Capitolo 36 - Diverso

18 Agosto 1999

L'avevo combinata grossa.

Ero caduto di nuovo dalla bici nel viottolo del giardino di casa.

Papà non me l'avrebbe perdonato di sicuro.

Lanciai un'occhiata al ginocchio sinistro, che sanguinava abbondantemente.

Cavolo.

Quel giorno, tra un ceffone e l'altro, mi rivelò che la mamma era morta per causa mia. Lo sapevo: non sono buono a nulla, so solo creare problemi. Odio essere così stupido, così imbranato...

Vorrei tanto essere come mio papà.

Lui è così sicuro di sé: è un duro. Non piange mai. Io, invece, sto sempre a frignare come un lattante. Mi ha detto più volte che sono stato un errore. Il più grosso errore della sua vita.

Vorrei tanto essere diverso.

****

14 Ottobre 2001

Rovistando nel cassetto del comodino di papà, ho trovato una foto di mamma. Era così bella... giovane e bella.
Sembrava un angelo.
Aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri, proprio come i miei.
Amavo le fotografie: avevano il potere di immortalare un attimo, effimero e finito, e di trasformarlo in eternità.
Mi misi la fotografia in tasca e la riposi con cura in una pagina del mio diario.
Mi avrebbe aiutato ad andare avanti, a tenere duro, negli anni successivi.

****

20 Settembre 2003

Oggi papà ha esagerato. Non smetteva di picchiarmi, borbottando che non avrebbe dovuto fare quello che ha fatto, che, se non fosse stato per lui, Giulia sarebbe ancora viva, che Francesco non se lo meritava... ma chi erano Giulia e Francesco?

La nonna ha insistito perché mi portasse al Pronto Soccorso, e menomale. Lì ho conosciuto una dottoressa gentilissima (Marta, mi ha detto di chiamarsi così), che mi ha dato delle pastiglie che mi hanno fatto passare il dolore. "E' stato lui, vero? Tuo padre?", mi ha chiesto, mentre mi visitava.

Ma io non ho detto nulla.

Sto diventando proprio come papà: forte, resistente.

Un duro.

So solo che poco dopo è arrivata la polizia e l'ha arrestato.

Non l'avrei rivisto per oltre dieci anni.

****

12 Dicembre 2009

<< Non ho bisogno di andare da un altro strizzacervelli! >>.

Mia nonna aveva insistito per portarmi da un nuovo psichiatra, un certo dottor Serio. Ma io non avevo bisogno di uno stupido dottore: finalmente, ero diventato proprio come mio padre. Odiavo quel ragazzo timido che, di tanto in tanto, faceva capolino nella mia personalità. Era solo un imbranato, uno stupido piagnucolone che si era meritato tutte le percosse subite negli anni in famiglia.

<< Tu sei Giacomo? >> mi salutò lo psichiatra, facendomi segno di accomodarmi sul lettino di fianco alla sua poltrona.

<< Se vuole, può chiamarmi così. Ma odio quel ragazzo, non sono come lui. Io sono molto meglio di lui >>.

<< Credi di essere migliore di lui? >> domandò il dottore, sedendosi accanto a me. << Ma lui sa di te? >>.

<< Quell'idiota non sa nulla di me, né mai saprà nulla. Ma io so tutto di lui: so che è uno stupido senza gli attributi, buono solo a lamentarsi >> dichiarai, sdraiandomi su quello stupido lettino. << Può pure provare ad usare con me i suoi stupidi giochetti da psichiatra, ma non serviranno a nulla >>.

<< Hai quasi ucciso un ragazzo, lo sai? >>.

L'espressione del medico era sbigottita.

<< Se lo meritava >>.

<< Quel ragazzo era il tuo migliore amico, Giacomo >>.

<< Non il mio, ma di Giacomo l'imbranato. Io non frequento idioti del genere >>.

Lo psichiatra sospirò e si accese un sigaro.

<< Il concetto di identità è uno dei più affascinanti e complessi di tutta la psicologia, lo sai? Io la penso esattamente come Bateson, al riguardo: la costruzione dell'identità non può prescindere dalla relazione interindividuale. Insomma, sono le relazioni, i rapporti che abbiamo, a fare di noi quello che siamo >>.

