Settembre è ormai quasi a metà, eppure l'aria calda di fine estate sembra non voler abbandonare ancora la città. Il profumo di fiori appassiti si mescola con l'umidità che ogni tanto accarezza la pelle, creando un'atmosfera che mi avvolge come una coperta leggera. Il sole, alto nel cielo azzurro, entra dalla finestra della mia camera e mi sveglia ogni mattina con il suo abbraccio caldo. Mi colpisce in pieno viso, come se fosse un richiamo, quasi a dirmi che una nuova giornata sta per iniziare. La scuola è appena cominciata, ma per ora non mi pesa. Anzi, tutto sembra stranamente più vivo, più frizzante, come se mi fosse mancato un pezzo di me stessa nei lunghi mesi estivi. La routine scolastica, fatta di risate tra i banchi e lezioni che passano veloci, ha un sapore tutto nuovo, quasi inaspettato.
Oggi, durante la lezione di scienze, la professoressa ci ha diviso in gruppi di quattro o cinque persone per fare dei cartelloni su argomenti vari. Non che io stia davvero ascoltando, anzi. Le sue parole sono solo un sottofondo distante, un'eco che scompare mentre il mio sguardo vaga fuori dalla finestra. Mirco e il suo cugino continuano a fare gli scemi, a ridere e a farsi sentire anche da lontano, come sempre, come se niente fosse cambiato. Li vedo attraverso la finestra, e una parte di me non può fare a meno di sorridere, nonostante io cerchi di sembrare indifferente. In fondo, mi è mancato tutto questo: la scuola, le risate, la familiarità del caos che mi circonda. Tre mesi lontana da tutto questo, tre mesi di distanza che mi sono sembrati un'eternità. Ora, ogni cosa sembra tornare al suo posto, come un puzzle che si ricompone, anche se non è ancora tutto come prima.
Entro in classe con il cartellone che sembra quasi più grande di me, le sue dimensioni sproporzionate mi fanno sentire goffa mentre mi faccio strada tra i banchi. I miei compagni di progetto, appena mi vedono, si avvicinano velocemente, pronti ad aiutarmi. Con uno sguardo d'intesa, uniamo i banchi e stendiamo il cartellone, cercando di distribuirlo al meglio, senza farlo sembrare troppo disordinato. L'aria è carica di quella frenesia tipica dei gruppi di lavoro scolastici, con ognuno che cerca di fare la propria parte: c'è chi cerca le informazioni sui libri, chi si occupa di scrivere, chi si preoccupa di fare i disegni, e io, naturalmente, mi trovo a coordinare i vari materiali, cercando di mantenere tutto sotto controllo.
Mentre organizziamo i vari fogli e mettiamo in ordine i materiali delle ricerche, sento il rumore dei passi della professoressa che si avvicina, inesorabile, con il suo passo misurato. Ci osserva tutti, uno per uno, senza dire nulla, come se volesse scoprire chi di noi si sta distrarre e chi sta lavorando davvero. Ogni tanto, fa una rapida occhiata al nostro lavoro, dando qualche indicazione qua e là, ma senza fermarsi troppo. Noi continuiamo a fare quello che dobbiamo fare, ma non posso fare a meno di notare come il suo sguardo scivoli rapidamente su di noi, come una lancia affilata pronta a colpire chi non si comporta in modo consono. C'è una strana sensazione di tensione nell'aria, quasi come se l'insegnante fosse la prova finale, il giudice che decide se siamo in grado di portare a termine il compito o se siamo destinati al fallimento. La sua presenza, silenziosa e autoritaria, fa sembrare tutto più grande di quanto non sia. Eppure, nonostante questo, continuo a concentrarmi sul cartellone, cercando di non pensare troppo alle piccole distrazioni che mi circondano.
Puntualmente, si sente Mirco e il cugino arrivare alla finestra, con la solita risata sfacciata che inizia a rimbombare nell'aula. Sono loro, impossibile non riconoscerli. Come al solito, si mettono a fare i cretini, lanciando battute a chiunque passi vicino alla finestra. Non posso fare a meno di notare come la sua voce si faccia strada tra il brusio della classe, tagliente e familiara. Cerco di concentrarmi sul lavoro, ma è difficile ignorarli.
Ogni tanto, quando la professoressa si allontana un po' dal nostro gruppo, sbircio furtivamente verso la finestra, cercando di scoprire cosa stiano combinando. La mia mente è come una calamita, incapace di staccarsi dalla scena. Ma ad un tratto, senza preavviso, i miei compagni di un altro gruppo si mettono in mezzo, proprio nel punto in cui stavo cercando di vedere. La loro testa, più alta della mia, blocca completamente la visuale. Dannazione! Non riesco a vederlo, non riesco a cogliere nemmeno un movimento, nemmeno un sorriso beffardo. La frustrazione cresce, una piccola fitta nel petto, come se qualcosa che dovevo vedere mi fosse sfuggito di mano.
