CAPITOLO 7
LA DEA CRUDELE
Dopo aver percorso una ventina di tunnel nostalgicamente spettrali, sbucammo sul fondo di quella che, dalla mia prospettiva, appariva come una torre a cielo aperto.
Scalammo le pareti del pozzo grazie ad una scaletta, che sarebbe stato più adeguato definire "pioli arrugginiti di metallo conficcati dentro ad un muro".
I muri di mattoni a vista non conoscevano la pioggia né il viscidume, ma non per questo erano esenti dalla sporcizia. Lì in fondo, con la mia camicia bianca a maniche corte, sentivo il freddo ombroso solleticarmi la pelle.
Fummo contenti quando sbucammo al sole pomeridiano, o almeno, io lo ero, mentre per Matilda la cosa non parve fare la minima differenza. Non riuscivo a capire come i suoi abiti sembrassero appena usciti dal negozio mentre i miei erano sgualciti e macchiati.
Il giardino di Matilda, come tutti i giardini cittadini, era molto piccolo e racchiuso fra due mura cieche, l'entrata e l'uscita della casa. Non possiamo eccedere in dimensioni, quando si tratta di vegetazione: sarebbe problematico innaffiare tutti i giorni un'estesa porzione di terreno, in città, anche se so che in alcune Accademie si sta studiando un modo per utilizzare l'acqua tramite la parola.
Matilda corse immediatamente ad arrampicarsi su un vecchio olivo, in modo molto poco signorile, accomodandosi su uno dei rami più bassi e più larghi, così sviluppato in orizzontale da poter fungere da panchina.
«Siamo stati fortunati che nessuno ci ha visto uscire, a quest'ora.» disse Matilda, ridacchiando «Beh, in fondo fa parte del gioco! Perché te ne stai piantato in mezzo al giardino? Siediti, no?»
Ci misi qualche secondo a capire che voleva che la raggiungessi. Mi chiesi se sarebbe stato come fare arrampicata nella palestra del Liceo.
Un attimo dopo ero su uno dei rami più grossi e meditavo di salire ancora più in alto.
Soltanto quando arrivai dove davanti a me c'erano solo ramoscelli sottili, venni riscosso dalla voce di Matilda: «Perché sei finito fin lassù?»
Mi lasciai scivolare con agilità tra le foglie finché non le arrivai accanto e mi sedetti a mezzo metro da lei, ritenendola una distanza conveniente, mentre lei mi guardava perplessa.
«Non ero mai salito su un albero» spiegai «è divertente!»
«Davvero? Ma tu non abitavi in campagna?»
«Certo, ma io sono il nobile locale, non mi è mai venuto in mente di fare una cosa del genere, e, se anche avessi voluto farlo, non credo che me l'avrebbero permesso.»
«Com'è la vita fuori di qui? Scommetto che hai viaggiato un sacco!»
«Veramente in diciott'anni di vita non ho mai messo piede fuori dalle colline. Se si vuole qualcosa di veramente diverso bisogna andare nelle città!»
«Davvero?» Matilda aggrottò la fronte «Suppongo che tu abbia ragione...io non sono mai uscita nel Cubo esterno, le cose interessanti di cui parli devono essere lì.»
Vedevamo le cose perfettamente al contrario, allora: io avevo sempre pensato che la parte più degna di nota fosse quella dove viveva lei.
«In che Gilda giochi?» le domandai.
«In quella del Topo.» per qualche motivo, nel suo sguardo lampeggiò una strana luce e sul suo viso si allargò un sorriso furbo «Sai da dove derivano i nomi delle dodici Gilde?»
«Veramente non ci avevo mai riflettuto su.»
«Si dice» iniziò, dandosi delle arie da chi ne sa una più del diavolo «Che abbiano gli stessi nomi dei segni zodiacali di una civiltà dimenticata» abbassò la voce, come se volesse rivelare un segreto «O addirittura aliena! Nessuno sa quale sia la verità. Io so questa cosa perché ho sentito il Maestro che ne parlava con il signor Xeno.»
«Tu pensi che gli alieni esistano?»
