- 11: Prima della verità
Una settimana prima...
Edoardo
Avevo provato almeno in un milione di modi a contattare Rebecca ma nessuno aveva scaturito l'effetto desiderato. Non l'avevo più risentita dopo che quella sera era corsa via da me lasciandomi in preda a quel vortice inaspettato di emozioni.
Le chiamate andavano a vuoto, come un coglione aspettavo fino all'ultimo squillo con la speranza di sentire la sua voce. Speranza che poi svaniva non appena scattava la segreteria. I messaggi su WhatsApp venivano letti ma non arrivava mai una risposta. Non mi voleva. Anche lei non mi voleva. Mi chiedevo cosa avessi fatto per meritarmi tutto questo. Davo tutto me stesso alle persone a cui tenevo, e poi? Poi quando finalmente incontravo la persona giusta scappava neanche fossi il killer peggiore della storia. Okay, forse potevo sembrare un tantino stalker con tutte quelle chiamate e quei messaggi ma avevo bisogno di parlarle, di sentirla vicina anche solo per qualche istante, di farle capire che non potevo farci niente ma ormai avevo preso una bella cotta per lei. Ero patetico oltre che stalker, chi l'avrebbe mai detto che sarei caduto così in basso.
A ogni modo, dopo un paio di giorni di silenzio stampa da parte di Rebecca presi coraggio e andai al ristorante, sapevo che questo l'avrebbe fatta arrabbiare di più ma sicuramente era meglio di niente.
Arrivato lì però, vidi che la sua macchina stranamente non c'era. Rimasi perplesso. Per quel poco che l'avevo conosciuta sapevo che non avrebbe mai lasciato suo padre solo senza una buona ragione. La mia mente iniziò a immaginarsi una sequenza di eventi terribili che avrebbero potuto impedire a Rebecca di recarsi a lavoro. L'ansia iniziò a farsi spazio dentro di me, speravo che non le fosse successo nulla di grave. Magari era solo stanca. Dovevo smettere di pensare sempre al peggio.
Amareggiato tornai verso casa. Nel letto però quei pensieri non mi facevano dormire. Mi giravo e rigiravo, cambiavo posizione, cercavo di addormentarmi, eppure la mia mente rimaneva fissa su di lei, dovevo capire come fare per riavvicinarla a me, farla sentire sicura e protetta, far in modo che si fidasse di me. Andai in terrazza e mi accesi una sigaretta per tranquillizzarmi, mi sdraiai sulle poltroncine e mentre aspiravo il fumo, fissavo Ponte Vecchio. Le sarebbe sicuramente piaciuto stare quassù accanto a me. In effetti la vista era davvero formidabile. Nella mia mente immaginavo la sua espressione e il suo stupore se l'avessi portata qui, sarebbe stata senza dubbio felice e serena davanti a questo spettacolo. Le luci di Firenze avrebbero illuminato il suo viso e il suo sorriso avrebbe illuminato me. Sovrappensiero tirai fuori il cellulare, scattai una foto del ponte dalla mia terrazza e gliela mandai per messaggio con scritto ''mi manchi''. Doveva rispondere. Non poteva essere tanto dura, tanto arrabbiata fino a quel punto.
Aspettai la risposta, lì fuori, fino a tarda notte, trepidante, con l'ansia che mi attanagliava le viscere. Niente. Il silenzio. A malincuore posai il telefono, tornai a letto e mi addormentai.
