CAPITOLO 17

«Forse dovremmo salire su uno di questi scogli ad asciugarci e a riposarci.» mi sembrava di non parlare da molto tempo, eppure le mie elucubrazioni non dovevano essere durate a lungo «Non è escluso che passi una nave.»

Montai sullo scoglio e diedi a Matilda una mano per arrampicarsi; da lì si aveva un'ottima visuale, anzi, lo scoglio sembrava essere stato eretto a protezione di una piccola isola fiorente, senza altri segni di vita, da quello che si poteva vedere, a parte le piante, appena sotto di noi, come tutti gli scogli disposti lì attorno a mo' di corolla.

«Secondo te dove siamo, esattamente? Ci saranno città o villaggi nei paraggi?» domandai a Matilda, dato che lei ne sapeva sicuramente più di me, quanto a geografia «Il cielo è così terso che laggiù si vede spuntare una striscia di terra, ma dubito che potremmo arrivarci a nuoto, e quest'isola pare disabitata.»

«Mmh, non so» fece lei, dubbiosa «non mi pare che nei grandi mari caldi ci siano posti del genere: lì non ci sono isole. Non so perché, ma pare che non ci siano mai state né che possano esserci, secondo quello che dicono gli studiosi. Io però stavo pensando ad un'altra cosa: come fanno a soccorrerci con una nave, se questa è sigillata?»

«Ma se qui si respira! Le navi le sigillano per via dell'atmosfera, e comunque potrebbero sempre venirci a prendere con delle tute ermetiche...»

«Magari non siamo veramente su Terra. magari ci hanno rapito gli alieni e noi nemmeno ce ne siamo accorti!»

«Questa è la teoria più assurda che potessi concepire.»

«Chi siete?» la testa di una donna splendida emerse dall'acqua. I capelli sembravano fatti di perle, tanto erano luminosi, gli occhi verdi brillavano in sintonia col leggero sorriso della bocca color ciliegia. Forse la stavo guardando un po' troppo intensamente, perché Matilda si sentì in diritto di tirarmi un coppino.

«Io sono Matilda e lui è Quis.» rispose lei per me.

«Avete fatto naufragio?» domandò la donna, interessata.

«In un certo senso.» dissi io.

«Sorelle, venite qua!» chiamò la giovane, voltandosi.

La spuma attorno agli scogli si increspò e da essa fecero la loro comparsa altre due bellissime donne, una con i capelli di un rosso così intenso che guardarli feriva gli occhi, l'altra con degli occhi blu elettrico che se non fossero stati su un viso così grazioso mi avrebbero spaventato.

«Voi chi siete?» domandò Matilda con interesse sfacciato, irriverente e irresistibile come sempre. In realtà pensavo che sarebbe stato meglio farsi aiutare da loro, o chiedere se passava qualcuno di lì, ogni tanto, per poter essere soccorsi, che stare a chiacchierare amabilmente sugli scogli, ma le ragazze partirono in quarta:

«Veramente non lo sappiamo nemmeno noi.»

«Com'è possibile? Avete perso la memoria, o...»

«No, non è per questo, di memoria ne abbiamo fin troppa, e da migliaia di anni! È a causa della straordinaria quantità di leggende e confusione che circolano sul nostro conto.»

«Non credo di capire il nesso tra le due cose.»

«Vedi, a volte ci chiamano sirene.» spiegò quella che era stata la prima delle tre ad apparire, facendo affiorare dall'acqua una coda da pesce anziché un paio di gambe.

Trasalii. Che razza di creature erano quelle? A questo punto chiedere indicazioni divenne il mio ultimo pensiero, e non ce ne sarebbe stato il tempo comunque, visto che la giovane sembrava volere a tutti i costi dimostrarci cosa voleva dire vivere nei suoi panni.

«Altre volte ci chiamano arpie.» spiccò il volo senza preavviso, lasciando solo una piuma galleggiare a pelo dell'acqua, e si librò nell'aria, stagliandosi controsole, cosicché sembrava soltanto una sagoma scura contro il cielo senza nuvole, azzurro intenso come mai ne avevo visti.

«Spesso» riprese, dopo essersi tuffata in picchiata nell'acqua senza sollevare nemmeno uno schizzo «Siamo le cattive della favola, e uccidiamo.»

Fece un gesto con la mano, come se stesse chiamando qualcuno, anzi, come se stesse tirando in secca delle leggerissime reti.

Con un lieve sciabordio qualcosa si incuneò tra gli scogli ed entrò in quella cerchia protetta. Era un uomo agonizzante, forse un marinaio o qualcosa del genere.

Osservai con orrore la donna chinarsi su di lui come per sussurrargli qualcosa all'orecchio e accarezzarlo. Quando si sollevò, l'uomo non si muoveva più.

Lei lo prese con delicatezza e lo rimandò da dove era venuto, lasciando che si inabissasse tra i flutti come un vecchio relitto, che merita un'onorata sepoltura nel mare che ha sempre solcato.

Almeno quello sconosciuto, prima di morire, aveva visto qualcosa di bello.

«Ogni tanto dicono di noi che siamo buone. Ci sacrifichiamo per amore...» una delle sue sorelle fece il gesto di morire, si dissolse e riapparve dalla schiuma «...o siamo simbolo di augurio e buona sorte.»

«Non sono però solo le nostre sfere di competenza a essere controverse: neppure sappiamo i nostri nomi. Chi può sapere se io sono Telete o Partenope?»

«Per non parlare poi della nostra provenienza! Qualcuno dice che siamo nate dalle Muse, e qualcun altro dice che sono state proprio le Muse a ridurci così, a essere ibridi!»

