... o che tornassero gli incubi. In ogni caso si svegliava di soprassalto, madida di sudore e col fiatone. Ancora oggi sognava il giorno in cui aveva condannato l'umanità a perire. Il momento in cui Ambra e lei avevano aperto agli ankh la strada per tornare sulla terra. Possibile che se ne fosse dimenticata? Dopo tutto quello che avevano fatto... la sua migliore amica le aveva voltato le spalle? Del resto era sempre stata una grande egoista.
Si concesse di chiudere gli occhi mentre aspettava nuove comunicazioni. Non riuscì ad addormentarsi.
Sara aveva un'incredibile voglia di cibo cinese. Niente di minimamente leggero. Roba da pugnalarsi lo stomaco, magari davanti ad un film meravigliosamente trash, anzi: un buon libro. Il tutto contornato da un sottofondo metal, tipo Manson, niente di troppo pesante. L'essere sopravvissuta, invece di caricarla l'aveva lasciata come una molla usurata.
Sedeva tra una trentenne affetta dal morbo di Parkinson ed i resti di una scatola per le conserve. Nonostante tutta la stanchezza non poteva evitarsi di pensare a Leonard e Semir.
Forse non avevano avuto la prontezza di mettersi in salvo.
Forse erano stati sfortunati.
Forse erano da qualche parte carbonizzati o a pezzi.
Forse doveva smettere di fantasticare su ciò che non poteva sapere. Si strofinò l'occhio sano. Era umido di lacrime. Tirò su col naso e la donna vicino a lei ebbe un breve sussulto. Sorrise con calore. L'espressione diede una rinnovata bellezza ai tratti stanchi e spossati del suo volto. Le riservò un tremante e goffo abbraccio.
Le sue parole furono coperte da un forte rumore di passi. Era una squadra d'infermieri.
<<Eccola.>> si allargarono, osservando guardinghi la giovane aliena. Tre di loro erano armati di bisturi ed uno reggeva una spranga metallica.
La donna si alzò a fatica, tentando di difendere Sara, ma fu sollevata ed allontanata dall'unico infermiere disarmato
<<E' una ragazzina! Dovete sfogarvi per forza su di lei?>> gridò la paziente, dibattendosi.
Sara non riusciva a parlare. Rimase immobile.
<<Vogliamo solo un'assicurazione contro i terroristi. Non ti faremo del male, se loro non ne faranno a noi.>> le dissero seccamente.
<<Andrà bene, signora. Grazie.>> mormorò Sara sentendo piangere la donna.
-Si calmi- le ordinò. D'improvviso la malata smise di muoversi e cominciò a mormorare tra sé e sé frasi incomprensibili.
Sara si alzò. Lentamente: non voleva dar loro un pretesto per farle male... anche se una parte di lei più che spavento provava rabbia verso tutta la situazione.
<<Cammina. Andiamo al piano terra.>>
Obbedì.
Poi il messaggio di Anna la raggiunse... e lo stesso fu per tutti i presenti.
Gli infermieri si fermarono, congelati. Per poi girarsi a guardarla. La signora era seduta dall'altra parte della stanza su un materasso, le mani sul volto. Sara invece cominciava a pensare che le sue pantofole fossero interessantissime.
<<Fuori. Non può stare qui.>> disse l'uomo disarmato.
<<Ma avete detto...>>
<<Aspetta, se la tenessimo qui...>>
<<Loro sospetterebbero di noi e basta. Preferisco non averla tra i piedi.>> l'uomo la fissò dritto negli occhi, poi le parlò: <<Lo sai benissimo anche tu. Se ti tenessimo sarebbe un problema per noi e per... voi.>>
<<Io non sono un oggetto...>> la ragazza sollevò impercettibilmente il volto.