Mi concentro di nuovo sul cartellone, ma la mente è distratta. Non so come, ma sono già completamente fuori da tutto ciò che riguarda il lavoro. Mi sento impotente, come se ogni sguardo, ogni parola di Mirco, fosse una corda che mi tira via da tutto il resto. Eppure, non voglio cedere. Non voglio farmi distrarre da lui. Ma, cazzo, come fa a farmi questo effetto?
Ad un certo punto, tra il caos generale delle risate e dei rumori che rimbalzano nell'aula, sento la voce di una mia compagna che si fa strada tra le voci confusamente sovrapposte. «Chi vuoi inquadrare? Lei?»
Un brivido corre lungo la mia schiena. Mi giro, confusa, per cercare di capire cosa stia succedendo, e in un attimo, i miei occhi si bloccano su Mirco. Lo vedo lì, con la telecamera in mano, mentre fa cenno alle altre ragazze di spostarsi. Sta parlando a bassa voce, ma la sua intenzione è chiara. Sta cercando di inquadrare me. Mi sta riprendendo. Io. La sorpresa mi schiaccia, quasi non ci credo. Il battito del mio cuore accelera.
La mente si ferma per un attimo, il respiro mi si fa corto mentre continuo a fissarlo. Non mi sembra reale, come un sogno che si svela davanti ai miei occhi. Non ho idea di cosa stia succedendo, ma c'è una sensazione di incredulità mista a un'irresistibile gioia che mi attraversa. Mi sto chiedendo se sto interpretando tutto male, ma è tutto così chiaro. Mirco sta cercando di inquadrare me, non un'altra, ma proprio me. Un piccolo sorriso scivola sulle mie labbra, ma è confuso, quasi insicuro. Come se non volessi credere che ciò che sta accadendo possa davvero essere vero. Perché io? Perché proprio ora?
Mi trovo a chiedermi perché, solo qualche giorno fa, mi ha rivolto quelle parole crude e fredde, dicendo che mi avrebbe portato i fiori in cimitero. Che senso aveva? Cos'era cambiato nel frattempo? Perché ieri sembrava volermi fare del male con quelle battute sgarbate e oggi si comporta come se nulla fosse, come se mi stesse addirittura... cercando?
È come se i suoi atteggiamenti cambiassero all'improvviso, come se un altro Mirco fosse emerso dal nulla. Quello di qualche giorno fa mi aveva fatto quasi impazzire, mi aveva colpito nel profondo, mentre oggi c'è una parte di me che non riesce a capire se dovrei essere felice o solo confusa. Perché fa così? È come se fosse un gioco per lui, un'altalena di emozioni dove non so mai su che piede stia. Mi sembra di essere una pedina su una scacchiera, mossa da un'altra mano, che mi fa scivolare ora verso un lato, ora verso l'altro.
Che cosa vuole davvero da me? Perché prima mi attacca e ora, in qualche modo, sembra essere... attento?
All'uscita da scuola, mi accordo con Bea per incontrarci più tardi, dandole appuntamento nel pomeriggio. Ci salutiamo con un sorriso, ma mentre lei si dirige verso il fratello, io mi avvio verso casa. Un'altra giornata che si chiude, ma la testa è già un po' più confusa di quanto vorrei ammettere.
Il pranzo passa tranquillo, e come sempre faccio addormentare Sara vicino a me sul letto. Mi godo quel momento di calma, cercando di non pensare troppo a quello che mi aspetta. Ma non è facile. Ogni volta che il mio pensiero va a Mirco, una fitta mi percorre lo stomaco. È come se tutto dentro di me prendesse vita, ma io cerco di tenerlo tutto dentro, di non farlo vedere.
Mi alzo lentamente dal letto, facendo attenzione a non svegliare Sara, e mi dirigo in bagno per sistemarmi. Mi fermo un momento davanti allo specchio, osservandomi con una certa curiosità. I miei capelli castani chiari, che durante l'estate sono cresciuti fino a sfiorare le spalle, ora si adagiano morbidi intorno al viso, come una cornice disordinata. I miei occhi, castani come i capelli, mi fissano con un'intensità che mi sorprende, riflettendo tutto il turbamento che cerco di nascondere. I lineamenti del mio viso sono un po' più marcati di prima, come se il tempo avesse lavorato su di me in modo silenzioso, e le labbra, carnose e ben definite, sembrano sempre pronte a esprimere più di quanto io voglia mostrare. Mi guardo per un attimo, cercando di raccogliere i pensieri, ma in quella figura riflessa c'è una parte di me che ancora non riesco a comprendere del tutto.
Cerco di nascondere ogni traccia di nervosismo. Sono agitata, sì, ma non voglio che si noti. Non voglio che lui, di nuovo, veda quanto mi turba.
