Capitolo I
Bip. Bip. Bip.
A lungo andare si diventa avvezzi alla maggior parte delle cose. Si stima che il tempo necessario a sviluppare un'abitudine sia come minimo di ventun giorni.
-Come minimo.-
Bip. Bip. Bip.
Ripeti i gesti, sviluppi manie, hobby, routine. Impari a riconoscere le persone, gli stimoli e le sensazioni. Odori, buoni e cattivi. Suoni e voci di casa, luci i gusti. Ti abitui persino all'odore delle scorregge ed al sentore molliccio della pasta scotta...
Bip.
Al dolore.
Bip.
Alla rabbia.
Bip.
Alla rassegnazione.
Per favore mi faccia entrare!
(Santo cielo...) Signore, per favore...
Ai pensieri non tuoi, che non puoi evitare di sentire.
A quel maledetto bip.
-Cos'è successo questa volta?-
Visto quanto spesso ci finiva, per quanto non regolarmente, sapeva di poter dare per scontati anche il letto non suo, la stanza asettica ed i reparti dell'ospedale. Aveva smesso di spaventarsi dopo la terza volta che ci era finita. Il fatto di non avere tubi a percorrerle la laringe aiutava.
Bip. Bip.
-Che palle però!-
Cercò di muoversi lentamente. Si sentiva pesante e dolorante un po' dappertutto. Era fasciata in più punti. L'avambraccio destro era ingessato e faceva fatica a muoverlo. Attese ad aprire i grandi occhi. La luce l'avrebbe bombardata, aumentando il dolore sordo che sentiva alla testa. Tra le altre cose, l'occhio sinistro bruciava intensamente ed emanava odore di alcol. Insieme a gran parte della faccia.
<<Sara?>> ... <<Cara, sei sveglia...?>>
Fece un grosso sforzo di volontà ed aprì gli occhi. L'occhio. Il sinistro era bendato.
Di fianco a lei, sguardo basso e dita intrecciate, c'era un'infermiera di cui ricordava vagamente il viso.
<<Come stai, Sara?>>
Si chiese come si sentissero i punching ball dopo essere stati utilizzati.
<<Ho mal di testa e tanta sete...>> mormorò la ragazza, roca.
<<Oh, ti porto subito dell'acqua! Senti... Normalmente non dovrei ma... E' venuto il tuo tutore, non mi molla da sta' mattina...>>
<<Lascialo entrare, o ti starà appiccicato peggio di un Big Bubble sotto il banco. >>
<<Ehm... Grazie di aver capito. E' leggermente asfissiante.>>
<<Già.>>
Imbarazzo.
<<Arrivo subito con l'acqua.>>
-Brava-
<<A... Aspetta, per piacere.>> la donna si voltò, esitante, verso di lei. Non sembrava molto felice di farle compagnia.
<<Sì?>>
Sara alzò il braccio sano ed indicò l'occhio bendato:<<Ve... Vedrò ancora?>> l'infermiera strinse le labbra e distolse lo sguardo, ma parlò con calma e con una spaventosa voce rassicurante:<<Bisogna aspettare che si tolgano le bende per verificare, ma speriamo in bene. Non so dirti altro.>>
La udì ciabattare fuori dalla stanza.
Sentiva un fastidioso ronzio nelle orecchie.
-Non voglio ricordare-
Come fossero ancora tappate dalla reminescenza delle urla.
Gli insulti... I sassi.
Il braccio calpestato, che si rompeva.
Gli sputi.
<<Ninetta... Ciao.>> Finalmente si girò e vide inumidirsi gli occhi scuri del giovane uomo appena entrato.
<<Ciao, Sem. Tutto bene? Leo?>>
Lui si avvicinò, posò un paio di libri vicino al letto e le prese delicatamente la piccola mano.
<<Noi stiamo bene. Tu che mi dici?>>
Meglio evitare il sarcasmo per adesso.
<<Ok... Io beh... Mi sono appena svegliata e sono dolorante. Quanto son messa male, a occhio?>>
<<Sei bellissima come sempre, Sara.>>
<<Tu invece stai proprio invecchiando male, lo sai?>> era più forte di lei. Sorrise dolcemente.
<<Perfida.>> lui rise. <<Fa tanto male?>> si schiarì la gola.
<<Nah. Beh, solo un pochino...>> mentì la ragazza.
<<Ho parlato con l'infermiera. Non possono darti dosi troppo alte di antidolorifico, per via del tuo fisico e beh... Non sanno nemmeno che effetto ti farebbero.>>
<<Sono diventata tanto gracile?>>
<<Un po'.>>
Mentre parlavano arrivò l'infermiera con un paio di bottigliette in mano. Le posò su di un tavolino vicino al letto, sorridendo ma facendo ben attenzione a non guardare Sara negli occhi.
Cos'hai, ti fa schifo?
<<Semir...>> borbottò, quando la donna uscì.
Lui sobbalzò, facendola sentire leggermente in colpa. Non si era ancora abituato.