<<Come?>>
<<Io non sono un oggetto che potete buttar via! Mi chiamo Sara: sono una persona... e la fuori non saprei come sopravvivere!>>
<<Allora pensa agli altri che ci sono qui e che rischierebbero la vita con te nei paraggi.>>
<<Ho due... due parenti: passeranno sicuramente a prendermi. Per favore, fatemi restare... andrò via con loro.
<<Potremmo semplicemente trattarla bene... poi passeranno a prenderla.>>
<<No. Cambieremo le medicazioni, le daremo dei vestiti e...>>
<<FATEMI RESTARE...>> Sara squadrò per bene tutti, stringendo i pugni con tanta forza da provare dolore alle palme. I suoi occhi erano sgranati, le pupille minuscole come spilli.
<<...O li attirerò qui e dirò che queste ferite me le avete provocate voi.>> aggiunse, prima che potessero risponderle.
Piccola vipera
<<Tenetemi qui, datemi una possibilità... vi prego.>>
<<Quindi pensi di ricattarci o di pregarci? Decidi. Non sei nelle condizioni di far richieste, 'pelle-viola'.>>
Da morta terrà la bocca chiusa
Rispose con un tono che voleva essere deciso, ma appariva piuttosto disperato e stridulo: <<Non voglio giustificarmi, tanto non servirebbe visto quanto vi importa di me... Accettate o...>> arrivava da destra. Schivò per un pelo un colpo di spranga: l'aggressore era riuscito a tenere la testa sgombra quasi fino all'ultimo momento. Recuperò in fretta e la colpì alle gambe, facendola finire a terra. In un momento le fu sopra. Calò il bastone metallico mirando alle tempie di Sara.
<<FERMO!>> la sua voce uscì stridula e piagnucolosa, ma l'uomo si bloccò con l'arma a mezz'aria.
Sara sondò la mente dell'infermiere, ora occupata dall'immagine del suo cranio spappolato.
Respirò. Ancora ed ancora, prese fiato sotto lo sguardo tremante del suo aggressore, nello stupore generale.
<<Prendetel...>>
-Colpisciti- ordinò mentalmente.
lo smilzo infermiere ubbidì come un cagnolino, cominciando a bersagliarsi il volto col bastone.
-Difendimi-
Si alzò e lo agitò intorno a se, allontanando i suoi colleghi, per poi riprendere a martellare il suo volto, tumefatto e sanguinante.
Sara sfruttò i pochi attimi di stupore dei nemici, che nel mentre l'avevano circondata, per tentare un contatto.
Niente da fare, a stento riusciva a mantenere il controllo di uno di loro.
-Colpisci a destra.-
Il burattino si spostò velocemente, gettandosi contro i primi due malcapitati che avevano osato avvicinarsi. Riuscì a colpirne uno, fracassandogli la mascella, mentre l'altro si scostò fuori portata. Sara indietreggiò verso il punto rimasto scoperto durante la colluttazione. L'infermiere disarmato tentò di seguirla, ma fu fermato dal burattino sotto il controllo della ragazza. La colluttazione durò una ventina di secondi durante i quali Sara realizzò tre cose:
-primo, aveva scelto soggetto troppo esile e lo aveva indebolito troppo;
-secondo, era con le spalle al muro. Letteralmente;
-terzo, avrebbero fatto di lei quel che volevano. Ora avevano tutti i pretesti. Detestava quelle persone, odiava gli uomini e le donne nel salone, gli unici sopravvissuti in tutto l'ospedale. Non gli importava che lo facessero con leggerezza o meno... che fossero giustificati: la volevano sacrificare. Sapeva di essere a sua volta odiata e davvero, davvero capiva quell'odio. Ma non voleva morire. Sarebbe stata colpita dai detriti. Qualcuno l'avrebbe linciata. I suoi simili l'avrebbero catturata ed interrogata, scoprendo così che non condivideva i loro ideali. Anna l'avrebbe trovata.
-Non so difendermi-
Riuscirono ad afferrare da dietro l'infermiere. Provarono a tramortirlo coi pugni, poi lo soffocarono... Ma quello continuava: la sua mente era quasi spoglia ed ormai facile da manovrare. C'era solo sofferenza, immagini e ricordi felici e tristi.
