Capitolo 22 - speranze
Appena sento il pilota avvisare che il volo è giunto al termine, balzo come una molla dal sedile per affrettarmi a prendere le valigie.
Inutile dire che è stata una pessima decisione, data la mia statura ridotta, tutti hanno iniziato a schiacciarmi, frettolosi di prendere le proprie valigie e scendere da questo aereo.
Mi risiedo nel posto di prima, e attendo pazientemente che un minimo di gente esca.
Sento i fremiti nel corpo, l'impazienza sta per prendere il sopravvento in me. Quando noto il flusso di gente iniziare a diminuire, cerco di afferrare il mio bagaglio, fallendo miseramente.
Ad un tratto, vedo due mani che afferrano la maniglia della valigia per, successivamente, porgermela. Ringrazio cordialmente il gentile signore, e mi dirigo di fretta e furia verso l'uscita.
La prima cosa che mi colpisce sono i caldi raggi solari, che mi accecano e abbagliano gli occhi. Un'aria calda mi investe, e la cosa più sana che io possa fare, è quella di respirare ampiamente l'aria che mi è tanto mancata, lì dentro.
Appoggio la valigia per terra, allungo la maniglia per far sì che diventi un trolley, iniziando a incamminarmi verso l'uscita.
Appena varcato il gate, entro definitivamente in aeroporto, la prima figura che riesco a scorgere è quella buffa di Sara, che appena mi vede mi viene incontro abbracciandomi.
La prendo al volo iniziando a sbaciucchiarla, poi arrivo da mio zio, che abbraccio calorosamente.
Saliamo tutti e tre in macchina, appena inizia il viaggio verso casa di nonna, Sara non sta zitta un attimo, continua a parlottare senza tregua, fino a quando zio non le dice di fare il gioco del silenzio, pur di farla tacere almeno un po'.
Arrivo a casa di nonna leggermente sfinita, ma contenta. Appena metto piede in casa, mi abbraccia calorosamente invitandomi a sedermi prima di sistemare la roba.
«Allora, com'è andato il viaggio?» prendo un sorso del caffè appena preparato da mia nonna, per poi risponderle.
«Benissimo, non vedevo l'ora di tornare!» zia mi guarda ridacchiando per poi fare le sue solite affermazioni.
«Chissà perché...» afferma con fare curioso e indagatore.
So bene che immagina il motivo, ma continuo a fare la vaga «mi mancavate, per cosa sennò?» la guardo con un tono scherzoso e poco veritiero, a questa affermazione, lei mi guarda di sbieco ammiccando.
Appoggio la tazza nel lavandino, poi prendo il telefono fisso e chiamo a casa, per avvisare che sono arrivata.
Digito il numero e già al secondo squillo sento mamma sbraitare dall'altro lato «finalmente! Saresti dovuta arrivare più di mezz'ora fa, ti sei dimenticata di chiamare, vero?» rimango momentaneamente impalata, non sapendo cosa dire.
Non c'è bisogno di agitarsi tanto «mamma sono arrivata cinque minuti fa, ho avuto solo il tempo di prendermi un caffè, subito dopo ti ho chiamata. Sicuramente avrà fatto tardi l'aereo» la sento tirare un sospiro di sollievo, dopodiché riprende la conversazione molto più tranquillamente «mi sono spaventata, scusami. Allora, com'è andato il viaggio?» la sento molto più tranquilla «tutto bene, mamma, ora però devo chiudere, sono molto stanca e vorrei sistemarmi la roba prima di andare a coricarmi» sbadiglio alzando le braccia in aria e stiracchiandomi «va bene, vai, ci risentiamo domani mattina va bene?» sento benissimo la voce di Fati che insiste nel volermi sentire, la mia bambina «sì, a domani, ti voglio bene. Dai un bacio a Fati e un abbraccio a papà, ah anche uno schiaffo ad Ale. A domani» riattacco per poi andare a sistemare le mie cose.
Mi dirigo in camera non riuscendo ancora a crederci. I miei occhi vedono le mura gialle di questa casa, la porta della stanza che per un periodo sarà mia, tutto questo.. quanto mi è mancato.
Inserisco un cd di Eros Ramazzotti e nel frattempo mi sistemo la roba. Mentre sono nel mio piccolo mondo, sento bussare alla porta. Mia nonna entra in stanza, si avvicina a me contenta e mi avvisa di mia cugina «Anna è da giorni che chiede quando arrivi. Mi ha raccomandato di dirti di chiamarla» continuo a fare ciò che facevo mentre la ascolto «va bene, stasera la chiamo» a quel punto si gira per andare in cucina, lasciandomi nuovamente sola con la mia musica.
Una volta finito di sistemare il tutto, vado in cucina e chiamo Anna, per avvisarla che sono qui «pronto?» sento la sua voce annoiata, inevitabilmente mi scappa un risolino che lei sente subito.
«Chi sei? Ju?» a quel punto mi faccio sentire da lei, e finalmente parlo «sì! Sono arrivata. Nonna mi ha detto di chiamarti», sento la sua voce che si fa sempre più alta «finalmente! Cavolo, domani sei con me, vengo a prenderti verso le 16, va bene? Andiamo a fare un giro, immagino tu non veda l'ora di vederlo»
Mi immagino da qui la sua faccia ammiccata, mi scappa da ridere «va benissimo, hai indovinato, comunque! Sono mesi che non lo vedo, chissà cosa fa quando mi incontra» alzo le spalle guardando il soffitto, non riuscendo a immaginarlo «io già lo immagino, litigate! Come al solito d'altronde. Comunque ho una notizia abbastanza interessante, non si è più visto con nessuna ragazza, immagino che il periodo da "mi metto con tutti" sia finito»
Rimango ad ascoltarla, pensando tra me e me «beh, può essere... magari non le interessa nessuna» ipotizzo «meglio per te! Comunque ora devo chiudere che a mamma serve il telefono, ci vediamo domani!» non mi lascia il tempo di replicare che richiude subito la chiamata, lasciandomi imbambolata davanti la credenza.
Sono talmente stanca che non ho minimamente fame, salto la cena andando direttamente a coricarmi in camera. Mentre sono nel letto, prendo dal comodino il diario, accendo l'abat-jour e inizio a sfogliarlo, ripercorrendo nella mia mente ogni singolo momento e incontro.
Dalla prima volta che lo vidi: così bello e irraggiungibile ai miei occhi, chi mai avrebbe pensato che sarei riuscita, con il mio carattere peperino, ad attirare la sua attenzione su di me? Ora le cose sono cambiate, sono passati due anni dalla prima volta che lo vidi, sono cambiata, sono sicuramente più presentabile, ho i lineamenti del viso più maturi, e i capelli lunghi. Chissà cosa penserà appena mi vede, quale sarà la sua mossa, e soprattutto come mi vedrà, dopo questo tempo che abbiamo passato lontani. Quegli occhi mi divorano non appena si posavano di me, causando brividi incontrollati in tutto il corpo e non permettendomi di abbassare il viso per nascondere la mia timidezza, non mi davano tregua e si impossessarono di ogni mio pensiero e movimento. Non ho mai ragionato lucidamente in queste situazioni.
Senza che nemmeno me ne accorga, con ancora i pensieri di lui che mi vorticano in testa e il diario tra le mani, cado nel beato sonno.
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