Quando esco, la mia mente è un turbinio di pensieri. Bea mi ha detto che lo accompagna, e mi viene quasi da sorridere amaramente. Perché, quando c'è lui, tutto sembra complicarsi. Mi chiedo cosa penserà di me oggi, come si comporterà. In fondo, non capisco nemmeno perché mi agito così tanto. Sono sempre riuscita a tenere sotto controllo quello che provo, ma con lui, è come se tutto crollasse.
Faccio un respiro profondo e, con la testa che sembra voler scoppiare, mi dirigo verso l'incontro, cercando di sembrare calma, anche se dentro è tutta una tempesta.
Il suono del motore del suo vespino mi arriva alle orecchie come un colpo improvviso, e in un attimo il cuore mi salta in gola. Mi sollevo di scatto, cercando di non farmi notare, aggiustandomi nervosamente la giacca mentre cerco di assumere un'aria indifferente. Ma, non appena i nostri occhi si incrociano, il mondo intorno a me sembra fermarsi. I suoi occhi neri, così profondi e intensi, mi fissano con una sicurezza che mi fa perdere il respiro. Quel breve momento, quell'attimo sospeso, è carico di una tensione che non riesco a decifrare, ma che mi fa sentire ogni fibra del mio corpo tesa, in attesa. Bea scende dal motorino e saluta il fratello con un gesto di mano distratto, ma io non riesco a staccare lo sguardo da Mirco, che dopo pochi secondi sparisce dietro l'angolo. Ma qualcosa di quel breve scambio di sguardi rimane sospeso nell'aria, come una promessa non detta, un'energia che continua a risuonare dentro di me, anche quando tutto torna alla normalità.
Bea mi viene incontro con il suo solito sorriso smagliante, quasi contagioso, che non riesco a non ricambiare. «Ciao Juli», dice, e io rispondo con un sorriso che mi sfugge quasi senza rendermene conto. «Che ne dici se ci facciamo una passeggiata per ora?» propone, mentre inizia a raccogliersi i lunghi capelli in una coda di cavallo, ma non sembra particolarmente concentrata su quel gesto.
Mi fermo un attimo, il pensiero che mi ronza in testa da giorni mi prende alla sprovvista. «Bea, ma... toglimi una curiosità...» comincio, inclinando la testa, con il cuore che batte un po' più velocemente. Lei mi guarda con un'espressione curiosa, come sempre pronta ad ascoltare. «Dimmi», dice, aspettando con un sorriso che si fa più curioso. E io prendo il coraggio a due mani.
«Come mai non ti tagli i capelli? Sono bellissimi, ma anche molto lunghi e soprattutto...» non finisco la frase, lasciandola sospesa nell'aria, per vedere la sua reazione.
Bea ride, un suono leggero che sembra sfiorare l'aria, e finalmente risponde: «Sì, è vero, sono lunghi... però sai, a Mirco piacciono molto i miei capelli, mi ha praticamente chiesto di non tagliarli, dice che mi stanno molto bene». Arrossisce mentre lo dice, e io posso quasi vedere il legame profondo che c'è tra di loro. La sua voce, leggermente più morbida e affettuosa, tradisce quanto Mirco le stia a cuore. C'è una tenerezza che non riesce a nascondere quando parla di lui, come se il semplice pensiero del fratello riuscisse a farle brillare gli occhi. Un legame forte, quasi indissolubile, che traspare ogni volta che il suo nome viene pronunciato.
«Cavolo, che carina la tua giacca!» Bea cambia argomento, notando subito il capo che indosso.
Le sorrido, contenta del suo apprezzamento. «Grazie, l'ho comprata da poco, in realtà... se vuoi, te la presto!» le dico, un po' provocatoria, ma con un sorriso che non riesco a nascondere.
Lei, come al solito, risponde velocemente: «Ma no, non vorrei mai...» Ma non mi fa in tempo a finire la frase che, con un movimento veloce, inizio a sfilarmela e a porgergliela. «Tieni, me la riporti questi giorni, non c'è problema.»
Bea la prende con un'aria timida, quasi sorpresa dal mio gesto. «Grazie, ma non dovevi...» sorride e abbassa lo sguardo, imbarazzata, mentre io mi limito a fare spallucce.
Il pomeriggio scivola via in una nuvola di risate e chiacchiere leggere, parlando di tutto e niente. Il tempo passa velocemente, tra sciocchezze e storie senza senso. Quando il sole inizia a calare, Bea si alza, annunciando che è ora di tornare. Mi accompagna fino a casa e, come sempre, si ferma ad aspettare il fratello, che arriva puntuale come al solito per prenderla.
Dopo averla salutata, rientro a casa, pronta a cenare e finalmente a rilassarmi. La giornata è stata lunga, ma in qualche modo mi ha lasciato una sensazione di leggerezza.
