Capitolo 11 - bugie nascoste

Mi sveglio la mattina ancora frastornata, sentendo il rumore della radio che ho lasciato accesa. Mi alzo dal letto non capendo inizialmente dove mi trovo, fino a quando non mi appaiono nella testa le immagini di ieri.

Attorno a me non vedo più le pareti rosa con l'armadio bianco e lo specchio adiacente al letto, ma i muri di un color verde chiaro e un letto singolo, un armadio di legno e una scrivania. Niente di ciò che mi appartiene è usato per abbellire questa stanza che, ai miei occhi, appare più grigia che mai. Non ho intenzione di appenderci nemmeno una mia foto, perché per quanto ci provi, non la sentirò mai mia, inoltre, farò tutto ciò che reputo possibile per andarmene quanto prima.

Mi alzo dal letto rassegnata, mi dirigo verso il bagno per lavarmi la faccia, non del tutto contenta e sveglia. Quando entro in cucina per fare colazione; noto con piacere che questa risulta più accogliente, con una cucina che riempie la parete principale e il tavolo posizionato al centro di questa, in sala, invece, c'è semplicemente la tv, un divano e la dispensa. Che bello sapere di non essere più nel paesino sperduto di Heidi.

Mamma mi osserva non sapendo cosa dire, e io decido di interrompere questo mio "momento di ribellione", dato che non serve a nulla, non mi riporta in Sardegna e crea solo tensione in casa.

«Cosa c'è a colazione?» chiedo, osservando ciò che ha già posizionato nel tavolo «ho preparato il caffè latte e qualche cornetto al cioccolato» afferma, sorridendomi. Mi siedo nel tavolo, intravedendo Fati sull'uscio della porta, ancora assonnata che si strofina gli occhi.

Sorrido e le vado incontro per prenderla in braccio, la faccio sedere affianco a me e le metto davanti la sua tazza con dentro il latte, le avvicino i biscotti e lei mi ringrazia abbracciandomi. Lei è l'unica cosa positiva che ho qui.

«Dov'è Ale?» chiedo, inzuppando i cereali nel latte. Lei si siede e finalmente inizia a mangiare con noi, «non c'è oggi, è dovuto uscire di mattina presto con tuo padre per aiutarlo a lavoro, arrivano a ora di pranzo» afferma, prima di fare un sorso dalla sua tazza di caffè.

Annuisco, lei fa una breve pausa e poi prosegue

«perché?» domanda curiosa, «così» alzo le spalle indifferente cercando di chiudere l'argomento.

Ogni giorno che trascorro qui è sempre uguale al precedente: mi alzo la mattina, faccio la doccia a Fati, pulisco il bagno, aiuto mamma a preparare il pranzo, mangiamo, scoccio mio fratello, metto a dormire la bambina, mi faccio la doccia, scrivo lettere alle mie amiche, in particolare a Sonia, preparo la cena, mangio e mi corico.

Nelle lettere che ricevo da Sonia purtroppo non leggo le notizie che speravo. Mi racconta ciò che fa durante la giornata, ogni tanto esce e mi racconta che ha conosciuto un ragazzo che abita vicino casa di Mirco, ma mi riferisce che non lo vede mai e che non ha notizie sue. Se devo essere sincera, questa cosa mi stranisce, ma cerco di non pensarci.

Passo due lunghi mesi strazianti qui, segno i giorni mancanti a tornare a casa su un calendario in cucina, aspettando con tanta impazienza la mia partenza.

Di mattina sento mamma entrare in camera e spalancare le finestre, apro gli occhi ancora intontita «ma cosa stai facendo? Quando mi alzo le apro io» la mia voce impastata dal sonno si contrasta con quella allegra di mia madre, «sono qui per darti una bella notizia»,

chiudo gli occhi cercando di riprendere sonno, biascicando un «sarebbe?» non prestando molta attenzione «domani parti tesoro. Mi ha chiamato zia dicendomi che ti ha già preparato il biglietto»