Lo lasciò andare, osservando il suo corpo afflosciarsi tra le mani di altri due uomini. Lo stesero a terra con cautela.
-Non sono mai abbastanza decisa.-
La circondarono, tenendosi stretti.
-Non so mentire.-
Di nuovo l'uomo disarmato, che ormai pareva esser diventato loro leader, si fece avanti asciugandosi il sangue fresco dalle mani.
Sara non provò neppure a divincolarsi o chiedere pietà. Si coprì la testa con le braccia, scivolando in giù fino a rannicchiandosi contro il muro.
Nemmeno riusciva a farsi coraggio ed essere nobile, sacrificandosi per quella gente. Persone che avevano perso praticamente tutto. Lei era come loro: questa consapevolezza, non le dava pace... Ma a parte questo, non le importava più di tanto delle loro sorti. In ciò erano uguali. Indifferenti, egoisti. Lei e tutti gli altri. Volevano soltanto il meglio per sé stessi.
Sentiva le loro voci, ma non osava guardarli.
<<Io dico di tagliarle quella schifo di gola e buttarla nell'inceneritore.>>
<<No. Non siamo degli assassini. Dobbiamo solo costringerla ad andarsene.>> rispose la voce del leader.
Spaccale la testa!
Una ragazzina del genere...
<<Senti un po'. Ho sentito dire che quando stanno male, quelli più deboli non riescono ad usare i poteri. Per lo shock credo... o forse quando il dolore è abbastanza forte... non lo so. Però dobbiamo ferirla, secondo me.>>
Non può essere vero. Stanno parlando di lei come di un pezzo di carne... ancora.
<<Un dito... glielo amputiamo e via.>>
<<Ma è...>>
<<Hai visto cos'ha fatto a Dario?! Si meriterebbe anche di peggio.>>
<<No, basta una frattura non troppo lieve. O una slogatura>>
Si stava avvicinando.
-Non mi toccare.-
Il nerboruto uomo che poco prima aveva tentato di ragionare con lei si fermò per un istante, combattendo il suo potere. Le afferrò il braccio destro, sollevandola a forza. Continuò a tirare, finche Sara non fu in piedi. A questo punto la afferrò all'altezza dell'ascella, anche con l'altra mano. Le afferrò l'indice e lo tirò indietro fino a fargli toccare il dorso della mano.
Sara cominciò a gridare. Le urla si ridussero a mugolii disperati, mentre le altre dita venivano dislocate.
Alla fine cadde in un silenzio rotto soltanto dai suoi singhiozzi, dopo che l'ebbero lasciata scivolare a terra. Faceva un male cane, ma le lacrime che piangeva erano anche di sollievo.
<<Sicuro che basti?>>
<<Se esagerassi rischierebbe di svenire per il dolore. Non voglio abbandonarla tramortita in quell'inferno. Poi che si arrangi.>>
Un boato vicino. La terra tremò leggermente. Fu tirata su e rimessa in piedi.
Non sapeva come interpretare tutto quanto. Era più il senso di sconfitta a roderle. La rabbia di aver perso ancora una volta. Anche a far la stronza era un'incapace.
Qualcuno le afferrò la mano sana e la guidò gentilmente ma con fermezza.
Raggiunsero l'entrata dell'ospedale. L'infermiere muscoloso e disarmato le aprì la porta.
Sara fece due passi in avanti, senza parlare. Osservò l'enorme massa di auto in fiamme sparse per il parcheggio. I detriti erano ovunque, ma almeno ora avevano smesso di cadere. Tra di essi vecchi strisciavano a terra, donne ed uomini si cercavano tra loro, gridando per la disperazione. Bambini piangevano cercando i genitori. Avrebbe potuto tranquillamente carpire i loro pensieri, ma non le interessava particolarmente farlo.
