-Prologo: Dolore

Att. alla fine di questo capitolo è presente una scena non adatta a chi è più sensibile

Rebecca

«Dai muoviti Rebecca altrimenti faremo tardi! » urlò Elisa dal fondo delle scale di casa mia. In un attimo sentii la porta spalancarsi e la vidi sulla soglia con un vestito azzurro che le arrivava sopra le ginocchia e un paio di tacchi neri talmente alti da far sembrare le sue gambe chilometriche. Aveva i lunghi capelli biondi raccolti in una treccia e un effetto smokey che faceva risaltare i suoi occhi azzurri. 

«Ma com'è possibile che tu non sia ancora pronta? » sbuffò buttandosi sul letto di fianco a me.

«Non mi va di venire Eli, lo sai » le risposi scocciata mentre scorrevo senza uno scopo preciso la pagina Instagram sul cellulare.

«No, forse non hai capito. Non accetto un ''no'' come risposta da parte tua», si impuntò la mia amica fissandomi con severità, «diventerai una troglodita se continui a nasconderti in queste quattro mura».

Quella sera un suo amico l'aveva invitata alla sua festa di compleanno. A quanto pareva aveva chiamato tutta la scuola, tranne me. Non che la cosa mi toccasse particolarmente, in realtà odiavo questo genere di eventi, preferivo di gran lunga rimanere a casa a guardare serie TV e sfondarmi di gelato.

«Ah, tra l'altro mio padre non vuole. Sai com'è da quando non c'è più mamma» le dissi.

«Tu pensa a sistemarti, a Marco ci penso io. Apri quella» disse indicandomi la borsa di fianco alla porta «ti ho portato dei vestiti da metterti. Non vorrai mica venire con le Converse, vero?»

«Mmh, che palle» risposi alzandomi controvoglia dal letto ma era troppo tardi, non mi aveva sentito, si era già fiondata di sotto per parlare con papà.

Aprii la borsa che mi aveva indicato e ne estrassi  una canottiera di pizzo bianca, una gonna di jeans a vita alta e un paio di tacchi a spillo neri. Sentivo già dolore ai piedi al solo pensiero di doverli indossare tutta la sera, erano decisamente meglio le mie scarpe da ginnastica.

Elisa dopo aver ottenuto, non so come, il permesso di mio padre, tornò in camera e iniziò a truccarmi e a sistemarmi i capelli neanche fossi una bambola.

Mi guardai allo specchio venti minuti dopo e quasi non riconobbi la figura riflessa davanti a me. Una ragazza alta, con i capelli castani impeccabilmente lisci che le ricadevano lungo la schiena, gli occhi marroni delineati dall'eye-liner, le labbra rosse come il fuoco e quella gonna un po' troppo corta per i miei gusti.

«Non dire nulla, sei perfetta così.» mi disse con tono dolce mentre ammirava soddisfatta il lavoro che aveva svolto su di me. Era come se mi leggesse nel pensiero, sapeva che stavo per lamentarmi e mi aveva zittito subito, così come sapeva perfettamente che non mi sentivo a mio agio in quelle vesti. Io non ero come lei, attirare l'attenzione era il suo secondo nome, non il mio. Era sempre stata la mia compagna di banco dai tempi delle medie e nonostante le differenze caratteriali ci volevamo bene. Era una ragazza solare e carismatica, abitava in una casa in campagna vicino a Borgo San Lorenzo, il paese in cui vivevo, con i suoi genitori e il fratello più piccolo Giulio. Suo padre Andrea era un importante avvocato e sua madre Teresa un'ostetrica. Non le era mai mancato nulla, dai vestiti firmati, alle vacanze lussuose. I suoi genitori erano sempre pronti ad accontentare ogni suo più piccolo capriccio, una vita da principessa insomma. Al contrario di me che da quando mia madre, Anna, era morta avevo preso il suo posto al ristorante di mio padre facendo la studentessa di giorno e la cameriera la sera. Sinceramente non sentivo tutta questa differenza tra me e lei, anzi, tutto questo ci univa ancora di più.

«Papà, noi andiamo» gli urlai davanti alla porta di casa.

«Va bene amore, per qualsiasi cosa chiamami e stai attenta, mi raccomando».

«Tranquillo, 'notte» risposi uscendo di corsa.