Mi alzo di scatto dal letto, insicura su ciò che ho appena sentito. Inizio a balbettare, non riuscendo però a spiccicare parola. Mamma ride di gusto, per poi continuare «c'è solo un problema, te la senti di prendere l'aereo da sola?», mi stropiccio gli occhi ancora incredula «ma certo! Che problema c'è?» dico con ovvietà, la sento ridacchiare cercando di non far rumore per non svegliare Fati «allora preparati, hai il volo alle dieci del mattino domani» salto dal letto rischiando di cadere, per correre ad abbracciare mamma. Dal baccano che ho causato, però, vedo Fati che si rigira nel letto. Spalanco gli occhi guardando mamma «ci manca solo che ora svegli il terremoto!» bisbiglia, guardandomi con gli occhi spalancati.

Ci dirigiamo silenziosamente verso la porta per uscire dalla camera e una volta che l'abbiamo chiusa, tiriamo un sospiro di sollievo.

Abbraccio mia mamma e mi dirigo verso la cucina per fare colazione. Dopo aver fatto le solite faccende di casa, vado in camera per prepararmi le valigie, quando mi vede Fati vedo i suoi occhi diventare lucidi, poi corre verso me ad abbracciarmi, non lasciandomi andare e cadendo in un pianto disperato «non fare così, io torno, non ti lascio sola» cerco in ogni modo di tranquillizzarla, fallendo miseramente.

Dopo un'oretta finalmente si addormenta, così ne approfitto per finire di sistemare le valigie.

La mattina dopo sono carichissima, mi alzo di buon mattino per avere il tempo di preparare le ultime cose e prepararmi. Aspetto mio padre, saluto tutti e, con il sorriso, percorro le scale per salire in macchina.

Il viaggio prosegue in rigoroso silenzio con mio padre che non pronuncia una parola, per far capire la sua disapprovazione a questo. Scendo dall'auto, saluto mio padre con un bacio in guancia e mi dirigo verso l'aeroporto. Quando mi accomodo al mio posto, mi metto le cuffie e ascolto un po' di musica, fino ad addormentarmi. Grazie al cielo la playlist finisce prima del viaggio, così, nonostante abbia le cuffie, riesco a sentire la voce del pilota che annuncia il termine del volo, mi risveglio di soprassalto, mi alzo dal sedile con l'unica valigia che possiedo e vado verso l'uscita.

Quando arrivo dentro l'aeroporto vedo la figura di mio zio, con in braccio Sara e mia zia. Corro verso di loro per salutarli, poi andiamo verso la macchina per, finalmente, rientrare a casa. «Allora, com'è andata questa vacanza?» zia si volta verso me dal suo sedile, «molto monotona devo dire, ma finalmente sono qui» confesso, terminando la conversazione fino all'arrivo.

Non appena vedo i colori caldi della casa di zia, subito mi rilasso, entro in camera e sistemo i bagagli, quanto mi è mancata questa stanza!

Ad un tratto vedo zia che entra con il telefono in mano «tieni, è Sonia» mi porge il telefono, io lo afferro e subito sento la sua voce «ehi! Finalmente sei qui! Non vedo l'ora di rivederti!» sorrido spontaneamente «Pure io, ora però mi riposo un po', appena mi sveglio ti chiamo» le dico, mentre inizio già a sdraiarmi nel letto e a chiudere gli occhi «va bene, ma non dormire troppo!» la saluto chiudendo la chiamata e appoggiando il telefono sul comodino, per poi dormire.

Quando riapro gli occhi sono già le diciotto, così mi alzo di fretta e furia dal letto, mi preparo e chiamo Sonia che risponde quasi subito «finalmente!» la sua voce squillante mi obbliga ad allontanare il telefono dall'orecchio «ho dormito più del dovuto, preparati, io sono quasi pronta» dico, non riuscendo però a completare la frase, perché la sua voce si sovrappone alla mia «arrivo» dice, e riattacca non dandomi il tempo di dire nulla.

Sento il citofono suonare, vado ad aprire il cancello e quando esco noto la figura di Soni dall'altra parte. Appena mi vede mi corre incontro per poi abbracciarmi.

Rimaniamo così per un paio di secondi, poi ci stacchiamo e ci dirigiamo verso il parchetto vicino casa.