La mattina arrivo a scuola ancora un po' assonnata, i miei occhi pesano un po' e mi sento come se stessi camminando in un sogno. Mentre mi appresto a varcare il cancello, una voce mi chiama da dietro. Mi volto, e vedo Bea, che si avvicina con il suo sorriso solito, un sorriso che porta sempre un certo mistero con sé.
Entro in scuola con lei, ma noto subito che qualcosa è diverso. Bea inizia a ridacchiare tra sé e sé, e la sua risatina, leggera ma quasi maliziosa, mi mette subito in allerta. Poi, con un sorriso furbo, si volta verso di me e dice, «Devo dirti una cosa.»
Perché ho l'impressione che si tratti di Mirco? Non posso fare a meno di chiedermelo, anche se cerco di non farmi notare. Una sensazione strana mi prende nello stomaco, una specie di anticipazione, e non posso negare che le farfalle si facciano sentire.
La guardo con calma, cercando di sembrare indifferente, ma sento il cuore battere un po' più forte. «Mirco ha preso la tua giacca ieri,» mi dice, e subito vedo una scintilla nei suoi occhi che mi fa pensare a come si stesse divertendo. «Se la stava misurando e ha iniziato a ridere.»
Beh, è l'unica cosa che sa fare quando c'è qualcosa che riguarda me. La mia mente fa un salto, ma cerco di non mostrarlo troppo. Non posso fare a meno di chiedermi: perché continua a comportarsi così con me? Perché non riesce mai a essere diretto, a smettere di farmi sentire... strana?
Incuriosita, mi acciglio e inclino la testa da un lato. «Perché?» chiedo, ma Bea non sembra particolarmente sorpreso dalla mia domanda. Con una semplicità disarmante, mi risponde, «Non lo so,» alzando le spalle come se fosse una cosa da nulla.
Proseguiamo lungo il corridoio, e prima di entrare in classe, Bea mi parla ancora. «Comunque, oggi a che ora a casa di tua zia?» mi chiede, e la sua voce è un po' più tranquilla, ma c'è qualcosa nel tono che mi fa capire che vuole davvero sapere.
«Alla stessa ora, per te va bene?» le rispondo, cercando di sembrare casuale, ma dentro di me una piccola parte di me è preoccupata di cosa accadrà. Lei annuisce con entusiasmo, e con uno slancio mi dice, «Sì, certo! Mi accompagna Mirco in motorino.»
Non che la cosa mi dispiaccia, anche se cerco di sembrare indifferente. Il mio cuore accelera comunque, e un misto di emozioni mi attraversa senza preavviso. Mi sento confusa, ma anche... sollevata, forse? Cerco di non farmi notare, ma so che dentro di me c'è qualcosa che mi spinge a pensare sempre a lui, a cercare di capire perché si comporta come se fosse il mio tormento personale.
Annuisco, più per non sembrare fuori luogo che per convinzione, mentre mettiamo piede dentro la classe. E, stranamente, non riesco a scrollarmi di dosso quella sensazione che si sta facendo sempre più forte: che Mirco non sia mai stato veramente indifferente.
Sono seduta sul gradino di casa di mia zia, con le gambe incrociate e gli occhi persi nel panorama che mi circonda, mentre aspetto Bea. Il sole del tardo pomeriggio mi riscalda la pelle, e l'aria è fresca ma piacevole. Ogni tanto, alzo lo sguardo verso la strada, aspettando di vederla arrivare. Quando finalmente la vedo scendere dal motorino, qualcosa cattura la mia attenzione.
Mirco, con il suo solito atteggiamento da eterno protagonista, afferra un braccio di Bea e le sussurra qualcosa all'orecchio. Lei, con un'espressione che mescola fastidio e rassegnazione, alza gli occhi al cielo, quasi per dirgli "che noia". Dopo un istante, si libera dal suo tocco e lo saluta distrattamente, voltandosi per incamminarsi verso di me.
In quel momento, il nostro sguardo incrocia il suo. Un breve attimo, un silenzioso scambio di occhi che sembra durare un'eternità. I suoi occhi neri, impenetrabili come sempre, si fissano sui miei con un'intensità che mi fa rimanere bloccata. È come se mi stesse scrutando, cercando di capire qualcosa che non sono ancora pronta a rivelare. Non posso fare a meno di avvertire una strana sensazione nel petto, un misto di nervosismo e... curiosità. È strano, ma in quel breve contatto sento come se un piccolo mondo stesse per scoppiare, anche se nulla cambia all'esterno.
Poi, senza dire una parola, lui distoglie lo sguardo, mette in moto il suo vespino e, senza un altro cenno, parte. Il rumore del motore che si allontana è l'unico suono che interrompe la quiete del momento. Resto lì, immobile, cercando di capire cosa mi abbia davvero lasciato dentro quel fugace scambio.
«Mirco mi ha raccomandato per l'ennesima volta che mi fa uscire con te se non ci fermiamo a parlare con i ragazzi, e mi ha anche detto di riferirti di salutarlo quando lo vedi in strada.»
