- 3: Questione di sguardi
Rebecca
«Ehm... Mi scusi, mi ha sentito? Volevo sapere cosa vuole ordinare» chiesi al ragazzo davanti a me che continuava a guardarmi senza proferire parola completamente in trance. Iniziai a vergognarmi di quella situazione. Mi fissava come fossi un alieno. Esplorai con la lingua ogni dente alla ricerca di un eventuale residuo di cibo rimastomi attaccato ma non c'era niente. Allora come mai mi guardava in quel modo?
«Ah sì, mi scusi» scosse la testa come a voler scrollare un pensiero. Mi elencò ciò che voleva e si girò a parlare, come se niente fosse, verso la donna che pensavo essere sua madre tanto gli somigliava. Presi le ordinazioni anche degli altri seduti al tavolo e mi dileguai.
Era proprio un bel ragazzo dovevo ammetterlo. Aveva gli occhi grandi e magnetici, di un intenso azzurro cielo con sprazzi di verde qua e là. Un colore che sinceramente non avevo mai visto in vita mia. Il suo sguardo puntato su di me mi aveva tolto per qualche istante il fiato, mi aveva colpito dritto allo stomaco. I capelli scuri erano accuratamente pettinati e tagliati. Erano più corti dalle parti laterali con un ciuffo sopra più lungo che gli ricadeva sul volto e che lui prontamente rimandava indietro con la mano. La pelle era olivastra, la barba incolta incorniciava le labbra carnose e quel sorriso abbagliante. La sua voce era così profonda che sarei stata una serata intera a sentirlo pronunciare qualsiasi cosa, perfino il menù del ristorante andava bene. Non riuscivo a trovare neanche un minimo difetto davanti a cotanta bellezza. Brillava di luce propria.
Avevo la netta sensazione di averlo già visto da qualche parte ma più mi sforzavo di ricordare e meno ci riuscivo. La curiosità stava mano mano prendendo sempre più il sopravvento, tanto che iniziai a spiarlo dalla porta della cucina. Chissà di cosa stava parlando, gesticolava animatamente rivolto verso l'anziana signora ben distinta di fianco a lui, sembrava anche un po' scocciato francamente. All'improvviso però, inaspettatamente, si girò nella mia direzione e si accorse che lo stavo fissando. Sentii il mio volto prender fuoco dalla vergogna e tirandomi indietro velocemente andai a sbattere contro Mery, la mia collega, facendole cascare i piatti di mano e creando un frastuono incredibile. Inutile dire che a quel punto avevo gli occhi dell'intero ristorante puntati addosso. Corsi via e mi rifugiai nella stanza che avevamo creato appositamente per Arya di fianco alla cucina.
Lei era lì, già in pigiama, seduta al tavolino da disegno, con la lampada puntata sulla testa e il viso crucciato intenta a disegnare. Aveva il ciuccio in bocca e l'orsacchiotto di peluche con cui dormiva sopra il tavolino rivolto verso di lei. Non si accorse nemmeno della mia presenza e io ne approfittai qualche istante per guardarla un po'. Era così dolce, sarei voluta rimanere lì a fissarla per sempre
«Ehi amore, tutto bene? Che fai?» le dissi avvicinandomi a lei.
«Un disegno» mi disse con tono distratto.
«Oh, è proprio bello amore». In realtà era un'accozzaglia di girigogoli di mille colori, sparpagliati sul foglio senza una logica ma per me era comunque speciale.
«Adda mamma, io, te e nonno con la palla» mi disse indicandomi varie parti del disegno. Ci voleva parecchia fantasia per immaginarselo ma tutto sommato la invidiavo per quello. Avrei voluto tornare bambina e scordarmi di tutte le difficoltà della vita adulta, fare delle righe a caso e immaginarmi il mondo, correre in un prato spensierata ed essere sicura che ci fosse la mamma ad aspettarmi all'arrivo. Invece la mia non c'era da un bel po' di tempo. Mi mancava come l'aria, specialmente nei momenti che trascorrevo con Arya, avrei tanto voluto fargliela conoscere. Se ne sarebbe innamorata dal primo istante, proprio come ho fatto io. Le lacrime iniziarono a pungermi gli occhi, le asciugai e le dissi: «Senti amore, facciamo così, tu finisci il disegno, io vado a servire un tavolo, torno e andiamo a nanna, va bene?».
