ATTO XII II Era RITORNO ALLE ORIGINI

Alea e Rayman ormai si erano completamente ambientati tra i rivoluzionari dell’Helvestone, al punto da aggregarsi di tanto in tanto ai vari assalti ai carri.

Darwin non sapeva più come sdebitarsi per l’aiuto che i due stavano dando alla sua città.

Una notte in cui la nebbia alta aveva avvolto interamente le strutture della città essi si incontrarono; Rayman doveva informare i due della sua partenza, era giunto il momento di quella ricognizione all’Herrendil che per tanto aveva rimandato. Il luogo prescelto per il loro incontro segreto fu la stalla nella quale Alea conobbe la prima volta l’orco corpulento.

I cappucci che indossavano, ormai per molti erano divenuti un vero e proprio simbolo di quella rivoluzione che regalava speranze ai più degli abitanti della bianca città; chiunque li vedesse in giro si metteva l’animo in pace, sapendo che bene o male, quel piccolo manipolo di uomini li avrebbe aiutati. Le fila dell’organizzazione stavano aumentando a dismisura, ma ancora, la stretta delle armate nere aveva nelle sue mani il futuro di quel popolo laborioso. Il fatto che Rayman stesse per partire sulla strada della sua vecchia ed ormai distrutta città non poteva che regalare un po’di tregua a quel continuo mordi e fuggi del fronte rivoluzionario dell’est; difatti avevano deciso anticipatamente che fino a quando l’elfo non fosse tornato, i fili di quel grande progetto si sarebbero mossi più in sordina, dando adito alle guardie nere di pensare che il problema fosse debellato, per poi però attaccare con ancora più decisione e dichiarare guerra a quegli invasori che tanto male avevano procurato.

I due si salutarono con una stretta di mano poderosa e Rayman parlò per primo, dopo aver lasciato la mano dell’orco: «Grazie di essere venuto amico mio.» Poi con un cenno fece strada all’essere poco più avanti, indicando le balle di fieno che utilizzarono per sedersi, prese un secondo e rincominciò: «Senti Darwin, mi pare che fino a qui il nostro lavoro sia andato bene, cosa ne pensi?»

L’orco annuì mostrando le piccole zanne inferiori, inarcando le labbra carnose e violacee in un sorriso compiaciuto, e rispose con voce gutturale: «Non so davvero come sdebitarmi amico dalla pelle pallida, sì che sono contento di come stiano andando le cose, non c’è neanche bisogno che te lo dica, i risultati raggiunti parlano da loro, la nostra forza ed i nostri principi si stanno radicando nell’animo di chi fino a qualche settimana fa non aveva più speranza a cui aggrapparsi, e sono felice di questo, solo…» disse l’energumeno grattandosi il capo, «non vedo l’ora di finalizzare il tutto, e per questo amico mio abbiamo bisogno di voi.»

Rayman annuì a sua volta volgendo per qualche secondo lo sguardo verso la propria allieva che stava facendo la guardia a ridosso delle porte di legno, poi, come riprendendosi dai mille e più pensieri che gli vorticavano in mente sospirò, ponendo ancora una volta i suo occhi blu a favore di quelli del suo interlocutore e rispose provando a fare in modo che Alea non sentisse: «Sono contento della tua riconoscenza Darwin, ma sai cosa mi aspetta ora, per cui se è possibile, ti chiedo di ricambiare il nostro aiuto in un singolo modo.»

Una lacrima scese dalle sconfinate maree dei suoi occhi, come se avesse il terrore di ciò che stava per chiedere all’amico; questa, solcò il suo zigomo ormai segnato da quella cicatrice che gli aveva dato il benvenuto ad Helvestone; era irrequietezza quell’emozione che lo spinse a cedere sotto il pensiero di ciò che gli aspettava, ma lo aveva promesso a Alea, lo aveva promesso a sé stesso.

Prese fiato e continuò: «Ormai caro orco sai cosa ci ha obbligati a battere in ritirata in questa città, non c’è bisogno che te lo ricordi, ed ora è giunto il momento che io parta per avere risposte, nella speranza che almeno qualcuno tra i miei simili sia sopravvissuto a quel nefasto evento, e ti devo chiedere di badare alla ragazza per conto mio, dovrai trattarla alla pari di una figlia; so che le responsabilità che posano sulle tue spalle sono già tante, ma te lo chiedo per piacere, da amico e da alleato.»

