-13: L'alcol fa brutti scherzi
Attenzione!!! Alla fine di questo capitolo c'è la descrizione di una scena hot. Per chi non volesse leggerla metterò un segno fin dove potete arrivare a leggere con tranquillità.
Edoardo
Sfrecciavo oltre il limite di velocità in direzione Firenze. La rabbia mi ribolliva nel sangue. Come aveva fatto a mentirmi per tutto questo tempo? Come potevo essermi infatuato di nuovo di una bugiarda? Mi aveva solo preso per il culo, tutto ciò che mi aveva raccontato di lei, della sua vita, dei suoi studi, dei suoi viaggi: tutte cazzate. A che pro poi? Perché nascondere una cosa così preziosa come una figlia? Cosa ci sarebbe stato di tanto sbagliato nel dirmelo subito? La musica risuonava forte nell'auto quasi fino a spaccarmi i timpani, come a coprire, anche se inutilmente, il rumore dei miei pensieri. Non avevo voglia di tornare a casa, avevo bisogno di sfogarmi un po', anche perché in quelle condizioni non sarei mai riuscito a chiudere occhio. Decisi quindi di fare un giro per il centro, tanto per prendere un po' d'aria.
Parcheggiai l'auto nel garage di casa e mi incamminai a piedi oltre il ponte. La brezza della sera mi risvegliava i sensi e mi dava un po' di sollievo, anche se il pensiero della discussione appena avvenuta mi faceva veramente infuriare.
Le strade erano deserte, si sentiva solo il rumore del fiume che scorreva lento. I negozi erano chiusi, la luce della luna era soffusa e io con la sigaretta in bocca camminavo in su e in giù senza una vera meta.
Mentre girovagavo per le vie, passai davanti a un pub ancora aperto, vi entrai e mi sedetti al bancone del bar.
Il locale era in stile industriale, non molto grande ma carino. Il bancone a cui ero appoggiato era in legno scuro con il piano in pietra, sopra di esso si estendeva sospeso un lampadario a forma di ramo d'albero con le lampadine che scendevano perpendicolari. Di fronte a me, sulle tre mensole in legno dietro il bancone, c'erano ogni sorta di bottiglia più o meno alcolica e un'infinità di bicchieri. Le pareti a mattoncini rossi circondavano una decina di botti di vino utilizzati a mo' di tavolini e dall'altra parte della stanza era montato un palco su cui una band si stava esibendo con musica country. Il bar era affollatissimo, sembrava che tutta la città si fosse data appuntamento lì.
«Un Margarita, per favore?» dissi al cameriere che mi si palesò davanti. Lui, senza proferire parola si mise subito all'opera. Che strano, non ero mai stato in quel posto eppure erano anni ormai che vivevo a Firenze.
Improvvisamente sentii vibrare il cellulare nella tasca, era un messaggio. Inutile dire che rimasi molto sorpreso quando scoprii che era di Giulia.
''Ehy fustacchione, offri da bere anche a me?''.
Non so per quale assurda ragione ma in quel momento mi venne da sorridere.
Mi aveva sempre chiamato ''fustacchione'', già da prima che ci mettessimo insieme. Usava quel nomignolo per prendermi amorevolmente in giro. Pensava che con il mio aspetto avrei potuto far cadere ai miei piedi qualunque donna avessi voluto. Peccato che a me delle altre non me n'era mai fregato niente, ai tempi non volevo altro che lei.
Sorseggiando il mio drink mi guardai intorno per scoprire dove fosse e appena la beccai tra la folla la vidi camminare verso di me.
Era sempre bellissima, dovevo ammetterlo nonostante tutto quello che mi aveva combinato. Indossava un paio di jeans chiari a vita alta con una cintura di Gucci, degli stivaletti neri con il tacco alto, un top bianco con lo scollo a ''V'' sul seno e la pancia scoperta, tre girocolli color argento e un giubbotto di pelle nero. I capelli a caschetto neri erano perfettamente sistemati e il trucco appena accennato. Gli uomini intorno a me si girarono tutti a guardarla e sapevo che a lei questo piaceva, andava matta per gli sguardi maliziosi che le regalavano le persone. Non passava mai inosservata.
«Mi dispiace ma non offro da bere alle sgualdrine» le dissi ridendo. Lei mi seguì con una calorosa risata.
«Quando la smetterai di chiamarmi così e depositerai l'ascia di guerra?».
«Forse quando ti inginocchierai davanti a me e a tutte queste persone implorando il mio perdono».
Scoppiò di nuovo a ridere. «Non succederà mai, sappilo!».