Arrivammo alla festa poco dopo.  Mi sudavano le mani, non sapevo se fosse colpa del caldo, dato che era Agosto, oppure per l'agitazione, fatto sta che non vedevo già l'ora di tornare a casa. La villa era bellissima, tutta in legno e vetro, rustica all'esterno ma completamente moderna all'interno. Era circondata da un grande parco e c'era una piscina illuminata lungo tutto il perimetro da luci blu e bianche. Accanto ad essa c'era un bancone con dei ragazzi in costume a fare bevute e il DJ che metteva musica commerciale a tutto volume. Gli alberi in giardino avevano delle lanterne appese ai rami e il tutto creava un'atmosfera veramente magica. Ogni angolo di quel posto trasudava ricchezza, nonostante ci trovassimo nella campagna di Borgo San Lorenzo. Mi trovai a pensare che c'eravamo catapultate in un altro posto, lontano da quel monotono paese che io chiamavo casa costituito da case vecchie e in procinto di cadere al primo terremoto, i parcheggi a pagamento in ogni angolo e l'immancabile nebbia mattutina.

L'alcol scorreva a fiumi e nei tavoli sparsi in giardino i ragazzi già ubriachi urlavano e ridevano come pazzi. C'era veramente tanta gente ma sinceramente di quelle persone non ne conoscevo forse neanche la metà. In compenso Elisa era perfettamente a suo agio. Neanche il tempo di arrivare e già aveva un mojito in mano e ballava come una forsennata in compagnia di un ragazzo. Solo quando ci presentò capii che era Luca, il proprietario della festa nonché festeggiato. Rimasi davvero stupita, era bellissimo: la carnagione olivastra, occhi scuri, capelli neri e con un ciuffo ribelle che gli ricadeva sul viso. Aveva un fisico notevole, era alto e ben piazzato, da quello che potei capire faceva il nuotatore.

«Piacere di conoscerti, io sono Luca benvenuta alla mia festa, ti diverti? Non ti ho mai vista in giro. Sei di qui?» biascicò al mio orecchio per farsi sentire nonostante la musica alta.

«Certo, abito in paese. Non mi hai mai vista perché questo non è il genere di posti che frequento. Lavoro molto. Non ho tempo per queste cose».

«Il genere di posti che non frequenti eh? Capisco, però ora sei qui, che onore! Dai venite vi offro da bere» disse guardandomi dritta negli occhi con un sorrisino beffardo sul volto.

«No, grazie, io non bevo.» risposi secca.

«Dai, non puoi rifiutare l'invito del proprietario di casa. Mi offendo altrimenti. Su, un bicchiere e poi ti lascio stare». Accettai.

Non sapevo quanto tempo fosse passato ma, a un certo punto, tra un bicchiere e l'altro, mi ritrovai a ballare senza Elisa in mezzo alla folla. Iniziò a girarmi la testa, le gambe mi cedevano e mi veniva da vomitare. Non sapevo neanche che fine avesse fatto la mia amica. Ero stata una sciocca, sapevo che non dovevo bere, mi ero fatta convincere da quel "Dio sceso in terra" e ora stavo per vomitare davanti a tutte quelle persone.  Corsi in casa alla ricerca di un bagno ma avevo la vista offuscata, non mi reggevo in piedi e inciampavo dappertutto. Dentro le persone erano ovunque, chi sdraiati sui divanetti, chi in cucina, chi per le scale, c'erano coppiette nascoste nei corridoi e nelle camere intente a baciarsi lontani da sguardi indiscreti. La casa era completamente a soqquadro, la carta igienica era attaccata su tutte le pareti, i bicchieri erano disseminati ovunque, i cocktail scaraventati per terra, bottiglie vuote o rotte sui divani, sui mobili, sui comodini, altre ancora piene, erano messe una sopra l'altra e via via che cascavano creavano un frastuono acuto che risuonava nonostante la musica a tutto volume che rimbombava nelle casse. Mi aggrappai alla ringhiera delle scale per cercare di arrivare al piano di sopra e trovare il bagno. Si rivelò essere l'impressa più ardua della mia vita.  Alla fine lo trovai e neanche il tempo di entrare rigettai tutto l'alcol che avevo bevuto per terra. Stavo malissimo. Mi specchiai e notai che il trucco era sbavato e che i capelli si erano gonfiati e andavano ognuno per conto loro, così mi feci una coda in modo da tenerli il più sistemati possibile. Mi sciacquai il viso per riprendermi e guardai l'orologio. Erano le due passate. Presi il telefono per chiamare Elisa e dirle che volevo andare via. Non mi rispose.

Uscii dal bagno con la stessa agilità con cui vi entrai. Sulla soglia vidi Luca in compagnia di una ragazza che non avevo mai visto in vita mia. Era bassa nonostante i tacchi alti, magra ma con le poche forme che le spuntavano fuori dal mini vestito giallo che indossava. Lei gli si strusciava addosso a ritmo di musica  e  lui divertito rideva e la baciava.

