Mi trovo sull'autobus per andare al porto della mia città, prima di partire ho voluto fare un giro e svagarmi un po' insieme a Anna, Gloria e Francesca.
Passiamo una giornata molto rilassante, fino a quando non decidiamo di sederci in una panchina davanti una fontanella e bruciare così le mie ultime poche ore di libertà, prima di riprendere l'aereo e tornare in Toscana.
Sono contenta, in un certo senso, di passare così la mia ultima giornata qui, in pace con me stessa e in compagna delle mie compagne di vita, letteralmente.
«Ragazze tra poco abbiamo il pullman per rientrare, ci conviene iniziare a incamminarci verso la stazione» Francesca mostra il suo display a tutte, facendoci accorgere del tempo passato anche troppo velocemente. Ci alziamo con calma dalla panchina e iniziamo a incamminarci verso la stazione.
Quando siamo quasi arrivate, vedo la macchina rossa di Mirco parcheggiare poco distante da noi, scendono quattro ragazzi da lì e uno mi fa la mano, salutandomi. Naturalmente è lui. Ricambio il saluto agitando la mano e accompagnandolo con un sorriso sincero.
Sono contenta di vederlo
Lui allora mi fa cenno con la mano di avvicinarmi, ma a me si affianco Anna riscuotendomi «Juli non possiamo avvicinarci, è tardi» abbasso la testa, purtroppo lo so benissimo, gli faccio cenno con la mano che non posso, ma lui continua a insistere, così per farmi capire meglio alzo il polso della mia mano destra dove ho l'orologio, indicandoglielo con l'altra mano, così lui mi risaluta, io ricambio e entrambi ci giriamo nuovamente.
Riusciamo a prendere il pullman per poco, rischiando di rimanere lì, per tutto il viaggio non faccio altro che pensare a cosa volesse, se voleva solo parlarmi o niente di particolare.
Quando scendo alla mia fermata vedo Sonia poco distante, si volta e appena mi vede si avvicina a me, salutandomi «Mirco era qui fino a un minuto fa» aggrotto le sopracciglia «davvero? L'ho visto prima al porto» Sonia mi guarda e sorride, «probabilmente lo rivedrai, anzi, sentirai» dice, facendo riferimento alla sua guida poco prudente.
Ci salutiamo, io proseguo verso casa mia facendo la stessa strada con Anna, e quando siamo quasi arrivate sento un rumore assordante, mi volto leggermente vedendo la sua macchina frecciare per la strada, si parcheggia poco distante da me; io continuo a camminare facendo finta di nulla, quando un paio di secondi dopo sento un fischio. Vuole attirare la mia attenzione, ma io decido di non girarmi. Ormai è tardi e io devo rientrare.
Continuo a camminare a testa alta senza voltarmi nemmeno per sbaglio e proseguendo il discorso che avevo con Anna, mentre nella mia testa balenano pensieri di cui nemmeno io ne capisco l'esistenza.
Rientro a casa e come al solito mi butto nel letto, non è cambiato affatto in questi anni, e nemmeno io in realtà. Mi spunta un sorriso in volto, inevitabile ammetterlo.
Mi sono sempre piaciute le sue attenzioni un po' strambe, ma comunque come posso mentire a me stessa e dire che mi davano fastidio? No, non mi aveva dato fastidio nemmeno quando mi lanciava la pallina da biliardo a posta perché non sapeva come attirare lamia attenzione.
Era troppo arrivare subito al punto e dirmi la verità.
Però pure io... perché non l'ho creduto? Perché non gli ho permesso di finire il suo discorso? E perché avevo furia di togliere la mano dalla sua? La paura mi ha forse posseduta, ha preso il sopravvento? Non lo so, l'unica cosa di cui sono sicura è che non ero in me, in quel momento.
Mi addormento, consapevole che quella è l'ultima notte che passerò lì, ma consapevole del fatto che la prossima volta che metterò piede in Sardegna, lui sarà mio.
La mattina dopo...
Mi risveglio con un leggero mal di testa (come al solito), mi alzo dal letto e mi incammino ancora assonnata verso la cucina, mi prendo una tazzina da caffè e una bustina di oki per alleviare la mia solita emicrania mattutina, poi apro la dispensa, afferro un croissant e rimango immobile seduta nel tavolo, a fissare il vuoto.
«Buongiorno tesoro» nonna entra in cucina, mi posa una mano nella spalla e mi stampa un bacio nella fronte «hai di nuovo mal di testa?» mi chiede, indicando la bustina di oki nel tavolo ormai vuota e la tazzina del caffè affianco «sì...» mi gratto la nuca non avendo voglia di pronunciare parola. Lei si dilegua a fare le sue solite faccende, lasciandomi nuovamente sola.
Dopo essere stata in uno stato di trans per dieci minuti (credo), mi alzo, ritiro tutto dal tavolo e vado in bagno per farmi una doccia, prima di riprendere nuovamente l'aereo.
Quando salgo in macchina come al solito mi metto le cuffie, per finire con l'addormentarmi in macchina. Mi risveglia mia zia delicatamente, incitandomi a muovermi che altrimenti perdo l'aereo e mio padre impazzisce. Così di fretta e furia do un bacio a mia zia, afferro il mio bagaglio a mano e mi dirigo frettolosamente verso l'aeroporto.
Attendo pazientemente nelle poltroncine mentre mi ascolto musica a basso volume, quando una voce metallica ci avvisa che il volo è pronto. Per la miliardesima volta entro in questo buco di aereo, prendo posto e attendo nuovamente di arrivare a casa.
Dal finestrino vedo la mia terra farsi sempre più lontana, una nostalgia irrefrenabile prende il sopravvento su di me, un sorriso nostalgico appare sul mio viso, con la speranza che molto presto, quando tornerò, sarò felice e con lui, che avrò chiarito tutte le incomprensioni che ci sono sempre state, che avrò risposte da lui e soprattutto speranza.
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