Capitolo 37 - Tutto il resto può aspettare
Le palpebre erano incredibilmente pesanti, e la testa sembrava in procinto di esplodermi.
Mi feci forza e provai ad aprire gli occhi, ritrovandomi totalmente immersa nell'oscurità. Dovevo essere in uno scantinato, dedussi: la puzza di muffa era intollerabile...
Non appena la mia retina si adattò all'atmosfera crepuscolare, cercai di muovermi e constatai, mestamente, di essere legata ad una sedia. Man mano che i sensi riaffioravano, prendevo a poco a poco coscienza di ogni singola parte del mio corpo: dovevo essere in quella scomoda posizione da qualche ora, probabilmente. Me lo suggeriva il lancinante dolore ai polsi, legati da una corda, e il sangue che sentivo fluire, caldo, da entrambi. Il sinistro, in particolare, già distorto, mi causava un dolore insopportabile...
<< Ti sei svegliata, finalmente >> sentii dire a qualcuno.
Fui accecata dalla luce che invase la stanza e socchiusi le palpebre. Ero letteralmente terrorizzata.
<< Ciao, Melissa >> mi salutò Giacomo.
Notai che le sue pupille erano ancora spaventosamente dilatate, nonostante lo scantinato fosse stato invaso dalla luce del lampadario.
<< Ciao >> dissi semplicemente, abbassando lo sguardo.
<< Non sei contenta di vedermi? >> fece lui, chinandosi verso di me.
Era sudatissimo.
<< Non ti conosco neppure >> dichiarai, cercando di non far trasparire dal tono di voce il terrore puro che provavo.
<< Io invece ti conosco bene, tesoro. L'host, come lo chiamano gli psichiatri, non sa nulla di me, ma io so tutto di lui. Ogni singolo bacio, ogni carezza, ogni abbraccio che hai dato a lui, l'hai dato anche a me >>.
Rabbrividii, pensando a quello che aveva appena detto. Si avvicinò ancora di più a me e mi sollevò il mento, in modo che lo guardassi dritto negli occhi.
<< Hai sempre avuto dei bellissimi occhi, lo sai? >> disse, sorridendomi. << E non solo quelli... >>.
Passò in rassegna tutto il mio corpo, dalla testa ai piedi.
<< Dove sono tuo padre e tua nonna? >> gli chiesi, sperando così di distrarlo.
<< Mia nonna è qui, al piano di sopra. Mio padre è andato a recuperare la tua famiglia. Anzi, aspetto giusto la sua telefonata per portarti a casa dai tuoi >>.
La mia famiglia?
<< Cosa c'entra la mia famiglia? >> strillai, preoccupata. << Cosa volete da loro? >>.
<< È una faccenda complessa, Melissa. Riguarda tuo zio, il fratello di tua madre >>.
<< Mio zio? Che c'entra lui? È morto anni fa... >>.
<< Si è tolto la vita per i sensi di colpa, lo sai? Per aver causato un incidente d'auto. Te l'avrà detto, tua madre >>.
Annuii.
Non capivo dove voleva arrivare...
<< In quell'incidente d'auto è morta mia zia, la sorella di mio padre>>.
Cosa?
<< Non ne sapevo nulla... mia madre non mi ha mai detto niente... >> borbottai, confusa. << Ma non capisco qual è il nesso >>.
<< Il nesso? Brutta saputella, il nesso mi sembra chiaro >>.
A parlare era stata la signora Dorotea, fuori di sé. Claudicando, si fece lentamente strada nella stanza.
<< Tuo zio ha ucciso mia figlia, e noi adesso uccidiamo la sua famiglia >> esclamò, convinta che ci fosse una logica incontrovertibile dietro le proprie parole.
Era evidente che avesse trascinato il figlio in una sorta di folie a deux, con la sua perversa voglia di vendetta.
Folie a trois, considerando l'alter di Giacomo (che paradossalmente sembrava essere la persona più razionale in quella famiglia).