Le parole di Bea mi colpiscono come un colpo secco. Rimango lì, immobile, senza rispondere subito. Ogni parola che mi ha detto sembra rimbombare nella mia testa, ma io non riesco a trovare una risposta. Un'ondata di emozioni mi travolge. È strano, ma sento una sorta di fastidio che si mescola a una confusione profonda. Perché lui sente il bisogno di dirmi queste cose? Perché deve sempre essere lui a dare ordini, a farmi sentire come se avessi l'obbligo di fare qualcosa che non voglio? Ogni volta che mi parla, c'è sempre qualcosa che non mi torna. Perché non può semplicemente ignorarmi?
Il silenzio si fa pesante tra me e Bea, e nel cambio di argomento che scelgo di fare, sento un piccolo sollievo. Non voglio parlarne, non ora. Bea però se ne accorge, nota subito il cambiamento nel mio atteggiamento, ma per fortuna non dice nulla. Mi guarda, ma si limita a continuare a camminare senza insistere. La ringrazio in silenzio per non fare domande, perché ci sono momenti in cui non è facile esprimere quello che proviamo, soprattutto quando non riusciamo nemmeno a capirlo noi stessi.
So già che non farò quello che mi ha chiesto. Non mi fido di Mirco, e non so perché questa sensazione di disagio non mi abbandona mai. È come un'ombra che mi segue ovunque vada, un istinto che mi dice di stare lontana, di non farmi coinvolgere da lui. Quando lo vedo, non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi per più di un paio di secondi. Figuriamoci rivolgergli la parola, come se fosse una cosa normale.
La verità è che riesco a parlare con lui solo quando mi fa arrabbiare, quando non posso fare a meno di rispondere alle sue provocazioni, alle sue battutine. Ma quando c'è qualcosa di più serio, qualcosa che mi tocca veramente, mi chiudo, mi blocco. È come se una parte di me volesse dirgli tutto, ma l'altra parte mi tiene indietro. Ci sono momenti in cui le emozioni e le sensazioni ci impediscono di fare quello che vorremmo, anche se sappiamo che dentro di noi c'è una voglia irrefrenabile di fare esattamente il contrario. Ma certe cose non si possono comandare. Anche quando lo desideri, non sempre sei in grado di seguire il tuo cuore.
Mi fermo un attimo, cercando di mettere ordine nei pensieri che continuano a scombinarsi nella mia mente. Perché mi ha detto di salutarlo? Ogni volta che ci incrociamo, tra noi è un continuo gioco di insulti, battutine velenose, e a malapena riusciamo a guardarci in faccia senza che ci sia un'aggressività nell'aria. Se c'è una cosa che ho imparato di lui è che ogni parola, ogni gesto è carico di sarcasmo e disprezzo. E ora, improvvisamente, mi chiede di salutarlo? Perché proprio adesso?
Mi viene in mente che forse non è lui a volere davvero quel saluto. Forse è solo un altro dei suoi giochi, un altro modo per farmi sentire confusa, per farmi abbassare la guardia. Forse vuole vedere quanto riesco a controllarmi, quanto sono disposta a ignorare quello che penso veramente e comportarmi come se niente fosse. Ma perché? Cosa guadagna con questa piccola richiesta? Magari sta solo cercando di mettermi in difficoltà, di farmi sentire ancora più a disagio di quanto già non faccia ogni volta che si avvicina.
In ogni caso, una cosa è certa: non posso farlo. Non posso salutarlo come se non fosse successo nulla, come se non ci fosse mai stato nulla tra noi, nemmeno un confronto serio. Ogni volta che lo vedo, mi viene da rabbrividire. Non mi sento mai libera quando è vicino, come se le sue parole riuscissero a penetrare più in profondità di quanto vorrei. Eppure, se avessi potuto fare un passo verso di lui, magari per parlare veramente, sarebbe stato diverso. Ma non è mai così. Non mi fido di lui, non mi fido dei suoi sorrisi o dei suoi sguardi di sfida, né tanto meno delle sue richieste. Non so che cosa stia cercando di ottenere, ma so che non voglio esserne parte.
Cerco di rompere il silenzio che si è creato tra di noi, un silenzio che pesa come un macigno, cercando di trovare qualcosa di leggero su cui rifugiarmi. Così, quasi senza pensarci, lancio un argomento banale, ma che mi sembra abbastanza sicuro da non farci impantanare in un altro momento imbarazzante: «Ieri mi sono scaricata alcune canzoni di Eros Ramazzotti, a te piace?» La fantasia, a volte, non mi assiste per niente.