L’orco nonostante non fu colto alla sprovvista dalle parole del generale quasi si impietrì; non aveva mai provveduto a prendersi carico dell’istruzione e della protezione di una così giovane donna, e avendo conosciuto, anche se non così ben approfonditamente la ragazza dai capelli rossi, sapeva che ciò che lo aspettava non sarebbe stata una cosa semplice. La giovane era una testa calda, e solo Rayman era in grado di farla ragionare, ma dopo tutto ciò che i due avevano fatto per la sua causa non poteva esimersi dall’accettare quella folle richiesta, dunque, dopo qualche secondo di sorpresa, allungò un braccio posando la sua enorme mano sulla spalla di Rayman stringendola amichevolmente, alzò lo sguardo e rimbeccò: «Per quanto già io immagini che non sarà una passeggiata, farò del mio meglio, ma devi promettermi che tornerai vincitore dal tuo viaggio.»

L’elfo annuì in muto assenso, ed ancora una volta, come a voler stringere un patto quasi fraterno, i due si strinsero le mani, concludendo il gesto con un abbraccio di supporto.

Il Generale Stormwind sarebbe partito quella stessa notte, mentre la sua allieva dormiva sonni sereni, in modo che ella non potesse sindacare la scelta del suo mentore, o quanto meno provare a convincerlo a non partire solo.

La piccola riunione dei due capostipiti della rivoluzione terminò, Alea e Rayman si diressero poi in una struttura sotterranea non tanto distante dalla stalla; un magazzino dell’unica taverna ancora funzionante della bianca città, il proprietario di questa, nascondendo i suoi misfatti, dava segretamente supporto alla rivoluzione. Il suo scopo era quello di “orecchio” per i dissidenti, grazie a lui Darwin aveva notizie dei nuovi carichi di cibo in partenza e nessuno poteva sospettare del locandiere in quanto più e più volte serviva gli alcolici a coloro che appartenevano alla nera armata e cercavano ristoro tra un picchetto e l’altro.

Entrarono dunque dalle porte sul retro e spostarono il piccolo mobile contenente le spezie che dava accesso al loro rifugio, scesero le scale e si prepararono per la notte. Rayman lasciò lievemente aperto lo spiraglio per partire poi in tarda notte senza creare ulteriori rumori che sicuramente Alea avrebbe percepito altrimenti. Come di consueto i due passarono la prima parte del loro riposo a parlare delle piccole scaramucce che creavano durante le loro refurtive. Poi un sonno profondo s’impadronì della giovane, Rayman spense la lampada ad olio che usavano come lume, si accovacciò al fianco della giovane e le baciò delicatamente la fronte, le rimboccò le coperte, come farebbe un padre, il quale finisce di leggere una storia alla propria bambina, l’accarezzò con fare attento; infine, recuperate le sue sciabole e il suo arco, salì le strette scale per uscire. Ormai era partito, ora la sua mente era focalizzata sul nuovo obiettivo che si era imposto, si alzò il cappuccio del mantello scuro e voltò le spalle alla giovane, in direzione della sua vecchia e distrutta città.

La fredda giornata seguente arrivò in fretta e riposata dopo la lunga dormita, Alea diede inizio alle sue abitudini con l’animo ristorato. Si tolse di dosso le pesanti coperte, alzò ambedue le braccia stiracchiandosi e facendo scrocchiare le sue giovani ossa, uno sbadiglio più simile ad un flebile ruggito riecheggiò nella stanza del rifugio; poi con fare guardingo aprì il primo dei due occhi, qualcosa non le tornava.

 Rayman era solito svegliarla con un “Ehi tesoruccio” giusto perché gli piaceva stuzzicarla già alle prime luci dell’alba che erano solite filtrare dalle alte finestrelle dello scantinato nel quale si trovavano. Ma quella mattina spalancando entrambi gli occhi e scrutando ogni angolo del rifugio, notò che il suo mentore non era presente, “Sarà uscito presto quest’oggi, magari doveva finire di parlare con Darwin della faccenda di ieri notte” pensò tra sé e sé.