Ci sediamo sulle altalene, ma ad un tratto noto una strana espressione sul suo viso «c'è qualche problema?» le chiedo curiosa, lei però abbassa lo sguardo e inizia a torturarsi le mani «in realtà...» inizia la frase, fermandosi.

Continuo a guardarla, non posso fare a meno di notare il suo nervosismo «dai racconta» la incoraggio a parlare morendo dalla curiosità, lei alza il suo viso per guardarmi, ha lo sguardo perso.

«Non ti ho raccontato tutta la verità» il mio sguardo ora è più cupo, a cosa si riferisce? «che cosa? Di cosa stai parlando?» le dedico tutta la mia attenzione, lei abbassa nuovamente il capo, e questa cosa inizia a urtarmi «non girarci intorno che tanto non serve a nulla, solo ad aumentare il mio nervosismo» affermo, iniziando a perdere la pazienza.

Lei, dopo avermi sentita con quel tono, riprende finalmente la parola «la verità è che nelle lettere ho omesso un particolare» dice, interrompendosi nuovamente «ovvero?» assottiglio lo sguardo e aggrottando la fronte.

«Io lo vedevo ogni giorno» sospiro rimanendo per un po' in silenzio, quando vedo che non prosegue, decido di intervenire «ah si? E perchè non me l'hai detto?» questa volta alza il viso, e dagli occhi si possono notare le lacrime che iniziano a sgorgare dai suoi occhi. Lacrime di coccodrillo.

«Perché la verità è che piace anche a me» prima che io possa dire qualcosa, lei prosegue, sicuramente per paura della mia risposta «ma non preoccuparti, perché non mi considera» ah, quindi se ti avesse considerato ci saresti stata.

Rimango per un momento senza parole, sono allibita a sentire queste cose dalla bocca della mia migliore amica. Le uniche parole che mi escono dalla bocca, risultano sprezzanti e ricche di delusione nei suoi confronti «bella stronza» la guardo assottigliando lo sguardo mentre lei rimane in silenzio, in evidente disagio.

Io riprendo la parola, ho bisogno di espellere tutto il nervosismo che, con una sola frase, è riuscita a far venire in me. La mia migliore amica, lei sapeva quanto io ci tenevo ad avere sue notizie, che aspettavo il postino proprio per sentir parlare di lui.

«Tu...» le dico con disprezzo, indicandola «sapevi quanto io ci tenessi ad avere sue notizie, che passavo giornate ad aspettare il postino per leggere le tue lettere, per ritrovarmi scritto solo cazzate!»

Non riesco a controllarmi e continuo ad accusarla di avermi mentito, non riuscendo a fermarmi.

Lei, improvvisamente, si alza posizionandosi davanti a me e mi prende le mani, lasciandomi decisamente disorientata e non sapendo più cosa fare.

«Ti prego, perdonami. Io non sapevo come dirtelo» sottraggo le mie mani dalle sue, lei guarda il gesto che ho appena fatto, poi alza nuovamente lo sguardo.

«Non permettiamo che, a causa di un ragazzo, distruggiamo la nostra amicizia» cazzo, ma proprio tu vieni a dirmi queste cose?

La osservo rispondendole solo dopo qualche secondo «ci devo pensare» vedo accendersi un barlume di speranza nei suoi occhi, così accenna un mini sorriso. Io, invece, giro i tacchi e rientro a casa.

Durante tutto il tragitto la mia testa non fa altro che elaborare ciò che è appena successo, e sto iniziando a pensare che, forse, in un certo senso ha ragione.

Non si decide di chi innamorarsi, lo si prova e basta; e forse questa cosa è successa anche a lei. Aveva paura di parlarmene, e questo ci sta, ma ciò che più mi ha dato sui nervi è stato che mi ha mentito spudoratamente, nonostante sapesse benissimo come stavo io e quanto era importante per me ricevere sue notizie.

Appena varco la soglia di casa vado subito in camera, accendo lo stereo e mi addormento. Pensando che, forse, una seconda opportunità se la meritino tutti, inclusa lei.

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