<<Nessuno di noi può uscire illeso da questa storia. Non costringerci a farti seriamente male, ragazzina. Per favore, non tornare.>>
Si voltò verso l'uomo.
<<Come ti chiami?>> mormorò.
<<Davide.>>
<<Lo sai Davide...>> la mano dell'uomo si strinse attorno al suo stesso collo dietro ordine di Sara <<...che quella del dolore è una gran balla? La sofferenza rende i nostri poteri più difficili da controllare, ma li rafforza anche.>>
Gli altri si avvicinarono, minacciosi.
<<Avanti, prendetemi... e io gli spezzo il collo.>>
<<Ti prego, perdonami. Non è colpa di quelle persone, ma solo mia...>>
<<Sai cosa potrei farti, adesso?>> sibilò Sara.
<<Sì. E tu sai cosa avrebbero potuto farti loro. Se muoio sei spacciata.>>
<<Perché li hai convinti a mandarmi via!?>>
L'uomo la fissò grave:<<Te l'ho detto... non voglio... rischiare.>>
-Stringi- lui cominciò ad annaspare per un po' di fiato. Fece un passo verso di lei.
<<Perciò insomma non mi vuoi, sono un problema, ma ti faccio pena. Questo è il tuo regalo d'addio.>> si indicò le dita innaturalmente piegate e gonfie del braccio ingessato. L'uomo cadde in ginocchio, senza rispondere. Il suo viso era purpureo.
<<E questo è il mio.>> lo sguardo della ragazza si fece freddo come il ghiaccio.
-Smetti.-
Si allontanò in fretta, prima che potessero anche solo pensare di saltarle addosso.
Keeito osservò con gran pena i cadaveri dei suoi compagni. Non era colpa loro, non avevano scelto di accompagnarlo. La lama affilata di un macete era infilata nella sua bocca e gli stava lacerando parte della mascella. Se fosse stata spinta un centimetro più in là sarebbe morto.
<<Pare che oggi sia il vostro giorno sfortunato. Poveri piccoli bastardi.>> Due occhi rosso fuoco lo osservavano impietosi.
Non riusciva a credere a ciò che stava vedendo. Aveva percorso l'intero piazzale di fronte all'ospedale solo per trovarsi davanti questo spettacolo.
-Non ho nulla da fare qui-
Un ghigno spontaneo fece per presentarsi sulle sue labbra, ma lo trattenne. Pur non essendo umana, la sua educazione le intimava di mostrarsi tale, davanti a quello spettacolo.
-E' difficile opporsi a ciò che ti insegnano da piccola, anche quando si tratta di una marea di balle come l'educazione... o la religione.-
Sì, ora sapeva chi era stato a scriverle quel patetico messaggio di scuse: ricordava perfettamente la faccia paffutella del ragazzo. Tra i volti arrabbiati o divertiti, il suo era stato l'unico da lei scorto che avesse avuto una parvenza di senso di colpa. Lo aveva scorto prima di perdere i sensi.
"In cosa mi sono infilato?" dicevano i suoi occhi. Trovarsi davanti quel ragazzo, bloccato dalle lamiere di un'automobile, fece scaturire in Sara un'ilarità che nemmeno lei sapeva di avere... Ma appunto, solo per umanità e forse un po' per pena, decise di tenerla per sé.
<<Riesci a sentire le gambe?>> gli chiese mitemente, con una voce quasi cantilenante.
Prono e con ovvie difficoltà a muoversi, Filippo cercò lo sguardo della ragazza. Le lastre metalliche lo bloccavano a terra, impedendogli di muovere la parte inferiore del corpo.
<<P... Purtroppo sì. Fa un... male... cane.>>
Sara piegò di lato la testa ed i loro occhi si incontrarono. Normalmente tutto il corpo del violaceo assumeva la consueta colorazione violacea, capelli scurissimi ed occhi tendenti al bianco, ma c'erano delle eccezioni: i capelli di Anna o, come in questo caso le iridi di Sara, rimaste dello stesso verde smeraldo di quando aveva fattezze umane. In quel momento il giovane parve quasi ammirarle, con un'espressione di doloroso sforzo sul volto.