Bea mi osserva un attimo, poi sorride e risponde con sincerità: «Sì, mi piace molto, però non mi sono ancora scaricata nulla.» Un po' divertita dalla semplicità della conversazione, prendo il cd dal mio zaino e glielo porgo, il gesto automatico. «Tieni, io ne ho molte, se vuoi, te la presto. Poi, quando te le scarichi, me lo ridai.» Lei guarda il cd per un istante, come se stesse valutando se accettare o meno, e poi alza lo sguardo, sorridendo e prendendolo dalle mie mani. «Grazie mille,» dice con gratitudine, ma c'è qualcosa nel suo sorriso che mi fa sentire stranamente soddisfatta.
Mentre proseguiamo il pomeriggio tra chiacchiere generali e risate, la mia mente però è altrove, concentrata su quella piccola azione, su quel gesto che all'apparenza potrebbe sembrare insignificante, ma che per me è tutt'altro. Ho dato quel cd a Bea perché, in qualche angolo nascosto del mio cuore, spero ancora che sia un segno, un piccolo tassello che mi faccia capire che forse Mirco sta cercando di avvicinarsi, che quello che percepisco, anche se confuso, non è solo frutto della mia immaginazione. Non posso essermi illusa per nulla, no, non sarebbe possibile.
Rientro a casa con quella sensazione di incertezza che mi stringe lo stomaco, ma anche con una piccola speranza che si fa largo tra i miei pensieri. Ho spruzzato il mio profumo sulla custodia del cd, e un bacio con il rossetto, che ho lasciato proprio lì, sul suo angolo. Ho scritto anche la sua iniziale, quasi a segnare un territorio invisibile, un messaggio silenzioso. Mi addormento con la speranza che lui ascolti le canzoni, che in qualche modo capisca il messaggio che non riesco a dirgli, che quelle parole, quelle canzoni, sono quello che io non avrei mai il coraggio di esprimere a voce alta.
Il giorno dopo usciamo tutte insieme: io, Sonia, Gloria e Francesca. Ci fermiamo in un bar e ci sediamo al tavolo, iniziando a chiacchierare come al solito. Le risate e i discorsi si susseguono fino a quando, inevitabilmente, arriva l'argomento che avrei voluto evitare: Mirco.
Sonia è la prima a rompere il silenzio, con quel suo sorriso un po' malizioso che non mi piace per niente. «Allora, come va con lui?» chiede, facendo un paio di sorsi dalla sua coca cola, mentre mi fissa con gli occhi curiosi.
Sento il mio stomaco contrarsi, ma cerco di sembrare tranquilla. «Diciamo che va,» rispondo alzando le spalle, cercando di sembrare disinteressata. In realtà, il fatto che anche lei sembri interessata a lui mi irrita, più di quanto dovrebbe. Ogni volta che pronuncia il suo nome, un'ondata di fastidio mi attraversa, ma cerco di non farlo notare. Eppure, il mio tono di voce tradisce la mia irritazione, e credo che la mia faccia, che inevitabilmente si incupisce, faccia trasparire tutto.
Sonia abbassa lo sguardo, capendo che non c'è altro da dire, e cambia argomento. Ma non è finita, perché Francesca, che di solito è quella più sfrontata, decide di intervenire. «Secondo me ti vuole,» dice, senza nessuna esitazione, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Hai mai visto come ti guarda?» La sua affermazione mi coglie di sorpresa, e per un momento mi sento una stupida, perché davvero non mi ero mai soffermata a guardarlo da questa prospettiva.
Mi scappa una risatina nervosa. «In realtà no, sono sempre concentrata a non far vedere come lo guardo io,» ammetto, arrossendo leggermente e alzando le spalle, come a giustificarmi. Mi sento improvvisamente imbarazzata, ma la mia risposta mi fa sorridere, anche se un po' nervosamente. Mi rendo conto che sto nascondendo più di quanto dovrei, ma non riesco a fare a meno di sentirmi in conflitto.
Gloria, con il suo sorriso da complice, mi fissa e mi dice: «Prova a farci caso, fidati.» La guardo con un'espressione incerta, ma alla fine annuisco, chiudendo così l'argomento. Non voglio pensarci troppo, anche se dentro di me qualcosa si muove, qualcosa che non so come spiegare.
La mattina mi sveglio presto, con la mente già occupata dai pensieri su Bea. Mi preparo velocemente, controllando l'orario e cercando di non farmi sopraffare dalla mia solita ansia di puntualità. Esco di casa e mi fermo davanti al cancello, aspettando che arrivi. Mi sento un po' nervosa, ma non riesco a capire bene perché. Forse è il fatto che ogni volta che la vedo, anche senza volerlo, la mia mente corre subito a Mirco.
Quando finalmente la vedo arrivare, scendere dal motorino e salutare il fratello, mi sento quasi sollevata. Mi fa un gesto con la mano mentre si dirige verso di me, e per un attimo mi dimentico dei miei pensieri. Camminiamo insieme verso il bar, il suo passo sempre così sicuro e allegro, mentre io cerco di non pensare a nulla di troppo serio.