«Sì» mi rispose.
Così feci. Servii gli antipasti al tavolo di quel ragazzo, a occhi bassi per non fargli capire che mi stavo vergognando come una ladra per la scena di poco prima, detti, a malincuore, l'incarico a Mery e tornai dalla mia bambina.
Un'ora e mezzo più tardi Arya finalmente dormiva accoccolata in braccio a me, la misi nel lettino e tornai in sala per riprendere a lavorare. La sfortuna, o fortuna forse, volle che il tavolo sette fosse vuoto e il fantastico ragazzo di prima, sparito.
«Mery sono andati via quelli del tavolo in fondo?».
«Sì Reb, hanno finito dieci minuti fa di cenare, perché?» disse con tono curioso.
«No,nulla. Dovevo chiedergli una cosa ma non importa»
«Una cosa eh..» disse con un sorrisetto malizioso stampato in volto «Prova ad affacciarti fuori, si erano fermati lì a parlare prima».
Andai a guardare ma niente, di loro neanche l'ombra, ero arrivata tardi, non sapevo bene per cosa. Un po' mi dispiaceva non averlo trovato ma fondamentalmente che mai avrei potuto dirgli. Era meglio così, se non altro avevo evitato l'ennesima figuraccia.
Finito il turno presi Arya e andai a casa. Quando mi sdraiai finalmente nel letto mi sembrava che quella giornata fosse durata un secolo, gli occhi si chiudevano da soli per la stanchezza e avevo un leggero formicolio alle gambe. Presi il cellulare per puntare la sveglia della mattina e notai che c'era un messaggio su WhatsApp da un numero sconosciuto.
- Ciao, mi chiamo Edoardo, sono il ragazzo che hai tamponato stamani - recitava.
- Ciao scusami se ti rispondo solo ora, ero a lavoro. Piacere Rebecca. Come stai? Ti senti bene?-
- Tutto bene, si è solo strappato un po' il vestito ma nulla che una buona sarta non ti possa risolvere. -
Almeno era simpatico.
- Senza dubbio! Portamelo davvero, te lo faccio riaggiustare volentieri! -
- Macché scherzavo, figurati se te lo faccio ripagare davvero. Ti ho scritto solo per farti i complimenti, il vostro ristorante è magnifico. -
Il ristorante? Come faceva a saperlo?
- Ah grazie mille. Quando sei venuto da noi? Non ti ho visto. -
- Stasera. Il ragazzo al tavolo sette. Sono dovuto scappare perché mia nonna era stanca e voleva che la riaccompagnassi a casa. -
Pazzesco.Il mio cuore si era fermato per qualche istante per poi ripartire all'impazzata. Non potevo credere che fosse tornato a casa e avesse cercato di proposito il mio bigliettino per scrivermi. Forse allora quella sensazione che mi teneva legata a guardarlo era ricambiata dall'altro lato.
- Non ci crederai ma sono stata tutta la sera a chiedermi dove ti avessi già visto! -
- Sono andato via talmente di fretta stamattina che era impossibile mi riconoscessi. Avevo una riunione importante a lavoro ed ero già in ritardo. Anzi, scusami per come mi sono comportato, non è da me. -
- Figurati, non preoccuparti. Dove lavori? Spero di non averti fatto tardare troppo. -
- Lavoro al ''Edale & Co.'' a Firenze, non so se la conosci, produciamo vestiti. In realtà l'azienda è mia e del mio socio Alessio. -
Oh mio Dio. Stavo messaggiando con il ragazzo più bello che avessi mai visto e per giunta era anche il capo del'''Edale & Co.''. Non posso crederci. Quale scherzo del destino poteva mai essere quello?
- Certo la conosco! Le vostre linee sono bellissime, ho anche un cappotto vostro, me l'ha regalato una mia amica un po' di tempo fa. -
- Fantastico, sono contento ti piacciano i nostri capi. Senti lo so è un po'azzardata come richiesta ma... Ti andrebbe di andare a prendere un caffè insieme domani mattina? -
Non sapevo più che rispondere. Non so se mi sentivo pronta per un appuntamento, per conoscere una persona nello stato in cui mi trovavo. Lui era così tremendamente affascinante però io non potevo. Non ero in grado di affrontare un appuntamento, né di stare sola con un uomo. No, non avrei accettato, era più forte di me.