********
Sarei dovuto tornare domani dal mio viaggio a Londra ma sono sicuro che appena mi vedrà sarà felice di questa sorpresa. Arrivo a casa con un sorriso stampato in volto e un pacchetto di Tiffany tra le mani. So per certo che le piacerà. Lei adora quegli orecchini, ogni volta che passiamo davanti al negozio li guarda con aria sognante e implicitamente mi chiede di comprarglieli con gli occhi. Così stamattina, passandoci davanti, finalmente ho deciso di comprarglieli. Staranno benissimo su di lei. Ne sono sicuro. Giro le chiavi nella porta ed entro. Qualcosa non mi torna, ci sono parecchie cose che non sono al proprio posto. Della musica leggera risuona dallo stereo, dolce e delicata, in tutta la stanza. Sul tavolo apparecchiato per due c'è ancora del mangiare fumante, le candele accese e una bottiglia di vino aperto. I calici sporchi sono appoggiati sulla cucina e accanto alle scale che portano al piano superiore ci sono dei vestiti sparsi per terra. Ho già capito. Solo uno stupido non capirebbe quello che sta accadendo in questa casa. Nella mia casa. Nella nostra casa. So che non dovrei andare ma il mio cuore sa che finché non lo vedrò con i miei occhi non ci crederò davvero. Come in automatico le mie gambe iniziano a salire fino a fermarsi davanti alla porta della mia camera. Ci sono un paio di scarpe da uomo; non è la prima volta che le vedo. So già di chi sono. Come ha potuto farmi questo? Come hanno potuto entrambi. Da quando va avanti questa cosa? Mi hanno mentito da chissà quanto tempo. Al di là della porta sento dei gemiti e il mio cuore sta per scoppiare fuori dal petto. Mi viene da vomitare e delle lacrime incontrollabili si fanno strada sul mio volto. Apro la porta con tutta la delicatezza del mondo e a passo felpato vi entro dentro. Ciò che vedono i miei occhi è qualcosa d'insensato. La mia fidanzata, nonché futura moglie, geme nel mio letto sotto il corpo sudato del mio migliore amico e io sono li come un fesso a guardarli. Cosa farò ora?
Mi svegliai di soprassalto al suono del telefono. Cazzo che sogno di merda stavo facendo. Non bastava tutta la storia con Rebecca, il mio cervello metteva in mezzo anche il mio passato. Diamine.
Nei giorni seguenti le giornate passarono noiosamente tra il lavoro e i preparativi della collezione di costumi. Avevo provato a contattare Rebecca altre volte ma i miei sforzi andavano vani ogni volta. Tutte le sere finito di lavorare andavo a Vicchio a controllare che almeno fosse rientrata a lavoro ma anche lì rimanevo sempre deluso. Era ormai una settimana che non si faceva né vedere né sentire e in me cresceva un senso d'inquietudine e rassegnazione. Così decisi di lasciar perdere. In fondo non si poteva obbligare una persona a stare con te se non ci voleva stare.
Una sera mi ritrovai di nuovo sulla mia terrazza, in piena notte a pensare a lei. Era l'ora di darci un taglio. Non potevo farmi trattare così di nuovo. Non potevo annullarmi un'altra volta per una persona a cui di me non importava nulla. L'avevo già fatto una volta e non sarebbe ricapitato di nuovo. Figurati se uno come me poteva fare il pappa molla in quel modo, no di certo. Le mandai un messaggio. Nella mia testa ormai ero sicuro della scelta, sarebbe stato l'ultimo.
''Reb, ho provato e riprovato per tutta la settimana a contattarti ma a questo punto credo che tu mi stia evitando. Avevo solo bisogno di parlarti, fa niente. Ho capito. Mi dispiace per come sono andate le cose tra noi, vuol dire che non era destino. Buona vita...Edo''
Premetti il tasto invio. Ormai quello che era fatto era fatto. Non me ne sarei pentito, era giusto far così. Probabilmente per lei quel bacio non aveva significato ciò che aveva significato per me. Non era la persona giusta per me. Fine.
********
La mattina seguente, mentre ero in ufficio a sbrigare delle scartoffie sentii bussare alla porta.
«Avanti» dissi distrattamente.
«Ehm, ciao Edo». Giulia si palesò davanti a me. Indossava un tailleur blu scuro con una camicetta bianca sotto la giacca, i capelli perfettamente lisci a caschetto e un paio di tacchi alti ai piedi. Aveva un'aria da cane bastonato, il trucco sbavato e si vedeva perfettamente che aveva appena finito di piangere. La guardai con attenzione aspettando che dicesse qualcosa. Dopo qualche minuto di silenzio, stanco di aspettare e abbastanza innervosito le dissi: «Che vuoi Giulia? Ho da fare».
