CAPITOLO 3
IL SOGNO
Quella notte non riuscivo a dormire e mi rigiravo nel letto senza posa, senza sapere nemmeno io a cosa pensassi, in uno stato di frenetico dormiveglia.
Ad un tratto mi sollevai a sedere sul letto, madido di sudore e con in gola un curioso misto di sorpresa e terrore, mentre il mondo attorno a me ondeggiava come se si stesse per sgretolare. Un lampo mi ferì gli occhi e ricaddi sulla schiena, immobile. E sognai.
C'era mio padre e c'era il vecchio che avevo visto con Matilda.
Erano nel salotto della mia nuova casa – nella mia casa di Las Vegas, quella in cui avrei vissuto da lì in avanti – ma l'ambiente era colorato nella maniera sbagliata: tutto era cupo, i muri, che pure sapevo bianchi, erano talmente adombrati da sembrare neri. Il tappeto e le tende avevano perso il loro caldo colore scarlatto e si adagiavano cupi, inerti, al loro posto. Tuttavia, fuori dalla finestra, c'era il sole. Un sole lontano ma brillante, i cui raggi però non riuscivano a tagliare la spessa oscurità della stanza.
Il fuoco borbottava nel camino, non con il suo solito crepitare, ma con uno schiocco più basso, fondo.
Mio padre era seduto su una poltrona, rilassato: «Non è colpa mia.» stava dicendo. Il suo tono era quello di una persona che ribadisce un concetto ovvio, e non di chi si sta difendendo da un'accusa.
«Io so perché hai portato qui tuo figlio.» la replica dell'altro, seppur mormorata, si propagò come un urlo vuoto, come un rintocco di campana per tutta la stanza, finché non colpì gli angoli del sogno. I lembi dell'immagine iniziarono a scivolare via, divorati da un tarlo invisibile.
Il fuoco ondeggiò e si riversò fuori dal caminetto, strisciando fino ad arrivare a me.
«Vedi» mi disse, con una voce che era tutte le voci del mondo «Il guaio è che certe cose non esistono, e sono le cose più importanti di tutte.»
Mio padre e il vecchio si voltarono verso di me, ma incontrai i loro occhi stupefatti solo per un breve istante, prima che tutto sparisse, non come se la poca luce che c'era fosse scomparsa, ma come se non ci fosse più niente. Come se non ci fosse mai stato niente.
Il fuoco spumeggiò per un attimo fino a trasformarsi in una fugace immagine di Matilda, che si disintegrò sorridendomi in una tempesta di fiamme cadenti.
Poi fu solo il buio, e nel buio quelle parole: «Io so...perchè...hai portato qui...tuo figlio!»
Quando aprii gli occhi, la prima cosa che vidi, ancora una volta, fu il viso di Matilda, e, nel momento in cui mi accorsi che quella che avevo davanti ora era reale, in carne ed ossa e non fatta di fiamme, urlai.
«Sono così brutta?» mi domandò la ragazza, mentre la sua espressione concentrata svaniva e diventava delusione.
«N-no, è che mi hai spaventato.» mi resi conto di quanto sembrasse patetico, perciò rilanciai «Insomma, non mi aspettavo di trovare te qui. Chi ti ha fatto entrare in casa?»
«Tuo padre.» disse Matilda lasciando che sul suo volto apparisse il suo caldo sorriso. Le sue parole mi riportarono bruscamente alla mente tutti i dettagli del sogno e provai un forte senso di inquietudine, chiedendomi per l'ennesima volta cosa volesse mio padre da me «È stato molto gentile. Sbrigati, che è tardi.»
«Tardi per cosa?»
«Per niente, in realtà abbiamo tutto il tempo.» disse la ragazza, facendo spallucce «Però suonava bene, ecco...»
Sbattei gli occhi, spiazzato, poi rinunciai a capirla. Non era normale, forse era per questo che mi piaceva.
Uscimmo in giardino. L'aria primaverile era davvero piacevole, ma in realtà sapevo bene che era tutto simulato: erano gli addetti all'areazione a decidere la temperatura, e se non avessimo avuto i calendari sarebbe stato impossibile per loro stabilire se quella fosse davvero la primavera.
Solo in quel momento notai che Matilda indossava un prendisole di un accecante arancione.
«Dove vuoi andare?» chiese, stranamente esitante, come se non fosse stata del tutto sicura di fare la domanda giusta.
«Alle sale di magnetite, credo.» replicai, pensieroso «Non ne ho mai vista una.»
«Sei fortunato che qui mi stimino tutti.» disse Matilda, senza riuscire a risultare sussiegosa quanto piuttosto allegramente sfrontata «Non tutti ci possono entrare, lì. Potrebbe essere pericoloso, e comunque ognuna è dedicata ad una particolare attività, quindi ti conviene sceglierne una: tutte certo non le possiamo visitare.»
«Penso che mi piacerebbe visitare gli orti. Sono vissuto in campagna, mi chiedo sempre se le colture intensive qui in città siano differenti.»
«Lo vedrai. Gli orti sono la parte che preferisco!»
Detto questo, si avviò saltellando e spalancò la porta alla fine del cortile. Quella che conduceva fuori.
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