Quel nome mi suonava stranamente ridicolo e dovetti trattenermi per non ridacchiare, chiedendo invece: «Cosa sono le Muse?»

Le donne si scambiarono uno sguardo perplesso: «Sono divinità, cos'altro, altrimenti?»

Fu il turno mio e di Matilda di lanciarci occhiate confuse. Di divinità ce n'era una sola, lo sapevano tutti!

«Ma c'è un unico Dio!» protestai con convinzione, e quando vidi l'espressione sconcertata delle giovani continuai: «Voi non credete che Logos sia l'unico Dio?»

A questo punto tutte e tre scoppiarono a ridere, come se avessi fatto una battuta così poco divertente da dover essere compatita con una risata.

«Logos? La Ragione? Ah, quello batte sempre la fiacca e non c'è mai negli uomini, quando serve! Bella divinità affidabile che avremmo, se fosse lui a sedere sul trono d'avorio!»

Strabuzzai gli occhi. Avevo la netta impressione che io e quelle creature parlassimo lingue diverse e senza punti di contatto.

«Cos'è il trono d'avorio?»

La ragazza dai capelli rossi parve capire improvvisamente qualcosa e trasecolò «Stranieri» urlò senza alzare la voce «da dove venite, voi che non conoscete i nostri dèi?»

«Da dove venite voi, penso.» dissi io, incerto, anche se iniziavo a chiedermi se la teoria di Matilda sugli alieni non fosse giusta: in tutto il nostro pianeta si venerava Logos, e come avrebbe potuto essere altrimenti, quando c'era un Dio che parlava agli uomini, che diceva loro a cosa credere, cosa fare, come comportarsi, e dava loro prova della sua esistenza? Non era neppure un Dio crudele: ci aiutava, ci premiava, e in cambio pretendeva soltanto che alcune persone si riunissero per giocare d'azzardo. In realtà, questi pensieri li formulavo solo ad uno stato embrionale: prima di allora non avevo mai preso in considerazione l'idea che si potesse credere in altri dèi, e l'idea di un confronto era semplicemente ridicola «Da un posto di nome Terra.»

«Voi vi burlate dei numi.» esclamò la ragazza dagli occhi blu «Siete esseri senza legge! Volete dunque rinnegare Zeus?»

Matilda sobbalzò e, non tanto impaurita quanto colta di sorpresa, iniziò a far vagare lo sguardo sul mare, come se l'intera discussione non le interessasse. Ma nel momento in cui i suoi occhi incrociarono i miei li vidi brillare, concentrati.

«Io non so manco chi o che cosa sia questo Zeus!» dissi sulla difensiva.

Le ragazze lanciarono un urlo sgomento e con un che di belluino «Padre Zeus, perdonali, non sanno quello che dicono! Perdonaci e non scatenare le tue folgori su di noi! Ti sacrificheremo i cinquanta buoi più belli che troveremo...»

«Sorelle» esordì con urgenza la sorella dai capelli chiari interrompendo la litania, mentre io, ancora scioccato ma conscio del fatto che stava per accadere qualcosa di terribile, mi guardavo intorno, colto dalla necessità meccanica di trovare una via di fuga pur sapendo che non ce n'erano «Dobbiamo liberarci di loro, se non vogliamo attirarci addosso l'ira dei celesti: non so se non rispettano gli dèi per ignoranza o per tracotanza, ma certamente trattenerli qui e fargli del bene non ci porterà altro che malanni.»

«Vuoi violare le regole dell'ospitalità?» domandò timorosa una delle altre due.

«Niente affatto: una nostra canzone sarà il nostro dono ospitale.»

«Ma i mortali non possono sopportare...»

«Questo è un problema loro.» tagliò corto la prima delle donne, e le altre due, persuase, appuntarono il loro sguardo su di noi assieme alla sorella.

Forse a terrorizzarmi avrebbe dovuto essere il fatto che non sapevo cosa stesse per succedere a me e a Matilda, in realtà però ciò che più mi inquietò fu la sconcertante immobilità delle tre ragazze, nonostante il continuo spumeggiare del mare.

Per un attimo lungo parecchie onde sembrò che non succedesse nulla, ma era un nulla terribile, come se tutta la terra stesse trattenendo il fiato.

Poi percepii, o forse c'era sempre stata, una sorta di vibrazione dentro di me, che subito si trasformò in qualcosa che definire canto era pura banalità. Non era un suono, era uno stato d'animo, un rincorrersi continuo di oggetti senza corpo e senza peso, di idee, di anime.

Era struggente, ma stranamente speranzosa, e parlava di tutto quello che io potevo essere, fare, pensare, delle mie infinite possibilità che si intessevano in un sentiero in realtà già tracciato, e tuttavia quella canzone non era mia: era del mondo.

Era la malinconica gioia di vivere che spandeva il suo riverbero su tutte le creature, come un'aurora, come la rugiada.

Era il bello assoluto, eppure aveva un significato.

E quando la musica diventò movimento nella mia anima, una voce dentro di me disse che era il momento di smettere, che oltre non si poteva andare perché c'era la conoscenza perfetta, e che nessuno dovrebbe aspirare a tanto, se pensa che la sua esistenza valga ancora qualcosa.

Vidi la mia vita immergersi nella vertigine, nel sublime atto di suicidarsi, umiliata dall'immensità, e poi venne un lungo buio.





N.d.A: Questo è probabilmente il capitolo che odio di più dell'intero romanzo, ma essendo passato così tanto tempo temo di non avere più molta voglia di cercare una soluzione ^^'. L'ideale sarebbe eliminare una grossa fetta di quello che succede (soprattutto il pezzo delle sirene che è la mia croce) ma narrativamente si avrebbe poi la sensazione di aver appena saltato un gradino... Quindi boh. XD

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