Poi, mentre stiamo per entrare nel bar, Bea prende la parola. «Ieri stavo ascoltando il tuo cd, quando è entrato Mirco in camera e me l'ha preso,» dice, e io sento una strana sensazione di leggerezza attraversarmi, come se avessi appena vinto un premio. Ma davvero? mi ripeto mentalmente, come a voler confermare che la cosa stia accadendo per davvero. Dentro di me, faccio una danza della vittoria, ma cerco di non farlo notare, mantenendo un'espressione di innocente curiosità.
«In che senso?» chiedo, cercando di sembrare sorpresa, mentre metto giù la tazza del cappuccino con un piccolo clangore. La mia mente è già corsa avanti, sperando che magari, chissà, lui avesse davvero pensato a me.
Bea continua, un sorriso divertito sulle labbra. «Mi ha chiesto chi me l'avesse lasciato, e quando gli ho detto il tuo nome, si è messo a ridere. Poi si è avvicinato allo stereo e me l'ha preso.»
Sento un'irritazione crescere dentro di me, ma cerco di non farmi notare. Ogni volta si mette a ridere. Non so più se farmi venire il dubbio di essere divertente o se arrabbiarmi. La sua risata mi fa sentire una specie di scema, ma in un modo che non riesco a spiegare. Perché deve sempre essere così? La domanda mi brucia dentro, ma non dico niente.
Bea prosegue, senza accorgersi del mio crescente fastidio. «Gli ho detto di non fare lo scemo e di darmelo, che dovevo restituirlo, ma lui mi ha detto di riferirti che ora non te lo rende più.»
Mi viene quasi da ridere nervosamente. «Come non vuole rendermelo? Digli di riportarmelo! Se vuole gliene presto un altro, ma quel cd no!» La rabbia mi sale in gola. Perché deve essere così prepotente, anche con le mie cose? Non so se arrabbiarmi con lui o con me stessa per avergli permesso di farmi sentire così.
Bea mi guarda, dispiaciuta, e alza le spalle. «Scusami, lo sai com'è fatto, ma non ti preoccupare, glielo dico e te lo faccio riportare.» È sinceramente dispiaciuta, ma non so se mi consola. Mi sento sollevata, ma anche un po' frustrata. Non è lei il problema, lo so, ma ogni volta che Mirco si mette in mezzo tutto sembra complicarsi.
«Tranquilla, non ce l'ho con te, ma con lui. È il solito prepotente!» ammetto, con un sorriso che cerca di mascherare la mia frustrazione. Bea abbassa le spalle, ridacchiando, ormai abituata a come vanno le cose quando c'è Mirco di mezzo. Non c'è nulla che possiamo fare, tranne accettarlo, eppure ogni volta che accade, mi sembra di essere intrappolata in un gioco più grande di me.
Non le ho mai voluto confessare che mi piace il fratello, e sinceramente, non credo che glielo dirò mai. C'è qualcosa di troppo fragile, di troppo intimo, in quel sentimento che non posso permettermi di esporre. Ho visto abbastanza per capire quanto si vogliano bene, quanto lui sia protettivo e geloso nei suoi confronti. Li osservo, e ogni volta che si scambiano uno di quei sorrisi pieni di complicità, un nodo mi si forma nello stomaco. Mi fa male, ma non è qualcosa che posso condividere. Non voglio che lui sappia, che abbia la certezza che lo guardo in un modo che non dovrei. Preferisco restare nell'ombra, nel vago, dove non c'è nessuna prova tangibile di ciò che provo. Mi fa rabbia pensare che potrei essere solo una delle tante, una delle ragazze che gli piacciono, o che potrebbe avere uno di quei sorrisi di compassione quando mi vede. Non lo voglio. Non gli darò mai quella soddisfazione. L'ha sempre saputo dagli altri, da quei sussurri che si diffondono nei corridoi, ma non avrà mai la mia conferma. Non vedrà mai la verità nei miei occhi, non gliela darò. È meglio così. Restare un'ombra, un pensiero lontano, piuttosto che essere una delle tante ragazze che cerca disperatamente di attirare la sua attenzione. La mia dignità vale di più di un sogno che non si avvererà mai.
La settimana è partita con la solita monotonia, e come al solito, Mirco non si è fatto sentire per un paio di giorni. Non che mi aspettassi nulla di diverso, ma questa volta sono contenta di distrarmi un po' con Bea, e oggi anche con le mie cugine, Gloria e Francesca. Quasi non ci credo che sia arrivato il momento di uscire tutti insieme, considerando che le nostre chiacchierate sono sempre un mix di risate, frecciatine e, ovviamente, l'energia che solo loro riescono a portare.
Mi posiziono al cancello di casa, pronta per incontrare Bea. Mentre la vedo arrivare, una sensazione di leggerezza mi invade, è bello avere una routine fatta di piccole cose semplici. Bea è sempre così allegra e spensierata, e anche se qualche volta sembra nascondere qualcosa dietro quel sorriso, non si fa mai notare.