- Perdonami, non credo sia una buona idea. Non per te eh. Ma non posso, mi spiace. -
Passò qualche minuto interminabile. Ero sdraiata sul letto a fissare il display in attesa della sua risposta come un'adolescente alle prime armi. Quasi patetica direi. Da una parte speravo che insistesse e che cercasse di convincermi, dall'altra ero sicura fosse meglio se avesse accettato il rifiuto. Avevo un conflitto interiore che andava oltre la semplice paura. Ero terrorizzata da entrambe le soluzioni.
- Facciamo così, ti mando l'indirizzo di dove sarò, tu pensaci e casomai mi raggiungi, che dici? -
Wow, era una persona molto carina. Non si era arrabbiato per il rifiuto e non aveva neanche insistito. Mi lasciava libera di scegliere.
- Va bene. 'Notte - risposi.
Il nodo alla gola si faceva sempre più intenso. Sentivo che quella storia sarebbe finita male. Ne ero più che sicura. Non riuscivo a prendere sonno, mi giravo e rigiravo nel letto. Andai in cucina a prendere la vaschetta del gelato alla vaniglia e mi ributtai tra le coperte. Mentre mangiavo quella delizia provai a chiamare Elisa sperando che fosse ancora sveglia. Rispose al primo squillo. Praticamente aveva il telefono in mano pronta per la mia chiamata. Meno male, mi serviva un suo consiglio.
«Chi non muore si risente» disse scherzosamente.
«Ciao Eli, scusami se non mi sono fatta sentire ultimamente ma non hai idea di quante cose ho avuto da fare»
«Sì sì mi immagino» rise « come stai?>>.
«Avrei un appuntamento domattina, ma non so se voglio andare»
«Cooosa?? E con chi?» urlò dall'altra parte della cornetta.
Gli raccontai di tutta la storia con Edoardo e lei ovviamente sprizzava gioia da tutti i pori.
«È fantastico. Per quale motivo non vuoi andare?».
«Non riesco, mi tremano le gambe al solo pensiero di avere un appuntamento. Figurati stare lì a un tavolo con lui».
«Se non vai giuro che questa volta non ti parlo veramente più per tuttala vita. Smettila di chiuderti in te stessa. È ora che ricominci a vivere. Tra l'altro un caffè Reb non ha mai fatto male a nessuno, credimi. Provaci, al più più se vedi che non è aria vieni via».
«Ma..». Non mi fece neanche finire di parlare che continuò.
«Vuoi sapere cosa succederà domattina? Tu alzerai quel bel culetto dal letto, ti farai bellissima, porterai Arya all'asilo e andrai a quell'appuntamento perché in caso contrario verrò a prenderti con la forza e ti ci trascinerò per un orecchio». Cavolo. Ci sapeva fare con le parole. Mi aveva dato la giusta carica. Ormai mi conosceva come le sue tasche e sapeva benissimo che avevo bisogno solo di una spinta. Lei per me era come una sorella, vivevamo in simbiosi da quando eravamo piccole, mi era stata accanto nei momenti più difficili e piano piano stava cercando di farmi riaffiorare dalle tenebre.
«E va bene, hai vinto. Andrò. Ma non farti strane idee. Sarà solo un caffè amichevole e poi la chiuderò qui».
«Sì, intanto vai. Poi ne riparliamo. Ora devo andare, ti chiamo domani pomeriggio, così mi racconti»
«Va bene El, a domani. E.. grazie» le dissi sinceramente.
«Non ringraziarmi sorellina. Ti voglio bene, lo sai. Ah e non fare o dire cose stupide domattina, mi raccomando. Un bacio».
Quando chiuse la telefonata mi sentii molto meglio rispetto a prima. Sollevata. Mi aveva convinta. Mi sarei alzata, mi sarei sistemata come meglio potevo, avrei accompagnato la bimba all'asilo e l'avrei raggiunto a quel bar. Sì, potevo farcela.
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