<<Io non sono abbastanza forte per sollevare queste lamiere. L'hai capito, vero?>> mormorò freddamente la ragazza. Il suo cuore aumentò i battiti.
Lui singhiozzò ed appoggiò la testa a terra.
<<Sa...>>
<<Non posso neanche chiedere aiuto all'ospedale, lì non mi vogliono ed io non voglio avere a che fare con loro.>>
<<Sara, ti prego... So che mi odi... ti ho fatto una cosa schifosa, ma... ma non... Non lasciarmi da solo, per favore.>>
Non riuscì più a trattenersi: la ragazza scoppiò in una forte risata isterica, resa stridula dalla spossatezza e dal dolore. Faceva quasi fatica a respirare, ma non riusciva a smettere.
-Non voglio lasciarlo.-
Rise ancor più forte, lacrimando e gemendo per il dolore alla mano.
<<Ah... ah... ahi tanto maleee, piccino? Vuoi che...>> prese fiato, ma solo per ricominciare a ridere <<...vuoi che ti stringa la manina mentre ti lamenti con quella vocina da checca?? Morirai qua e sc... scusami tanto se non voglio assistere.>>
Filippo la guardò con un consapevole terrore negli occhi.
<<Beh, hai un culo sfacciatissimo. La tua unica possibilità, sono io. Nessuno verrà a prenderti, poco a poco le fiamme ti consumeranno o le lamiere ti si fonderanno addosso. Ed il bello è che molto probabilmente sopravvivrai abbastanza da sentire tutto quello che succederà sulla tua pelle. Mentre si consuma, si stacca dal muscolo. L'odore della tua carne bruciatah... ah... ah.>>
D'improvviso smise di ridere e con un grugnito gli pestò una mano.
-Alzati-
Filippo gemette, guardandola incredulo, ma non si mosse.
<<ALZATI, MERDA AMBULANTE!>> urlò la ragazza.
Filippo spinse con quel che rimaneva delle sue gambe, gridando, e si trascinò sulle braccia.
<<Non po... non ce la fac... cio...>> Gli afferrò la mano cominciando a tirare. Sentì il ragazzo gemere per il dolore, e lo guardò agitarsi nel tentativo di liberare le gambe.
<<Striscia. Striscia Dai.>>
Lo vide agitarsi, inutilmente <<Vuoi crepare? Avanti, fai leva con quello che riesci a muovere... DAI!>> continuò a tirare ed effettivamente, vide il ragazzo muoversi in avanti, ma insieme ad un frammento di metallo che gli scivolava sulla schiena. Tirò con maggior vigore, ignorando le urla. Se ora lo avesse lasciato per cercare qualcosa con cui tener sollevato il frammento, molto probabilmente lo avrebbe abbandonato. L'adrenalina sarebbe andata a farsi benedire. Bastava tranquillamente come scusa... e lei era molto tentata. Ma Sara poteva camminare, almeno. Lui non aveva alcuna possibilità... Sarebbe rimasto solo con sé stesso. Lei lo avrebbe abbandonato, come aveva fatto la gente nell'ospedale.
<<Sara, ti prego non ci...>>
<<STAI ZITTO E SPINGI, CAZZO! MUOVITI!>> senza pensare gli offrì la destra. Filippo vi si aggrappò avidamente con la mano libera. Il dolore esplose, dalle dita dislocate e gonfie sotto la fasciatura di fortuna, fino all'avambraccio fratturato. Si espanse e raggiunse la spalla, il collo, il petto. I suoi muscoli erano al massimo dello sforzo e sotto di essi le ossa scricchiolavano e si separavano. Sentì il gesso sgretolarsi. Quello strazio la pervase fuoriuscendo come un grido disumano. Tutto si fece grigio, ma lei non smise di tirare... Poi qualcosa cambiò. Vide...
