CAPITOLO 15

Mio padre e Geremia si stesero all'interno della loro tenda, ma mi arrischiai ad avvicinarmi all'accampamento soltanto quando sentii il respiro profondo del sonno e il russare provenire da loro. Era davvero una fortuna che là dentro – in teoria, almeno – non potesse scendere nessuno che non fosse dalla loro parte: non avevano alcun motivo per stare in allerta.

Aprii con cautela la chiusura della tenda e, dopo esserci entrato, controllai che stessero effettivamente dormendo, schioccandogli le dita davanti agli occhi.

Solo a quel punto uscii, mi decisi ad accendere la torcia – era un pezzo che non vedevo più nulla, dato che il fuoco si era spento – e cercai di svegliare Matilda, tenendole come precauzione una mano premuta sulla bocca perché non urlasse.

«Mhmph?» fece lei allarmata, aprendo gli occhi di botto.

«Sono Quis, va tutto bene, Matilda, ora se stai calma ti libero.»

«Quis?» fece lei con un filo di voce. Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime «Non posso scappare: ho sbagliato, e devo pagare...»

«Tu non hai sbagliato proprio niente» la rassicurai con rabbia «E adesso ti porto fuori di qui...in qualche modo.»

«E se poi ti prendono? Non puoi farlo. E poi, come facciamo a uscire all'aria aperta?» aveva recuperato in fretta il suo tono di comando, ma la sua inclinazione scherzosa era sparita del tutto.

«Chi ha detto che dobbiamo uscire all'aria aperta? Torniamo indietro al Tempio e passiamo di lì. Se le guardie ci chiedono qualcosa ci inventiamo che il Consiglio ha cambiato idea, e che io sono entrato qui appunto per comunicarlo a mio padre.»

«Sì, e il signor Arrigo e il maestro dove ce li siamo messi? In tasca?»

«No, loro hanno proseguito per...dov'è che stavate andando?»

«Mi stavano portando in un convento.» spiegò Matilda, cupa «La mia condanna è restare lì in esilio per il resto della vita, a pregare per espiare. Se metto il naso fuori sono morta, altro motivo per cui farei meglio a rimanere con loro.

«Ottimo, loro sono andati là per avvertire che non ci andrai più. Una volta tornati in superficie spariremo per sempre, cambieremo identità, espatrieremo o...» mi rendevo conto che la stavo facendo troppo facile, ma un modo per uscire da quella situazione doveva esserci, per forza.

«Calma, restiamo con i piedi per terra.» mi sembrava strano che Matilda fosse improvvisamente diventata responsabile, infatti subito dopo disse: «Qualcosa ci inventiamo, una volta usciti di qui, ma intanto trova un modo per liberarmi.»

«Questa è la parte più facile.» dovevo solo trovare qualcosa con cui tagliarmi.

Cominciai a fregare la mia mano contro un sasso che mi pareva particolarmente appuntito. Trattenni a stento una smorfia: procurarsi una ferita netta con una lama era ben diverso che grattugiarsi la pelle contro una pietra. Alla fine riuscii a far sgorgare un po' di sangue, ma continuai perché sapevo che non era sufficiente, badando a non mostrare quanto la pelle mi bruciasse sotto lo sguardo preoccupato di Matilda.

Al mio tocco insanguinato gli anelli ingentilirono la loro corazza impenetrabile e si aprirono con uno schiocco festante.

«Adesso torniamo dalle guardie?»

«No, aspetta» mi era venuta un'idea «Sai che mezzo di trasporto avevano intenzione di utilizzare per portarti al convento?»

Matilda aggrottò le sopracciglia «Non lo so. Un Vec, probabilmente.»

«Ottimo. Speriamo che le chiavi siano negli zaini.»

«Trascinai con cautela i bagagli fuori dalla tenda e ne sparpagliai il contenuto sul pavimento della grotta, attentissimo a non fare rumore.

Scandagliai i viveri, i documenti, gli utensili senza veramente vederli, mentre la mia tensione cresceva. Niente ti fa andare nel panico quanto non trovare una cosa che cerchi e che pensavi di trovare al primo colpo.

«Non è possibile, non ci sono.» sbottai.

«Quis...»

«Adesso si svegliano, me lo sento.»

«Quis...»

«Forse sarebbe meglio lasciar perdere e correre dritti al Tempio sperando in bene perché poi magari non ci fanno passare o capiscono che mentiamo e in effetti la nostra è una storia niente affatto probabile e anche se loro in realtà dovrebbero preoccuparsi soltanto di chi entra e non di chi esce non si può mai sapere e forse dovrei armarmi per combattere contro di loro ma...»

