Capitolo 10 - l'ultimo giorno

Oggi a scuola c'è la festa di fine anno, a differenza di tutti gli altri, non sono affatto contenta e non trovo nessuna motivazione per festeggiare. Ho discusso con Mirco e devo partire nuovamente in Toscana, cosa dovrei festeggiare?

Mi dirigo verso l'entrata, in mezzo alla massa di studenti che festeggiano riesco a scorgere le figure di Sonia, Bea e Carla che mi vengono incontro.

Abbelliamo con striscioni tutto l'andito della scuola; posizionati da una parte, attaccati al muro, si trovano i banchi riuniti in un unico bancone enorme, dove sopra abbiamo distribuito pacchi di patatine, bottiglie di coca cola, aranciata e altre schifezze varie.

Nell'aria si sente un'incredibile felicità che quasi mi mette di malumore, in netto contrasto con ciò che provo io in questo momento.

Soni e Carla mi stanno vicine tutta la mattinata, cercando di non farmi pensare, ogni tanto noto Mirco con la sua allegra compagnia cantante, e ogni qual volta ne hanno occasione, ci mandano qualche insulto, in particolare a me «vedi non guardarmi» come se fossi solo io quella che lo guarda, «girati, hai molto da guardare?» quando fa così sarebbe da prenderlo a schiaffi!

Il suo atteggiamento mi infastidisce e non poco, tutta questa situazione sta portando la mia pazienza ad esaurirsi completamente... Mirco ha la capacità di far uscire il peggio di me.

All'uscita di scuola continua a fare il bambino, continuando a prendermi in giro, si vede che non ha nient'altro da fare nella vita, ma ora gioco io.

Mi allontano con aria decisa dalle mie amiche per dirigermi verso Emanuele, il fratello di Sara, lui mi nota e mi scruta attentamente. Sento lo sguardo di Mirco bruciarmi nella schiena, lo vedo con la coda dell'occhio che mi guarda in modo accigliato, cos'è caro mio, non te l'aspettavi?

«Ciao, come stai?» gli sorrido cercando di apparire più vera possibile, Manu mi sorride e inaspettatamente mi tiene il gioco, non sapendolo ma vabbè, questo è un dettaglio.

Quando Mirco nota la complicità tra noi, sbuffa, alza gli occhi al cielo e se ne va senza dire nulla a passo spedito, io e Manu ci guardiamo confusi, mentre dentro me sento una danza tribale, sono riuscita a farlo infuriare, che soddisfazione!

«Ehi aspettami!» Manu chiama più volte Mirco che lo ignora deliberatamente, mentre io sorrido soddisfatta. Sì sono stronza, lo so.

Lui prima di raggiungerlo si gira verso di me «scusami, vado da lui, ci vediamo» tenta di darmi un bacio a stampo, ma io mi scanso con la guancia e spalanco gli occhi, bello ma che fai? Vedi di non prenderti troppe confidenze. Ma proprio in quel momento Mirco si gira verso di noi, spalanca gli occhi, poi si volta e continua a camminare più velocemente con un andamento nervoso. Ovviamente si doveva girare per vedere ciò che in realtà non è successo. Ma certo! Sennò non sarebbe la mia vita dove tutto va sempre per il verso sbagliato.

Una volta arrivata a casa butto la borsa nella mia stanza e mi dirigo in cucina, ad un tratto vedo la figura di mia madre seduta comodamente su una sedia, mio padre e mio fratellino seduti nel divano, e mia sorellina Fatima corrermi incontro.

Mi abbasso per prenderla in braccio notando quanto lei sia cresciuta, i suoi capelli neri le arrivano a metà schiena, il suo viso paffutello è uno dei più dolci che io abbia mai visto, con due grandi occhi neri.