-Cosa?-
Perché era li? Credeva davvero che avrebbero urlato qualche insulto? Una stupidata per spaventarli. Già.
Gli altri violacei erano fuggiti, ma la ragazza dagli occhi verdi non aveva scampo: tremava e gemeva, terrorizzata ed inerme sotto la sassaiola. Poco a poco si strinsero attorno a lei, accompagnando i fischi e le risate con sassi. Uno di questi, delle dimensioni di una palla da bigliardo, la prese all'occhio. Cadde, coprendosi il viso coperto di lacrime e sangue. Si raggomitolò in posizione fetale.
Alcuni dei meno convinti si allontanarono alla vista del sangue, ma altri rimasero. Filippo non si mosse. Era congelato dall'orrore.
La presero a calci, godendo delle grida e delle suppliche. Non si fermarono.
I loro sguardi si incrociarono. Qualcosa entrò nella testa del ragazzino. Voleva solo che smettessero. Non solo questi... tutti quanti. Di vederla attraverso i suoi simili, la sua pelle. Di giudicarla. Di farle male.
La vide distendere il braccio verso di lui... poi qualcuno lo pestò con forza. Ci fu uno schiocco agghiacciante, l'osso si spezzò come un rametto. La ragazza si irrigidì e svenne.
Continuarono a colpirla. Qualcuno di loro aspettava con dei sassi più grandi. Troppo. Uno giocherellava con un coltello.
In lontananza Filippo sentì le voci del bidello e dei professori. Troppo distanti.
Si gettò in mezzo al gruppo, coprendo la ragazza. Un calcio lo raggiunse al fianco, strappandogli un grido.
'Levati'
'Muovi il culo o ammazziamo anche te'
Non si mosse. Il calore del minuto corpo della ragazza glielo impedì. Se avessero continuato, quel tepore sarebbe svanito. Lei sarebbe morta. Per colpa loro... e sua.
Filippo stesso urlò con la ragazza, puntando le gambe insieme a lei, mentre le sue scivolavano sotto il ferro rovente e irregolare.
Alla fine crollò a terra, libero. Gli arti erano contusi e tagliuzzati, ma scoperti.
Sara barcollò per un momento, prima di stramazzare di fianco a lui ansimando. Il braccio destro era una fornace pulsante che aveva il terrore di muovere.
<<Gra...>>
Si voltò, colpendolo con quel che restava del gesso.
<<SE CREDI CHE MI CAMBI QUALCOSA, NON HAI CAPITO UN CAZZO.>> strillò, più per il dolore che per la rabbia.
<<IO TI HO AIUTATO PERCHE' SONO UN'IPOCRITA, TU LO HAI FATTO PER LO STESSO MOTIVO.>>
Si tastò la faccia con la mano messa meglio. Era ricoperta di lacrime. Non le aveva neppure sentite. La benda era in parte strappata, ma copriva ancora l'occhio. Meglio.
<<"Perché ero lì?"... deficiente, mi fai vomitare.>> singhiozzò. Abbassò la testa, incontrando gli occhi del ragazzo. Si fissarono.
Sentiva le forze venir meno, ma non poteva permettersi di svenire. Si obbligò a respirare a boccate lente. Nel momento in cui sentì una parvenza di sollievo pervaderla, si alzò. Le ci volle un momento, con un solo braccio, anch'esso dolorante.
<<Aspetta...>>
<<Che cosa vuoi? Un grazie?>> gli sputò in faccia. Il ragazzo sobbalzò. Tentò di alzarsi.
<<D... dove vai?! Sei in uno stato pietoso... a... aspetta...>> mentre parlava la ragazza si era girata ed aveva cominciato a camminare. Continuò a parlarle, a chiederle di aspettare. Disse che voleva aiutarla.
Sara non ascoltò.
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