«Rebecca, giusto?» mi fermò lui, osservandomi dalla testa ai piedi. Io abbassando gli occhi per la vergogna gli chiesi se avesse visto Elisa da qualche parte ma potevo già immaginare la risposta.

«Si, l'ho vista andare via con un ragazzo una mezz'oretta fa» mi rispose quasi senza guardarmi.

«Come? Con chi?» farfugliai nel panico.

Lui si scrollò di dosso la ragazza e mi disse «Non saprei, ma che importanza ha, ci sono io qui con te» stava spudoratamente flirtando con me «se resisti cinque minuti ti riporto io a casa, aspettami pure giù sul divano, vieni, ti aiuto a scendere le scale».

***

Mi ritrovai in macchina con Luca e alcuni suoi amici. Tenevo il finestrino abbassato per cercare di non vomitare, mi girava ancora troppo forte la testa e la nausea non mi mollava. Guardavo fuori e non vedevo l'ora di arrivare a casa quando la notai sfrecciare via velocemente. 

«Luca, casa mia era lì. L'hai appena passata» dissi biascicando dal sedile posteriore.

«Non preoccuparti Tesoro, accompagno prima loro, poi torno indietro e lascio te, così stiamo qualche minuto soli ».

Non ribattei, ero felice che volesse passare del tempo con me. Magari gli piacevo davvero. Tra me e me iniziai a fantasticare su come sarebbe stato iniziare a frequentarsi, uscire insieme, andare a cena fuori o semplicemente fare una passeggiata. Poteva sembrare stupido ma ero una romanticona, credevo ancora nelle favole.

Arrivammo nel parcheggio del parco comunale. Era completamente al buio e non c'era anima viva. Non capivo perché eravamo lì, in realtà mi sentivo completamente stordita, mi girava la testa e sentivo le parole dei ragazzi in macchina lontane e ovattate. Che stava succedendo? Mi tremavano le gambe e parlavo a stento ma avevo la strana sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto.

«Ragazzi perché siamo qui?» dissi con la voce esitante, come se non volessi davvero ricevere la risposta.

«Non ti agitare bellezza, facciamo solo un giro per farti passare la sbornia prima di riportarti a casa» disse uno dei due che non conoscevo.

Accadde tutto in un attimo. Luca mi prese in braccio, o almeno credevo fosse lui. Cercavo in tutti i modi di scappare ma ero troppo ubriaca per riuscire a divincolarmi. Mi portarono in una parte del parco talmente buia che anche se qualcuno fosse passato di lì non si sarebbe accorto della nostra presenza e mi scaraventarono a terra. Sentii una fitta alla nuca e al braccio appena toccai il suolo. Ebbi la percezione di ricevere calci nel petto, schiaffi in faccia. Non sentivo dolore. Era tutto così lontano da me. Come se mi fossi appena staccata dal mio corpo e stessi guardando la scena dall'alto. Tentavo di urlare, ci provavo quantomeno, ma sentivo la mia voce risuonare solo nella mia testa.  

Perché mi fanno questo? Che diavolo vogliono da me?

Mi dimenavo, tiravo calci, cercavo di graffiare chiunque mi fosse vicino ma qualcuno mi teneva bloccata mentre un altro mi strappava i vestiti di dosso. Chiedevo pietà. Ero nuda. Nuda e indifesa. Nessuno mi avrebbe aiutato. Forse era la fine. Forse non avrei più rivisto mio padre. Non avrei potuto dirgli addio. Sarebbe rimasto solo. Lo chiamavo, piangevo. Sentii il sapore delle mie lacrime mischiate al sangue scorrermi sulla bocca. Avevo freddo. Sentivo solo il peso di qualcuno che si muoveva su di me, le risate lontane degli altri e una fitta che piano piano si espandeva nel pube come se qualcuno mi stesse lacerando la pelle lentamente con un coltello. Avevo paura, dolore, frustrazione, piangevo, non sapevo come uscire da quella situazione e gradualmente tutto si rabbuiò e svenni, tra le braccia dei miei aguzzini.

Mi risvegliai che era quasi mattina, ero sola e non ricordavo molto di cosa fosse successo la sera prima. Avevo solo poche immagini che mi balenavano nella testa, confuse, sfuocate. Sentivo solo dolore, freddo lungo tutto il corpo e odore di sangue intorno a me. Chiedevo aiuto bisbigliando. Non riuscivo a parlare più forte e nessuno si accorse di me. Mentre piangevo, immobile, distesa sul quel prato appena bagnato di umidità mi addormentai di nuovo credendo di non svegliarmi più.

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