«Quis» m'interruppe Matilda, spazientita come solo lei riusciva ad esserlo «Le ho trovate, sono qui.»

Mi calmai immediatamente, rendendomi conto di aver perso la testa per una cosa molto stupida.

«Da' qua.» borbottai, rosso di vergogna.

«Adesso mi puoi spiegare a che ti servono? Prima avevi detto che saremmo tornati al Tempio e adesso vuoi che scappiamo col Vec? Ti avverto fin da subito che io non conosco la strada per arrivare al parcheggio.»

«Non voglio fare questo.» spiegai compiaciuto «Se scappiamo col Vec difficilmente riusciremmo a rientrare in città senza che ci vedano, con tutti i controlli che fanno, oltre al fatto che, come detto tu, mio padre e Geremia farebbero in tempo a trovarci, visto che non sappiamo dove andare. Se invece facciamo loro credere di avere intenzione di scappare col Vec, loro, anziché tornare in superficie, cercheranno di riprenderci prendendo la strada sbagliata. Noi invece torneremo al tempio e avremo qualche ora in più di vantaggio.»

«Quis, sei un genio.» Matilda mi gettò le braccia al collo.

«È una dote naturale.» gongolai.

«Forza, andiamo!» Matilda aveva recuperato tutto il suo entusiasmo ed era pronta ad abbandonare tutto alle sue spalle, come se fosse una pelle troppo vecchia per lei. Mi venne in mente che finalmente avrebbe lasciato Las Vegas, come lei aveva sempre desiderato.

Ci dirigemmo verso la grotta da cui eravamo arrivati. Solo che il passaggio non esisteva più, e davanti a noi c'era soltanto una solidissima parete di roccia.

«Abbiamo sbagliato strada?» Matilda era confusa «Magari l'apertura è qualche metro più in là.»

«No, non c'è!» esclamai io, dopo essere andato a controllare «Com'è possibile? Sbaglio o non c'è stata nessuna frana?»

Matilda scosse la testa «Ci dev'essere un meccanismo che la fa aprire e chiudere.»

Guardò il blocco di pietra come se stesse fissando uno sfidante particolarmente abile.

«Apriti, sedano!» ordinò.

«Matilda, dubito che sia come la porta della cucina in "Babà-al-Rum e i quaranta ghiottoni".»

«Oh, apriti e basta, stupida porta!» esclamò quasi urlando, tirando un calcio al masso.

Dalla tenda iniziarono a provenire rumori poco rassicuranti.

«Ahi! Mi sa che ho tirato un colpo troppo forte.»

«Hai anche urlato troppo forte: si stanno svegliando.» spensi la pila e la trascinai con me tra le stalagmiti, il più lontano possibile dall'accampamento. Mi sedetti con lei dietro alla roccia dove mi ero nascosto prima, e le feci segno di strare in silenzio e di guardare, mentre il cuore mi batteva a mille.

La paura di essere scoperto non era riuscita a offuscare del tutto la mia sorpresa per aver trovato un massiccio lastrone pietroso laddove fino a poco prima c'era un passaggio.

Non riuscivo a capire, ma avevo il sospetto che a controllarci fosse il Consiglio: magari avevano delle telecamere nel sottosuolo e sapevano già della fuga di Matilda. Probabilmente la roccia si muoveva grazie a qualche macchinario azionato da loro.

Intanto dalla tenda continuava a salire il trambusto, almeno finchè Geremia non accese la sua grossa torcia, e sia noi sia loro fummo in grado di vederci qualcosa.

«È scappata.» gemette Geremia.

«L'hanno fatta scappare.» lo corresse mio padre.

«E non può essere stato che qualcuno della tua famiglia, Arrigo. Lo sapevo che avrei dovuto essere io a Marchiare il metallo.»

«Già, e poi l'avresti fatta fuggire!»

«A che scopo, scusa? Certamente non mi sarebbe servita più a niente, dopo, e l'avrebbero cercata con un mandato di cattura e uccisa, senza contare i guai che avrei passato io.»

«Inutile tirare in ballo quello che non è stato. Chi l'ha liberata?»

«Quis, mi pare ovvio.»

«Ma quale Quis e Quis, a quest'ora sarà a casa che dorme. È stato Ivre, ne sono certo.»

