- 16: Fine
Rebecca
Sentii bussare forte al portone di casa. Guardai l'orologio e scattai subito in piedi. Cazzo erano le otto passate. Dovevo vestirmi, sistemare Arya e uscire di casa nel giro di dieci minuti. Non ce l'avrei mai fatta. Andai di corsa al piano di sotto, aprii la porta e mi trovai Elisa di fronte.
«Che ci fai qui a quest'ora?» le chiesi un po' confusa.
«Sorpresa! Oggi ti rapisco» disse lei strillando come una bambina.
«No Eli non posso, sono già in ritardo. Devo portare Arya a scuola, andare a fare la spesa e ho un appuntamento dalla dottoressa all'una. Sono piena di cose da fare oggi».
Elisa scoppiò a ridere. «Certo che tu di prima mattina sei completamente rintronata. Non ti sei accorta che tua figlia non è in casa?».
La guardai disorientata. Che diavolo stava dicendo? Va bene che mi ero appena svegliata ma mi sarei accorta se mia figlia non fosse stata nel suo letto. Nel dubbio, senza neanche risponderle le feci cenno di entrare e andai al piano superiore per controllare. In effetti Arya non c'era. Dov'era finita?
«Che sta succedendo? che hai combinato?» le dissi infastidita. Ero sempre scorbutica la mattina. Già il solo chiacchierare mi dava fastidio, figurarsi il dover mettere in funzione il cervello per capire cosa si fosse inventata la mia migliore amica.
«Reb rilassati. Tuo padre e io ci siamo messi d'accordo. Ha portato lui Arya a scuola e va anche a riprenderla, così noi ci dedichiamo a una bellissima giornata donne» mi disse con un sorrisetto malefico.
Elisa era sempre una sorpresa. Riusciva a mettermi di buon umore anche quando di buono non c'era un bel niente. La abbracciai e le scoccai un rumoroso bacio sulla guancia.
«Sì basta con queste smancerie ora, va' a sistemarti che io preparo il caffè» disse lei allontanandomi. Non me lo feci ripetere due volte e obbedii agli ordini.
Quando finimmo di mangiare, salimmo in auto e ci dirigemmo in direzione ''I Gigli'', un centro commerciale non lontano da Firenze. Due piani di struttura con ogni tipo di negozio al suo interno. Qualsiasi cosa volessi o pensassi lì la potevi trovare. Era il posto per eccellenza per spendere a più non posso e senza dubbio quello era l'hobby preferito della mia migliore amica. Mi fece correre come una matta da un punto vendita all'altro: Zara, H&M, Stradivadiuos, Pimkie, Tezenis e molti altri ancora. Il numero di vestiti che mi fece provare era indecifrabile e via via che passavano le ore le buste nella mia mano aumentavano. Dentro di me chiedevo perdono al mio bancomat, non era abituato alle spese pazze e frenetiche a cui Elisa mi stava sottoponendo. D'altronde però, quale miglior modo per risollevare l'umore se non un po' di shopping terapeutico? Cazzata, non funzionava proprio a nulla se non a fare andare il conto in banca in rosso ma alla mia bionda non importava.
Io la seguivo come uno zombie, nella mia testa però pensavo solo a Edoardo. Mi chiedevo dove fosse, cosa stesse facendo, se mi stesse pensando. La mattina gli avevo mandato un messaggio per sapere come stava ma non mi aveva risposto, anzi non l'aveva proprio letto. Sapevo di dover fare di più di un semplice sms ma non avevo ancora avuto il tempo di pensare al da farsi.
Era tutto così nuovo per me, non avevo mai dovuto rendere di conto a nessuno della mia vita se non ad Arya. Ero consapevole di aver sbagliato, e tanto anche. Dovevo chiarire tutta questa situazione il prima possibile.
«Dai Elisa, ti prego basta. Non ce la faccio più» le dissi dopo un po' buttandomi su una panchina in stile giocatore di football americano che schiaccia il touchdown.
«Sei una dilettante Reb. Io potrei andare avanti per ore» mi rispose dandosi dei colpetti sulla spalla a mo' di compiacimento.
«Non ho dubbi al riguardo però è quasi mezzogiorno e tra un'ora ho l'appuntamento dalla dottoressa Masini».
«Va bene, che palle fai! Non potevi disdirlo?» disse mettendomi il broncio.
«No, sai che ne ho bisogno». Si chetò. Ovvio che lo sapeva. Non potevo biasimarla però, era tantissimo tempo che non passavamo un po' di tempo insieme. «Dai, ti prometto che prossima settimana andiamo alla SPA». Un grande sorriso riemerse dall'oscurità del suo volto. Avevo centrato il colpo. Era già felice.
Mangiammo un panino al volo e rientrammo verso casa. In macchina, durante il viaggio di ritorno, parlammo del più e del meno. In realtà era Elisa che parlava, io per lo più stavo in silenzio ad ascoltarla mentre continuavo a guidare.