«Ho lasciato Alessio» disse tutto d'un fiato, con la voce tremante, senza guardarmi negli occhi.
«E come pensi che ciò possa interessarmi?» le risposi mentre continuavo a guardare il computer e a scrutarla con la coda dell'occhio.
«L'ho lasciato per te Edo...».
«Per me?» scoppiai in una fragorosa risata «Allora penso che tu abbia fatto una grossa cazzata, credimi». Mi venne spontaneo risponderle così.
«Io non ti credo. Non credo che tu mi abbia dimenticata e penso che...». Il mio telefono iniziò a suonare, fortunatamente, bloccando a metà la frase di Giulia.
«Pronto mamma, dimmi» risposi mentre la guardavo agitarsi sulla sedia davanti a me.
«Ciao amore, ti disturbo?» disse mia madre dall'altra parte della cornetta.
«No mamma, non disturbi assolutamente. Ho appena concluso ciò che stavo facendo. Dimmi tutto». Guardai Giulia facendole capire che sì, parlavo di lei quando mi riferivo al fatto che avevo concluso e le feci cenno di andarsene. Così lei, a testa bassa e con un muso lungo che le arrivava fino ai piedi, girò i tacchi e uscì dal mio ufficio. La sua faccia tosta mi faceva veramente innervosire.
«La nonna voleva tornare a mangiare in quel ristorante a Vicchio stasera, vieni con noi?». Mi venne quasi da ridere per quanto fosse simpatico il destino. Guarda caso mia mamma e mia nonna volevano andare a mangiare fuori, ma non in un ristorante qualunque bensì quello di Rebecca. Accettai, tanto sarei andato comunque a controllare che fosse tornata. Tanto valeva mangiare lì.
********
Arrivati al ristorante quella sera notai con piacere che c'era la macchina di Rebecca. Tirai un sospiro di sollievo. Andammo a sederci in un tavolo distante dalla cucina, da quella posizione però non riuscivo né a vederla né a vedere gli altri commensali e la cosa mi infastidiva. La cena nonostante tutto continuò tra chiacchiere e risate, anche se io mi scrutavo intorno di continuo.
«Amore, che succede? Ti vedo nervoso» chiese mia nonna a un certo punto. Probabilmente mi si leggeva in faccia che ero tutto tranne che tranquillo.
«Nulla nonna, non preoccuparti. Vado un attimo in bagno e torno» lei mi fece segno di sì con la testa sfoderandomi un dolce sorriso.
Mi alzai velocemente intento a trovarla a ogni costo perché quell'attesa mi stava facendo perdere il senno. Mi avvicinai alla sua collega chiedendole dove potessi trovarla e lei mi indicò una stanza oltre la cucina. Mano a mano che avanzavo verso quella direzione iniziai a sentire la sua voce, dolce e soave in lontananza.
Attirato da quel suono così familiare, mi avvicinai cautamente alla porta. Fu in quell'istante che la vidi. Rebecca era lì, distesa su un letto con in braccio una bambina, che avrà avuto sì e no un paio di anni, e le stava leggendo una fiaba mentre con una mano le accarezzava i capelli castani e riccioli. Ma chi era quella bambina?
La domanda mi sorse spontanea. Quella stanza sembrava fatta su misura per la piccola. Le pareti erano per metà dipinte di rosa, c'erano tantissimi giochi disseminati qua e là e dipinto sul muro si leggeva il nome Arya.
Una sensazione strana mi invase il corpo, mentre le guardavo, notavo la complicità così intensa tra le due. La piccola si stava addormentando tranquillamente tra le braccia della grande. Non capivo cosa stessi osservando, ero pietrificato.
A un certo punto Rebecca alzò lo sguardo e puntò le sue iridi nocciola nei miei occhi. Un misto tra sgomento, paura, sorpresa e rabbia le passò sul volto. In quell'istante mi venne un dubbio...
''Non sarà mica sua figlia?'' pensai.
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