<< Non vedo perché dovrebbe interessarmi >> osservai, alzando gli occhi verso il soffitto.

<< Conosci la metafora del boscaiolo e dell'albero? >> domandò.

Non ottenendo risposta, proseguì.

<< Le nostre esperienze, Giacomo, il nostro vissuto, hanno fatto di noi quel che siamo. Ogni singolo rapporto che abbiamo avuto ci ha modificati, influenzando il nostro essere in modi inimmaginabili. Come il boscaiolo che taglia l'albero con l'accetta: l'azione la compie l'uomo, ma le conseguenze che ne derivano si estendono anche agli elementi, per così dire, passivi dell'azione. Il boscaiolo logora i propri muscoli, disperde energia sotto forma di calore; la lama dell'accetta si consuma, perdendo, sia pur in minima parte, la capacità di tagliare; l'albero, invece, si spezza in due. Hai capito? >>.

<< Non l'ho neppure ascoltata >> dissi, fingendo di non aver capito il significato delle sue parole.

<< Parlami di tua madre >> propose il dottor Serio. << Ti ricordi di lei? >>.

<< Cosa c'entra adesso mia madre? So solo che è morta a causa mia. Anzi, a causa di quell'altro, di Giacomo. E' lui la causa di tutti i nostri problemi. E' lui che mio padre ha picchiato per anni. Io mi sarei difeso >>.

<< E così è stato tuo padre a renderti così, eh? E' vero quello che si dice, allora: i mostri generano altri mostri. Ma tu non sei questo, in realtà. I traumi che hai subito hanno generato una sorta di scissione nella tua identità >>.

Lo psichiatra si alzò e accese lo stereo.

<< Cosa diavolo sta facendo? Mi fa ascoltare musica? Cos'è, una nuova psicoterapia del cavolo? >>.

<< Credo che ascoltare questa canzone ti aiuterà a ritrovare te stesso. Il vero te stesso, si intende. Sai, noi psichiatri lo chiamiamo "host" >>.

Ascoltai il brano, infastidito dal tono saccente del dottore. Era "Angels" di Robbie Williams.

<< Non è proprio tra le mie canzoni preferite >> commentai, ridendo.

<< Ascolta >> mi esortò lui. << Sai, piaceva tanto a tua madre >>.

<< M-mia madre...? >> balbettai, confuso. << Conosceva mia madre? >>.

<< Sì, conoscevo tua madre >> rivelò, sospirando. << E questa era la sua canzone preferita >>.

Continuai ad ascoltare le note del brano, lasciandomene pervadere.

Finché di me non rimase che l'ombra.

Ma l'ombra accompagna sempre la luce, no?

****

13 Luglio 2013

<< Ma nonna, non voglio andare in spiaggia! >>.

Erano giorni che insisteva affinché andassi a mare.

<< Su, tesoro. Ti farà bene prendere un po' di sole, tanto per cambiare. Poi, ho saputo che oggi hanno organizzato un falò in una scuola qui vicino. Magari incontri qualcuna che ti piace >> insistette la nonna.

<< Ma io non piacerò sicuramente a lei. Non piaccio mai a nessuno >> dichiarai, sincero.

<< Su con la vita, Giacomo. Ti accompagno io fino in spiaggia, così ne approfitto per fare la spesa >>.

<< Ok >> mi arresi alla fine.

Conoscevo mia nonna: avrebbe continuato ad assillarmi fino alla nausea. Mi sarei messo a passeggiare da solo, come facevo sempre, non appena si fosse allontanata con l'auto.

<< Ti lascio qui, d'accordo? >> chiese, accostando con l'auto proprio davanti al lido.

<< Va bene. Ciao >> la salutai mestamente, aprendo lo sportello della vettura.

<< Guarda che bella quella ragazza, Giacomo >> esclamò, indicandomi con l'indice una ragazzina bruna a pochi metri di distanza.

<< Sì, bella >> dissi io, rivolgendole uno sguardo superficiale.

Sembrava proprio il tipo di ragazza che mi avrebbe disprezzato o, nella migliore delle ipotesi, ignorato.

<< Mi raccomando la pillola! >> mi ammonì, prima di mettere in moto. << Ricordati di prenderla >>.

