Prologo
"Bisogna assomigliare alle parole che si dicono.
Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti"
Stefano Benni, "Saltatempo"
PROLOGO
Il mio Vec viaggiava ad una velocità che pareva quasi impossibile, tanto che tutto, oltre le pareti trasparenti della bolla, era una macchia sfocata.
Il rosso e l'ocra del deserto si confondevano attorno a me come in un sogno, mentre la spia del pilota automatico lampeggiava a pochi centimetri da me. Ogni volta che la guardavo la mia frustrazione aumentava, così come il desiderio di disattivarla e accelerare.
Magari l'unica cosa che avrei ottenuto sarebbe stato risparmiare qualche minuto, ma almeno mi sarei tenuto occupato con qualcosa.
Mi infastidiva il fatto di avere il mio futuro a portata di mano e non poter fare nulla in prima persona, come ad esempio prendere i comandi di quel Vec ed essere io a guidare quel veicolo a Las Vegas, non lui a portare me. Il problema era che non sapevo la strada, quindi meglio attenermi ai comandi pre-impostati e tanti saluti.
Tremavo sulla poltrona come se fossi febbricitante.
"Calmo, Quis. Stai calmo" mi dissi "manca poco ormai."
Giocherellai per un po' con il portachiavi del telecomando del Vec, una sferetta con dentro una fiamma perenne ad imitazione del Fuoco Sacro di Logos.
Dozzinale, ma andava bene lo stesso.
Alla fine mi stancai e tirai fuori dalla borsa la mia logora copia di "Teoria del gioco I: poker, tresette e roulette, valori elementari." ed iniziai a leggerla a partire da una pagina a caso, in uno dei primi capitoli: "... Il mistero del Gioco può essere spiegato solo con l'estrema benevolenza di Logos, che permette alla fortuna di noi semplici umani di garantirci una ricompensa da parte sua. Dio ci premia nella misura in cui i Giocatori si dimostrano abili, per questo i Giocatori stessi..."
Roba da bambini, lo ammetto, ma quello era stato uno dei miei primi libri e lo consideravo una specie di talismano.
Neppure un oggetto così familiare mi era d'aiuto, in quel momento, così lo misi via dopo pochi minuti, non senza prima aver accarezzato, come facevo sempre, la frase incisa all'interno della copertina: "che la tua parola sia legge".
Da quello che mi hanno detto, fin dalla prima infanzia ho fatto le cose in grande. Ricco, bello, intelligente, dicevano tutti, come in un coro.
Insomma, ero sempre stato un ragazzo fortunato. Non abbastanza, però, da poter fare il Giocatore.
La cosa tutto sommato non mi dispiaceva, perché sentivo che Logos mi aveva riservato un percorso tutto mio, che solo pochissime persone potevano sperare di portare a termine: sarei diventato Teorico del Gioco, e quel giorno, partendo, avevo fatto il primo passo verso il mio obbiettivo.
Mi sporsi in avanti, quasi schiacciando il naso contro la sezione anteriore del vetro, cercando di avvistare la città all'orizzonte. Finalmente le sue luci, i suoi colori, le sue dimore immense, i lussureggianti giardini dentro al Cubo. Ma soprattutto il suo Gioco, il Grande Gioco che si intrecciava al destino di ogni grande uomo.
La mia meta era Las Vegas, la capitale del mondo. Ed ero quasi arrivato.
EDIT: A causa della lunghezza di alcuni capitoli (e dell'asimmetria che presentano rispetto a tutti gli altri che ho pubblicato su Wattpad) cercherò di spezzarli in modo che risultino il più uniformi e il più fruibili possibile. Non spaventatevi se compaiono capitoli a muzzo e non mi picchiate, vi voglio bene :*
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