<<E' che... mi da fastidio. Capisco l'imbarazzo, ma nemmeno guardarti...>>
<<Pensa quanto fastidio da a me.>>
Semir sospirò, scuotendo la testa.
<<Allora... dov'è Mr. Simpatia?>> chiese Sara.
<<Leo era furioso quando ha saputo. Io pure. Abbiamo i nomi di quasi tutti i responsabili. Pagheranno un bel risarcimento, la scuola ed i genitori. Ora lui è di sotto, dice di non volerti disturbare...>>
La ragazza fece spallucce.
<<Quanto tempo è passato?>>
<<Mentre eri...? Due giorni... e resterai ancora un po', direi.>>
<<Oh, fantastico. Salto pure la scuola! E poi coi soldi che ricaverete voi due mangeremo fuori per due mesi...>> ridacchiò, sforzandosi di apparire più infantile possibile.
<<Ma anche no...>> Semir sorrise mestamente, sistemandole una ciocca dei lisci capelli castani. Poi le diede un buffetto sulla guancia.
<<Il mondo là fuori?>>
<<Va avanti zoppicando.>>
<<Oddio, stai davvero invecchiando.>>
<<Può darsi.>>
Risero ancora, prendendosi in giro come amavano fare di continuo. Semir non disse nulla sul fatto che Sara avrebbe cambiato scuola, ma ci rimuginò sopra molte volte, sapendo benissimo di essere sentito. Alcune cose riusciva a comunicarle meglio così.
Quando se ne andò la ragazza si ritrovò sola nella stanza vuota, la cui quiete era disturbata solamente dai suoni delle apparecchiature. Cominciò a percepire una lieve malinconia.
Gli infermieri passavano a controllare regolarmente, ma per il resto era stata abbandonata a sé stessa. Non che le dispiacesse: Semir era tanto assillante quanto amorevole. Lui e s
Sara erano entrambi insicuri e, come dire... Si "trovavano"? Le ricordava sua nonna, anche se meno gentile e con tutta la goffaggine che poteva avere un giovane uomo costretto a badare ad una sedicenne, soprattutto come lei.
E che dire di Leo... Tutto il contrario, probabilmente. Piacevole come può esserlo un riccio, schivo e riflessivo. Sensibile e debole al punto di non poterla vedere convalescente senza star male. Lei e Sem lo definivano il filosofo mancato. Però, di norma le stava vicino sia nei momenti felici, sia quando i suoi compagni le davano problemi... O quando lei ne creava a loro. Lui e Sem erano il meglio che potesse trovare, così com'era. Inoltre, lei non era certo stata una santa. In certi momenti sentiva di meritarsi la nomea di mostro che spesso le veniva affibbiata. Covava rabbia e odio e non li sfogava più per paura delle ritorsioni che per altro... Tranne quel giorno...
Chiuse gli occhi.
Questa volta però, non aveva fatto niente. Non che le servisse far qualcosa per essere maltrattata: non si faceva più simili illusioni... Ma essere presa a sassate il primo giorno di una nuova scuola, da persone che non conosceva, poteva essere un fatto piuttosto irritante.
Capiva. Ecco il problema.
La rabbia di quelle persone era in parte motivata.
Sapeva degli attacchi terroristici perpetrati dai suoi simili. Erano una razza senza nome, arrivata da troppo poco tempo per essere accettata dall'homo sapiens sapiens. Alcuni, la maggior parte in realtà, erano arrivati dallo spazio. Non avevano spiegato né come, né da dove. Altri, come Sara erano semplicemente mutati, abbandonando l'aspetto precedente.
Erano state fatte teorie sull'origine degli esseri alieni, sul perché alcuni di loro fossero inconsapevolmente mescolati alla razza umana. Nessuna delle due parti era sicura, e l'ostilità che le aveva divise fin da subito non aveva aiutato.
Sapeva di apparire diversa, strana e pericolosa, agli occhi degli uomini comuni: per anni aveva vissuto come loro, con l'aspetto di una normale ragazzina. Un cliché di ragazza, a dire il vero. In pratica era una piccola Harry Potter aliena.
Poi era cambiata. Non era stato per niente piacevole, né fisicamente, né moralmente. Il lato positivo? Beh, adorava il viola scuro della sua pelle. Gli occhi abnormi, dalle sclere nere la rendevano un po' inquietante, ma adesso vista ed udito erano molto più sviluppati rispetto alle altre persone. Era più resistente, ma non certo indistruttibile. La sua gracilità restava. C'erano altre caratteristiche a contraddistinguere i suoi simili, come la capacità di volare e creare campi elettrici, ma erano molto meno diffuse ed ovviamente lei non le possedeva... Bla bla bla. Il pezzo forte? Leggeva nel pensiero!
