Capitolo 24 - Tornare a vivere
<< Dove stiamo andando a pranzare? In un altro continente? >>.
Erano quasi due ore, ormai, che viaggiavamo in auto, apparentemente senza meta.
<< Ti fidi di me? >> fu la risposta di Giacomo.
Era più forte di lui: non riusciva a fare a meno di pronunciare frasi criptiche, spesso tratte da romanzi o da film (in effetti, non poteva mancare una citazione del "Titanic"...) e di rispondere ponendo altre domande.
<< Direi di no, Jack. Forse aiuterebbe se somigliassi a Leonardo di Caprio >> dissi, sorridendogli.
<< Non aiuta nemmeno un po' il fatto che mi chiami come il protagonista del film? >> chiese, fingendosi offeso. << E che abbia gli occhi azzurri? >>.
<< No, temo di no >> lo liquidai, ironica. << E non hai risposto alla mia domanda, comunque >>.
Approfittò del semaforo rosso per voltarsi a guardarmi. Incredibile come ancora, a distanza di settimane, non riuscissi a sostenere il suo sguardo senza arrossire...
<< Prima passiamo a casa di un amico, ok? >>.
Amico? Mi era sembrato di capire che Giacomo non avesse amici... ovviamente, questo evitai di dirlo ad alta voce.
<< Chi è? >> domandai invece.
<< Te l'ho detto, un amico >> ripeté, cambiando marcia.
<< Sei sempre cosi misterioso... un giorno scoprirò che sei un agente della CIA, ne sono sicura >>.
<< Impossibile >> scoppiò a ridere. << Non sai che gli agenti della CIA devono superare dei test psicoattitudinali per essere ammessi? Non mi prenderebbero mai con loro >>.
<< Direbbe così anche un agente della CIA >> osservai, notando che il ragazzo si era incupito.
<< Piuttosto... Come stai? >> domandò, serio. << Scusami se non sono passato a casa tua dopo il funerale. Ho pensato che... >>.
<< ... che mio padre avrebbe dato di matto, se ti avesse visto nei paraggi? >> completai io. << Hai pensato bene, in effetti >>.
Sospirai profondamente, cercando di mettere ordine nei miei pensieri.
<< Non lo so come sto, in realtà. Diciamo che ho accettato quello che è successo, e non ho più voglia di piangere. Dopotutto, a che servirebbe farlo? Resta il fatto che riprendere a vivere mi sembra ancora un passo troppo grande... Non so, ho l'impressione di essere una grande egoista >>.
Ecco, finalmente ero riuscita a dirlo ad alta voce. Erano settimane che non facevo altro che rimproverarmelo mentalmente.
<< Egoista? >> ripeté Giacomo, incredulo. << Ma che dici? >>.
<< Sì, proprio così. Mi sembra egoista riprendere a vivere, quando lei non può più farlo. Studiare, andare all'università, sposarmi, lavorare... mi sento egoista anche solo per il fatto che oggi sono qui con te, non lo capisci? >>.
Gli occhi iniziavano minacciosamente a bruciarmi: non potevo permettermi di piangere di nuovo, no...
<< Melissa, non è colpa tua quello che è successo >> tuonò Giacomo, deciso.
<< Sì, invece! È colpa mia, è tutta colpa mia! >>.
Le lacrime iniziarono a scendere, prepotenti, una dopo l'altra, bagnandomi il volto. Finalmente avevo dato voce al pensiero che mi tormentava da quella maledettissima notte: ero stata io la causa di quello che era accaduto a Giada, solamente io...
<< Le avevo detto di non andare a quella festa, ma non avevo insistito. Avrei dovuto insistere di più, convincerla a stare da me, a non uscire! >>.
Senza accorgermene, avevo iniziato a strillare.
<< Melissa >>.
Giacomo si era fermato a un angolo della strada e mi aveva sollevato il mento, puntando il mio volto verso il suo.
<< Smettila di dire certe cose >> ordinò, categorico. << Tu non c'entri niente con la morte della tua amica. È successo, punto. Pensi che accusarti di quanto accaduto la riporterà in vita? O che ti aiuterà a stare meglio? Mi sembra ovvio che non lo farà. Quindi, la cosa migliore che puoi -anzi, devi- fare è tornare a vivere, che non vuol dire dimenticare. Semplicemente, devi imparare a convivere con il dolore. Fallo per Giada, se non altro >>.
<< Non capisci, non puoi capire... >> iniziai, disperata.
<< Non dirmi che non capisco, per favore >> mi interruppe, irritato. << Le stesse paranoie che ti fai tu adesso le ho patite per anni prima di imparare ad accettare, Melissa. Mi accusavo della morte di mia madre, sai? >>.
Sua madre?
<< Quando mio padre mi ha rivelato che era morta di parto avevo solo sette anni. Un bambino, no? E ho passato i successivi dieci ad accusarmi di quanto accaduto. Se non fosse rimasta incinta di me, se non fossi mai nato, non sarebbe successo nulla, mi ripetevo quasi fino alla nausea. Le violenze subite da mio padre, certo, non aiutavano. Finché, un bel giorno, ho deciso di riprendermi in mano la mia vita. Sai come si dice, no? Quando tocchi il fondo, puoi solo risalire. Devo ringraziare mia nonna per questo, e non le sarò mai abbastanza grato. Ho capito che avevo solo bisogno di qualcuno che mi rassicurasse, e lei lo ha fatto. E adesso io lo sto facendo con te >>.
Ecco.
Inconsapevolmente, Giacomo mi aveva dato un motivo in più per sentirmi in colpa. Possibile che veramente non sapesse che sua madre non era morta di parto, ma solo qualche mese prima?
Avrei forse dovuto svelargli la verità?
Ma con quale diritto?
Dopotutto, ormai aveva accettato quanto pensava fosse successo, e dopo tanti anni di sofferenze. Che diritto avevo, io, di catapultarlo nuovamente in un vortice di dolore totalmente gratuito?
<< Scusami >> dissi semplicemente. << Hai perfettamente ragione >>.
Senza guardarmi, Giacomo estrasse dal cruscotto le chiavi della macchina e se le mise in tasca.
<< Tieni >> mi porse un fazzolettino. << Siamo arrivati, qui abita il mio amico >>.
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