Dunque, come se tutto fosse normale, la ragazza iniziò a prepararsi, solitamente facevano in modo di riuscire a far colazione all’interno della locanda nella quale erano ospiti prima che il turno di guardia della notte appena trascorsa smontasse andando ad ubriacarsi per concludere in bellezza dopo il duro lavoro effettuato, e così, inconscia di quanto accaduto la notte precedente, come nulla fosse si recò al piano superiore.

Si avvicinò al bancone della locanda e badando bene che il cappuccio la proteggesse da sguardi indiscreti, si sedette nei posti che erano soliti occupare lei e Rayman. Fece un cenno con la mano per prendere l’attenzione del locandiere, che, come al solito, aveva già tenuto da parte dei piccoli pasticci dalla sera precedente e una buona tazza di thè. Egli poi appoggiò entrambe le pietanze d’innanzi alla giovane, che sbigottita strabuzzò gli occhi, poi chiese a locandiere: «Ehi Simur, ma Rayman non ha già fatto colazione?»

Il piccolo Goblin dalla pelle di un colore più simile al blu sporco che non al nero si soffermò un attimo a guardare la ragazza e con fare pensieroso si pose un dito sul mento, rispondendo: «Cara ragazza mi reputi così smemorato? Oramai sono settimane che vi preparo la colazione e se gliel’avessi già servita a quello sciagurato del tuo maestro credo che me ne sarei ricordato senza alcun problema.» Poi quasi schernendola aggiunse: «Anzi, non appena lo vedi, ricordagli che mi deve cinque monete d’argento per la scommessa.»

La ragazza rimase stranita, “Dove si è cacciato e neanche Simur lo ha visto?” si domandò.

Con molta calma l’elfa finì il cibo consegnatole dal locandiere, e passando dalle porte principali, si recò all’esterno del locale.

Oltre la mancanza del suo mentore però qualcos’aaltro attirò la sua attenzione; lei sapeva bene gli orari nella quale le guardie erano solite recarsi alla locanda e quel giorno, stranamente, ancora nessuna di loro si era palesata. La cosa non fece altro che farle storcere ancor più il naso, per cui, guardandosi bene le spalle, cercò di dileguarsi raggiungendo la piazza centrale nella quale era consuetudine darsi appuntamento con Darwin per spartirsi i compiti della giornata.

Lontano da Helvestone, Rayman era intento a proseguire il suo solitario viaggio, e nella sua mente, nonostante i suoi obiettivi fossero ben definiti, l’idea che Alea si trovasse sola in un luogo conquistato dai loro nemici non lo faceva viaggiare sereno, sperava con tutto sé stesso che la sua ormai “figliastra” non se la fosse presa più di tanto, e che Darwin fosse riuscito a tener fede alla sua promessa. Ancora un paio di giorni lo dividevano dalla sua meta, speranzoso che le sue solitarie ricerche lo portassero a ritrovare qualche altro superstite; l’idea di essere rimasti in due e da soli contro le avversità di quel mondo che più andava avanti e più s’incupiva, era una delle tante preoccupazioni che lo avevano spinto a ritornare sui suoi passi.

Alea giunse dunque alla piazza centrale e in lontananza notò l’importante mole di Darwin. Non era solo. Otto guardie prestanti e armate di tutto punto lo stavano circondando, qualcuno doveva aver cantato. La copertura di quel fuoco rivoluzionario era in serio pericolo; approfittando del caos che aleggiava nei dintorni della piazza Alea usò il primo riparo per continuare a seguire di nascosto il piccolo plotone, se uno dei capi fosse stato in pericolo forse si sarebbe spiegato il motivo dell’assenza di Stormwind. Con cautela, non appena questi si mossero, la ragazza sgattaiolò al loro inseguimento, nascondendo la faccia e la sua figura. tra le innumerevoli persone che passavano per le vie affollate di Helvestone.

Non c’era alcun dubbio. Darwin stava per essere portato al palazzo del regnante per essere giudicato da chi ora aveva il comando delle armate e dei loschi interessi di quella città. Non poté far altro che seguirli. fino a quando non entrarono in quelle porte. Ora il destino della rivoluzione era in bilico, come ben presto sarebbero stati Darwin ed il suo collo al patibolo. Chi veniva trovato faceva una sola fine, e questa, con molte probabilità, dopo una prigionia stremante fatta di torture ed interrogatori, era la forca.