«Altroché! Anzi, magari gli alieni sono già arrivati sul nostro mondo e ci controllano a nostra insaputa...a proposito, sai che l'antico zodiaco va studiato dai Teorici del Gioco?»
«Ma cosa c'entra col Gioco?»
«Oh, c'entra un sacco! La corrispondenza tra segni zodiacali ed elementi determina i passaggi di fortuna da una Gilda ad un'altra, e può determinare la volontà di Logos riguardo l'umanità.»
«Credevo che questo si potesse stabilire soltanto attraverso le partite: non ci sono già abbastanza casistiche da interpretare così? Se si pensa che una sola carta giocata in un certo modo può significare abbondanza di raccolti per un tot di tempo in una specifica zolla di terra...se si aggiungono altre variabili diventa un lavoro impossibile!»
Davvero avrei dovuto studiare tutte quelle cose? Ora avevo capito perché solo i migliori diventano Teorici del Gioco, non bastava essere uscito dal Liceo col massimo dei voti, essere stato il capitano della squadra di Mister X del villaggio o aver ricevuto il maggior numero di Lettere di Matrimonio da parte dei padri delle ragazze nobili di tutta la regione. Bisognava essere speciali davvero, e io dovevo esserlo, anche se in quel posto mi sentivo solo un imbranato.
«E tu dovrai impararle tutte!» cantilenò infatti Matilda, prendendomi in giro. Poi iniziò a frugare nella sua borsetta e, sistemandosi meglio sul ramo in modo da poter staccare entrambe le mani senza perdere l'equilibrio, si accese una sigaretta.
«Ne vuoi una?» mi tese il pacchetto con l'espressione innocente di chi non pensa di fare altro che un gesto di generosità.
«Ehm...no, grazie.» mi ritrassi, e per tutta risposta lei si avvicinò.
«Guarda che non fanno male.»
«Di questo non ne sarei poi tanto sicuro...» ancora qualche centimetro più in là, spostandomi lungo il ramo.
«Per una non ti succede niente. Avanti!»
Per istinto mi misi le mani davanti al viso, come difesa.
«Ahhh!» sentii le mie gambe perdere la presa sul ramo, mentre scivolavo all'indietro, e durante il secondo in cui avvertii che stavo cadendo provai il curioso impulso di mettermi a piangere e ridere nello stesso tempo.
Un paio di minuti dopo ero di nuovo sul ramo, tutto dolorante, e mi accingevo a dare la mia prima boccata.
Cercando di imitare Matilda, presi la sigaretta tra le dita e aspirai.
Ebbi la sensazione che qualcosa mi fosse andato di traverso, mentre tossivo come un tisico e le lacrime mi salivano agli occhi.
Matilda rise.
«Cosa fai nel tuo tempo libero?» ormai mi immaginavo festini, folli corse automobilistiche nelle parti più malfamate della città, loschi individui...tutte cose che mi sembravano adatte a lei, ma decisamente inverosimili, dal momento che le Gilde non le avrebbero certo permesse.
«Beh, Gioco o dormo e, quando ho un po' di tempo libero, scendo ad esplorare i livelli sotterranei, altrimenti...vieni, ti faccio vedere.»
Scese dall'albero con un balzo e si incamminò verso la porta di casa sua.
L'abitazione non era di grandi dimensioni, e come in tutte le case di chi viveva in condizioni decorose, i passaggi da una stanza all'altra erano chiusi da pannelli scorrevoli di carta di riso, che coprivano tutta la parete.
Matilda mi fece vedere un salotto arredato con mobili moderni in tinte fluorescenti. Era un ambiente piuttosto eccentrico, visto e considerato che come sfondo per quel divano verde acido e per il tavolo giallo evidenziatore c'erano muri completamente ricoperti di mappe e cartine, anch'esse stampate o dipinte in improbabili colori. Mi chiesi se al buio il tutto si illuminasse.
Matilda però non indugiò nella sala, e, violando tutte le regole dell'educazione che volevano che gli ospiti, a meno che non fossero amici intimi, non entrassero nei quartieri padronali, fece scorrere la parete opposta alla porta di ingresso.
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