Capitolo 15 - Al di là di un freddo vetro
<< In coma ...? >> ripetei meccanicamente.
Giada non poteva essere in coma, stava benissimo fino a poche ore prima ...
<< Sì, Melissa. E' in coma. E' caduta da una finestra al secondo piano alla festa di Federico. I medici dicono che era ubriaca e ha perso i sensi. Melissa ... >> iniziò la madre di Giada.
<< No, non lo dica. Non ci penso neppure a restare a casa >> la interruppi. << Vengo subito >>.
<< Ma tuo padre deve lavorare, non preoccuparti di correre così in fretta. Verrai con lui domani mattina >> insistette lei, evidentemente scossa.
<< Non si preoccupi lei >> dissi io, interrompendo la telefonata.
Mi vestii in fretta e scesi in cucina: erano le due e mezza di notte. Come potevo svegliare mio padre? La signora De Fazio aveva ragione, quella mattina avrebbe dovuto lavorare. Ma non potevo stare ferma lì, senza fare nulla; non ce la facevo proprio. Presi le chiavi di casa e uscii, diretta verso la villa di Giacomo. Stavo per suonare il campanello, quando lo vidi: era sul suo balcone, intento a leggere un libro. Ma non dormiva mai?
<< Melissa >> esordì. << Già ti mancavo? >>.
<< Non è il momento di scherzare, Giacomo. Non c'è tempo. Devi darmi un passaggio >> arrivai al punto, senza troppi giri di parole. In quel momento, le buone maniere erano il mio ultimo pensiero.
<< Certo >> disse lui, chiudendo il libro ed entrando rapidamente in casa.
Incredibile, non aveva neanche voluto sapere perché volessi uno strappo. Come se fosse normale, nel cuore della notte, racimolare passaggi dai vicini. Entro pochi minuti, mi fu di fronte.
<< Dove andiamo? >> chiese semplicemente.
<< All'ospedale >> risposi io, laconica.
<< Non ti avrà mica rotto qualche costola? >> esclamò, guardandomi il torace (e facendomi arrossire più del dovuto). << Se è così, giuro che lo ... >>.
<< No >> lo troncai. << E' la mia amica Giada. E' in coma >>.
Quell'affermazione parve turbarlo: era triste per me.
<< Ok, sali in macchina >> disse semplicemente.
Aprii la portiera e mi sedetti accanto a lui.
Ma cosa diavolo stavo facendo? Chiedere passaggi di notte, per di più a semi-sconosciuti potenzialmente pericolosi, non era proprio da me. Iniziai a pensare di essere impazzita.
<< Cosa c'è? Preoccupata? >> domandò Giacomo.
<< Sì, per Giada >> mentii io.
<< Stai tranquilla, sono sicuro che le cose si sistemeranno >> mi consolò, sfiorandomi una guancia con la mano e facendomi rabbrividire.
Mise in moto l'auto ed entro pochi minuti fummo all'ospedale. Salimmo le scale fino al reparto di "Terapia Intensiva", dove trovammo Giorgia, la madre di Giada. Era la fotocopia della figlia: alta, bionda, con i capelli di un riccio indomabile.
<< Ti avevo detto di non ... >> iniziò.
<< Allora? >> la interruppi, forse un po' troppo bruscamente.
Mi fissò, confusa.
<< I medici dicono che è stabile, ma non possono sapere quando si sveglierà ... e se si sveglierà >> rispose, scoppiando in lacrime.
Se?
Mi avvicinai a lei per consolarla, rendendomi conto di non esserne in grado. Ero troppo sgomenta, troppo preoccupata, per poter consolare qualcuno. Al di là di un freddo vetro, a pochi metri da noi, c'era Giada, lo sapevo benissimo. Eppure, non avevo il coraggio di avvicinarmi, di vederla in quello stato.
<< Melissa >> mi sentii chiamare. << Vengo con te >>.
Era Giacomo. Mi prese per mano e mi trascinò verso quel vetro, come se fossi una bambina bisognosa di rassicurazioni. La sua mano era calda e sudata, non fredda come l'ultima volta. Sperai che non si accorgesse che la mia tremava, sotto la presa sicura della sua. Ed eccola di fronte a me: Giada. La mia migliore amica era sdraiata su un letto, inerme: sembrava stesse dormendo, e quasi cercai di autoconvincermi che fosse così. Non ero certa di riuscire ad affrontare una situazione del genere. Attaccate al braccio destro c'erano due flebo, al dito un pulsossimetro; sul suo torace un paio di elettrodi, collegati ad un macchinario che registrava il suo battito, regolare, ritmico. Ma allora perché non si svegliava?