La giovane rimase in attesa per lungo tempo all’esterno; incappucciata e nascosta in un carro ricolmo di fieno dal quale però aveva modo di tener d’occhio la porta di quel maledetto palazzo. Alla mente della ragazza balenò l’idea che Rayman stesse preparando qualche assalto per poter salvare il capo orco, ma quando lo vide uscire con la camicia sgualcita e rovinata da palesi colpi di frusta e notò che nessuno stava intervenendo per liberarlo, non ce la fece più, balzò fuori da carro e con estrema maestria incoccò innumerevoli frecce al suo arco. Parte di queste illuminate dalla sua abilità magica, andarono a segno facendo piazza pulita attorno all’orco.

 L’impulsività della sua giovinezza ebbe la meglio, ma lo fece in un luogo totalmente a suo favore, l’orco strabuzzò gli occhi dalla sorpresa, ed iniziò ad urlare alla giovane: «Scappa Alea!» La folla girò il volto a favore della ragazza, ma ella non ebbe nemmeno il tempo di fare un passo, che un colpo netto alle sue spalle la colse impreparata, facendole perdere i sensi.

Nei due, fatidici giorni successivi, nessuno seppe più nulla della ragazza.

Darwin era riuscito a fuggire seppure con le mani legate, raggiungendo un luogo sicuro, e valutando per filo e per segno plausibili opportunità per salvare l’elfa, ormai fatta prigioniera da Morn, l’essere al comando delle armate che avevano invasoo la città di Helvestone e che dal fronte rivoluzionario veniva chiamato «il Viscido».

Rayman, era giunto sul luogo del misfatto, ciò che lo accolse furono innumerevoli statue; gli venne un colpo al cuore guardando la vuotezza e la morte che regnavano in quella che una volta era la sua città natale.

La desolazione che gli diede il benvenuto era fuori dal normale, nemmeno gli animali che una volta abitavano i boschi diedero segni di vita, e tra le mura divelte e il palazzo di Myriil, non vi era più niente che si muovesse, solo ed unicamente statue vuote che incorniciavano un cimitero a cielo aperto.

L’atmosfera spettrale era poi amplificata da una nebbia insolita che rendeva ancor più umido e freddo quell’ambiente intriso di morte e solitudine. Partendo dalle rovine dell’Herrendil il generale Stormwind setacciò in lungo e in largo i boschi circostanti, senza però trovare alcuna traccia di eventuali sopravvissuti.

Le sue gambe stanche e la mente oppressa da tutto quel dolore, dovettero poi trovar riposo; i giorni passavano tra una ricerca della verità che probabilmente non sarebbe mai giunta e una sconfinata solitudine, il suo rifugio in mezzo a quella marea di rocce vuote era un luogo originariamente progettato per proteggere la gente del posto; sotto l’altare dedicato a Taal vi era un marchingegno che consentiva lo spostamento della statua a lei dedicata dando accesso ad una sorta di sotterraneo, non grande, ma sufficiente a racchiudere al suo interno una decina di elfi. Un posto che nessuno era riuscito ad utilizzare quel maledetto giorno. L’attacco ricevuto fu fulmineo al punto che con molta probabilità, non risparmiò nessuno.

Nel pieno della notte, dopo aver recuperato alcune bacche per cibarsi, accadde qualcosa appena fuori dalle mura che preferiva ricordare integre e solide.

Un ruggito agghiacciante riecheggiò nella vuotezza di quel cimitero.

 L’elfo non conoscendone la provenienza gelò, mai nella sua lunga e dura vita aveva sentito qualcosa di simile, per di più questo non gli ricordava alcun animale. Era ignoto, come ignote furono le baluginanti luci viola che d’un tratto, come richiamate da quello stesso terrificante verso, fuoriuscirono dalle statue. Rayman prese a correre cercando di raggiungere il più rapidamente possibile quell’antro che ora gli pareva essere il luogo più sicuro, e dei passi pesanti di qualche bestia quadrupede iniziarono a seguire la sua corsa. Fece appena in tempo a raggiungere l’altare per aprire il vano, che una creatura immonda gli balzò a poca distanza. Rotolando l’elfo si gettò giusto in tempo nell’antro; l’altare iniziò a chiudersi lentamente, salvandolo da quelle feroci dita umane che lo stavano per prendere all’esterno. “Cosa diamine era?” si chiese tamponando le ferite che si era inferto scivolando dagli scalini.

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