«Eh, cavolo! Mi ero dimenticata di ridarti il cd, scusami. Alla fine ha ceduto e me l'ha restituito,» dice Bea, con quella faccia che sa di scuse, ma anche di vittoria.
La guardo sorpresa, ma le prendo il cd senza dire nulla. Un battito nel cuore mi fa capire che c'è qualcosa che non va. Mentre lo guardo, noto subito che la copertina non ha più il segno del mio bacio col rossetto, e il profumo che sentivo quando l'avevo dato a Bea è sparito, sostituito da un altro, più... maschile.
«Ok, grazie,» mormoro, mettendo il cd in borsa senza aggiungere altro, ma non posso fare a meno di notare che Gloria e Francesca ci guardano, scrutandoci con quell'aria da investigatori.
Gloria, come al solito, non riesce a trattenersi. È la più estroversa delle due, sempre pronta a lanciarsi in qualsiasi discorso o pettegolezzo che scivola via come niente fosse. Francesca, invece, è più calma, ma sotto quella facciata da brava ragazza c'è una curiosità che si fa sentire, soprattutto quando c'è qualcosa di interessante da scoprire.
«Ragazze, io ora devo rientrare, ho avuto un contrattempo con mamma,» dice Bea, rialzandosi. Non riesce a nascondere una certa fretta, ma è comunque gentile.
Francesca, che non si perde un colpo, si gira subito verso Bea, «Va bene, ti accompagniamo.»
È come se avesse già fiutato l'occasione per ficcanasare un po', e in fondo, lo so che non vedeva l'ora. Gloria, con il suo sorriso malizioso, si alza pure, e io so che la sua mente sta già correndo a mille, pronta ad interpretare ogni singola mossa.
Arriviamo a casa di Bea, la salutiamo e, finalmente, ci dirigiamo verso la piazza. Ma non appena ci allontaniamo, Francesca non può trattenersi e mi fissa, quasi impaziente.
«Allora, dimmi tutto,» dice, alzando un sopracciglio, il suo viso che riflette un mix di curiosità e impazienza.
Gloria si accosta, sorridendo sotto i baffi, «Eh sì, dai, vogliamo sapere tutto! Non possiamo lasciarti con il mistero!»
Mi scappa una risata nervosa. Come sempre, le due mi fanno sentire come se avessi una storia da raccontare, anche quando è solo il solito caos che mi gira intorno. Ma, come sempre, devo fare attenzione a non lasciare trapelare troppo.
Tra loro due, è sempre un gioco di ruoli: Gloria, con la sua esuberanza e quel modo di far sembrare tutto una commedia, e Francesca, che con la sua calma e il suo modo riflessivo riesce a farmi sentire che le sue domande nascondono sempre un'incredibile perspicacia. Sono le due facce della stessa medaglia, due sguardi che riescono a penetrare nel profondo, ma con modalità diverse.
«Sì, insomma, è un po' complicato,» inizio a dire, cercando di sembrare più calma di quanto non lo sia realmente, mentre cerco di nascondere tutte le emozioni che mi travolgono.
«Forza, sputa il rospo! L'abbiamo visto che quando ti ha consegnato il cd avevi una faccia strana,» dice Francesca, incrociando le braccia al petto con il suo sguardo investigativo. Non le sfugge mai nulla, e quando si tratta di gossip, è la prima a mettersi in gioco.
Io cerco di mantenere la calma, ma dentro di me sento una strana confusione. «Ragazze, nella custodia di questo cd c'era il mio bacio con il rossetto e il mio profumo, ora guardate,» dico, cercando di mascherare l'imbarazzo, ma la curiosità che sento cresce ad ogni parola.
Sfilo il cd dalla mia borsa, ancora incredula, e lo porgo a Francesca, che lo prende con una mano e con l'altra inizia a scrutarlo come se fosse una reliquia. Poi, con il suo sguardo iper-analitico, lo annusa. Non posso fare a meno di notare come ogni piccolo gesto sembri enfatizzare la curiosità che si è scatenata in lei.
Gloria, invece, non può fare a meno di ridacchiare, e con un sorriso furbo mi ammicca, come se avesse già capito tutto. «Immagina un po' cosa ha fatto con la custodia... ora capiamo perché non voleva restituirlo,» dice, con quel tono malizioso che fa venire voglia di sprofondare sotto terra.
Francesca, continuando a scrutare il cd come se fosse il Santo Graal, me lo porge indietro. Mi guarda con un sorriso da "te l'avevo detto" mentre mi passano davanti le immagini della situazione: Mirco, il suo sorriso enigmatico, e la sensazione che qualcosa stia cambiando.
«Te l'avevo detto che c'era qualcosa di strano,» dice Francesca, mentre Gloria si fa più seria, ma con la luce della curiosità negli occhi.
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