Forse per colpa dell'alcol o forse perché avevo bisogno di compagnia ma quella sera le offrii davvero da bere. Rimanemmo a quel bancone a ridere, scherzare, bere e a prenderci in giro per il resto della serata. Sembrava che fra noi non fosse mai successo niente, come se la mia rabbia si fosse affievolita, o meglio svanita.
Continuammo a bere ancora e ancora, almeno finché il titolare del bar non ci intimò di andarcene perché voleva chiudere. Barcollando ci avviammo all'uscita.
«Wow, abbiamo fatto chiusura Giuli, sarà il caso di tornare a casa, è molto tardi» dissi biascicando.
«Dai Edo, non fare il guastafeste proprio ora che ci stiamo divertendo! Perché non continuiamo la serata a casa tua?» disse ridendo mentre maliziosamente si avvicinava a me. Stava palesemente flirtando con me e io le stavo dando modo di farlo. Dovevo aver perso completamente il senno.
«Non credo proprio sia una buona idea» dissi mentre cercavo di allontanarla da me senza buoni risultati però.
«Su, di cosa hai paura? Non ho mai mangiato nessuno» mi sussurrò all'orecchio.
«No, ehm...è che io...insomma...» niente da fare, ero talmente ubriaco da non riuscire a mettere due parole in croce. Pensavo a Rebecca, al fatto che stavo per fare un'enorme cazzata. Sapevo che sarei dovuto fuggire il più lontano possibile, per lei, per me. In quel momento però la rabbia nei suoi confronti si fece più forte che mai e l'unico modo per togliere il dolore e dimenticarmi di lei era svagarmi in ogni modo possibile, proprio come avevo fatto nelle ultime due ore. Tra l'altro fissavo Giulia e più lei mi guardava in quel modo più qualcosa in me si risvegliava. Non stavo capendo più nulla. Ero attratto da lei. Fu così che finimmo in casa mia...
Giulia
Mentre l'ascensore, che da lì a poco sarebbe arrivato in cima al palazzo in cui si trovava casa di Edoardo, saliva, presi l'iniziativa e mi avvicinai a lui con fare sensuale. Sapevo esattamente cosa fare per farlo cadere in tentazione e avevo intenzione di fare di tutto per farlo di nuovo mio. Noi eravamo fatti l'uno per l'altra e quella sera me l'aveva dimostrato. Alessio era stato uno stupido errore, uno di quelli che no avrei dovuto fare mai più. Ero stata una cretina ma era tempo di rimediare. Speravo che se avessi insistito, piano piano, Edoardo mi avrebbe perdonata e sarebbe tornato da me.
Mi misi di fronte a lui, obbligandolo ad appoggiarsi alle pareti dell'ascensore, e iniziai a baciargli delicatamente il collo mentre con l'altra mano gli accarezzavo l'addome. Edoardo cercava di togliersi e farfugliava strane parole di cui non comprendevo il significato, aveva bevuto troppo, ma me ne infischiai e continuai il mio assalto silenzioso.
(questo è il segno dove fermarsi se non si vuole leggere oltre)
Le porte dell'ascensore si aprirono ed entrati in casa venni accolta da una strana sensazione familiare. Mi era mancato stare in quella casa, mi era mancato lui, mi era mancato il noi. Edoardo mi fissava con aria interrogativa, io chiusi la porta e senza mai distogliere lo sguardo da lui iniziai a spogliarmi fino a rimanere in perizoma e reggiseno. Fu in quel preciso istante che capii che finalmente avevo raggiunto il mio scopo. Lo sguardo di Edoardo cambiò, mi si gettò addosso e mi scaraventò al muro. Nel giro di qualche secondo fummo entrambi nudi e l'uno nell'altra. Quella notte facemmo sesso su ogni superficie di quella grande casa. Lui sembrava una furia. Passionale. Bramoso. Voglioso. Aveva bisogno di me almeno quanto io avevo bisogno di lui. Ogni bacio, ogni spinta era così brutale, così intensa, da farmi pensare che non sarebbe stata l'ultima, che ce ne sarebbero state molte altre ancora. Venimmo entrambi ripetutamente, finché non fummo stremati e ci addormentammo completamente sudati sul letto che un tempo era stato il nostro nido d'amore, avvinghiati l'uno all'altra.
«Buonanotte Edo» gli dissi dolcemente, stampandogli un delicato bacio sulla guancia.
«Buonanotte Reb...» disse lui farfugliando in dormiveglia. Mi prese un colpo al cuore. Reb? Chi diavolo era questa Reb?
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