Senza volerlo, fui sommersa dalle lacrime. Scendevano una dopo l'altra, veloci, e non riuscivo a trattenerle. Giacomo mi avvicinò a sé e mi strinse, cingendomi in un abbraccio e accarezzandomi i capelli. In quel momento, c'eravamo solo noi due: l'idea che potesse perdere il controllo da un momento all'altro non mi sfiorava neppure lontanamente. Era così rassicurante ... sentivo i suoi addominali, scolpiti, sotto la mia presa, e il suo torace espandersi, a ritmo regolare.
<< Melissa >> mi sentii chiamare.
Mi voltai e vidi che era il padre di Giada.
<< Signor De Fazio >> mi ricomposi, liberandomi dall'abbraccio.
Ci mancava solo che dicesse qualcosa ai miei.
<< Cosa è successo a Giada? >> gli domandai, sperando che non mi chiedesse informazioni su Giacomo.
Sapevo che con lui potevo parlare: era un tipo molto più forte della moglie. Non a caso, faceva il poliziotto.
<< Ho parlato con il vostro compagno - mi pare che si chiami Federico -, e ha detto che l'ha vista cadere dalla finestra della discoteca. Pare che abbia perso l'equilibrio, che si sia sporta troppo in avanti >>.
Parlava con un tono distaccato, come se stesse raccontando la trama di un film visto in televisione.
<< Domani interrogherò gli altri invitati alla festa, per avere la loro versione. Tu non c'eri, vero? >> chiese.
<< No, non ci sono andata >>.
<< Neanche Giada ci sarebbe dovuta andare, lo sai. Ha detto che avreste studiato insieme stanotte, per l'interrogazione di greco >>.
Sembrava quasi mi stesse addossando la colpa.
<< Io ... >> iniziai.
<< Da te non me lo sarei mai aspettata, Melissa. Sapevi che beveva. Sapevi che si ubriacava >> mi stava praticamente sputando addosso tutta la sua sofferenza. << E sapevi che era in punizione >>.
Mi sentivo terribilmente in colpa. Il signor De Fazio aveva ragione: era colpa mia. Tentai di trattenere le lacrime: non volevo muoverlo a pietà. Dopotutto, il suo era uno sfogo, e aveva diritto di sfogarsi; non pensava realmente quello che diceva.
<< Signore >> intervenne Giacomo.
Il padre di Giada sembrò spiazzato: non si aspettava che qualcuno lo interrompesse.
<< Capisco che stia soffrendo per sua figlia, ma non dovrebbe prendersela con Melissa. Anche lei sta male, e non è colpa sua quello che è successo. Non conosco Giada, ma sono sicuro che sarebbe andata comunque alla festa, anche senza la complicità di Melissa, trovando un'altra scusa. E poi, consideri che sono quasi le tre di notte, e lei è qui, in ospedale. Ha accettato un passaggio da me, si figuri. Doveva essere veramente motivata >>.
<< I- io ... >> iniziò il signor De Fazio, interrompendosi subito dopo ed andandosene via, in preda alle lacrime.
<< Forse dovrei ringraziarti di nuovo >> dissi, rivolta a Giacomo.
Lui mi guardò intensamente, e mi sorrise.
<< Ancora non hai capito che ti amo >>.
Non sapevo cosa dire. Non volevo ferirlo, ma non potevo comunque illuderlo. Non lo ami, dissi mentalmente. Non lo ami, non lo ami ... anche se, forse ...
Scelsi di tacere.
<< Non te lo dico perché esigo che tu ricambi i miei sentimenti. Non posso pretenderlo, Melissa. Semplicemente, prendine atto >> proseguì. La sua voce era diversa dal solito: più sicura, ma al contempo più malinconica.
<< Io >> dissi infine. << Io non lo so se ti amo >>.
Qualcosa cadde a terra, rompendo il silenzio che aveva inondato la stanza. Mi voltai nella direzione del suono: era Federico. Mi stava portando il caffè, in un insospettabile moto di altruismo, e aveva un'espressione delusa.
<< Melissa, non puoi amarlo. Non lo conosci neppure! Tu non sai cosa ha fatto quel ragazzo >>.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top