Mi raccontò dell'università di medicina che frequentava da qualche mese, dei corsi a cui partecipava e soprattutto dei bei ragazzi che facevano parte della sua classe. Stranamente eh. Dire che fosse logorroica era un eufemismo. La testa stava per prendermi a fuoco dopo tutto la mattina passata insieme. Elisa era letteralmente il contrario di me. Un vulcano in carne e ossa.
«Reb, mi stai ascoltando?» disse all'improvviso.
Mi risvegliai dai miei pensieri cercando in qualche modo di non farle capire che stessi pensando ai fatti miei.
«Ehm, sì certo. I ragazzi sono bellocci insomma?» farfugliai velocemente per depistarla ma credo che ormai fosse tardi e se ne fosse già resa conto. Mi fissava intensamente senza emettere un suono, se avessi potuto prendere fuoco con uno sguardo sicuramente sarei già stata carbonizzata da un po'.
«No, non mi stavi ascoltando per niente.» disse scocciata «Forza, raccontami cosa ti turba, tanto sennò non mi dai retta».
In quel momento mi sentii maledettamente in colpa. Mi scusai. Non avrei voluto farla rimanere male, specialmente dopo le belle ore che avevamo appena trascorso. Il problema era che non riuscivo a concentrarmi su niente che non fosse lui. Mi sforzavo eh, ma era più forte di me. Non volevo passare per egoista però il fatto che Edoardo non mi avesse cercata per tutto quel tempo mi faceva letteralmente impazzire. Io ero ancora lì a crucciarmi per la litigata e non si faceva vivo. Mi veniva da pensare che a quel punto gliene importasse il giusto. Se fosse stato turbato quanto me si sarebbe fatto sentire, no?
Raccontai a Elisa della sera prima, dato che ancora non l'avevo fatto, e mi beccai un bel ''te l'avevo detto'' a lettere cubitali. In effetti l'ultima volta in cui ne avevamo parlato lei aveva insistito molto sull'essere sinceri all'inizio di una conoscenza. Come al solito aveva ragione, dovevo, per mio sommo dispiacere, ammetterlo. Continuava inoltre a ripetere che sarei dovuta andare a casa di Edoardo l'indomani mattina, con una bella colazione, e raccontargli tutto per filo e per segno.
Quello fu l'argomento principale durante la seduta nello studio di Francesca per tutta l'ora successiva. Anche lei era d'accordo con la mia migliore amica. Erano tutti d'accordo tranne me quindi, l'unica soluzione era dare ascolto ai loro consigli.
Salutata la dottoressa, decisi così che non avrei aspettato oltre e sarei andata subito da lui.
Chiamai prima mio padre per accertarmi che effettivamente prendesse lui Arya a scuola e poi cercai il numero di telefono dell'Edale e Co su internet.
Rispose la segretaria di Edoardo la quale mi disse che non l'aveva ancora sentito e che non si era presentato a lavoro quel giorno. Stranita da quella scoperta, ma anche un po' preoccupata, mi diressi verso casa sua.
Chissà come mai non era andato in ufficio. Magari era a causa della discussione, oppure più semplicemente aveva avuto qualche imprevisto.
Mi sembrava così assurdo però che non mi avesse cercata e contemporaneamente avesse fatto forca in azienda. Non poteva essere una coincidenza.
Parcheggiai l'auto e mi incamminai verso casa sua, quando fui abbastanza vicina però vidi uscire una ragazza dal suo portone. Ci feci caso non tanto per quello però, alla fine era un condominio non era detto che venisse via da casa di Edoardo, tanto per il suo aspetto. Sembrava come andare di corsa, si risistemava la maglia all'interno dei pantaloni mentre si chiudeva il portone dietro di sé, aveva i capelli tutti arruffati e parlava al cellulare a voce bassissima. Si girò a guardarmi non appena si accorse della mia presenza. I suoi occhi marroni erano così intensi che spiccavano nonostante il trucco sbavato, mi fissò per qualche secondo e poi si incamminò dalla parte opposta. La cosa che balzava di più all'occhio però era che fosse veramente bellissima anche in quello stato. Sembrava reduce da un dopo sbornia allucinante. Chissà cosa gli era successo poverina. La vidi allontanarsi in fretta e furia così mi avvicinai al citofono e suonai.
Suonai più di una volta ma non ottenni mai risposta. Provai anche a chiamarlo al cellulare e anche lì tutto taceva. Alla fine, sconsolata, dopo vari minuti di prove inutili, tornai in macchina e andai a casa. Era finita. Mi stava ovviamente evitando. Avevo ragione di pensare che non volesse più avere a che fare con me. Non era destino. Dovevo farmene una ragione. Asciugai la lacrima che scendeva lenta lungo la mia guancia e mi promisi di non pensarci più.
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