<< Ma non l'ha uccisa! >> strillai, tentando di liberarmi dalle corde. << È stato un incidente! Ed è successo oltre trenta anni fa! >>.
<< Esattamente trenta anni fa >> mi corresse. << Stanotte sono trent'anni. Era il ventisei giugno del 1985 >>.
<< Il giorno del mio compleanno? >> intervenne Giacomo.
<< Esattamente, tesoro >>.
<< E Giada? Avete ucciso voi la mia amica? >> urlai, trattenendo stoicamente le lacrime.
Non mi avrebbero vista piangere né sentita supplicare, quello era certo.
<< Quella stupida ragazzina voleva denunciare mio figlio per spaccio. Ma non sapeva con chi aveva a che fare... >>.
No. Non era possibile, non riuscivo a credere alle mie orecchie...
<< Lei e quello svitato del suo ragazzo >> disse Giacomo, ridendo. << Ma papà ha pensato anche a lui, vero, nonna? >>.
<< Vero. È bastato fargli ingoiare un flacone di ecstasy... >>.
Ecstasy? Ripensai a quanto accaduto quella mattina al Pronto Soccorso, alle parole della dottoressa Ferrero: "qualche tuo coetaneo che si è fatto di metanfetamine per reggere l'ansia pre-esame"...
Doveva essere Alex...
<< Lei è pazza. Persino più pazza di suo nipote >> dichiarai istintivamente, caricando quelle parole di tutto il disprezzo possibile.
La donna si diresse rapidamente verso di me e mi diede uno schiaffo, furibonda.
Notai che Giacomo, dietro di lei, fu scosso da un sussulto: sembrava preoccupato per me. Mi tornarono in mente le parole della signora Dorotea al nostro primo incontro, oltre un mese prima: "In genere, la transizione dall'una all'altra avviene in occasioni cariche di significato, emotivamente parlando".
Possibile che...?
<< Stupida ragazzina, con chi credi di parlare? Ma adesso a te e alla tua famiglia penseranno mio nipote e mio figlio. È tutta tua, Giacomo >>.
Scoppiò a ridere e salì al piano superiore, dandomi le spalle.
<< Giacomo... >> dissi, guardandolo negli occhi.
<< Io... >> iniziò.
Stava decisamente male: era madido di sudore, molto più di poco prima, pallido in volto, e si contorceva per il dolore. Avrei tanto voluto liberarmi, solo per aiutarlo...
Tentò di avvicinarsi a me, ma senza successo. Stremato, crollò a terra.
Mi faceva terribilmente pena...
<< Melissa... >>.
La sua voce era ridotta a poco più di un sussurro.
<< Giacomo, slegami! >> lo esortai, certa che ormai fosse tornato in sé. << Hai bisogno di aiuto! >>.
<< T-tu... devi aiutare la tua famiglia... >> bofonchiò.
Si mise in piedi con molta fatica: ogni singolo passo verso di me sembrava procurargli una sofferenza estrema...
Finalmente, arrivò alle mie spalle: si chinò leggermente, emettendo uno straziante lamento, e mi slegò.
<< Vai dai tuoi >> ordinò, accasciandosi a terra.
Senza neanche ascoltarlo, mi precipitai verso di lui e gli sentii il polso: aveva centoottanta di frequenza cardiaca. La fronte gli scottava terribilmente, e le pupille erano ancora dilatate.
E se...
Sì, probabilmente era così.
Quel pomeriggio doveva aver assunto dell'ecstasy, al posto della quietiapina.
Tastai le tasche dei pantaloni in cerca del cellulare, accorgendomi così, mestamente, di non averlo addosso.
Pensa a quello che ha detto la Ferrero al Pronto Soccorso, pensa a quello che ha detto la Ferrero al Pronto Soccorso, mi imposi mentalmente...
<< Lasciami qui, vai dai tuoi genitori... non sono degno del tuo aiuto, non dopo quello che ho fatto... >> insistette Giacomo, continuando a contorcersi per il dolore.
Ma in quel momento, l'unica persona di cui realmente mi importava era lui.
Tutto il resto poteva aspettare.
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