Geremia parve rifletterci un po'su, mentre negli occhi di Matilda passava silenziosa una domanda: chi era Ivre? Scossi la testa, non lo sapevo neanch'io. Un cugino? Un fratello? Un nonno? Sicuramente qualcuno della mia famiglia.

«Hai ragione» disse il vecchio «È l'ipotesi più probabile: è l'unico che ha facilmente accesso a questo posto, e ti detesta abbastanza da metterti i bastoni tra le ruote.»

Mio padre intanto aveva iniziato a rimettere nello zaino tutto quello che io avevo tirato fuori.

«Quel piccolo mostriciattolo!» esclamò ad un tratto con rabbia «Ha rubato le chiavi del Vec! Uno dei suoi soliti dispetti, adesso mi sente.»

Questo sconosciuto Ivre si era attirato addosso le ire di mio padre senza aver fatto assolutamente niente, ma ora come ora non avevo nessuna intenzione di andare là e chiarire il malinteso.

«Dovremo allungare il tragitto.» sbuffò Geremia «Ma sono sicuro che Deneb ci restituirà il maltolto senza fare storie.»

Detto questo finirono di fare i bagagli, rimettendo nei sacchetti sottovuoto tenda, coperte, cuscini e tutto l'armamentario.

Quando ebbero finito, zaini in spalla e senza parlare, si diressero decisi dentro il tunnel dalla parte opposta rispetto a dove ci trovavamo noi e vi si inoltrarono sempre di più, finchè anche la loro luce, che dal nostro punto di vista appariva come un alone, si disperse nell'oscurità e non si vide più.

Fu in quel momento che vedemmo la roccia camminare.

In realtà non si può dire che andasse a zonzo, più che altro scivolava di lato, ma non c'era nessuno che la spingesse: si muoveva da sola.

«Cos'è quello?» la voce di Matilda tremava.

«C-cos'è lo so» feci io «è pietra. Il problema è che non dovrebbe spostarsi.»

L'enorme blocco semovente si fermò con arroganza davanti alla grotta appena imboccata da mio padre, come un gigantesco guardiano con un motto sicuramente valido: "da qui non passerete".

«Matilda...» iniziai, ma lei era già sparita.

Non ci misi molto a trovarla. Era tornata alla roccia che bloccava il passaggio per il tempio, e la stava spingendo di lato.

«Forse possiamo farla scorrere noi.» disse, a denti stretti per la fatica, quando mi vide.

La sua magrezza, che il soprabito scarlatto non riusciva a celare, era messa in risalto dal colosso contro il quale stava combattendo.

«Non credo.» dissi «A muovere questi massi è sicuramente un macchinario. Noi non abbiamo la forza necessaria.»

Andai a sedermi su un grosso sasso nello spiazzo dove Matilda e gli altri si erano accampati, distrutto.

Mi chiesi se prima o poi sarebbero venuti a prenderci per processarci o se più semplicemente ci avrebbero lasciati lì a morire.

A un tratto, tra un mio rabbioso tiro di sassi e un altro, mi parve di captare un movimento tra quelle guglie infernali che mi sembravano sempre di più denti di una tagliola per lepri.

«Matilda, vieni qua.» chiamai.

Lei arrivò di corsa, abbattuta, stanca, ma non intenzionata a perdersi d'animo.

«Perché non mi aiuti?» mi sgridò.

«Perché è inutile. Guarda un po'lì, piuttosto.»

«Un'altra apertura!»

«Infatti, dev'essersi aperta solo adesso. Chiunque apra e chiuda i passaggi, il Consiglio, secondo me, vuole che andiamo da quella parte.»

«E andiamoci. Che alternativa abbiamo?» Matilda era molto emozionata, cosa che mi faceva ritenere che non avesse ben compreso la situazione.

«Stare qui.» risposi, ma ne ero poco convinto.

«magari chi ha aperto le porte ci vuole morti.» disse Matilda, ergendosi in tutta la sua statura, con le mani sui fianchi «ma potrebbe anche essere qualcuno che ci vuole dare una mano, o i massi potrebbero spostarsi a seconda del caso. Comunque sia, io non ho intenzione di stare qui a morire d'inedia, dato che c'è ancora una strada aperta.»

«Non ho mai detto il contrario. Volevo solo che capissi quante poche possibilità abbiamo di uscire di qui vivi.»

«I giochi come questi hanno un grande vantaggio: se perdi non hai abbastanza tempo per restare deluso.» non sprecò altro tempo e varcò l'arco di pietra a passo svelto.

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