<< Ok, ok >> la rassicurai, mostrandole il flacone.

Come avevo pianificato, mi misi a passeggiare sulla spiaggia, da solo.

Amavo il mare...

Trovato un ammasso di scogli, mi ci sedetti sopra ed estrassi dalla borsa il volume che mi ero portato dietro da casa, prevedendo che avrei trascorso molto tempo da solo: "Il barone rampante" di Italo Calvino. Adoravo quella storia: era un manifesto della mia vita, in fondo. La vita di un emarginato, sì. Dalla famiglia, dalla società, da tutti...

Cosimo ero proprio io.

<< Leggi? >>.

Mi voltai per vedere chi aveva parlato: era la ragazza di pochi minuti prima, quella che mi aveva indicato mia nonna. Vista così da vicino era bellissima... ma cosa ci faceva su quegli scogli, tutta sola?

<< Sì >> le risposi, lievemente imbarazzato.

Non ero abituato a parlare con delle ragazze, non più, dopo quanto accaduto alla mia scuola e la diagnosi di un disturbo psichiatrico...

Si sedette accanto a me, abbassandosi fin sotto le gambe il vestito che indossava sul costume da bagno. Sembrava più a disagio di me, se possibile...

<< Cosa leggi? >> si interessò.

Le mostrai il titolo del romanzo.

<< Non dovresti essere ad una festa? >> le chiesi.

Non lo sapeva (e come avrebbe potuto?), ma il solo fatto di parlare con me per lei costituiva una minaccia.

<< Non mi piacciono le feste. Mi ha costretta a venirci una mia amica... >> mi rivelò. << Guarda >> aggiunse.

Estrasse dalla borsa a tracolla un piccolo volume.

<< "Il piccolo principe", eh? >> esclamai, leggendo il titolo. << Le due storie sono molto simili, secondo me >>.

Mi guardò con aria interrogativa.

<< Perché? >>.

<< Entrambe parlano di diversità, no? E di come la diversità, in fondo, sia una sorta di condanna. Cosimo, sentendosi soffocare dalla logica della società del suo tempo, decide di trascorrere tutto il resto della sua vita sugli alberi. Il piccolo principe non è molto diverso... più conosce gli uomini, più constata quando siano bizzarri e strani. Probabilmente, avrebbe preferito rimanere a vivere da solo con la sua rosa sull'asteroide B612 >>.

<< Non credo proprio >> obiettò la ragazza.

Notai che era lievemente arrossita.

<< Il piccolo principe trascorre tutta la sua vita a cercare un amico, no? Nonostante le stranezze che incontra, i tipi folli con cui ha a che fare, non perde la speranza. Com'è che dice la rosa, a metà libro? >>.

Sfogliò il volume fino alla pagina quarantasette.

<< "Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle" >>.

Non potei fare a meno di sorridere, sentendo quelle parole.

<< Ti faccio ridere? >> domandò lei, infastidita.

<< No >> dissi. << Mi fai sorridere, in realtà. Sei molto intelligente >>.

Era la verità. Faticavo a credere che fosse così piccola e così... diversa da tutte le altre ragazze che avevo conosciuto.

<< Mi fa piacere >> enunciò, alzandosi. << Adesso torno al falò. La mia amica avrà già chiamato "Chi l'ha visto". E' stato... bello parlare con te >>.

E si allontanò.

Continuai a guardarla finché non scomparve alla mia vista.

Ripensai alla citazione che aveva letto: quanti bruchi avevo incontrato...

Ma quel giorno avevo conosciuto una farfalla, finalmente.

Ed era così bella...

Ingoiai la pillola, e da quel momento non ricordo più nulla.

****

Come avrete notato, ho deciso di inserire il POV dell'alter (il Giacomo "cattivo", diciamo), giusto per evidenziare la totale diversità della personalità alternativa rispetto a quella dominante. Chiaramente, Giacomo non può ASSOLUTAMENTE ricordare quel colloquio dallo psichiatra, visto che non ha memoria dei pensieri e delle azioni dell'alter!
Spero che questo capitolo con il suo punto di vista vi sia piaciuto :) Grazie per aver letto! ^^

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