Noto con piacere che mia mamma si sia rifatta il colore ai capelli, il rosso mogano le dona un'aria più giovanile, nonostante non dimostri affatto la sua età; mio fratello Alessio invece ha 13 anni, è un'anno più piccolo di me, anche se ha il quoziente intellettivo di un neonato alle volte... lui, a differenza mia e di Fati, ha i lineamenti più semplici ereditati da nostra madre, insieme ai capelli biondi; e infine mio padre: un'uomo che io ammiro tantissimo, i suoi due grandi occhi castani mi osservano, mentre mantiene la sua solita aria fiera, anche se so benissimo che non vede l'ora di abbracciarmi. Si alzano dal loro posto e vengono verso di me, contentissimi di vedermi. Io ricambio il loro caloroso abbraccio, era da tanto che non li vedevo, e ora che sono qui finalmente il mio cuore scoppia di gioia.
Potrebbe essere veramente tutto perfetto, se non fosse per la motivazione per la quale loro sono qui.

Ci stacchiamo dall'abbraccio di famiglia, ci accomodiamo tutti insieme attorno al tavolo, ad eccezione di Sara e Fatima che giocano in cameretta. Mia zia prepara il caffè e nel frattempo si prende l'argomento che tanto temevo.

«Juli, come puoi immaginare siamo venuti qui per prenderti» mio padre sgancia la bomba che in realtà già sapevo. Sono consapevole di non poter restare per sempre qui, il patto era che ogni estate sarei partita per stare con loro e che una volta finita la scuola dovevo rientrare. Mia mamma abbassa lo sguardo, non sa che fare o dire. L'unico suono che esce dalla mia bocca come risposta, è un sospiro di rassegnazione.

«Senti tesoro, so che per te è una situazione difficile, ma cerca di capire anche noi» mia mamma si rivolge a me in seria difficoltà, mi afferra la mano che avevo appoggiato a tavolo per rassicurarmi.

«Sì, lo capisco» mento spudoratamente, non capirò mai il bisogno di portarmi con loro nonostante sappiano quanto io stia male.

«Comunque verrà con noi anche Francesco, così state insieme e non sarai sola, sei contenta?» afferma, cercando di rendermi un po' più felice. «Sì, certo mamma» la guardo e le accenno un sorriso, il più falso della mia vita.

La mattina dopo mi sveglio con gli occhi gonfi, mi alzo dal letto, entro in cucina per far colazione e subito dopo metto le valigie nel cofano della macchina con malavoglia.

Durante il tragitto verso il porto non faccio altro che pensare a cosa mi attenderà lì. Dovrò passare altri tre mesi d'inferno, in un posto che non sento mio. Mi sto allontanando dal mio piccolo angolo di paradiso, questo è l'unico pensiero che continua a perseguitarmi.

Perchè devono togliermi la mia quotidianità?

Arrivati alla cabina della nave butto a terra la valigia che mi sono presa dietro. Questa situazione non mi piace neanche un po'. Qui dentro non c'è spazio nemmeno per passare, la camera è austera e sgradevole, ci sono due letti a castello ai lati della stanza, due comodini e un mini bagno nascosto vicino alla porta. Passo tutto il viaggio sdraiata nel letto ad ascoltare musica, mentre mamma prova a tirarmi su di morale, fallendo miseramente.

Senza neanche accorgermene mi addormento, e al mio risveglio siamo già arrivati al porto di destinazione. Saliamo in macchina, dove ci attendono un paio d'ore di viaggio in auto. Il tragitto è lungo, e io non faccio altro che continuare a mantenere un rigoroso silenzio.

Una volta arrivati, scendo dall'auto, apro il bagagliaio ed afferro tutte le mie valigie, come mi vede papà, si offre di aiutarmi «lascia, ti aiuto» il suo tono di voce è calmo e pacato, ma io, con molto disinteresse, gli rivolgo uno sguardo contrariato «non c'è bisogno, faccio da sola» lui mi osserva, abbassando subito dopo lo sguardo.

Nonostante la fatica e la svogliatezza di fare due viaggi, mi carico nelle braccia le valigie, apro la porta, attraverso la cucina per dirigermi subito nella mia stanza.

Appena varcata la soglia della porta, scaravento le valigie nel pavimento, liberandomi da quel peso. Rimango per una manciata di minuti ferma, non realizzando ancora il tutto.

Non posso ancora crederci che tutto questo sia successo davvero, di essere ritornata qui.

Mi alzo dal letto, afferro la valigia più grande e inizio a sistemare la roba. Sfoglio le foto, dove appaio con un sorriso che mi incornicia il volto, consapevole che non rivedrò quell'espressione nel mio viso fino a quando non tornerò.

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