-Non proprio.-
Ok, beh... in realtà percepiva i pensieri quando venivano formulati, le emozioni (le più intense), le opinioni più palesi. Le percepiva più come un'onda sonora che come qualcosa di scritto. Sapeva spingere le persone a fare certe azioni, anche dolorose, ma ci riusciva solo quando era parecchio arrabbiata e con una persona alla volta. Non le piaceva farlo... non sempre almeno.
Ah e niente più mestruazioni. Erano cessate subito dopo il cambiamento fisico. La sotto era uguale, anatomicamente parlando, ma i suoi processi biologici erano cambiati. In teoria poteva controllarne lei stessa le meccaniche, ma non aveva ancora imparato a farlo. Alcuni dei "senza nome" non mangiavano: potevano benissimo assimilare i nutrienti per fotosintesi, dall'aria, dagli altri esseri umani... Lei si ostinava a mangiare e bere per abitudine (e per non sentirsi troppo esclusa), ma non espelleva nulla. Aveva incontrato altre persone che come lei si erano tovate sconvolte dal cambiamento, e membri pacifici della sua razza. Persone che desideravano semplicemente uniformarsi e vivere in pace sulla terra: non erano poche. Le avevano spiegato che il loro aspetto -a parte il colore della pelle e la forma degli occhi- cambiava a seconda della percezione di sé che avevano. Insomma, lei era confusa e non poco.
In lontananza si sentì un boato, seguito da un allarme.
Di recente c'erano stati parecchi attacchi: bombe, omicidi e rapimenti. Le violenze avvenivano da entrambe le parti, ma la razza senza nome aveva dato il suo peggio. Da mesi ormai un gruppo di estremisti si era distinto per atti di terrorismo e propaganda anti-umana.
Il peggio era che Sara era quasi sicura di conoscerne il leader.
Un altro botto.
-Non qui. Non qui. Non qui. Non adesso. Voglio solo dormire, per favore...-
Non ci fu seguito. Qualcosa di isolato, probabilmente. Sperava di sì. Proprio mentre tirava il fiato e si apprestava a farsi un'altra dormita, il suo cellulare squillò, riaccendendo il suo sopito mal di testa.
Doveva averlo lasciato Sem.
Lo cercò a tentoni con il braccio sano. Non era mancina, ma per controllare le chat poteva bastare.
Chiamate e messaggi di Leo e Sem, di prima che sapessero dell'incidente, catene whatsapp e gif dai vecchi compagni ed amici di scuola. La sempre aperta conversazione in chat con Cisco... lui era suo amico da prima che mutasse. Era rimasto tale. Dovevano averlo informato, perché le aveva mandato una decina di messaggi dal tono preoccupato ed ansioso. Gli ultimi erano raccomandazioni di buona guarigione. Sorrise affettuosamente e fece scorrere la schermata a tendina.
Due messaggi da altrettanti numeri sconosciuti.
Aprì la prima chat, sospirando.
"Sono Filippo, un tuo... beh, compagno. Io ero con gli altri, a scuola... mi avevano detto che volevano scherzare: qualche minaccia per spaventare, dei petardi... niente di... mi dispiace. Tantissimo, davvero. Ho chiesto il tuo numero ad uno dei tuoi tutori... il tipo serio con la faccia triste. Stava per mandarmi via, ma poi gli ho detto che volevo scusarmi.
Sara... Credevo che avrebbero urlato solo qualche stupidaggine ma non mi aspettavo che ti facessero questo..."
Fece un respiro profondo. Canalizzò la rabbia.
Digitò: "Faccio parte di un progetto per l'inserimento di quelli come me a scuola. Il programma includeva quattro ragazzi in tutto. Loro come stanno? Hai scritto a loro le stesse cose?"
Dopo qualche minuto di attesa il proprietario del numero lesse. Sara non aspettò la risposta ed aprì la chat successiva. Era di due minuti fa.
"Come stai? Non posso scrivere molto ma... Possiamo parlare? Usa pure questo numero, per ora."
Chiuse la conversazione senza rispondere. Almeno l'altro si era degnato di presentarsi, pensò irritata.
Una notifica.
"Non ho scritto le stesse cose... Loro sono messi abbastanza bene. Hanno bersagliato te per prima... Una è riuscita a nascondersi, e gli altri due si sono difesi. Quello che ti hanno fatto è orribile..."
"Avete fatto. So leggere: c'eri anche tu."
"Sì, hai ragione. Mi dispiace."
"Non voglio la tua ragione, e nemmeno le tue scuse. Puoi ficcarti entrambe nel culo e spingere bene a fondo. Non cercarmi MAI più. FIGLIO DELLA MERDA."
Chiuse la chat digrignando i denti e facendo di tutto per trattenersi e non lanciare via il telefono. Era arrabbiata. Voleva aver davanti a sé il viso di quel tipo, per poterlo distruggere a suon di pugni.
Ci fu un altro boato.
Arrivò un messaggio, dal secondo numero.
"Vattene subito da lì. Trova un sotterraneo solido o un rifugio e chiuditici dentro. ORA. Nasconditi, o potrebbero usarti come ostaggio."
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